|
|||
Terza Internazionale Comunista
4° Congresso – novembre 1922 |
|||
PROGETTO DI TESI Premessa
Appendice:
|
Sebbene nell’ordine del giorno
del IV Congresso fossero contenuti due commi relativi al Programma (della
Internazionale e delle sue sezioni) e della tattica, le discussioni generali
su questi importanti argomenti furono rinviati al V Congresso.
Ciò non pertanto, la nostra delegazione
(maggioranza) approntò un progetto di tesi sulla tattica dell’Internazionale,
che non si discostano dalle direttive su cui furono redatte quelle presentate
al Congresso del Partito ed approvate dal Partito (marzo 1922) e su cui
fu redatto il Riassunto che la delegazione di maggioranza segnò quale
piattaforma nella discussione dello Allargato del giugno 1922. La pubblicazione
di queste tesi precisa il pensiero della maggioranza del Partito sulla
questione della tattica generale, all’epoca del Congresso dell’Internazionale.
Inutile aggiungere che esse sono un contributo di pensiero e non un programma
di azione che il partito intenda seguire.
Le condizioni per il conseguimento degli scopi rivoluzionari
dell’Internazionale Comunista sono di natura oggettiva in quanto risiedono
nella situazione del regime capitalista e nello studio della crisi che
esso attraversa, e sono di natura soggettiva per quanto riguarda la capacità
della classe operaia a lottare per il rovesciamento del potere borghese
e ad organizzare la propria dittatura con unità di azione: riuscendo,
cioè, a subordinare tutti gli interessi parziali di gruppi limitati all’interesse
generale di tutto il proletariato, ed allo scopo finale della rivoluzione.
Le condizioni soggettive sono di doppio ordine,
ossia:
a) la esistenza di partiti comunisti sia dotati di una chiara visione
programmatica sia di una organizzazione ben definita che ne assicuri l’unità
di azione.
b) un grado di influenza del partito comunista sulla massa dei lavoratori
e sulle organizzazioni economiche di questi, che ponga in prevalenza il
partito comunista rispetto alla altre tendenze politiche del proletariato.
Il problema della tattica consiste nel ricercare
i mezzi che meglio consentano ai partiti comunisti di realizzare contemporaneamente
queste condizioni rivoluzionarie di natura soggettiva, basandosi sulle
condizioni oggettive e sul procedimento dei loro sviluppi.
(Si riportano a questo punto i capitoli descrittivi
della tesi Zinoviev sulla situazione economica politica mondiale, sull’offensiva
del Capitale e sulla situazione del movimento operaio).
Costituzione dei Partiti Comunisti e della Internazionale Comunista
Il fallimento della Seconda Internazionale e la rivoluzione
russa hanno dato luogo alla ricostituzione della ideologia rivoluzionaria
del proletariato, ed alla sua riorganizzazione politica nelle file della
Internazionale Comunista.
L’Internazionale Comunista, per rispondere al
suo compito di unificazione nella lotta del proletariato di tutti i paesi
verso lo scopo finale della rivoluzione mondiale, deve prima di tutto assicurare
la propria unità di programma e di organizzazione. Tutte le sezioni e
tutti i militanti dell’Internazionale Comunista devono essere impegnati
dalla loro adesione di principio al comune programma dell’Internazionale
Comunista.
La organizzazione internazionale, eliminando tutte
le vestigia del federalismo della vecchia Internazionale, deve assicurare
il massimo di centralizzazione e di disciplina. Questo processo si svolge
tuttora attraverso le difficoltà derivanti dalle differenti condizioni
dei vari paesi e dalle tradizioni dell’opportunismo. Esso si risolverà
efficacemente non con espedienti meccanici, ma con la realizzazione di
una effettiva unità di metodo, che ponga in evidenza i caratteri comuni
all’azione dei gruppi di avanguardia del proletariato nei vari paesi.
Non si può ammettere che un qualunque gruppo politico
possa essere inquadrato nella disciplina e nella organizzazione rivoluzionaria
internazionale in virtù della semplice sua adesione a dati testi, e con
la promessa di osservanza di una serie d’impegni. Si deve invece tener
conto del processo reale svoltosi nei gruppi organizzati che agiscono nella
politica proletaria (partiti e tendenze) e della formazione della loro
ideologia e della loro esperienza di azione per giudicare se, ed in quale
misura, possono essi far parte della Internazionale Comunista.
Le crisi disciplinari dell’Internazionale Comunista
dipendono da un doppio aspetto che assume oggi l’opportunismo tradizionale:
quello di accettare con entusiasmo le formulazioni dell’esperienza tattica
dell’Internazionale Comunista, senza intenderne la solida coordinazione
ai fini rivoluzionari ma cogliendone le forme esteriori di applicazione
come un ritorno ai vecchi metodi opportunisti destituiti di ogni coscienza
e volontà finalistica e rivoluzionaria, e quello di rifiutare quelle formulazioni
della tattica con una critica superficiale che le dipinge come una rinuncia
e un ripiegamento rispetto agli obiettivi programmatici rivoluzionari.
Nell’uno e nell’altro caso si tratta di incomprensione dei rapporti
che corrono tra l’impiego dei mezzi e i fini comunisti.
Per eliminare i pericoli opportunisti e le crisi
disciplinari, la Internazionale Comunista deve appoggiare la centralizzazione
organizzativa sulla chiarezza e la precisione delle risoluzioni tattiche
e sulla esatta definizione dei metodi da applicare.
Una organizzazione politica, fondata cioè sulla
adesione volontaria di tutti i suoi membri, risponde alle esigenze dell’azione
centralizzata solo quando tutti i suoi componenti abbiano visto ed accettato
l’insieme dei metodi che dal centro può essere ordinato di applicare
nelle varie situazioni.
Il prestigio e l’autorità del centro, che non
dispongono di sanzioni materiali, ma si avvalgono di coefficienti che restano
nel dominio dei fattori psicologici, esigono assolutamente chiarezza, decisione
e continuità nelle proclamazioni programmatiche e nei metodi di lotta.
In questo sta la sola garanzia di poter costituire un centro di
effettiva azione unitaria del proletariato internazionale.
Un’organizzazione solida nasce solo dalla stabilità
delle sue norme organizzative; che assicurando ogni singolo della loro
applicazione imparziale, riduce al minimo le ribellioni e le diserzioni.
Gli statuti organizzativi, non meno della ideologia e delle norme tattiche,
devono dare un’impressione di unità e di continuità.
Per queste considerazioni, poggiate su di una ricca
esperienza, nel passaggio dal periodo di costruzione dell’Internazionale
dei partiti comunisti a quello della azione del Partito Comunista Internazionale,
si presenta necessaria l’eliminazione di norme di organizzazione affatto
anormali.
Tali sono le fusioni di sezioni isolate dell’Internazionale con
altri organismi politici, il fatto che taluna di queste possa essere costituita
non sul criterio delle adesioni personali, ma su quello della adesione
di organizzazioni operaie, la esistenza di frazioni o gruppi di organizzati
su basi tendenziali nel seno della organizzazione, la penetrazione sistematica
e il noyautage in altri organismi che abbiano natura e disciplina
politica (il che si applica ancor più a quelli di tipo militare).
Nella misura in cui la Internazionale applicherà
tali espedienti, si verificheranno manifestazioni di federalismo e rotture
disciplinari. Se dovesse arrestarsi o invertirsi il processo per tendere
alla eliminazione di tali anormalità o se queste dovessero elevarsi a
sistema, si presenterebbe con estrema gravità
il pericolo di una ricaduta
nell’opportunismo.
Compito fondamentale dei partiti comunisti è la
conquista di una sempre maggiore influenza sulle masse. A tale scopo essi
devono ricorrere a tutti quei mezzi tattici che la situazione oggettiva
rende opportuni e che valgono ad assicurare una estensione sempre maggiore
negli strati del proletariato della influenza ideologica e delle varie
forme che si appoggiano sul Partito.
La conquista delle masse non si può realizzare
con la semplice propaganda delle ideologie del Partito e col semplice proselitismo,
ma partecipando a tutte quelle azioni a cui i proletari sono sospinti dalla
loro condizione economica. Bisogna far capire ai lavoratori che queste
azioni non possono per se stesse assicurare il trionfo dei loro interessi:
esse possono solo fornire un’esperienza, un risultato organizzativo ed
una volontà di lotta da inquadrare nella lotta rivoluzionaria generale.
A ciò si riesce non negando tali azioni, ma stimolandole con l’incitare
i lavoratori ad intraprenderle e presentando ad essi quelle rivendicazioni
immediate che servono a realizzare un’unione sempre più larga di partecipanti
alla lotta.
Anche nelle situazioni di sviluppo normale del capitalismo,
per i partiti marxisti rivoluzionari era una necessità fondamentale la
lotta per le rivendicazioni economiche concrete dei gruppi proletari sul
terreno dei sindacati e dei gruppi affini. Anche le rivendicazioni di ordine
sociale politico generale devono servire al lavoro rivoluzionario. Ma queste
rivendicazioni non devono formare il terreno di un compromesso con la borghesia
attraverso il quale il proletariato paghi le concessioni di questa con
la rinunzia alla indipendenza delle sue organizzazioni di classe ed alla
propaganda del programma e dei metodi rivoluzionari.
Attraverso le azioni per le rivendicazioni parziali
il partito comunista realizza un contatto con la massa che gli permette
di fare nuovi proseliti: perché completando con la sua propaganda le lezioni
della esperienza, il Partito si acquista simpatia e popolarità e fa nascere
attorno a sé tutta una rete più larga di organizzazione collegata ai
più profondi strati delle masse e dall’altra parte al centro direttivo
del partito stesso. In questo senso si prepara una disciplina unitaria
della classe operaia. Ciò si raggiunge col noyautage
sistematico
dei sindacati, delle cooperative e di ogni forma di organizzazione di interessi
della classe operaia. Analoghe reti organizzative devono sorgere appena
possibile in tutti i campi della attività del Partito: lotta armata e
azione militare, educazione e cultura, lavoro tra i giovani e tra le donne,
penetrazione dell’esercito e così via. L’obiettivo di tale lavoro
è la realizzazione di una influenza non solo ideologica ma anche organizzativa
del partito comunista sulla più grande parte della classe operaia. Per
conseguenza, nel loro lavoro nei sindacati i comunisti tendono a realizzare
la massima estensione della base di essi, come di tutte le organizzazioni
di natura analoga, combattendo ogni scissione e propugnando la unificazione
organizzativa dove la scissione esiste, pur che sia loro garantito un minimo
di possibilità di lavorare per la propaganda e pel noyautage comunista.
Tale attività in casi speciali può anche essere illegale e segreta.
I partiti comunisti, pur lavorando col programma
di assicurarsi la direzione delle centrali sindacali, apparato indispensabile
di manovra nelle lotte rivoluzionarie, col mezzo della conquista della
maggioranza degli organizzati, accettano in ogni caso la disciplina alle
decisioni di questo e non pretendono che negli statuti delle organizzazioni
sindacali ed affini od in patti speciali, venga sancito l’impegno ad
un controllo del partito.
L’offensiva del capitale e i suoi particolari caratteri
attuali offrono speciali possibilità tattiche ai partiti comunisti per
accrescere la loro influenza sulle masse. Da questo sorge la tattica del
fronte unico.
L’offensiva capitalista ha il doppio obiettivo
di distruggere le organizzazioni proletarie capaci di offensiva rivoluzionaria,
ed intensificare altresì lo sfruttamento economico dei lavoratori per
tentare la ricostituzione dell’economia borghese. L’offensiva capitalista
urta quindi direttamente contro gli interessi anche di quei proletari che
non sono guadagnati ancora alla coscienza ed allo inquadramento rivoluzionario,
ed assale quelle stesse organizzazioni che non hanno un programma rivoluzionario
e sono dirette da elementi opportunisti. La burocrazia che inquadra tali
organismi, ben comprendendo che l’accettare la lotta anche soltanto difensiva
equivale a porre un problema rivoluzionario ed a schierare i lavoratori
su di un fronte di lotta contro la classe borghese e le sue istituzioni,
sabota anche la pura resistenza difensiva, mentre rinunzia all’illusorio
programma di un miglioramento graduale delle condizioni di vita del proletariato.
Tale situazione permette ai partiti comunisti di condurre alla lotta anche
la parte degli operai che non ha una coscienza politica sviluppata. I partiti
comunisti hanno la possibilità d’invitare questi strati di lavoratori
ad azioni unitarie per quelle rivendicazioni concrete ed immediate che
consistono nella difesa degli interessi minacciati dalla offensiva del
capitale.
A tale scopo i comunisti propongono un’azione
comune di tutte le forze proletarie inquadrate nelle organizzazioni, delle
più diverse tendenze.
Questa tattica non deve mai venire in contrasto
col compito fondamentale del partito comunista: cioè la diffusione in
seno alla massa operaia della coscienza che solo il programma comunista
e l’inquadramento organizzativo attorno al partito comunista la condurrà
alla sua emancipazione.
Le prospettive del fronte unico sono duplici. L’invito
al fronte unico servirà per una campagna contro i programmi e la influenza
delle altre organizzazioni proletarie, se esse rifiuteranno l’invito
alla azione fatta dai comunisti; è evidente, in tal caso, il vantaggio
del partito comunista. Se invece si giunge realmente ad un’azione cui
partecipino tutte le organizzazioni proletarie e tutto il proletariato,
il partito comunista si prefigge di riuscire a prendere la dirigenza del
movimento, quando le condizioni generali permettano di condurlo ad un sbocco
rivoluzionario. Quando questo non sia possibile, il partito comunista deve
tentare con ogni mezzo di realizzare – attraverso le vicende della lotta,
un successo parziale od anche l’insuccesso se esso è inevitabile –
la convinzione da parte delle masse che il partito comunista è il meglio
preparato a far prevalere la causa del proletariato. Il partito comunista,
se avrà precedentemente fatta una campagna sulle precise proposte che
garantirebbero il successo della lotta, potrà, attraverso la partecipazione
in prima linea delle sue forze alla azione comune, farà sì che le masse
si formino la convinzione che la vittoria sarà possibile quando su di
esse non avranno una influenza prevalente le organizzazioni non comuniste.
La tattica del fronte unico è dunque un mezzo per
la conquista di una preponderante influenza ideologica ed organizzativa
del Partito.
La istintiva tendenza della masse all’unità deve
essere utilizzata quando può servire allo impiego favorevole della tattica
del fronte unico: deve essere combattuta quando condurrebbe al risultato
opposto.
Il grave problema tattico del fronte unico presenta
dunque dei limiti al di fuori dei quali la nostra azione verrebbe a mancare
ai propri fini. Questi limiti devono essere definiti in rapporto al contenuto
delle rivendicazioni ed ai mezzi di lotta da proporre, ed in rapporto alle
basi organizzative da proporre o da accettare come piattaforma delle forze
proletarie.
Le rivendicazioni che il partito comunista avanza
per il fronte unico devono essere tali da non mettersi in contrasto con
i programmi dei vari organismi di cui si propone la coalizione, e da essa
raggiungibili con metodi di lotta che nessuno di tali organismi rifiuta
per principio.
Solo in tal caso si potrà fare una campagna contro
le organizzazioni che rifiutassero la loro adesione alla proposta del fronte
unico: ed in caso opposto solo in tal caso sarà possibile utilizzare a
vantaggio della influenza comunista lo svolgimento dell’azione.
Tutte le rivendicazioni perseguibili con l’azione
diretta del partito possono essere affacciate: la difesa dei salari e dei
patti di lavoro della industria e dell’agricoltura, la lotta contro i
licenziamenti e la disoccupazione, la difesa effettiva del diritto di associazione
e di agitazione.
Come mezzi di lotta possono essere proposti tutti
quelli che il partito comunista non rifiuta per le proprie azioni indipendenti,
e quindi tutte le forme di propaganda, di agitazione e di lotta in cui
la classe proletaria si pone nettamente e dichiaratamente contro il capitale.
Infine, le basi della coalizione debbono essere
tali che, essendo noto alla masse l’insieme delle proposte comuniste,
anche quando gli altri organismi proletari non le abbiano accettate, ma
tuttavia iniziano un’azione generale proletaria (ad esempio: usando gli
stessi mezzi di lotta consigliati dal Partito Comunista, sciopero generale,
ecc.ecc. ma con altri obbiettivi), il Partito Comunista non tenendosi estraneo
all’azione comune, possa però riversare la responsabilità dell’indirizzo
di questo sugli altri organismi in caso di sconfitta del proletariato.
Il Partito Comunista non accetterà dunque di far
parte di organismi comuni a vari organismi politici, che agiscano con continuità
e con responsabilità collettiva, alla direzione del movimento generale
del proletariato. Il partito comunista eviterà anche di apparire compartecipe
a dichiarazioni comuni con partiti politici, quando queste dichiarazioni
contraddicano in parte al suo programma e siano portate al proletariato
come risultato di negoziati per trovare una linea di azione comune.
Specialmente nei casi in cui non si tratti di una
breve polemica pubblica con la quale si invitano altri organismi all’azione
prevedendo con sicurezza che essi si rifiuteranno, ma vi è invece la possibilità
di giungere ad una lotta in comune, si dovrà realizzare il centro dirigente
della coalizione in una alleanza di organismi proletari a carattere sindacale
od affini. In tal guisa questo centro si presenterà alle masse come conquistabile
da parte dei vari partiti che agiscono in seno agli organismi operai.
Solo in tal modo si assicurerà l’utile impiego
della tattica dell’unità di fronte anche attraverso una azione che per
l’influenza degli opportunisti, finisca in una vittoria incompleta o
in una sconfitta della classe operaia.
Le rivendicazioni immediate che interessano il proletariato
possono anche essere legate alla politica dello Stato.
Queste rivendicazioni debbono essere formulate dal
partito comunista e proposte come obbiettivi di un’azione di tutto il
proletariato condotta mediante una pressione esterna sul governo, esercitata
con tutti i mezzi di agitazione.
Quando il proletariato si trova dinnanzi alla constatazione
che per conseguire tali rivendicazioni occorre che il governo esistente
sia cambiato, il partito comunista deve appoggiare su questo fatto la sua
propaganda per il rovesciamento del potere borghese e la dittatura proletaria:
analogamente a quanto deve farsi quando i lavoratori constatano che le
loro richieste economiche non trovano posto nel quadro dell’economia
capitalistica.
Quando il regime di governo si trova, pel rapporto
di forze sociali, in una situazione critica, occorre fare del rovesciamento
di esso non una semplice parola di propaganda, ma una rivendicazione concreta
accessibile alla massa. Tale rivendicazione (il potere ai Soviet, ai Comitati
di Controllo, ai Comitati dell’Alleanza Sindacale) può essere posta
ai lavoratori di tutti i partiti e senza partito rappresentati in tali
organismi. Tutti i lavoratori saranno portati ad accettarla anche contro
i loro capi. Essa si inquadra nel compito politico proprio del partito
comunista, in quanto la sua realizzazione comporta la lotta rivoluzionaria
e la soppressione della democrazia borghese, e il proporlo induce su questa
via tutta la massa proletaria. Ma non è da escludersi che una tale parola
extra parlamentare possa essere data anche nel Parlamento o in una campagna
elettorale.
Parlare di governo operaio come di un governo di
coalizione dei partiti operai, senza indicare quale sarà la forma della
istituzione rappresentativa su cui tale governo potrà appoggiarsi, significa
non lanciare una rivendicazione comprensibile agli operai, ma solo dare
una parola di propaganda che confonde i termini della preparazione ideologica
e politica rivoluzionaria. I partiti sono organizzazioni costituite per
prendere il governo, ed i partiti che formano il governo operaio non possono
essere quelli che sono per la conservazione delle istituzioni parlamentari
borghesi.
Parlare di governo operaio dichiarando o non escludendo
che esso può sorgere da una coalizione parlamentare alla quale partecipi
il partito comunista, significa negare praticamente il programma politico
comunista, ossia la necessità della preparazione delle masse alla lotta
per la dittatura.
La situazione politica mondiale non è tale da far
prevedere la formazione di governi di passaggio tra il regime borghese
parlamentare e la dittatura proletaria, ma piuttosto di governi di coalizione
borghese, che condurranno con estrema energia la lotta per la difesa controrivoluzionaria.
Se i governi di transizione dovessero aversi, è una necessità di principio
per il partito comunista di lasciare la responsabilità di dirigerli ai
partiti socialdemocratici, fino a quando essi sorgono sulla base delle
istituzioni borghesi. Solo così il partito comunista può dedicarsi alla
preparazione della conquista rivoluzionaria del potere e alla eredità
del governo di transizione.
La conquista delle masse organizzate
L’esistenza di forti e fiorenti organizzazioni
economiche è una buona condizione per il lavoro di penetrazione delle
masse. L’accentuarsi del dissesto della economia capitalista crea una
situazione oggettivamente rivoluzionaria. Ma poiché la capacità di lotta
del proletariato, al momento in cui dopo l’apparente floridezza del dopo-guerra
immediato la crisi è apparsa in tutta la sua gravità, s’è rivelata
insufficiente, assistiamo oggi allo svuotamento dei sindacati e di tutte
le organizzazioni analoghe in moltissimi paesi: in altri è prevedibile
che un tale fenomeno non tarderà a verificarsi.
Per conseguenza, la preparazione rivoluzionaria
del proletariato si rende difficile, malgrado il dilagare della miseria
e del malcontento.
Si pone in prima linea il problema dell’inquadramento
dietro i partiti comunisti degli strati dei senza lavoro e degli elementi
proletari ridotti in un stato caotico dalla paralisi della macchina produttiva.
È possibile che questo problema tra qualche tempo apparirà più grave
di quello della conquista degli operai che seguono gli altri partiti proletari,
attraverso le organizzazioni economiche da questi dirette, problema che
viene bene affrontato con la tattica del fronte unico. Si deve anzi ritenere
che, accompagnandosi alla decadenza economica la intensità dell’azione
unitaria controrivoluzionaria di tutte le forze borghesi, si svuoteranno
più rapidamente gli organismi economici proletari non comunisti. I termini
del problema della conquista delle masse verranno modificati.
Si dovrà realizzare una nuova forma di organizzazione
degli interessi proletari, dovendosi sempre poggiare il lavoro rivoluzionario
sulle reali situazioni concrete. Nella fase attuale si delinea il compito
di inquadrare attorno ai Comitati e agli organi del fronte unico delle
organizzazioni, con opportune forme di rappresentanza, gli strati dei proletari
senza organizzazione. Il partito comunista dovrà essere il centro della
lotta e della riscossa contro la centralizzazione reazionaria capitalistica
tendente ad imporsi su una classe operaia sparpagliata e dispersa e definitivamente
abbandonata a se stessa dalla burocrazia opportunista.
"Lo Stato Operaio", 6 marzo 1924
Trovo completamente accettabile in tutte le sue parti
il progetto di organizzazione. Esso contiene disposizioni che, obbiettivamente
considerate, hanno una grande importanza perché mirano ad eliminare gli
ultimi residui dei metodi organizzativi a tipo federalistico della vecchia
Internazionale. Se, in questo stadio del Congresso, fosse ancora possibile
allargare ancora un po’ la discussione, potrei sollevare la questione
su tutto ciò che è necessario per rendere operante una effettiva centralizzazione
rivoluzionaria è realizzabile mediante una riforma dell’apparato organizzativo.
Ho già detto qualcosa in merito nel mio discorso sul rapporto dell’Esecutivo
e non mi ripeterò ora. Devo tuttavia ribadire che, se vogliamo realizzare
un’effettiva centralizzazione, cioè una sintesi delle forze spontanee
dell’avanguardia del movimento rivoluzionario nei diversi paesi, per
potere eliminare le crisi disciplinari che oggi constatiamo dobbiamo si
centralizzare il nostro apparato organizzativo, ma nello stesso tempo unificare
i nostri metodi di lotta e precisare bene ciò che si riferisce il programma
e alla tattica dell’I.C. A tutti i gruppi e compagni appartenenti all’I.C.
dobbiamo spiegare esattamente che cosa significhi il dovere di incondizionata
obbedienza che essi contraggono entrando nelle nostre file.
Quanto ai congressi internazionali, concordo pienamente
sulla soppressione dei mandati imperativi e sul modo di convocazione dei
congressi nazionali. Ammetto senza riserve che si tratta qui di misure
che corrispondono ai principi della centralizzazione, ma sono dell’avviso
che, nell’interesse di una vera centralizzazione, non dovremmo limitarci
a dichiarare che i mandati imperativi devono essere soppressi e i congressi
mondiali tenuti prima dei congressi nazionali, perché sullo stesso lavoro
e sulla stessa organizzazione dei Congressi mondiali vanno dette parole
ancor più gravi.
Siamo giunti alle ultime sessioni del Congresso
e dobbiamo constatare che l’opera svolta non è sotto tutti i rapporti
soddisfacente. Resta per esempio aperta la questione delle dimissioni.
Sono d’accordo che le dimissioni devono essere impedite. Suggerisco però
l’adozione della norma in vigore nel nostro partito, secondo la quale
tutte le dimissioni sono accettate e colui che le ha presentate non può
riprendere il suo posto nel partito nei successivi uno o due anni. Credo
che questa procedura avrebbe per effetto di ridurre sensibilmente il numero
delle dimissioni.
Ma v’è un’altra questione che ritento di dover
trattare malgrado lo stadio nel quale il Congresso si trova: la proposta
relativa ad un intervallo di due anni fra i Congressi mondiali. Se il prossimo
Congresso non dovesse essere così gravato di lavoro e di questioni com’è
accaduto all’attuale, sarebbe certo consigliabile non ripetere questo
imponente sforzo organizzativo e finanziario. Ma io sollevo la questione
specifica del tempo che ci separa dal V Congresso. Noi stiamo per rimandare
al prossimo Congresso una serie di questioni della massima importanza,
in specie la presentazione di un nuovo programma, o meglio del primo vero
programma, dell’I.C., e la revisioni dei suoi Statuti, cioè del legame
organico che unisce l’Internazionale e le sue sezioni. Dopo il rapporto
dell’Esecutivo, abbiamo a lungo discusso la questione della tattica,
ma i diversi oratori che si sono succeduti alla tribuna non hanno trattato
il grande problema della tattica dell’Internazionale, limitandosi a discutere
alcuni rilievi nel C.E. sull’attività o sulla situazione di questa o
quella sezione nazionali. Questioni molto importanti, come quella del governo
operaio, non sono state invece chiarite.
Non propongo di riaprire ora un grande dibattito
sulla questione della tattica ma, se penso al programma, agli statuti,
alla tattica, trovo assurda l’idea di convocare il V Congresso solo fra
due anni. In nome della maggioranza della delegazione italiana, mi riservo
quindi di presentare la proposta che il V Congresso
[Kolarov a nome del C.E. chiarisce che il V Congresso si terrà l’anno
prossimo e che le decisioni circa
Dal Protocollo tedesco.