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"COMUNISMO" n. 20 - gennaio-aprile 1986
Premessa.
COMUNISMO FORZA SOCIALE MATERIALE CHE SALDA LA NOSTRA COSCIENZA CON LA NOSTRA RAGIONE
 
MARXISMO E CONOSCENZA
   
1. Un’arma di azione rivoluzionaria
   
2. Scienza borghese non-scienza di classe
   
3. Oggettività della scienza e subordinazione di classe
   
4. Rinculo e involuzione «specialistica»
   
5. II comunismo risolto enigma della storia
   
6. Antichi quesiti infranti
   
7. Lo strumento Pensiero
   
8. Degenerazione odierna
   
9. Grandi arcate del ponte della storia
 
10. Nel partito rivoluzionario la lucida intuizione del futuro

 
 
 
 
 
 
 
 
 


Premessa

Abbiamo raccolto in questo numero della nostra rivista il testo di due relazioni che sono state illustrate, da più compagni, nel corso delle nostre recenti riunioni generali di partito, nel febbraio, nel maggio e nel settembre dell’anno scorso.

Se l’argomento conoscitivo merita qui uno sviluppo tale da occupare tutto lo spazio, non deve credere però il lettore che non conosce il nostro lavoro che in questi soli studi si limiti l’ambito delle nostre ricerche ed attività di partito: troverà la cronaca e le modalità delle nostre riunioni e lo svolgimento completo degli esposti sugli argomenti nelle colonne del mensile "Il Partito Comunista" e nei numeri trascorsi e prossimi di questa rivista.

Le ripresentazioni dei capisaldi della teoria marxista, fedeli riproduzioni delle sue potenti formulazioni di leggi storiche e sociali provenienti da un arco di un secolo e mezzo, proprio perché nulla pretendono aggiungere al bagaglio teoretico di partito e perché non parto di intellettuale o specialista scribacchino, pretendono di inscriversi nella traiettoria continua di quel corpo dottrinario che si riconosce nei nomi di Marx Lenin Sinistra in Italia, che più volte illuminò, dette occhi, fini e certezza a masse innumeri scagliate contro gli apparati statali delle borghesie.

Se queste sono tanto sopravvissute al loro ciclo rivoluzionario è stato non per loro forza difensiva propria ma per il tradimento socialdemocratico riformistoide e antirivoluzionario, che ancora oggi appesta e che sarà il primo ostacolo da travolgere dai proletari di domani, spinti alla lotta per il pane, per il lavoro, per difendere la loro vita contro la macchina della produzione – di pace e di guerra – del capitale.
 
 





COMUNISMO FORZA SOCIALE MATERIALE CHE SALDA LA NOSTRA COSCIENZA CON LA NOSTRA RAGIONE
Esposto alle Riunioni di febbaio e maggio 1985





 Le correnti opportunistiche fornicano con la filosofia borghese di vario segno, dall’irrazionalismo delle fedi al più «rigoroso» empirismo logico, e così tutto quello che ai veri comunisti appare un pregio nel lavoro teorico e pratico del partito, dal Manifesto dei Comunisti alla nostra piccola compagine formato 1985, ad essi appare aberrante e antiscientifico, fonte di mostruosità logiche e materiali. Non esiste dialogo tra la scienza borghese e la scienza come l’intende il marxismo rivoluzionario: come ieri al tempo di Galilei «il dialogato con Simplicio non esprime il logos, ma l’urto di due tappe della storia umana e della conoscenza; esso non sarà più revocato dal futuro».

Eppure, si obietta, il lavorio di Marx e di Engels è costellato da un civettare continuo con Hegel, un rimandare continuo, un cercar conferme nel campo delle scienze naturali del tempo. Certamente, alla condizione d’intendersi, e cioè di distinguere quanto di caduco c’è nel punto di vista della scienza borghese, per definizione incapace d’una conoscenza organica e sistematica dell’uomo e della natura, e quanto c’è stato di valido, come intuizione e come spinta in avanti nel corso della storia umana.

Nella lettera a Conrad Schmidt del 4 febbraio 1892 Engels scrive, tra l’altro: «È certamente assai positivo che alcuni dei signori studenti, insoddisfatti dell’andamento del partito, riprendano di nuovo i loro studi. Quanto più studiano tanto più tolleranti diventano nei confronti di gente che occupa una posizione di vera responsabilità e cerca di adempiere scrupolosamente ai propri doveri e col tempo si renderanno ben conto che quando si deve raggiungere una grande meta e si deve tenere insieme un necessario esercito di milioni di persone, si deve tener d’occhio la cosa principale e non ci si deve lasciar sviare da piagnistei secondari. Potrebbero anche scoprire che «l’istruzione», in virtù della quale si sentono superiori agli operai, lascia ancora moltissimo a desiderare e che gli operai possiedono in modo istintivo, "immediato", à la Hegel, quello per cui essi devono prima faticosamente affannarsi... Se leggendo Hegel arrivate ai «terreni paludosi» non arrestatevi; sei mesi più tardi troverete in quegli stessi terreni paludosi dei sassi ben saldi per poggiarvi i piedi e passare oltre senza difficoltà. La progressione conchiusa dello sviluppo delle idee appartiene in Hegel al sistema, al caduco, e io la ritengo la parte più debole – anche se la più arguta, perché in tutti i passaggi difficili egli si serve di una arguzia: positivo e negativo vanno "al fondo" e conducono perciò alla categoria del fondamento».

Nella visione rivoluzionaria comunista sono le forze delle classi in urto che determinano la coscienza e la scienza sociale e naturale, e non il contrario, ragione per cui gli operai, il proletariato, possiedono in modo immediato, istintivo, quello per cui gli intellettuali devono prima faticosamente affannarsi. Ciò non significa che il partito si costituisca spontaneamente dall’immediata ed istintiva forza del proletariato: da qui il travaglio dei transfughi della classe borghese che, esternamente alla classe, civettando anche colla scienza e la filosofia borghese, hanno dato corpo alla teoria rivoluzionaria. Comunque, una volta incubata, essa nasce in un sol blocco, nel suo nucleo essenziale, e non cambia per tutto un arco storico, fino alla realizzazione del programma politico del proletariato costituito in classe.

L’esigenza di scienza sociale dunque non contrasta con l’affermazione che alla sua origine il bisogno di comunismo è una fede e un sentimento, non una dimostrazione o un sillogismo. Quando ne Il Manifesto del Partito comunista Marx si rivolge ai pensatori comunisti e socialisti cosiddetti critico-utopistici (Saint-Simon, Fourier, Owen, ecc. che «al posto dell’azione sociale essi fanno subentrare la loro azione inventiva personale, al posto delle condizioni storiche dell’emancipazione condizioni fantastiche, al posto del graduale organizzarsi del proletariato come classe una organizzazione della società escogitata di sana pianta. La storia universale dell’avvenire si risolve per essi nella propaganda e nella esecuzione pratica dei loro piani sociali») obietta che essi non partono da un’analisi scientifica della società moderna e della sua tendenza allo sviluppo, ma sovrappongono ad essa dei progetti fantastici di trasformazione sociale e politica, dei piani di rigenerazione integrale e totale del mondo, che hanno il difetto di essere fantastici appunto, di non tenere in alcun conto il movimento della società moderna. Ma cosa intende il materialismo storico per scienza? Forse rivendica la nozione di scienza nei suoi fondamenti e metodi propria del pensiero borghese, secondo l’accezione di scienza universale, al di sopra delle parti, elaborata da millenni di metafisica e di idealismo filosofico, da Platone ai nostri tempi? E su questo che fanno leva intellettuali ed idealisti borghesi ed opportunisti per riaffermare una concezione della scienza che il marxismo respinge, allorché sostiene al contrario che la scienza non è una sovrastruttura superiore ed indifferente all’urto delle forze materiali, ma è semmai un’espressione ideologica di esse, con tutto ciò che comporta questa sua natura, falsa e vera nello stesso tempo.

Prima ancora del sacerdote del razionalismo critico borghese Max Weber, Engels giungeva a dire che una cosa sono i fatti e un’altra i valori, una cosa è la realtà socio economica e un’altra cosa il programma politico mirante alla sua trasformazione. Confondere queste due dimensioni significherebbe rinunciare, sin dall’inizio, all’analisi scientifica.

Marx, scriveva Engels in una lettera a Lafargue nel 1884, protesterebbe contro «l’ideale politico, sociale ed economico» che voi gli attribuite. Quando si è uomini di scienza non si hanno ideali, si elaborano risultati scientifici, e quando inoltre si è uomini di partito si combatte per metterli in pratica. Ma quando si ha un ideale non si può essere uomini di scienza perché si ha un partito preso in anticipo. Ecco la contraddizione che si rinfaccia ancora al comunismo rivoluzionario, e che al contrario noi, come Engels, respingiamo: «i comunisti non possono essere uomini di scienza perché hanno un partito preso in anticipo».

Come conciliare la passione politica, con l’analisi scientifica? come conciliare l’affermazione secondo la quale prima di tutto il comunismo è un sentimento, una fede nella emancipazione degli sfruttati, con l’esigenza di attenersi alla natura avalutativa della scienza? La scienza borghese, da Weber a Kelsen, non si è stancata di additare nel marxismo questa «confusione» di fondo. Se Marx pretende di far scaturire il «fine» del comunismo dall’analisi scientifica dello sviluppo storico in quanto corso causale oggettivo, questa scoperta sarebbe possibile solo perché il valore che si pretende scoperto è stato precedentemente proiettato nella realtà, lo scopo del socialismo scientifico non è solo di concepire e descrivere la realtà sociale come effettivamente è senza valutarla, ma al contrario di giudicarla secondo un valore che è presupposto a questa scienza, proiettato ingannevolmente nella realtà sociale allo scopo di conformarla al valore presupposto. Il marxismo, insomma, avrebbe ignorato la distinzione fondamentale tra etica-politica e scienza causale scientifico-naturale, confondendo tra loro in modo incongruo, fatti e valori, cause e fini.

Questione indubbiamente di non poco conto, se Lenin rivendicava che Marx aveva portato per la prima volta la sociologia su un piano scientifico, stabilendo il concetto di formazione economico-sociale come un complesso di determinati rapporti di produzione e stabilendo che l’evoluzione di tali formazioni è un processo storico naturale, e polemizzava sostenendo l’insistenza di molti marxisti sulla dialettica hegeliana, sugli esempi che dimostrano che le triadi hegeliane sono giuste ecc. che «non sono che residui di quell’hegelismo dal quale è sorto il socialismo scientifico, residui del suo modo di esprimersi» e nulla più.

Chi come il positivismo in tutta la sua evoluzione ha tentato di svergognare la mistica antiscientifica del materialismo storico, una volta entrato nel merito «rigoroso» e senza illusioni della scienza e dei suoi fondamenti, abbandonati in terreni paludosi della dialettica e del sistema hegeliano, ha perso di vista anche i sassi più saldi, per poggiare i piedi e passare oltre, riconoscendo l’intrinseca impossibilità di costruire un fondamento solido della scienza, finendo nella babele dei linguaggi o nel riconoscimento che in ultima istanza le sensazioni degli altri saranno per noi un mondo eternamente chiuso, e che l’osservazione sperimentale è essenzialmente privata, come appunto la proprietà è l’appropriazione dei beni sociali.

Siamo lontani molto dall’appello kantiano contro i sogni dei visionari per un umano tenersi per mano sul terreno della fede nella verificabilità delle osservazioni e sulla possibilità della scienza universale sulla base dei fenomeni come oggetti d’esperienza! Ecco l’arco storico dell’evoluzione borghese, dai suoi trionfi anche filosofici benché intrisi di angustie filistee, ai nefasti attuali senza speranza e carichi di forzature irrazionalistiche e distruttive. Così, proprio nel momento in cui le correnti del realismo critico pretendono di colpire come antiscientifico il materialismo storico, ammettono che la pretesa delle teorie induttivistiche (quelle che non vogliono confondere i valori con i fatti) di fondare congetture e ipotesi sulle osservazioni e sui fatti, non sono sostenibili.

Ammettono che non si muove dai fatti alla costruzione delle teorie, ma dalle teorie al loro controllo mediante i fatti e si ammette inoltre che il fatto che il materialismo e ogni forza di realismo non sia né dimostrabile né controllabile, non implica affatto che sia «irragionevole», e che non si possano portare in suo favore dei validi anche se non conclusivi argomenti. Infatti: il marxismo come teoria, non pretende di essere creduto razionalmente dai suoi avversari, ma crede che solo, come dice il Manifesto, chi ha da perdere le sue catene e da conquistare un mondo, può aderirvi istintivamente, immediatamente, a la Hegel, e immediatamente anche con una sorta di ragione, da parte di chi ha tempo e passione per riconoscere la sua ragionevolezza storica. Il marxismo non coltiva l’idea d’una scientificità universale in astratto, al di sopra delle ragioni di classe, perché proclama di essere prima di tutto la ragione di una classe, quella sfruttata, e per conseguenza anche quella della specie umana, ma dopo, soltanto dopo! D’altronde anche l’impianto di protocolli di verifica o di falsificazione d’una teoria o ipotesi scientifica escogitati dalla scienza borghese, non solo non smentisce la teoria rivoluzionaria del proletariato, ma indirettamente riconosce la sua «ragionevolezza» proprio in quanto esso non pretende d’essere la ragione assoluta di tutte le classi.

La scientificità della concezione comunista, prima d’essere fondata sui dati dell’esperienza, è una fede che parte dal sentimento. Oggi anche le correnti borghesi che hanno rivendicato l’esperienza come base della loro veridicità dichiarano fallimento, poiché in realtà il principio d’induzione non è stato mai adeguatamente dimostrato né mediante un’argomentazione deduttiva né mediante l’esperienza. Fino alla metà dell’Ottocento esso veniva formulato in questa forma: se si è osservato in una vasta gamma di circostanze il verificarsi di fenomeni di tipo A e se tutti i fenomeni A osservati avevano la caratteristica X, allora si può concludere che tutti i fenomeni A (osservati o non osservati) hanno la caratteristica X. L’argomentazione basata sull’esperienza viene presentata così: il principio d’induzione ha funzionato nel caso a, ha funzionato nel caso b, ecc. Quindi il principio d’induzione funziona in tutti i casi. Ma il procedimento logico secondo il quale partendo da un numero finito di osservazioni singolari, si può risalire ad una proposizione generale (o universale) con conclusione certa è errato, sia da un esame logico sia dall’esperienza. Da un punto di vista logico non si vede perché se per n volte fenomeni A sono risultati con la caratteristica X, ciò rende necessario che anche l’ennesima più una volta A risulti con X. L’esperienza ha spesso mostrato che dopo A con X è apparso un A senza X.

La concezione materialistica della natura e della storia non si attiene al principio d’induzione o all’empirismo di stampo borghese, come non si attiene alle concezioni deduttive tautologiche e astratte proprie del razionalismo e della metafisica. Tutto questo per la ragione che i procedimenti astrattivi della mente (anche quando non sottovalutano la logica formale e i suoi procedimenti), come pure la pretesa empiristica di ricavare dall’esperienza immediata le regole del sapere, sono due poli che nel pensiero borghese non riescono ad essere integrati. L’uno e l’altro cadono in petizioni di principio che il metodo logico non è in grado di risolvere.

La «scientificità» del comunismo, prima ancora che da una descrizione formale dei suoi codici, parte dalla critica negativa della scienza del nemico, cambiando i presupposti dei problemi che esso affronta, il suo modo di risolvere i problemi pratici in rapporto alla scienza borghese. La pretesa di aderenza alla realtà conclamata dall’empirismo borghese nelle sue varianti non spiega e non dimostra la sua coerenza, è una fede essa stessa.

La necessità del rovesciamento della prassi nella concezione comunista parte dal presupposto che non si tratta di opporre alla scienza e all’ideologia borghese la sua negazione, ma una azione sociale capace di distruggere le basi materiali donde sorge la sua rappresentazione ideale. Le armi della critica possono essere semplicemente mutuate e prese in prestito dalla classe avversaria, ma si forgiano in un crogiolo che unifica sentimenti e capacità di capire i fini della classe rivoluzionaria nel suo organo dirigente.

Nella seconda metà dell’Ottocento si diffuse la concezione probabilistica dell’induzione, e quindi della conoscenza scientifica. Allora al principio d’induzione fu data la seguente formulazione: se si è osservato in una vasta gamma di circostanze il verificarsi di fenomeni di tipo A e se tutti i fenomeni A osservati hanno la caratteristica X, allora si può concludere che probabilmente tutti i fenomeni A (osservati e non osservati) hanno la caratteristica X.

In tale formulazione probabilistica il principio d’induzione si mostra apparentemente più aderente alla realtà, ma neanche in questa formulazione si riuscì a dare una giustificazione razionalmente valida. Per di più cercando la probabilità di una legge universale, si giunse ad una conclusione che sembrò paradossale e contraria all’induzione: una legge universale aveva una probabilità di essere inferiore a qualsiasi valore positivo definito. Questo equivaleva a dire che ogni legge universale era con estrema probabilità errata.

Questa contraddizione, fonte di scandalo per la logica formale, diventa ovvietà nella concezione comunista.

Abbattuti gli assoluti «assoluti», è normale che la legge universale (frutto della formalizzazione secondo il criterio induttivo descritto) possa avere una probabilità di essere vera inferiore a qualsiasi valore positivo definito. Il fallimento della scienza borghese, scienza del pensiero e dell’esperienza, non è che il riflesso del fallimento storico di classe, del progetto sociale e umano della borghesia. Per questo il dogma della natura probabilistica è approssimata della conoscenza scientifica sperimentale, che per noi è naturale ed ovvio senza con questo essere in contrasto con la nostra fede nella scienza integrale della natura e della società che prefiguriamo, della società comunista, determina un sentimento di disagio e di frustrazione nella visione borghese, fino ad estrapolazioni filosofiche o religiose che giustificano la rassegnazione, la decadenza, l’indeterminismo ed il casualismo come concezione generale della vita e dell’esistenza in generale

Il mito, prima religioso poi metafisico-laico dell’assoluto non relativo, ha comportato la incomprensione totale della relatività generale, considerata dalle punte avanzate della Ragione di classe borghese, come il prodotto della mente ebraica e intrinsecamente perversa del comunismo, da Marx ad Einstein. I vecchi assoluti non possono non essere risposte limitate e, piuttosto che errate, inadeguate della concezione della realtà. D’altronde la stessa pretesa di giungere alla considerazione logica di questo errore (ogni legge universale, con estrema probabilità errata) è un esempio di pretestuosità logico-formale. Per mostrare in modo istruttivo come si giunge a questa conclusione, così si argomenta: supponiamo di avere osservato 100 A e che tutti questi A avessero la caratteristica X. Ovviamente l’ipotesi che il 50% degli A non abbiano X non si accorda bene con l’osservazione fatta (anche se tale ipotesi non può venire esclusa come impossibile). Invece l’ipotesi che lo 0% degli A non abbiano X si accorda bene con le osservazioni; ma anche l’ipotesi che 0,3% degli A non abbiano X si accorda bene con le osservazioni; e anche tutte le ipotesi che attribuiscono agli A senza X una percentuale intermedia tra 0%e 0,3% si accordano bene con le osservazioni. Dato che queste ipotesi sono infinite, la probabilità di ciascuno è un infinitesimo. La pretesa di proporre come neutrale modo di procedere scientifico simili considerazioni è tipicamente ideologica.

La fede nella società comunista non si fonda sulla considerazione d’una serie d’ipotesi sulla attendibilità e sulla sperimentabilità in percentuale di simili ipotesi, ma in una necessità organica e integrale della classe non detentrice degli strumenti di produzione della vita. Il concetto di cogenza logica è una sovrastruttura delle costrizioni e delle necessità organiche delle classi sociali. Le tecniche del calcolo delle probabilità non sono scienza integrale, ma un’espressione formale della teoria del rischio nell’ottica borghese, che non è dello stesso tipo dell’audacia rivoluzionaria del proletariato che non tiene conto degli stessi fattori, non parte dagli stessi presupposti, non contempla gli stessi elementi in gioco, non attribuisce loro lo stesso peso, la stessa misura, lo stesso valore. Non è casuale che il calcolo delle probabilità come scienza e come parte delle metodiche matematiche si è sviluppato con l’avvento del modo di produzione capitalistico, per merito di Pascal e Bernoulli. Le ragioni della necessità del comunismo non risiedono nel meccanismo revisionistico, gradualistico e rinunciatario, non si fondano nell’attesa messianica del maturare oggettivo degli eventi, che da soli produrrebbero le nuove condizioni sociali, ma su una prassi storica e sociale che fa leva sulla necessaria lotta delle classi che transcresce in lotta politica per il potere.

Tutta la tematica sulla resistenza delle teorie, in tutti i campi, sulla loro reciproca compatibilità, sulla loro verifica o falsificazioni, deve fare i conti con questo assunto di fondo. Non opponiamo scienza a scienza in astratto, ma ferro a scienza in concreto. Lo scontro ideologico nella nostra versione non consiste nella illuministica lotta delle idee, ma nel riconoscimento che lo scontro ideologico è solo epifenomenico in rapporto alla più profonda lotta delle classi, incompatibili ed antagonistiche nel loro fine storico.

Le premesse empiristiche della teoria scientifica sono state svolte e coerentemente portate alle loro conseguenze estreme dai «neopositivisti logici», secondo i quali solo le preposizioni verificabili avrebbero senso, e precisamente solo le preposizioni verificabili sensorialmente e direttamente. Se si accettasse questo principio della verificabilità si dovrebbe ammettere che anche tutte le leggi scientifiche sono senza senso, perché tali leggi sono del tipo: Tutti gli A hanno caratteristiche X, e non è possibile verificare tutti gli infiniti A. Essi giungono a considerare l’osservazione sperimentale essenzialmente «privata» e dunque non comunicabile. «Le sensazioni degli altri saranno per noi un mondo certamente chiuso. La sensazione che io chiamo «rosso» è la stessa di quelli che il mio vicino chiama «rosso»? Non abbiamo alcun modo per verificarlo».

Come non vedere che in tale radicale e nel suo genere coerente impostazione scientifica si riversa tutta la crisi dell’ideologia borghese, che nonostante le promesse di trasformazione oggettiva del mondo in funzione umana universale, anche nel terreno della scienza, ha dovuto ripiegare sul proclama delle origini: «l’opinione governa il mondo»?

Nella sua fase illuministica, quando il mito del progresso e della felicità affascinava e trascinava, si era intesa questa affermazione come atteggiamento di tolleranza e di ricerca in vista della verità razionale e oggettiva capace di imporsi a tutti gli uomini. L’arco storico della ideologia borghese non può che riconoscere la privatezza insuperabile dell’opinione: l’osservazione base del metodo sperimentale che ha fatto a pezzi la metafisica tradizionale, e ridotta ad illusione individuale il cui senso non può essere imposto per evidenza propria, perché se è arduo il passaggio dalla osservazione all’espressione, più arduo ancora, in quanto soggettivo e non verificabile è il senso della proposizione.

Niente di nuovo sotto il sole: il comunismo non viene che confermato da questo dichiarato fallimento della scienza teorica, ed afferma che solo il Partito come organo della classe è il luogo della comunità degli uomini uniti prima ancora che dall’intelligenza comune della realtà storica, sociale e naturale, dal sentimento originario della fede nell’unità della specie e nella integrazione dell’uomo nella natura, secondo la formula della naturalizzazione dell’uomo e della umanizzazione della natura.

Le regole tattiche di lotta contro i nemici di classe, l’analisi della complessa realtà delle contraddizioni viene dopo, come l’organizzazione come fatto tecnico, come mezzi da adeguarsi al fine. Non abbiamo esitato, noi comunisti, a rivendicare la mistica, ad affermare che solo l’adesione volontaria e personale a questa visione della realtà come milizia senza riserve è la condizione per realizzare quella comunità di uomini che lottano solo all’esterno del loro modulo di organizzazione, portano la lotta politica solo contro il nemico di classe, rinunciano a comprimere i propri compagni di lotta, per non perderne nemmeno uno con il metodo dell’accettazione del comune programma in nome del comune sentimento della realtà. Tutto il resto, lo studio delle condizioni della lotta, l’analisi della storia e della natura, si svolge nella convinzione che le divergenze di valutazioni, in ultima istanza, quelle che i borghesi chiamano le proposizioni osservative, non sono private e insuperabili, ma componibili ed integrabili, comunque sempre riducibili ad una valutazione comune.

L’odio della scienza e della filosofia borghesi nei confronti della concezione materialistica della realtà è il prodotto della sua decadenza storica: «nella decadenza del feudalesimo l’arte visse il periodo barocco. La scienza del decadere capitalistico è una scienza barocca, pesante ma impotente».

All’opposto «la potenza del determinismo filosofico sta nello stabilire che la nostra volontà non può andare oltre dati limiti, e la scienza sociale consiste in una conoscenza più profonda e chiara della natura del meccanismo di tali limiti». Il contrasto insanabile tra le diverse interpretazioni della realtà proprio delle più consistenti correnti scientifiche borghesi non sta nell’impossibilità puramente mentale di dar corpo ad una nuova forma di «comunità scientifica», ad un nuovo «prendersi per mano» contro le nebbie della metafisica, ma piuttosto nel limite oggettivo della divisione mercantile del lavoro. Soltanto rompendo i suoi limiti storici sarà possibile ricomporre la scienza, avere una comune visione del mondo. Nella tradizione comunista, secondo il quotidiano masticamento del sillabario del sano materialismo, o la scienza umana è in grado di prevedere, di cogliere delle regolarità, delle leggi nel susseguirsi degli eventi umani e naturali, o non è nulla, e la vita impossibile. Ciò è stato possibile una volta che si è cancellato il limite metafisico tra mondo terrestre e mondo celeste, «i cieli furono scoperti mutabili e Newton identificò lo stesso principio a spiegare peso e moti dei gravi sulla Terra e il rivolgersi degli astri in cielo». Non è l’abolizione dei dati a priori che impedisce la scienza, ma il loro artificioso mantenimento in vita che impedisce lo sviluppo della vita sociale e la comprensione dell’ambiente naturale che ne permette le condizioni.

Quando prendiamo atto che «il movimento e la condizione di stato di tutti i corpi» ed estendiamo questa acquisizione al campo sociale, piuttosto che arretrare, come fa la sociologia d’accatto, e cadere nell’indeterminismo o nell’esistenzialismo piagnone, procediamo nel senso della costruzione marxista della scienza. Per esplicita ammissione dei nemici del comunismo rivoluzionario già nel Manifesto sono contenuti i concetti fondamentali del materialismo storico: il ruolo progressivo, ad esempio, delle forze produttive; i rapporti sociali che si determinano fra le classi, sulla base del modo in cui si produce e in cui ci si appropria del prodotto; l’importanza basilare dell’economia, che è chiamata a fornire, per così dire, lo scheletro o la struttura della società; infine l’idea che i rivolgimenti storici (quelli che segnano il passaggio da un tipo ad altro di società) nascono dal conflitto tra forze produttive in sviluppo e rapporti sociali che tendono, invece, a comprimerle e soffocarle.

Nel "Manifesto" insomma si riconosce che Marx individua delle regolarità all’interno delle varie formazioni sociali, senza per altro cancellarne le differenze. Ma la contraddizione tra questo programma scientifico e la volontà di fondare una scienza emancipatrice dell’umanità, sarebbe pei nostri critici stridente, perché il comunismo non si limita ad analizzare e considerare le regolarità che nessuno nega, ma di capovolgerle. Ecco il punto: per la concezione borghese la funzione della scienza deve essere puramente conoscitiva ed analitica, non deve pretendere di trasformare, pena l’intrusione di motivazioni antropomorfiche ed animistiche. Insomma il comunismo, nel linguaggio dei nostri nemici, vorrebbe cancellare il «male» dal mondo, e ciò è metafisica, e dunque impossibile.

Il materialismo storico, caduti gli antichi apriorismi, non crede che ogni regolarità naturale e sociale debba essere cancellata, consapevole che nuove regolarità, più alte ed armoniche saranno prodotte dal nuovo regime sociale del comunismo. Né arretra neppure di fronte alla millenaria tensione tra l’essere e il non essere divenuto slogan di battaglia di tutti i giocatori di dilemmi.

Non è vero per il materialismo storico che lo studio delle funzioni particolari e distinte del pensiero sarebbe un’offesa all’assolutezza dell’Essere, che non ammetterebbe specificazioni e modifiche salvo il Non-essere: lo strumento logico e linguistico attraverso il quale si esprime il pensiero e perfettibile e relativo; non con questo gettiamo nella spazzatura le «regolarità» sintattiche e logiche utili per procedere, pur sapendo che «si potrà regolare meglio anche nel meccanismo della lingua e della logica sintattica la portata della generalizzazione di tutte le forme di esseri comuni ai corpi minerali, agli organismi, all’uomo, ecc. quando si avranno dati più completi tra i fenomeni di passaggio tra i regni minerale, organico, umano, ecc... Sia pure il meccanismo del linguaggio in continua mutazione e manchi di ogni carattere definitivo; ciò non toglie che non vi sia scienza al di fuori del suo impiego, e che mai ve ne potrà essere. Ora, se col meccanismo linguaggio si costruisce la scienza, oltre che con i dati sperimentali, e si attende dalla scienza stessa il perfezionamento di quel meccanismo, si è in un circolo vizioso, perché mai la scienza acquisterà un valore indipendente dal meccanismo stesso; o questo ha una sua interna perfezione su cui si poggia la scienza, e siamo alla tesi aprioristica, o esso strumento linguaggio-pensiero è imperfetto di sua natura, e almeno in parte saranno sempre imperfette le operazioni della scienza e le sue riforme del modo di parlare e di pensare. Ma anche questo circolo vizioso non è che una eredità del tradizionale modo di pensare. Noi non possiamo fermarci dinanzi alla espressione vuota di circolo vizioso: ciò che oggi sembra tale potrà non esserlo domani. Infatti tale obiezione al processo conoscitivo può farsi a tutti i processi pratici della vita quotidiana, che tuttavia non sono giudicati circoli viziosi». ("Appunti filosofici del 1928"). Al contrario il barocchismo della scienza borghese, oltre che a riesumare gli antichi dilemmi e le antiche aporie, se ne bea in una sorta di estetismo: i nuovi profeti, nei vari campi del «sapere» sono i ripetitori di formule cattivanti e sibilline, dalla fisica all’economia.

Cominciamo da quest’ultima a titolo d’esempio: non c’è giorno che non si celebri l’autorità e il genio del reinterprete dell’economia classica Sraffa perché nella sua "Produzione di merci a mezzo di merci" contro la dialettica rivoluzionaria materialistica di Marx, e gloria del principe dei classici Ricardo si afferma che «il prodotto nazionale netto è un sovrappiù (ottenuto in aggiunta e al di sopra di quanto richiesto dalla sostituzione dei mezzi di produzione), mentre la produzione è presentata come un processo circolare, nel quale le stessi merci compaiono sia come mezzi di produzione sia come prodotti finali. Come dire: gloria al circolo vizioso, la società della produzione delle merci è insuperabile: è circolare. Viva l’eterno ritorno. Il comunismo come abolizione della produzione di merci è un’utopia.

Nel campo della fisica le correnti indeterministiche, estrapolando dai dati sperimentali con le loro incertezze alla teoria generale, in nome del fatto che è impossibile nello stesso tempo determinare l’impulso della particella e la sua posizione, concludono che l’interazione tra il soggetto che osserva e l’oggetto osservato esclude ogni possibile e certificabile regolarità della natura oggettiva. Il padre del realismo, Popper, dal canto suo, dopo le sbornie del positivismo ottocentesco, confuta l’induttivismo, ovvero la tesi secondo la quale le congetture e le ipotesi avanzate all’interno del sapere scientifico sarebbero fondate sulle osservazioni e sui fatti. Non si muove dai fatti alla costruzione delle teorie, ma dalle teorie al loro controllo mediante i fatti. Caratteristica fondamentale dell’impresa scientifica è quella di costruire teorie falsificabili, capaci cioè di essere smentite. Nel guazzabuglio di rigurgiti, tra illuminismo, neo-positivismo e irrazionalismo, la scienza della classe dominante si regge malamente in piedi: il vero ed unico sostegno è la collaborazione traditrice dell’opportunismo, l’acquiescenza della classe dominata che subisce il suo dominio in cambio del piatto di lenticchie d’un relativo benessere sempre più precario e incerto.

Il materialismo storico e dialettico, proprio perché accetta con sano senso della realtà l’impossibilità d’una filosofia scolastica, non s’illude di consegnare i problemi del sapere ai professori: la scienza umana è cosa troppo seria per essere affidata ai filosofi: dunque non fermandoci davanti ai circoli viziosi del ragionamento a tavolino, sappia mo bene che l’incontro tra le leggi del pensiero ed i dati sperimentali sono un prodotto storico mai esaurito, anzi in qualche scorcio bisognosi d’una reimpostazione radicale. Le epoche rivoluzionarie corrispondono a queste necessità, capaci di spazzar via tutto il ciarpame accademico e cervellotico, con la spregiudicata lucidità tipica delle nuove forze sociali giovani capaci di spingere possentemente in avanti la macchina della storia.

Nella produzione della vita materiale e spirituale «è sempre lo strumento che è imperfetto, e ciò malgrado produce risultati che permettono di diminuire la sua stessa imperfezione... Per lo strumento linguaggio avviene lo stesso, dobbiamo contentarci di porci in cammino impiegandolo, seppure lo sappiamo imperfetto, ma non sappiamo precisamente in che e di quanto. Ciò non ci impedirà di ottenere risultati buoni, anche se non certi, che condurranno a migliorare lo strumento, e così via con infinite ripetizioni di ciclo. L’analogia degli esempi da noi invocati viene ovviamente contestata dai tradizionalisti. Nell’intento di spiegare il processo conoscitivo senza l’uso di dati a priori, noi abbiamo dati esempi tratti da processi attivi, tra cose materiali, ma a cui partecipa l’uomo e il suo criterio come elemento dirigente. Si potrebbe attribuire la rottura dei circoli viziosi di cui è intessuta la vita pratica e la lotta dell’uomo contro l’ambiente, al potere di scelta e di discriminazione del ragionamento umano. Sebbene sia più difficile, si può dimostrare che il fatto delle correzioni successive in realtà è determinato direttamente da condizioni materiali e ci si presenta in processi in cui l’uomo ha parte ridotta o non ne ha alcuna, e nemmeno ne hanno gli organismi viventi... In ogni modo è evidente che quei perfezionamenti non si fanno in senso arbitrario. Come i grandi trovati scientifici così i dispositivi della tecnica sono stati raggiunti per molteplici vie indipendenti. È banale che la macina da mulino abbia preso dovunque la forma circolare, ma gli esempi più impressionanti sono frequentissimi nella storia della scienza e della tecnica e si risolvono nella contesa sistematica sulla priorità dei ritrovati».

È certo comunque che le epoche di decadenza caratterizzate dal declino d’interi modi di produzione della vita materiale e spirituale, sono segnate dalle dispute bizantine dei rianimatori di menti ormai capaci solo di sezionare corpi senza vita e di catalogare secondo sofisticate formule enti senza necessità. Per avvicinarci sempre meglio al nostro problema comunque, ciò che distingue la materia vivente da quella non vivente è il possesso d’un programma interno. Questo programma (che nel campo organico risiede nelle sequenze del DNA dei cromosomi) regola le funzioni degli organismi, dà luogo, attraverso le modificazioni che subisce nella storia, all’evoluzione. Il possesso d’un programma interno accomuna gli organismi più diversi e può diventare il filo conduttore per aspetti diversi, dallo studio delle molecole, a quello degli ecosistemi, o degli insiemi costituiti dagli esseri viventi e dall’ambiente.

Nel campo storico, proprio perché la nostra concezione respinge la pretesa tipicamente neo-idealistica di separare il campo della natura da quello della storia, pur senza negare la specie diversa e diversamente complessa dell’oggetto, a maggior ragione ha cercato negli organismi storici quelle regolarità che permettono la conoscenza e la previsione, la possibilità di leggere nella storia, di anticipare in regole tattiche e strategiche l’evoluzione, dei risultati relativi e validi in determinate circostanze, alla proposizione di fini da raggiungere, non in contrasto con i risultati, e non per questo semplici ripetizioni delle premesse, secondo un semplicistico e impossibile ritorno alle origini.

L’ancoraggio comunista alla propria teoria rivoluzionaria non è mai una concessione alla psicologica ed individualistica esigenza di certezza in cui appoggiarsi per vivere nella sicurezza personale o nella gratificazione della coscienza: «Proprio in quanto il marxismo esclude ogni senso della ricerca di “verità assolute”, e vede nella dottrina non un dato dello spirito sempiterno o dell’astratta ragione, ma uno “strumento” di lavoro ed un “arma” di combattimento, esso postula che nel pieno dello sforzo e nel colmo della battaglia non si abbandona per “ripararlo” né lo strumento né l’arma, ma si vince in pace e in guerra essendo partiti brandendo utensili ed armi buone» (Riunione n. 6 - Milano, 6 e 7 settembre 1952. Parte I, 13).

La domanda dunque se la nostra concezione della realtà sia una verità oggettiva, dimostrata o dimostrabile, ovvero accettata per fede, non può essere evasa con il classico aut-aut nella forma dello sciatto dilemma teismo o ateismo propria delle passate religioni rivelate e laiche, ma nel senso dialettico e organico della versione partitica della verità stessa.

Di fronte ai tradimenti dell’opportunismo, perpetrati sia sul terreno pratico che dottrinario, «non resta che il partito, come organo attuale che definisce la classe, lotta per la classe, governa per la classe a suo tempo e prepara la fine dei governi e delle classi. A condizione che il partito non sia di Tizio o di Merio, che non si alimenti di ammirazione per il capo, che ritorni a difendere, se occorre con cieca fede, l’invariabile teoria, la rigida organizzazione, il metodo che non parte da settario preconcetto, ma che sa come in una società sviluppata alla sua forma tipo (come Israele dell’anno 0, Europa dell’anno 1900) si applica duramente la formula di guerra: chi non è con noi, è contro di noi».

Non solo Lenin in "Materialismo ed Empiriocriticismo" interpreta correttamente la tanto discussa 2a tesi a Feuerbach, per smentire una diversa posizione filosofica di Marx contro Engels, affrontando nella sottigliezza teorica la questione «se al pensiero umano appartenga una verità oggettiva», per dire con Marx che non è questione teorica, ma pratica; la Sinistra Comunista, nella ricostituita compagine partitica del 1952 sostiene: «quando Marx disse nelle famose tesi su Feuerbach che abbastanza i filosofi avevano interpretato il mondo e si trattava ora di trasformarlo, non volle dire che la volontà di trasformare condiziona il fatto della trasformazione, ma che viene prima la trasformazione determinata dall’urto di forze collettive, e solo dopo la critica coscienza di essa nei singoli soggetti. Sì che questi non agiscono per decisione da ciascuno maturata, ma per influenze che precedono scienza e coscienza. E il passare dall’arma della critica alla critica con le armi sposta appunto il tutto dal soggetto pensante alla massa militante, in modo che arma siano non solo i fucili e i cannoni, ma soprattutto quel reale strumento che è la comune uniforme monolitica costante dottrina di partito, cui tutti ci siamo subordinati e legati, chiudendo il discutere pettegolo e saputello» (Riunione n. 6 - Milano, 6 e 7 settembre 1952. Parte I, 26).

In questo modo qualsiasi disputa sulla priorità della fede in rapporto ad una presunta ragione comunista, non ci impedisce di essere al di là d’ogni scimmiottamento delle medievali polemiche tra anselmiani e tomisti, tra dialettici e antidialettici.

L’appello alla cieca fede, se occorre, non è in contrasto con l’affermazione secondo la quale «il partito sebbene poco numeroso e poco collegato alla massa del proletariato, sebbene sempre geloso del compito teorico come compito di primo piano, rifiuta assolutamente di essere considerato un’accolta di pensatori o di semplici studiosi alla ricerca di nuovi veri e che abbiano smarrito il vero di ieri considerandolo insufficiente: vieta la libertà personale di elaborazione e di elucubrazione di pretesi nuovi schemi e spiegazioni del mondo sociale contemporaneo, vieta la libertà individuale di analisi, di critica e di prospettiva anche per il più colto e preparato intellettualmente degli aderenti, e difende la saldezza di una teoria che non è effetto di fede cieca, ma è il contenuto della scienza di classe proletaria costruito con materiali di secoli, non dal pensiero di uomini ma dalla forza dei fatti materiali, riflessi nella coscienza storica di una classe rivoluzionaria e cristallizzati nel suo partito» (Riunione n. 3 - Firenze, 8 e 9 dicembre 1951. Parte IV, 7).

L’adesione a questo organo indispensabile per la lotta contro il nemico del proletariato e del comunismo precede qualsiasi dimostrazione o certezza di dimostrabilità della verità oggettiva della concezione marxista: che naturalmente non esclude l’analisi e lo studio della realtà sociale e naturale, ma mai indipendentemente da questo atto di sottomissione, nello stesso tempo libero è necessario; l’adesione a questo tipo di verità non richiede esami d’ammissione accademica, ma un’integrazione nell’organo partito senza riserve, materiale e non intenzionale, che nella tradizione della Sinistra, contro ogni ipocrisia farisaica e stalinista, abbiamo definito disciplina pratica, applicazioni delle norme tattiche a tutti note, che nessuno può a suo piacimento innovare, frutto d’una esperienza collaudata dalla storia della lotta di classe, costata sangue e sacrificio, lezioni da non dimenticare.

L’appello alla pratica, già contenuto nella seconda tesi di Marx su Feuerbach, ribadito da Lenin e dalla Sinistra, non si riferisce ad una generica pratica sociale che qualsiasi pragmatista condividerebbe, ma alla pratica di lotta di organizzazione che si esprime nell’appello dell’unione di tutti i lavoratori del mondo del Manifesto, che è tutto meno che una scolastica disquisizione sulla filosofica superiorità della ragione sulla fede, o viceversa.

Non a caso Lenin che non è il tipo da ritirarsi indietro nella disputa filosofica, di fronte al problema principe dell’unità politica dei bolscevichi, che deve essere ottenuta battendo la posizione otzovista, quando la rivista di Kautsky esprime la preoccupazione che la discussione filosofica possa diventare una nuova ragione di divisione tra i socialdemocratici russi, il giornale dei bolscevichi, "Proletari", nel febbraio 1907 risponde: «questa disputa filosofica non è... e non deve essere disputa di frazioni; qualsiasi tentativo di presentare questi dissensi come dissensi di frazione è radicalmente sbagliato». E in una lettera a Gorki del 21 novembre 1908 Lenin ribadisce: «ostacolare l’opera svolta ad attuare nel partito operaio la tattica della socialdemocrazia per dispute sulla superiorità del materialismo o del machismo sarebbe... un’inammissibile sciocchezza».

Cinismo di Lenin, mancanza di posizione per la verità oggettiva, o superiore dialettica rivoluzionaria? Crediamo che non ci sia ombra di dubbio. Primato della lotta politica, della pratica rivoluzionaria contro ogni purismo che lascerebbe il tempo che trova, senso della dialettica contro ogni spirito di zelo e di setta, in una parola dedizione alla lotta e al partito come superiore bene da salvaguardare, condizione base di ogni discussione rivoluzionaria, il resto è roba da preti, sia pur rossi, ma da preti; che come dice il poeta «sono uguali in ogni parte».

Il fatto è che i problemi difficili non possono essere risolti con il solito idealistico «supplemento d’animo», ma con la disciplina e la tenacia. Lo scolpimento della teoria nella mente e nel comportamento delle nuove generazioni rivoluzionarie, è una questione di pura e semplice ripetizione. Negli stessi processi biologici (ed abbiamo mille volte osservato come gli esempi tratti da questo campo sono sempre insufficienti, essendo la nostra concezione organica non una semplice questione di biologia materialistica, ma di storia e di dialettica superiore) è previsto che nei meccanismi dell’eredità biologica (e noi siamo gli eredi del Partito della rivoluzione, da Marx a Lenin) il DNA contenuto nel nucleo delle cellule può riprodurre una sequenza complementare di nucleotidi, detto RNA messaggero, o RNAM, che equivale ad una scheda di istruzioni relative al montaggio di una serie lineare di amminoacidi (i mattoni delle proteine). I due processi (DNA-RNAM, RNAM-proteine) sono chiamati con termini diversi: il primo è detto trascrizione, perché opera in senso intralinguistico (nell’ambito della lingua dei nucleotidi), e non copiatura per alcune differenze lessicali. Il secondo è noto come traduzione, perché si passa da una lingua (quella dei nucleotidi) ad una altra (quella degli amminoacidi e delle proteine). Senza procedere in questo esempio potremo dire che il lavoro di concetto è opera del Partito, una sorta di ribosoma, che non solo è in grado di presiedere alla traduzione nel linguaggio tra teoria e pratica, ma che è il soggetto stesso che garantisce la tradizione attiva di tutta l’esperienza rivoluzionaria. Esso non è una sorta di terza persona, di Artefice e Demiurgo, essendo condizionato e condizione della lotta, non è un’eminenza grigia della dialettica sociale: insomma il marxismo mai ha detto «al principio c’era il Partito» un po’ uovo, un po’ gallina; ma sostiene che la necessaria nascita di esso, non direttamente dalla lotta di classe, ma parallelamente ed esternamente ad essa, una volta enunciata, diventa l’inizio d’una nuova epoca, in un certo senso, l’inizio del comunismo, sia pure alla scala infinitesima della sua interna ed organica struttura.

Assodata questa realtà, mentre non temiamo di avventurarci nei territori di confine tra le varie specialistiche e mercantili «scienze» del nemico di classe, senza perderci nei loro sofismi e nelle loro diplomazie segrete, escludiamo che nella nostra interna vita e modulo organizzativo, debba o possa mai aprirsi una inutile disputa tra fideisti e razionalisti, tra preti e laici. Non esistono criteri aprioristici o formalistici di dimostrazione capaci di risolvere il problema della validità della nostra dottrina, né la milizia rivoluzionaria consiste in una scolastica pretesa di poter a suo tempo dire «avevamo ragione». Se così fosse la lotta proletaria e comunista scadrebbe in uno squallido moralismo idealistico: nella nostra sacrosanta affermazione della esistenza della verità oggettiva del materialismo storico non si oppone una filosofia (quella che professiamo) ad una altra (quella idealistica o qualsiasi sottospecie) ma una pratica conseguente, una tattica che sia un ordine di combattimento capace di sbaragliare il nemico di classe e seppellire l’anarchia capitalistica.

Se la nuova razionalità critica borghese si trova alle prese con i ritorni dello irrazionalismo religioso o con le banalità del vieto positivismo, noi non possiamo che sentirci confermati e gioire della pochezza della speculazione nemica; d’altro canto l’irrisolta tensione tra le esigenze realistiche e diciamo pure materialistiche della borghesia contro quelle idealistiche è un dato di fatto che il marxismo non ha mai fatto finta di non vedere, capace di attribuire a questi dissidi il peso che hanno meritato e meritano: caduta la fede borghese nel Progresso e nella Liberazione dell’Umanità è normale che le correnti fideistiche nel senso deteriore, religioso ed estetizzante, si rifacciano sotto. Questo vale anche nell’ambito della scienza: da una parte l’esigenza della produttività e del profitto richiedono alla borghesia una conoscenza oggettiva e non puramente ideologica della realtà, dall’altra le preponderanti esigenze di dominio ideologico la costringono ad attingere a piene mani nell’armamentario delle vecchie superstizioni tradizionali.

Nel campo cruciale delle previsioni sociali, il pensiero sociologico dominante oscilla continuamente tra le prediche moralistiche di cui sono capaci gli opportunisti più smaccati e il culto dell’efficienza fondata sul criterio della freddezza oggettiva della scienza e della sua capacità costruttiva che richiede conoscenza positiva senza aggettivi. È vero: la borghesia ha fallito nella sua previsione delle origini: non ha spazzato via la diplomazia segreta, non ha realizzato l’autodeterminazione dei popoli, non è capace d’un discorso solidale tra gli uomini. Il materialismo storico, nella versione dell’opportunismo, sarebbe caduto nella stessa trappola, avrebbe fallito nelle previsioni. Perché: per il fatto che l’ambito delle previsioni e della prevedibilità non è estraneo alla premessa di base, alle ipotesi di fondo da cui si dà inizio ad ogni impostazione programmatica: la previsione comunista parte dalla premessa del necessario scontro tra le classi fino alla fine del regime di classe, quella borghese ed opportunistica pretende «un discorso solidale» tra gli uomini nonostante lo scontro delle classi e la soggezione delle classi subalterne.

La differenza essenziale tra la concezione classica (che noi accettiamo) e quella frequentistica (che è puramente empiristica) delle probabilità sta sul fatto che secondo la prima la probabilità d’un evento deriva dalla struttura fisica ed ontologica del sistema causale, ed è conoscibile in base alla conoscenza di quella struttura, la concezione frequentistica, invece, nega tale derivazione e tale conoscibilità e identifica la probabilità con la frequenza! Per i frequentisti noi possiamo sapere solo la frequenza d’un tipo d’eventi causali; è impossibile, (anzi non ha senso) risalire alle cause. Per l’interpretazione frequentistica il grado di probabilità è una questione di esperienza, non di ragione.

Il rapporto tra le classi ed il loro destino storico non è per noi una questione d’osservazione delle loro condizioni per trarne auspici, ma uno scontro tra forze materiali il cui esito non sta in un confronto sulla superiorità ideale e spirituale delle proprie ragioni, della propria coscienza, ma sulla necessità delle ragioni e delle cause che s’impongono e nella coscienza che ne deriva. L’interesse del materialismo storico per la viva e vitale esperienza non significa scadere nel volgare pluralismo dei punti di vista. Il comunismo postula la ricomposizione degli aspetti diversi dell’esperienza: è la specie umana che la esige, è la stessa natura che chiede d’integrarsi con l’uomo-specie.
 
 







MARXISMO E CONOSCENZA
Esposto alla Riunione di Ivrea, il 7 e 8 settembre 1985







1. Un’arma di azione rivoluzionaria
 

Vogliamo con questo lavoro evidenziare, in modo necessariamente sintetico, e tutt’altro che ultimativo, gli aspetti e le posizioni che principalmente caratterizzano il marxismo rivoluzionario, e dunque il nostro Partito, in merito alla questione conoscitiva, ovvero cercare di rispondere al quesito: come si collocano i comunisti rivoluzionari di fronte alla conoscenza sinora acquisita dall’uomo attraverso tutte le epoche sociali e i diversi modi di produzione?

Com’è che il Partito conosce la realtà e intende affrontarla nella sua battaglia per la rivoluzione proletaria mondiale?

Un primo naturale orientamento alla soluzione di questi interrogativi, che racchiude l’essenza di tutta la questione, è che la risposta deve essere desunta dalla natura stessa del Partito, quale organo di combattimento della classe proletaria, e del marxismo rivoluzionario, di trasformazione e non di semplice interpretazione del mondo, giusta la famosa espressione di Marx. Innanzi tutto dunque è azione rivoluzionaria tesa a forgiare anche in questo campo un’arma di critica tagliente demolitrice dell’avversario di classe e delle mille sfumature ideologiche e filosofiche con cui la borghesia mistifica il suo potere economico e politico. Una risposta che non può proporre una concezione filosofica in gara di «verità» alla pari con le altre in circolazione, ma un’arma di lotta che, esprimendo l’aspirazione dell’emancipazione totale dell’umanità dalle catene dello sfruttamento sociale del lavoro, attraverso l’azione rivoluzionaria di emancipazione politica della classe operaia, assurge a scienza sociale di classe, prefiguratrice della futura scienza sociale di specie.

Come abbiamo spesso ricordato, il marxismo non è soltanto un’arma programmatica d’azione per la lotta del proletariato contro la borghesia dominante e per la distruzione del capitalismo, ma proprio in quanto tale è anche una scienza storica abbracciante l’intera concezione della specie umana e dei suoi rapporti con il mondo, con la natura, è anzi la prima scienza a non fare distinzione di categoria tra specie umana e mondo «esterno», ad affermare che storia della natura e storia dell’umanità si descrivono entrambe in leggi storicamente determinate.

«Il marxismo – scrivevamo in "Il Programma Comunista", n. 13 del 1968 – ha “desunto” il metodo dialettico dalla classica filosofia tedesca... Ciò non significa che il marxismo sia una filosofia, come non significa che alcuni problemi noi li discutiamo sotto la denominazione di “parte filosofica” del marxismo... Più esatta è invece la denominazione di “dottrina” e “arma”, in quanto il marxismo si pone, nello stesso tempo, come una concezione che deriva sì da tutto lo sviluppo storico della specie umana, e specialmente dall’insorgere delle contraddizioni del modo di produzione capitalistico, ma è nello stesso tempo l’unica arma capace di spiegare lo sviluppo passato, presente e futuro della storia, e quindi di agire in essa. Dottrina, quindi, ed arma, perché è l’insieme di verità che danno insieme una chiara visione della storia e una chiara direttiva di azione a coloro che militano per essa».

Arma teorica d’azione rivoluzionaria, e, al tempo stesso, concezione scientifica dei rapporti sociali abbracciante l’intero cammino storico dall’epoca felice del comunismo primitivo dell’«antipreistoria» alla futura storia degna di questo nome, quella del comunismo pienamente realizzato dalla specie finalmente conscia di se stessa.

In questo secondo aspetto anche una «filosofia» dunque, ma completamente diversa da tutte quelle che l’hanno preceduta.

La questione è ben chiarita nel seguente passo di "Comunismo e conoscenza umana", nostro scritto del 1952: «Il marxismo pone la questione della filosofia in modo originale e in tal senso si rifiuta di farsi allineare tra le varie filosofie elencabili storicamente, o peggio ancora sistematicamente. Non diremo quindi che vi è una filosofia marxista, ma nemmeno diremo che il marxismo non è una filosofia o che il marxismo non ha una filosofia: ciò darebbe luogo ad un equivoco e ad un pericolo gravissimo: quello di credere che il marxismo si ponga su un terreno «estraneo» a quello che i filosofi hanno da millenni ipotecato. E se ne potrebbe con deviazione grave dedurre che il militante marxista resti libero, accettate alcune direttive di azione politica e sociale, e «confessate» alcune teorie economiche e storiche, di dichiararsi per una delle tante filosofie: realismo o idealismo, materialismo o spiritualismo, umanismo o dualismo, o come volete. Ora il marxismo esclude tutte le filosofie storicamente note in un modo diverso da quello con cui ogni filosofia condanna le restanti, e quindi almeno distruttivamente ha una posizione caratteristica in materia di filosofia. Un non dimenticato esempio di tale posizione molti di noi lo ricordano nella dichiarazione di Gramsci al Congresso di Lione del 1926: benché si trattasse di tattica di partito, nel vasto dibattito egli fu condotto a dire: dò atto alla Sinistra di avere finalmente acquisita e condivisa la sua tesi che l’aderire al comunismo marxista non comporta solo aderire ad una dottrina economica e storica e ad una azione politica, ma comporta una visione ben definita, e distinta da tutte le altre, dell’intero sistema dell’universo anche materiale».

Bastano queste considerazioni a evidenziare come la questione conoscitiva non possa essere affatto secondaria rispetto alle altre trattate dal Partito. La nostra organizzazione nel quarantennio post-bellico, vi ha dedicato non poche relazioni alle riunioni generali degli anni dell’immediato dopoguerra e più recenti, in particolare nel periodo tra il 1952 e il 1960, dalle quali ampiamente trarremo materiale per questa esposizione, come è ormai nostro consolidato metodo.

I lavori precedenti sono da considerare un tracciato di impostazione che sintetizza molto efficacemente tutta l’impalcatura generale della questione e condensa in punti fermi le posizioni del marxismo rivoluzionario in materia. Ci limitiamo qui a ordinare e a riesporre i concetti salienti ricalcando fedelmente concetti e passaggi, vietandoci modifiche o aggiunte e nel solo intento di definire sempre meglio le nostre posizioni.

Occorre intanto sgombrare subito il campo da atteggiamenti preconcetti verso i cosiddetti «argomenti difficili», che sarebbero comprensibili soltanto a chi «ha studiato», possiede «il pezzo di carta» che lo abiliterebbe alla comprensione delle grandi questioni teoriche, mentre ai poveretti incolti non rimarrebbe che il maneggio di strumenti più pratici e accessibili. Ricadremmo così nell’impostazione mistificatrice dell’avversario di classe, che tende a presentare scienza e conoscenza come privilegio di chi si abbevera ai pozzi della sua cultura di classe dominante, nelle Accademie, nelle Università, nella Scuola. Al contrario: chi è digiuno di indottrinamento pseudo-scientifico borghese, di speculazioni filosofiche «di alto livello» è meglio predisposto a trattare questi argomenti, perché ha la mente libera dalle turlupinature menzognere che vengono propinate nelle aule scolastiche del capitalismo ed oggi rovesciate a tonnellate su una «opinione pubblica» sempre più plasmabile e rincoglionita dal «progresso» di una società in pieno rinculo su tutti i fronti compreso quello del sapere e soprattutto sempre più lontana dalla possibilità di indirizzarlo verso finalità di specie. Come vedremo le nostre posizioni su queste questioni sono in fondo semplicissime e comprensibili da qualsiasi individuo che abbia a cuore non l’arricchimento del proprio personale «bagaglio culturale», idiota espressione priva di significato, ma la dedizione impersonale e militante alla causa della rivoluzione proletaria.

In fondo «la odierna filosofia borghese è una montagna di dottissima schiuma che serve solo a mascherare risposte molto semplici a quesiti molto semplici» ("Il Programma Comunista", n. 1 del 1967).

Il Partito non ha che da demolire con altrettanta semplicità questa montagna. Scrivevamo su questo giornale, n. 4 del 1960, a premessa di una esposizione sulla questione spaziale:
    L’interesse a questi argomenti non discende da capacità fondate sul corso di studi che ciascuno abbia fatto, e tanto meno da nozioni che ha abbordato per la sua attività professionale e il suo lavoro economico, ma discende proprio da moventi di classe e di politica rivoluzionaria di Partito, sicché a simili temi, come a molti analoghi, quali la relatività di Einstein e la fisica nucleare, hanno motivo di accedere tutti i militanti del movimento, e questo deve loro assicurarne il mezzo quale che sia la misura del loro allenamento scientifico.
    Abbiamo la certezza che il modo meno insidiato per pervenire alle vitali conclusioni di ordine sociale e storico proprie del Partito è proprio quello di non costruire sui dati della burocrazia scolastica ed accademica dominante nella società mercantile, e che se è vero che in essa la cultura è anche un privilegio di quelli che usurpano quello economico, tuttavia la strada alla verità – appunto per tali motivi di classe – si apre in larga parte più facilmente all’ignorante che al timbrato con scartoffie da corsi di studio.
    Nessuno ha dunque motivo di desistere dall’abbordare questi argomenti, e deve trovare la forza di farlo con efficienza critica radicale senza bere pari pari tutte le insidiose posizioni tossiche della diffusione moderna.
    Alcuni ricordano che nelle isole del confino fascista, dopo il 1926, si formarono scuole in cui l’argomento che non si faceva politica ma cultura valida per tutti serviva sì, ma solo in funzione di una mentalità da poliziotti borghesi.
    Fra quei corserelli ve ne furono di fisica e di astronomia con accenni anche alle ardue discussioni sulla teoria della relatività. Che tutto questo fosse un passatempo inutile ai fini politici, può essere idea rimasta nella testa di stalinisti antifascisti accesi, ma senza saperlo educati in uno stile fascista passivo. Basterà dire che in quei corsi fu enunciata l’idea della possibilità tecnica di porre in moto un satellite artificiale intorno alla Terra. Va detto che mancavano trent’anni al primo tentativo, accessibile solo ad una economia statale, ma anche che non si ponevano allora obiettivi militari, ne tanto meno politici, ossia di «épater le proletaire», ma quello della verifica di una delle riprove sperimentali della teoria di Einstein, ossia lo spostamento del periodo di un pianeta molto vicino al corpo attraente, come si osserva per Mercurio senza che la meccanica celeste tradizionale lo possa spiegare».

È perciò compito del Partito stimolare chiunque si avvicini al marxismo a non rifuggire dalla critica radicale alle mistificazioni della scienza e della teoria borghese, col pretesto che ciò sia appannaggio di specialisti in materia, ma anzi a brandire l’arma della demolizione dell’avversario di classe, con maggior vigore proprio contro le sue dotte menzogne, senza nulla concedere alle sue vantate conquiste oggettive e progressive del sapere, anche quando non si avesse sottomano argomenti tecnici e specialistici per confutarle.
 
 

2. Scienza borghese non-scienza di classe
 

È nostra tesi centrale di tutta la questione conoscitiva che non riconosciamo alcuna validità sovra classista alla scienza. Rifiutiamo ogni atteggiamento e forma di reverenza alle contemporanee pretese «conquiste scientifiche» e ai «progressi della tecnica» sbandierati fino alla nausea come fonti di progresso sociale, perché in essi individuiamo non le massime conquiste del sapere umano, ma il massimo grado raggiunto dalla sottomissione della scienza alle finalità di conservazione della società capitalistica.

La sottomissione della cosiddetta ricerca scientifica alla bramosia insaziabile della produzione capitalistica e della realizzazione di profitto è tale che è oggi impossibile perfino riuscire a distinguere tra ciò che veramente può essere utile da ciò che certamente è dannoso alla specie umana: qualsiasi scoperta scientifica, qualsiasi aggiornamento tecnico, qualsiasi «rivoluzionaria» trasformazione tecnologica provengono da laboratori di ricerca dietro cui non è certo necessario essere marxisti per scorgervi banche, istituzioni statali, grandi industrie pronte a investire montagne di capitali appena si profila la possibilità che qualche ritrovato possa essere immesso nella produzione capitalistica, per non parlare della ricerca a scopi bellici che praticamente domina ormai tutte le branche della scienza: dalla chimica, alla fisica, all’astronomia, alla biologia.

Ciò che interessa qui rilevare è che la nostra tesi sulla sottomissione della scienza al capitale e della conseguente sua completa decadenza odierna, è intrinsecamente contenuta nel marxismo fin dal suo sorgere. Nel III libro de "Il Capitale", Marx svolge questa tesi combinando dialetticamente ad un tempo l’esaltazione illuministica dell’associazione progressiva della scienza al lavoro, propria del capitalismo, e la sottomissione di questo portato storico alle esigenze della produzione capitalistica, intrinseca premessa alla degenerazione della scienza e della tecnica. Nel Capitolo XV, 4 formula il primo aspetto con questa definizione del capitalismo: «Uno dei frutti principali della produzione capitalistica è... l’organizzazione del lavoro come lavoro sociale, a mezzo della cooperazione, della divisione del lavoro e del legame tra lavoro e scienza della natura».

Nel Capitolo V, 5 Marx formula invece una precisa definizione della sottomissione della scienza al capitalismo: «Incidentalmente osserviamo, che si deve distinguere tra lavoro universale e lavoro collettivo. Ambedue svolgono la loro parte nel processo produttivo, ambedue confluiscono reciprocamente l’uno nell’altro e pur tuttavia si differenziano tra loro. Per lavoro universale si intende ogni lavoro scientifico, ogni scoperta, ogni invenzione. Esso dipende in parte dalla cooperazione tra i vivi, in parte dall’utilizzazione del lavoro dei morti. Il lavoro collettivo presuppone la diretta cooperazione degli individui... Ne consegue che in genere è la parte più indegna e spregevole di capitalisti monetari quella che trae il maggior profitto da tutti i nuovi sviluppi del lavoro universale dello spirito umano e dalla loro applicazione sociale operata mediante il lavoro combinato».

Il lavoro universale e dunque qualsiasi risultato scientifico, è frutto del lavoro combinato socialmente, della cooperazione dei vivi col lavoro dei morti, non può perciò che essere immediatamente sottomesso alla produzione capitalistica, non solo, ma da essa determinata: il capitale trasforma il lavoro universale in scienza mercantile e i prodotti del lavoro universale in prodotti del capitale, in capitale merce. Questo processo non è applicabile soltanto ai prodotti manufatti dell’industria, contenenti direttamente forza lavoro estorta al lavoro, ma anche a quelli più astrattamente individuabili nel sapere umano, nella produzione più prettamente spirituale (anche Marx usa questo termine) umana, che diviene alienabile, acquista un valore, anche se non determinabile direttamente dalla quantità di lavoro contenuto e anche se non facilmente riproducibile. Sempre nel III libro de "Il Capitale", al Capitolo XXXVII, Marx svolge proprio questo passaggio: «Si deve tener presente che il prezzo delle cose le quali in sé e per sé non hanno valore, in quanto non sono il prodotto del lavoro, come la terra, oppure non possono, comunque, essere riprodotte con il lavoro, come le antichità, le opere d’arte di certi maestri, ecc., può essere determinato in modo del tutto fortuito. Per vendere una cosa basta che essa possa essere oggetto di monopolio e sia alienabile». La scienza e in genere tutte le opere conoscitive del pensiero umano presentano appunto questa caratteristica: sono alienabili come oggetto di monopolio di classe, anche se di per sé non hanno valore, non essendo riproducibili dal lavoro umano.

A commento di questi passi concludemmo in "La distruzione del tempio" ("Il Programma Comunista", n. 19 del 1962): «Quali sono, oggi, i monopolisti che danno un prezzo alla scienza, che alienano fraudolentemente il lavoro universale dello spirito umano? Sono gli scienziati definitivamente sottomessi al capitale. La metamorfosi dello scienziato in tecnico è la metamorfosi dello scienziato in monopolista della scienza. Come il capitale ha trovato un limite nella terra, così esso ha trovato un limite nella scienza, nello sfruttamento del lavoro universale. Il capitale ha superato questo limite, prima rendendo alienabile la scienza, così come aveva «fatto della terra un articolo di commercio», poi trasformando gli scienziati in monopolisti, in proprietari fondiari, e patteggiando con essi una rendita. Questo processo ha portato all’impoverimento della terra, e alla decadenza della scienza. Gli «esperti» e i «tecnici» di oggi sono, come i proprietari fondiari, dei parassiti della società – essi monopolizzano il lavoro universale dello spirito umano per cederlo al capitale in cambio di una rendita, essi alienano il lavoro dei morti per sfruttare il lavoro dei vivi».

Per questo noi non possiamo nutrire alcuna fiducia negli scienziati di oggi e nutriamo la massima diffidenza in tutti i ritrovati scientifici e tecnici sfornati dai laboratori e dalle Università, ormai impregnate di mercificazione capitalistica fin nell’intimo dei meccanismi logico-scientifici a cui attingono. Questo stuolo di «esperti» non rappresentano altro che la quintessenza della produzione capitalistica: l’evoluzione tecnica e scientifica decaduta al rango di menzogna ideologica della conservazione borghese, esatto contrario del tanto declamato progresso, che abbiamo il compito rivoluzionario di svergognare in tutte le sue manifestazioni, e specie in quelle che si ammantano della oggettività sovraclassista della scienza.

Scrivevamo in un altro articolo di quel periodo, in "Fasti e nefasti della scienza mercantile borghese" ("Il Programma Comunista", n. 17 del 1962): «La scienza e la cultura non stanno al di sopra delle classi, sono al contrario in rapporto dialettico alle loro lotte e alla funzione, ora rivoluzionaria ora riformista ora reazionaria, cui esse assolvono nella storia... Noi neghiamo invece risolutamente ogni validità alla teoria borghese del progresso, anche tecnico e scientifico..., sosteniamo che soltanto liberandosi da questa soggezione alla falsa teoria del progresso, il proletariato potrà ritrovare domani la sua via rivoluzionaria... Tutta la loro tecnica pagliaccia ed inutile ai veri bisogni della specie umana, tutta la loro produzione superflua, ciarlatana e dannosa, tutta la loro cultura e scienza venale e mercantile, si erigono sullo sfruttamento spietato, sul sudore e sul sangue del proletariato del mondo intero. La scienza della società comunista sarà scienza di specie proprio perché non sarà mercantile. La pretesa scienza di oggi, di una società borghese ormai in putrefazione, non solo è falsa e venduta, ma è inferiore per cinismo e volgarità alle stregonerie dei popoli primitivi e alle alchimie del tardo Medioevo. Il proletariato non ha nulla da apprendere dalla pretesa scienza di questa società: esso deve solo distruggerla».
 
 

3. Oggettività della scienza e subordinazione di classe
 

La maggior obiezione a questa posizione è quella secondo cui i contenuti della scienza, essendo oggettivi, ossia indipendenti dai fenomeni sociali e dai soggetti scopritori di questa oggettività, confermerebbe alla conoscenza scientifica in generale un carattere sovraclassista, e dunque estraneo a questioni di conflitti di interessi umani. Terra terra il ragionamento sembra inattaccabile: 2 + 2 fa 4 per borghesi, proletari, comunisti, riformisti o reazionari, così come un grave sulla terra cade con una accelerazione di 9,8 m/sec. indipendentemente dalla classe al potere e dal sistema sociale di produzione in vigore; dunque il proletariato, non solo non avrebbe da distruggere la scienza, ma dovrebbe renderle omaggio e inchinarsi rispettoso delle sue «verità eterne e indiscutibili». Uno dei cavalli di battaglia dell’opportunismo, fin dai tempi dell’ordinovismo gramsciano e fino ad oggi che di «partecipazione», «crescita culturale», «qualificazione tecnico-scientifica» ecc. ecc. si imboniscono le masse proletarie da mane a sera, fu la posizione secondo cui il proletariato si sarebbe dovuto «appropriare» dei dettami della scienza e della tecnica senza aggettivi classisti, prima e indipendentemente dalla conquista del potere politico.

Questa dell’equazione oggettività della scienza = sua estraneità ai conflitti sociali, è una delle più insidiose armi teoriche di abbacinamento e frastornamento del proletariato, contro cui il Partito deve lottare, smascherando le mistificazioni di quelle che vengono propinate come verità indiscutibili in quanto aventi il marchio dell’oggettività scientifica.

La borghesia ha presentato la menzogna della superiorità indiscutibile della scienza in mille salse diverse: ha spesso fatto leva sui contenuti realmente oggettivi delle conoscenze acquisite delle leggi fisiche e meccaniche della natura per ammantare di oggettività la sua cultura e la sua ideologia. Ma sono due cose diverse: un conto è l’oggettività di una legge naturale dedotta dalla sperimentazione e dall’applicazione di principi teorici a loro volta dedotti dal mondo naturale, altro conto sono le teorie che vi si costruiscono sopra, altro conto sono le finalità sociali e di classe che sottendono questi risultati.

La scienza è al tempo stesso oggettiva e di classe. È oggettiva in quanto traduce in astrazione teorica le proprietà del mondo reale, degli oggetti materiali, scopre e descrive con formulazioni matematiche le leggi della natura, applicando un metodo scientifico, che è anche il nostro metodo dialettico e deterministico, fondato sull’osservazione sistematica dei fenomeni, l’individuazione dei nessi causali che li legano, facendo astrazione dai fenomeni di disturbo che spesso tendono a mascherare e deformare la realtà, per pervenire a leggi generali, teoriche, che non solo rappresentano fenomeni fisici osservati e trascorsi, ma permettono di prevedere e misurare quelli futuri o di spiegarne altri già indecifrabili.

L’oggettività della scienza termina nel suo oggetto, la natura, nel metodo di ricerca deterministico e nelle leggi da esso scoperte; ma l’obiettivo, le finalità delle indagini, le conclusioni astratte più generali della ricerca scientifica sono determinati dal modo di produzione in cui l’opera scientifica si svolge. L’orientamento dell’indagine conoscitiva in una società divisa in classi è funzione delle condizioni di esistenza e dei bisogni della classe sociale che la produce. Ne consegue che quando la classe che possiede le leve dell’indagine conoscitiva esprime socialmente una funzione rivoluzionaria e progressiva, i risultati a cui pervengono gli individui che esprimono queste funzioni sociali si avvicinano a grandi balzi all’oggettività della conoscenza, ossia la funzione della scienza in quel momento coincide temporaneamente col percorso della «scienza vera», quella della specie umana, che si dispiegherà liberamente e con la massima potenzialità sociale solo in una società in cui non sia più espressione di classe, nel comunismo. Si tratta però di brevi momenti storici, perché non appena la classe detentrice dell’indagine scientifica si assesta al potere e tende a conservarlo contro la classe sfruttata, e la sua oppressione di classe si frappone perciò da ostacolo al rivoluzionamento sociale, la scienza decade progressivamente a pura funzione di conservazione, reazionaria, antistorica, falsa, e la sua direzione d’indagine contrasta i reali interessi e bisogni della specie umana.

Dunque non solo non neghiamo il carattere oggettivo del mondo fisico e delle sue leggi, ma facciamo nostro il metodo d’indagine materialistico-dialettico e deterministico che gli scienziati dell’epoca della borghesia rivoluzionaria hanno dovuto brandire per scoprire quelle leggi reali che governano i processi e i meccanismi intimi della natura, di cui la stessa borghesia aveva bisogno per sviluppare lo sfruttamento capitalistico della forza lavoro proletaria. Il grande passo rivoluzionario del marxismo è anzi consistito nell’aver trasferito, tra l’orrore e l’avversione dei teorici borghesi, il determinismo materialistico ai fatti sociali per cui, se in campo fisico era diventato possibile calcolare e prevedere il corso dei fenomeni della natura e scoprire corpi, elementi e sostanze organiche e inorganiche prima ancora che l’occhio e i sensi umani ne percepissero l’esistenza o senza che mai potranno percepirla, era parimenti possibile, scoperti i meccanismi sociali che regolano i rapporti degli uomini tra di loro e tra loro e la produzione dei mezzi necessari alla riproduzione della loro esistenza di specie, derivare e prevedere la necessità degli sviluppi storici e, su questa base, tracciare un programma d’azione rivoluzionaria in cui fosse riflessa la deterministica necessità del trapasso storico dal capitalismo al socialismo e al comunismo.

Per scoprire la natura reale dei meccanismi che regolano i rapporti fra gli uomini non dovevasi partire dal riflesso di questi meccanismi nel pensiero dei protagonisti, come era accaduto per tutti i sistemi filosofici espressi dalle società precedenti, non dunque da come questi rapporti apparivano agli uomini in essi operanti, ma da ciò che realmente erano, dalla loro reale essenza, capovolgendo le letture ideologiche o mistiche nelle anticipazioni dei grandi pensatori delle epoche passate, e in particolare in guerra con gli ideologi della borghesia.

È il metodo che Marx applica ne "Il Capitale" dove svela l’intima essenza sociale della merce e del denaro e di lì parte per salire alla definizione completa e complessa dell’intero apparato economico, politico e sociale del modo di produzione capitalistico, per poi ridiscendere a definire e chiarire tutti i fenomeni conseguenti, soprattutto svelandone il carattere non eterno e definitivo, come pretendevano e pretendono tutt’oggi la borghesia e i suoi teorici, ma transitorio verso un trapasso sociale ad opera del proletariato rivoluzionario diretto dal suo partito politico di classe, trapasso che si impone deterministicamente e nell’interesse dell’intera specie umana.

È il metodo che abbiamo definito dal particolare al generale, contrapposto a quello metafisico-idealistico che parte dal generale, ossia da una concezione filosofica generale che pretende di abbracciare l’intera essenza della vita e della natura, poggiante su una serie di principi aprioristici desunti dal puro pensiero razionalistico (filosofia e ideologia borghese) o di rivelazione divina (teologia e dottrine mistico-religiose delle epoche precapitalistiche) e con ciò pretende di spiegare ogni fenomeno particolare.

Ciò che noi neghiamo in modo categorico non è dunque l’oggettività propria delle leggi fisiche scoperte dalla scienza, ma la posizione dell’ideologia borghese di desumere da questa oggettività il preteso carattere sovraclassista, neutrale delle teorie scientifiche e da qui la conseguenza ancora più menzognera che allo stuolo di scienziati, tecnici ed «esperti» in fenomeni della natura, vada riconosciuta l’aureola di ceto sociale che si pone al di sopra delle contese economiche e politiche della società, custodi riveriti del superiore e sovrastorico pensiero umano, sacerdoti della religione del costante e inarrestabile Progresso. Neghiamo che la scienza operante nella società capitalistica possa darsi finalità e indirizzi collimanti con il reale benessere sociale della specie uomo e soprattutto che essa possa essere dedita alla ricerca disinteressata del puro sapere. Neghiamo che possa orientarsi oggi la scienza su binari diversi da quelli su cui è diretta e dunque combattiamo come demagogica e menzognera ogni pretesa in questo senso delle numerosissime odierne correnti di pensiero opportuniste che, fermo restando il carattere mercantile dei rapporti sociali e dunque il modo di produzione capitalistico, predicano possibile a premio di sola buona volontà politica imprimere alla ricerca scientifica un indirizzo volto alla difesa degli equilibri naturali della vita umana. Rifiutiamo ogni riconoscimento ai portati conoscitivi della moderna scienza, completamente asservita al profitto capitalistico, e non esitiamo a respingerne in blocco tutta l’impalcatura strutturale su cui si regge, tutte le sue assurde frantumazioni in branche sempre più specialistiche, la «mania del tecnicismo di oggi, che crea cerchi chiusi e bigotti di mestieranti venduti, impotenti ad ogni visione del mondo reale naturale e sociale».

È una posizione questa che non ci deriva da un atteggiamento astrattamente settario che porti i marxisti a chiudersi nell’immacolata «torre d’avorio» dell’oggi piccolo partito rivoluzionario, sputando velenose sentenze distruttive contro ogni aspetto del contaminato mondo esterno, ma caratterizza il programma d’azione rivoluzionario comunista che punta a gettare le basi della chiarezza nei rapporti sociali, presupposto indispensabile ad ogni scienza conoscitiva realmente umana, e come tale non può che respingere in blocco ogni pretesa di verità di una conoscenza classista che ha, come perno di tutta la sue ricerca, in ultima analisi, la conservazione di un modo di produzione ormai da troppo tempo sopravvissuto alla sua necessità di sviluppo storico.

Già nel 1913 su "L’Avanguardia" del 13 aprile la Sinistra italiana liquidava lapidariamente la questione: «Alla scienza vera, come somma dei portati, delle ricerche e dell’attività umana, noi possiamo credere, ma non riteniamo possibile la sua esistenza nella società attuale minata dal principio della concorrenza economica e dalla caccia al profitto individuale. Urtiamo così un altro pregiudizio comune, quello della superiorità del mondo scientifico. Si credono oggi indiscutibili le decisioni delle Accademie, come nel Medioevo quelle delle sagrestie. Eppure sarebbe necessario un libro e non un articolo per svelare un poco i retroscena miserabili e mercantili della scienza! Il dilettantismo più incosciente, le più audaci ciurmerie, le più vili prepotenze delle minoranze dominanti, trovano con facilità la garanzia dell’etichetta scientifica... La scienza borghese è anch’essa al pari della filosofia un ammasso di frottole. Il socialismo scientifico non può respirare questa atmosfera di menzogne».

Vi è un passo di Trotzki, in "La cultura e l’arte proletaria", che bene esprime questo rapporto tra oggettività della scienza e sua subordinazione di classe: «Che tutta la scienza rifletta in vario grado le tendenze della classe dominante, è indiscutibile. Quanto più strettamente la scienza tocca i compiti pratici del dominio della natura, tanto maggiore è il suo apporto universalmente umano, al di là di considerazioni di classe. Quanto più profondamente la scienza è legata al meccanismo sociale dello sfruttamento, o quanto più astrattamente generalizza tutta l’esperienza umana, tanto più essa si subordina all’egoismo di classe della borghesia e tanto più insignificante è il suo apporto nella somma generale delle conoscenze umane».
 
 

4. Rinculo e involuzione «specialistica»
 

Tra oggettività della scienza e soggettività sociale dell’indagine non sempre abbiamo strumenti per distinguere quale o quanto delle leggi fisiche oggi conosciute sia reale, e ciò che invece è dedotto da concetti e nozioni pseudoscientifiche dietro cui si nasconde l’interesse del capitalismo mercantile; troppe sono ormai le formule anche del solo linguaggio corrente che hanno come base di partenza l’utile economico e come finalità il minor costo: montagne di progetti anche seri di indagini scientifiche in tutti i campi sono stati abbandonati non perché irrealizzabili, ma perché capitalisticamente improduttivi. La sottomissione del patrimonio umano della conoscenza alla miope, aziendale, anarchica e spietata frenesia produttiva del capitalismo, ha raggiunto proporzioni tali da sempre meno poter riconoscere la reale oggettività della conoscenza scientifica sotto le sovrastrutture ideologiche soggettive e sotto le finalità economiche imposte.

Le tendenze dell’analisi scientifica dell’ultimo mezzo secolo, praticamente da Bohr e dalla scuola di Copenaghen in poi, hanno infine rinnegato il determinismo anche dai metodi di indagine del mondo fisico. Andrebbe svolto a fondo questo aspetto della questione nei successivi approfondimenti di partito su questo argomento, perché conduce direttamente alla conclusione che ormai tutto l’indirizzo scientifico della conoscenza borghese della materia è impregnato in modo irreversibile di puro idealismo: in tutti i settori fondamentali della scienza, in fisica, in biologia, in chimica, fino alla genetica evoluzionistica, fino alla tanto di moda «filosofia della scienza», il causalismo deterministico è ormai rinnegato a vantaggio di un indeterminismo soggettivo che tende a porre a base della trasformazione della materia «l’evento casuale» e come tale di impossibile determinazione e previsione. Questo aspetto, unito alle teorie indeterministiche, che si basano cioè sulla presunta impossibilità di conoscere la realtà dei fenomeni naturali essendo impossibile separare il soggetto analista uomo dall’oggetto analizzato, arriva a teorizzare la impossibilità assoluta della conoscenza del mondo fisico. Ciò che si conosce non sarebbe, questo il succo, il mondo reale, oggettivo, così come è, ma ciò che di esso si può conoscere attraverso i meccanismi soggettivi del pensiero umano; la conoscenza finisce per essere opinabile da ogni singolo osservatore, una sua soggettiva e personale interpretazione, confrontabile con pari dignità all’opinione, all’«ipotesi scientifica» di chiunque altro.

Il rinculo di fronte ai grandi balzi conoscitivi del determinismo dei grandi scienziati rivoluzionari del pensiero, da Galilei, a Newton, a Descartes, a Leibniz e fino a Einstein, è totale. Il soggettivismo idealista davanti al quale ha oggi capitolato la scienza bene esprime l’utilitarismo economico che la domina: ogni legge della natura, ogni scoperta, è «reale» se «serve», se può essere, in ultima analisi, tradotta in quattrini, sfruttata capitalisticamente, fosse pure la più marchiana delle fesserie. Nessun riconoscimento di pura oggettività può essere attribuito alle conclusioni provenienti dai laboratori scientifici e dalle accademie scolastiche del capitalismo, gli scienziati, gli «esperti», gli «specialisti», sono ormai mezzi tecnici della produzione capitalista, cronicamente incapaci a pervenire ad una visione di insieme che possa essere di reale utilità allo sviluppo della conoscenza umana del mondo reale, sempre più indirizzati verso settori specialistici che finiscono per costituire tanti piccoli mondi a se stanti, brandelli di conoscenza da cui è impossibile risalire verso una sistemazione organica della parte al tutto. Questa spietata parcellizzazione tecnica e specialistica della ricerca finisce oggi per costituire un freno perfino al continuo rivoluzionamento tecnologico dei mezzi produttivi che caratterizza il modo di produzione capitalistico: le contraddizioni più stridenti della scienza borghese si ritorcono contro se stessa. La parcellizzazione specialistica e la concorrenza spietata fra le branche della ricerca, fra laboratori e fra singoli ricercatori è causa di sprechi enormi, per lo stesso capitale sta diventando troppo costoso finanziare uno stuolo enorme di esperti e tecnici, impiegati nella miriade di sottobranche in cui si divide oggi la ricerca scientifica e in cui si duplica e si disperde una mole di informazioni, di risultati, di esperienze specifiche che si sovrappongono e che finiscono per costituire complessivamente un investimento improduttivo, o comunque troppo oneroso rispetto ai risultati economici finali.

Questo è riflesso nell’insistenza crescente con cui certi settori di ricerca e numerosi scienziati invocano l’«interdisciplinarietà» ossia una oggi utopica riunificazione tra le varie discipline. I ricercatori più seri si rendono conto dell’assurdità della situazione, intuiscono che ormai la parcellizzazione è tale che ogni disciplina particolare sconfina nelle altre e i risultati stessi delle ricerche impongono un indirizzo unitario; ma, nella logica produttivistica del capitalismo ogni tentativo in questo senso non può che generare altre discipline, altri specialisti, altre divisioni, altra concorrenza e sprechi. La frenesia produttivistica del capitale non può consentire una significativa inversione di tendenza nella ricerca scientifica, che è destinata ad arrabattarsi in contraddizioni insolubili. Come in tutti gli altri settori della vita sociale, economica e politica, anche nella ricerca scientifica il modo di produzione capitalistico esprime l’esigenza storica della sua distruzione, azione rivoluzionaria indispensabile per liberare le energie produttive e conoscitive sociali dalle pastoie del mercantilismo.

Insieme alla superspecializzazione, un altro aspetto che evidenzia il processo involutivo della scienza borghese è la subordinazione del metodo dell’osservazione sistematica dei fenomeni a quello direttamente sperimentale. L’osservazione sistematica e l’esperienza e soprattutto le intuizioni che da essa derivano, agevolano notevolmente la verifica e la scoperta delle relazioni o leggi a cui obbediscono. Combinando razionalmente osservazione e sperimentazione si cerca di costruire uno schema teorico che rappresenti nel modo più coerente il maggior numero possibile di fenomeni: questa sintesi permette così di ritornare sulla analisi dei singoli fenomeni, prestare attenzione a quelli che sembrano sfuggire alla sintesi, precisare o modificare il metodo di osservazione, prevedere nuove relazioni da scoprire, intuire altre leggi generali e procedere oltre nella ricerca. Ma la smania di rapida applicazione tecnica delle scoperte scientifiche e delle innovazioni tecnologiche in tutti i campi, specie in quelli più direttamente legati alla produzione di merci: chimica, elettronica, biologia, medicina, la frenesia della produzione capitalistica, in cui è sempre più determinante per le imprese arrivare alla fabbricazione di merci prima dei concorrenti e con tecniche più produttive (meccanica, chimica, elettronica) o di nuovi prodotti suscettibili di essere immessi rapidamente e in grande quantità sul mercato (medicina, farmacologia) determinano la tendenza a svincolarsi dall’osservazione sistematica che richiede tempo e soprattutto disinteresse scientifico, e a gettarsi nella sperimentazione che tende a riprodurre artificialmente, «torturando la natura», i fenomeni in laboratorio in modo da ottenere rapidamente risultati utili allo scopo immediato che ci si prefigge, a tutto danno della vera conoscenza sociale. Non a caso i passi di maggior significato conoscitivo generale, la scienza borghese li ha compiuti in astrofisica e nella relatività particolare e generale dove l’osservazione dei fenomeni e la classificazione dei dati che da questa se ne deducono sono indispensabili all’acquisizione e alla formulazione di leggi generali.

Significativo anche che l’osservazione sistematica dei fenomeni e l’esperienza storica da ciò derivata siano i soli strumenti applicabili ai fenomeni sociali, dove ovviamente la sperimentazione da laboratorio non ha senso.

La scienza borghese è dunque imbrigliata senza possibilità d’uscita nella frantumazione specialistica e, ridotta ad uno strumento tecnico della bramosia dell’accumulazione capitalistica, ha perso definitivamente ogni caratteristica di scienza sociale e pertanto da rivoluzionari dobbiamo porre in dubbio ogni suo postulato generale e sempre più spesso anche particolare.

La stessa impostazione ideologica borghese di presentare la scienza come in sé oggettiva e sovraclassista appare sempre più ardua, tanto che le più recenti correnti filosofiche trovano il bisogno di presentare la questione cercando di sdoppiare arbitrariamente la scienza in due presunte categorie: vi sarebbe la «scienza applicata», dominata dalle esigenze produttive e mercantili, e la «scienza pura», la ricerca condotta per appagare il semplice stimolo del sapere, alibi «filosofico» per stendere un pudico pannicello sul carattere senile della scienza borghese, pura e applicata.

Ancora una volta i dotti apologeti del capitale non fanno altro che mascherare la cruda realtà della prostituzione generale di tutto il mondo della ricerca scientifica e tecnica con eufemismi astratti: «scienza pura» è un sofisma ingannatore: la scienza, in quanto bagaglio complessivo delle conoscenze acquisite dall’uomo, non può che avere una finalità: è di classe nelle società divise in classi, sarà di specie soltanto nel comunismo, dove non vi sarà scienza pura, che non significa nulla, ma finalmente vera scienza umana dove troverà finalità, mezzi e riconoscimento l’impulso al sapere. Citiamo in proposito da "Coda al triviale satellite" ("Il Programma Comunista", n.21 del 1957): «Nella costruzione marxista la scienza diverrà scienza della società tutta... Morranno i cerchi chiusi di esperti e specialisti, dietro i quali non si annida l’impulso al sapere umano ed al fare umano, ma solo la fornicazione tra affare mercantilistico e cervelli in affitto... Il segreto di Stato e di Nazione vale quello di classe... Non è l’alba del lavoro scientifico di un mondo nuovo, ma un passo del trito illuminismo verso forme oscurantiste e di scienza monopolizzata, che sta al livello, nella storia del pensiero, dell’ermetismo di antiche teocrazie; è degno di una vieta teosofia esoterica, in cui alla massa non giunge la conquista della scienza, che le è preclusa, ma la schiavizzante suggestione di un rito esterno che suscita terrore; o ammirazione abbrutita».

Questo brano è oggi particolarmente attuale quando il capitale è riuscito a sfruttare economicamente la scienza come spettacolo camuffato da «informazione scientifica di massa»: spuntano come funghi riviste cosiddette scientifiche, mentre radio, giornali e televisione propinano tavole rotonde, servizi e trasmissioni in cui «esperti», «specialisti», e tutto il fior fiore dell’«intelligenza», si sbizzarriscono in pose da santoni del sapere, si esibiscono in ogni genere di dotte sbrodolature che di scientifico non hanno nemmeno l’apparenza, per non parlare dei filosofi di grido, dediti a vere e proprie tourneé internazionali, come cantanti e divi del cinema, ben foraggiati da banche, industrie, istituzioni statali. II risultato di tutto questo è che la iperbolica decadenza dell’acquisizione conoscitiva umana nella società capitalistica si traduce in una ennesima fonte di valorizzazione del capitale e produce alla scala sociale, e specie sul proletariato, un effetto di droga intellettuale che si traduce in un misto tra la rimbecillita assuefazione a ogni genere di propinato progresso e l’ammirazione, passiva e distruttiva della combattività di classe, verso uno stuolo di pretesi scienziati e intellettuali portatori esclusivi di tutto il sapere umano.

Scrivevamo, a proposito della questione spaziale in "Squallido mondo della ciarlataneria internazionale" da "Il Programma Comunista", n. 23 del 1963: «La massa delle falsificazioni propinate alla cosiddetta «opinione pubblica» cresce così ad una scala gigantesca: essa rappresenta una vera e propria forza materiale, e fa parte della violenza in potenza che il capitale esercita sulla classe oppressa... La psicosi cosmica è un feticcio nel quale si cristallizza la forza del capitale. Chi svela questo feticcio svela un orrore che grida soltanto la propria distruzione». Il che vale non solo per la «psicosi cosmica» in particolare, ma per quella tecnologica e scientifica in generale.
 
 

5. II comunismo risolto enigma della storia
 

Stabilito il principio della demolizione del feticcio scienza borghese come compito principale del Partito in campo conoscitivo, di azione rivoluzionaria, dunque, e non di mera «critica filosofica», compito che tende alla nostra meta finale che non è l’abbattimento del pensiero borghese ma del dominio politico della borghesia, passiamo a vedere attraverso quali tesi marxiste fondamentali passa questa demolizione.

Tutta l’ossatura teorica del marxismo nel campo della critica al razionalismo borghese e alla pretesa della borghesia rivoluzionaria di esprimere una concezione totale e definitiva del mondo liquidando le costruzioni ideologiche filosofiche e teoriche espresse dai passati modi di produzione, si fonda sulla soluzione originale che esso fornisce ai grandi quesiti sociali: quale il rapporto tra uomo e natura, individuo e società, per dirla in termini più filosofici che Marx stesso usa nella critica ad Hegel e alla sinistra hegeliana, tra essenza ed esistenza? I nostri rapporti sull’argomento ascoltati nelle riunioni passate martellano con insistenza sul concetto che la grande scoperta scientifica del marxismo consiste semplicemente in questo: le condizioni materiali, le forze produttive, i conseguenti rapporti sociali tra gli uomini sono giunti a una svolta storica tale che si prospetta la soluzione definitiva dell’enigma storico individuo-società; ma questa soluzione non si trova nel pensiero umano, dove invano l’avevano cercato e creduto a più riprese di averlo trovato i filosofi e gli ideologi dei grandi periodi rivoluzionari delle società trascorse, che tuttavia, come vedremo, a differenza dei borghesi, noi non disprezziamo, ma nella prassi sociale, nel sovvertimento rivoluzionario della società ad opera del proletariato, con l’attuazione della sua dittatura di classe, diretta dal Partito Comunista, e nello sbocco determinato verso la società comunista. Una soluzione storica dunque che contiene la negazione dell’essere umano come ente sociale autonomo, e perciò la negazione del menzognero principio borghese della libertà dell’individuo. La soluzione si trova alla scala della specie umana, in cui, per la prima volta nella storia, la molecola individuo scompare per lasciare il posto a quello che, con termine veramente magistrale, Marx definisce l’uomo sociale.

Il riconoscersi del singolo individuo nella specie è il significato del comunismo, soluzione storica scoperta del materialismo dialettico applicato alla dinamica dei ciclopici conflitti sociali che hanno determinato le epoche storiche trascorse. Questa tesi il marxismo la contrappone non solo all’idealismo filosofico borghese e pre-borghese, ma alla filosofia in generale, compiendo un balzo in avanti rispetto al materialismo classico degli enciclopedisti francesi, che pure erano giunti, sull’onda della dirompente dinamica sociale della nascente borghesia rivoluzionaria, alla potente concezione della distruzione di ogni fideismo e spiritualismo sia nella natura, sia nella società umana. La borghesia rivoluzionaria, in economia e nel campo conoscitivo, all’apice della sua battaglia storica e politica contro l’antico regime feudale e le sue sovrastrutture etiche e teologiche, momento progressivo per l’intera umanità, si avvicina per un attimo alla verità, ma il suo trionfo politico come nuova classe dominante impedisce il conseguente sviluppo di quelle grandiose intuizioni conoscitive e sia in economia sia in filosofia il pensiero borghese rincula verso concezioni confacenti all’esigenza di conservazione del suo dominio. Così il materialismo classico di Diderot e d’Alembert, pervenuto alla concezione monista dell’unicità di spirito e materia («la sensibilità, il pensiero, sono una proprietà generale della materia, prodotti della sua organizzazione», fin qui giunse Diderot), decade nel materialismo volgare e poi nel positivismo, che accettano sì la tesi materialistica della determinazione materiale dell’esistenza umana, ma la riducono alla scala del borghesissimo individuo singolo, pensatore e sovrano, libero cittadino che col suo raziocinio cerebrale interpreterebbe il mondo esterno e dalla somma dei cervelli pensanti si originerebbe la legittimità delle istituzioni statali che reggono la società.

Materia e spirito qui di nuovo si sdoppiano, il pensiero ridiventa l’unico depositario della ragione, nuova entità aprioristica che si estranea dalla natura fisica.

Tutte le correnti filosofiche successive al materialismo francese dell’Enciclopedia, e fino alle sbrodolature ultraidealistiche dei tristi giorni nostri, affogano in una montagna di speculazioni intorno al dualismo tra realtà oggettiva e coscienza soggettiva dove l’uomo è continuamente considerato come singolo individuo pensante e dove la conoscenza oggettiva del mondo è costantemente filtrata attraverso l’imponderabile meccanismo del pensiero. Naturalmente, questa artificiosa separazione tra uomo e natura lascia il campo libero al ritorno imperioso delle concezioni spiritualiste e trascendenti, che tornano ormai a dominare incontrastate i campi da cui le avanguardie borghesi rivoluzionarie più conseguenti avevano preteso di averle definitivamente cacciate. Il marxismo viceversa, e fin dal suo sorgere, compie il balzo che lo sviluppo materiale della realtà sociale rende ormai possibile: l’unicità di spirito e materia, di pensiero soggettivo e realtà oggettiva va ricercata non tra Uomo e Natura, ma tra Individuo e Specie, e la si ritroverà non attraverso l’evoluzione critica del puro pensiero, ma attraverso la prassi sociale dell’azione rivoluzionaria del proletariato, la si troverà nella rivoluzione, nel comunismo. Così, fin dal 1844, Marx nei "Manoscritti economico-filosofici" tratteggia questa soluzione: «Questo comunismo è come completo naturalismo, umanismo e come completo umanismo, naturalismo. Esso è il vero scioglimento del contrasto tra la natura e l’uomo e tra uomini e uomini, è la vera soluzione del contrasto tra esistenza ed essenza, tra realtà oggettiva e scienza soggettiva, tra libertà e necessità, tra individuo e specie; il comunismo è il risolto enigma della storia e si considera come tale soluzione».

«Il risolto enigma della storia»: questo è il punto: la risposta ai millenari quesiti che l’uomo si è posto intorno a se stesso e alla realtà dell’intero mondo fisico sarà originale e definitiva, espressa da una umanità finalmente capace di vivere una storia umana, in cui questo termine non avrà più significato di storia di individui umani, come in tutte le costruzioni filosofiche borghesi, anche quelle che sembrano accettare i postulati dal materialismo, ma di storia di specie.

Ancora Marx: «Il comunismo inteso come positiva soppressione della proprietà privata, e dunque come soppressione della alienazione dell’uomo da se stesso, e quindi inteso (alla fine del trapasso totale) come appropriazione reale da parte dell’uomo e per l’uomo dell’essere umano (della umana essenza); e per questo come ritorno completo, cosciente, attuato all’interno di tutta la ricchezza degli sviluppi del passato, dell’uomo per sé in quanto uomo sociale, ossia in quanto uomo umano».

Se volessimo in una sola tesi la posizione del marxismo in materia conoscitiva, questa sta tutta racchiusa in queste due grandiose citazioni. Una soluzione originale che supera e spezza gli stessi termini della questione: l’eterno quesito: «quale rapporto esiste tra uomo e natura?» trova la risposta cambiando i termini della domanda; la soluzione si trova nel rapporto tra individuo e uomo umano, tra singolo e specie, determinato come processo reale e materiale che si svolge «all’interno di tutta la ricchezza degli sviluppi del passato».

La questione dell’individuo e della Specie è sviluppata da Marx fino al punto che egli sostituisce addirittura al senso soggettivo un senso collettivo. Non esiste l’occhio, l’orecchio dell’individuo, ma l’occhio, l’orecchio della specie. Svolge infine il meraviglioso concetto dell’appropriazione da parte dell’uomo del vero essere umano, nella più ampia accezione sociale e naturale del termine. Nel comunismo, afferma Marx: «l’uomo si appropria del suo essere onnilaterale in maniera onnilaterale, e quindi come uomo totale. Tutti i rapporti umani che l’uomo ha col mondo, e quindi vedere, udire, odorare, gustare, toccare, pensare, intuire, sentire, volere, agire, amare, in breve tutti gli organi che costituiscono la sua individualità, come gli organi che sono nella loro forma immediatamente organi comuni, sono nel loro oggettivo compattarsi, ovvero nel loro comportarsi verso l’oggetto, l’appropriazione di questo, per l’effettualità umana; il loro rapporto con l’oggetto è la constatazione della effettualità umana. Questa manifestazione è tanto multipla quanto le determinazioni e attività umane, l’agire e il patire dell’uomo, perché le sofferenze prese nel senso umano sono un godimento proprio dell’uomo».

Questa dell’agire e del patire è anch’essa un’antica contrapposizione, che soltanto il comunismo scioglierà. Le filosofie positiviste figlie della continua necessità della borghesia di assoggettare il mondo naturale al processo produttivo capitalistico, tendono a dare risalto all’agire: è l’uomo che agisce sul mondo esterno e lo plasma a sua volontà, mentre le antiche teosofie tendono ad evidenziare il patimento dell’uomo schiacciato dalle avverse condizioni naturali: la vita terrena è una sofferenza e trova conforto nelle divinità sovrannaturali e nei regni extramondani. Il dilemma è: sono io che deformo completamente la natura intorno a me e la assoggetto al mio volere con il mio agire, la mia forza, e dunque la vita è azione gioiosa e felicità, oppure è la natura che mi costringe in una strettoia, mi soffoca, e ogni mio tentativo di liberarmi o di muovermi in una certa direzione si trasforma in sofferenza e la vita diventa patimento e dolore?

Molti ingenui pensatori hanno interpretato i trapassi storici e sociali rivoluzionari, rimanendo preda di questo ennesimo falso dualismo, per cui tutto lo spirito rivoluzionario degli oppressi e sofferenti, starebbe nel voler passare nella categoria dei gaudenti. Questa antitesi tra sofferenza e godimento, e tra agire e patire, è dal marxismo superata completamente: l’uomo soffre perché vive, patire e piacere sono dialetticamente connessi, non godrebbe se non soffrisse, come è riconoscibile in tante azioni umane, individuali e collettive. Nel comunismo, la gioia che proverà l’uomo nel riuscire come specie ad integrarsi nella natura, a trasmettere le impronte della sua volontà, non del suo cervello di uomo ma della organizzazione collettiva, nella realtà plasmabile del mondo esterno, implicherà sempre che egli soffra perché ogni attività è l’effetto di sforzo e sforzo comporta sofferenza, tormento di membra e di sentimenti.

L’azione rivoluzionaria non è perciò il cammino verso la gioia né il cammino ad evitare il dolore, ma per giungere ad una combinazione naturale, razionale, umana di gioia e di dolore. Questo passo di Marx, che le sofferenze poste nel senso umano sono il godimento proprio dell’uomo è veramente grandioso e va al di là di tutto quello che hanno potuto pensare o scrivere i filosofi prima o dopo lui.
 
 

6. Antichi quesiti infranti
 

Questo ci permette di esporre un’altra nostra posizione chiave che non solo tratteggia i caratteri della futura società e scienza sociale comunista, ma anche giudica quelli della scienza borghese e in genere la evoluzione della conoscenza umana delle epoche passate: tutte le grandi acquisizioni in campo conoscitivo apparse nei pochi grandi periodi rivoluzionari della storia hanno sempre fornito una soluzione originale ad antichi quesiti in cui la filosofia delle epoche precedenti si dibatteva. Ma non hanno mai dato una soluzione schierandosi in un campo o nell’altro dei contendenti alla soluzione esatta, l’hanno data spezzando, distruggendo il quesito, dimostrando cioè che era sbagliata la domanda.

Tutti i grandi balzi conoscitivi in materia di scienze naturali sono avvenuti in questo modo; ad esempio l’antica antitesi tra moto e materia in quiete non è stato risolto a favore di uno dei due termini, ma eliminando l’antitesi stessa e scoprendo che il moto appartiene alla materia, come il famoso dilemma se il moto del pendolo, secondo l’antica dicotomia aristotelica, dovesse essere considerato ascendente o discendente, fu risolto fondendo i due movimenti nella scoperta della forza gravitazionale. Ogni volta il quesito si pone in termini diversi o si annulla e le precedenti contese non hanno più senso. Così la grande intuizione di Einstein sulla relatività ristretta dei moti, dissolve il secolare enigma della ricerca di un sistema di riferimento privilegiato a cui riferire tutte le leggi fisiche universali e sposta il quesito: fissa è la velocità della luce, indipendente dal sistema di riferimento; è lo spazio che si contrae in funzione della velocità del punto di osservazione, il tempo non è un assoluto, ma trascorre relativamente al moto.

Se dal campo fisico, secondo la nostra tesi deterministica, ci trasferiamo a quello sociale troviamo il meccanismo conoscitivo e storico dei rapporti umani rispondente alla stessa dinamica. Riprendiamo in proposito un significativo brano svolto nella Riunione n. 25 di Milano del 17 e 18 ottobre 1959: «Per una secolare sgonfiata l’Uomo si svolge verso la Libertà della sua Persona (dicono anche la Dignità). Ammorba la domanda: va conquistata all’uomo la libertà politica, o quella economica? Millenni di sistemi filosofici si arrabattano dietro questa domanda e confondono il problema della libertà dell’uomo dalla necessità che lo piega alle influenze dell’ambiente di natura con quello della libertà del singolo dalla schiavitù ad altri uomini o gruppi di uomini. Ma la scoperta rivoluzionaria del comunismo non trova già una nuova soluzione al problema, bensì frantuma la sua impostazione, travolge la vuota domanda: libertà o necessità? Lo animale uomo intanto è dotato di conoscenza in quanto è animale sociale, uomo sociale. La sua sapienza, dopo la sua azione, lo condurrà a liberare la sua specie dalle più gravi pastoie determinatrici della necessità naturale. Il nostro programma non è la libertà della persona umana, politica od economica, è ben altro: liberare l’uomo dalla stupida illusione della Persona; elevarlo ad uomo sociale.

Geocentrismo, unicità delle categorie spazio e tempo, sistemi filosofici costruiti sull’Io individuale; sono fantasmi dell’Uomo che nel suo corso cadono.

Ma ciò non vuol dire che non vadano considerati e vagliati quali tappe della lunga, immensa costruzione che fu la storia della specie umana. Essi non si annullano come si fa di una formula sbagliata scritta sulla lavagna passandovi lo straccio. Così si cancella puerilmente la «risposta non esatta».

La conquista della verità non si fa cancellando risposte, ma cancellando domande, il che avviene in grandi gloriose ed isolate svolte della vita che è lotta, prima che sapienza. La verità si raggiunge cambiando i quesiti, e a questo lavorano non le teorie servili di risposte esatte, ma la serie di risposte inesatte che trascinano al suo capovolgimento ogni domanda tradizionale.

È l’errore, l’arma della ricerca della verità. È l’errore che diventa dubbio, critica e rivoluzione, ciò per la stessa borghesia nascente di secoli addietro.

Per noi comunisti è ancora di più: la violenza della rivoluzione precede e rende possibile la sola scienza, propria dell’Uomo che non sia più vuota Persona» ("Elementi della questione spaziale", "Il Programma Comunista", n. 4 del 1960).

Questa posizione classica del marxismo, che storia sociale e conoscenza umana procedono per tappe rivoluzionarie in cui antichi quesiti vengono infranti in soluzioni originali, così come precedenti strutture e rapporti economici e sociali vengono travolti e trasformati in nuovi assetti sociali che negano i vecchi schemi, ci permette di trarne una conseguenza teoretica non meno fondamentale: di fronte ai fautori di antiche opposte soluzioni ai grandi quesiti storici e conoscitivi noi non ci schieriamo in nessuna delle schiere contrapposte. La nostra soluzione supera entrambe le soluzioni proposte, non le annulla, le comprende e utilizza entrambe, e soprattutto non nega la validità storica delle precedenti considerandole anzi tappe fondamentali del passato, senza le quali non sarebbe stato possibile pervenire ai successivi passaggi.

Questo vale in particolare per la secolare contesa dibattuta da tutta la filosofia antica e moderna, quella tra materialisti e spiritualisti: è «venuto prima» il pensiero o la materia?; domina lo spirito sulla materia o viceversa? Se rispondessimo: è la materia che domina sullo spirito e andassimo così a schierarci in uno dei filoni materialistici contro quelli spiritualistici, avremmo dato una risposta sbagliata. La nostra soluzione perviene invece ad un superamento di questo contrasto in una nuova concezione che lo rende inutile, accademico, falso: una nuova concezione è divenuta possibile e teorizzabile non perché il pensiero e lo spirito umano si siano sviluppati, ma perché l’azione umana nei rapporti tra uomini e uomini e tra uomini e natura ha raggiunto uno stadio e un corso nuovo che solamente a questo livello dell’evoluzione poteva essere dato. La soluzione nostra è marxista: e consiste nella semplice eliminazione del dualismo pensiero-materia e dei suoi derivati uomo-natura, soggetto-oggetto, dualismo su cui poggiano le dissertazioni filosofiche di tutte le correnti di pensiero borghesi e opportunistiche. Consiste nella semplicissima enunciazione: il pensiero è materia, per cui l’eterno dilemma del rapporto tra pensiero soggettivo conoscente e materia oggettiva conosciuta si risolve nel dire che non si tratta della materia che è conosciuta dal pensiero, ma della materia che conosce se stessa. Noi non siamo materialisti in quanto sosteniamo, come il positivismo borghese, che il mondo materiale influisce sul pensiero soggettivo in un gioco di cause ed effetti disperatamente e inutilmente cercato nel cranio della singola sacra persona, ma perché riteniamo che il pensiero sia null’altro che un fenomeno, un modo di essere della materia. Che non si abbia ancora una spiegazione scientifica del processo neuro-molecolare-psichico che informa questa tesi non ci scompone affatto perché la deduciamo dai teoremi più generali della scienza dialettico-deterministica.

La prima scienza che si è potuta spingere fino ai fenomeni sociali, è la scienza rivoluzionaria marxista; per essa teoria il pensiero è fenomeno materiale; la scienza nella società comunista trasferirà con rigore dimostrativo questa certezza anche nella scienza dell’individuo singolo, salto che la scienza borghese non potrà mai compiere.

Ciò non toglie che le stesse conquiste conoscitive nel campo della fisica dell’atomo, della fisica delle particelle – forse l’unica branca specialistica ad aver sviluppato apprezzabili scoperte, non a caso poggianti su quello che abbiamo definito il punto d’arrivo massimo della scienza borghese, la einsteiniana relatività generale – si siano avvicinate e, per intuizione e ammissione degli stessi scienziati borghesi, si stiano avviando verso la individuazione di un unico legame tra tutte le forze fondamentali della natura, verso la scoperta di un unico elemento basilare, i cosiddetti «mattoni della materia», da cui non sarà possibile estromettere il fenomeno pensiero, se non per arbitraria e idealistica... pensata.

Scrivevamo in Sul Filo del Tempo "Relatività e Determinismo" ("Il Programma Comunista", n. 9 del 1955) in occasione della morte di Einstein: «La conoscenza che la specie umana possiede si è sviluppata per il contatto con la materia e la natura, mai per lavoro autonomo del pensiero... Se le forme meccaniche, elettriche, magnetiche, ottiche della energia, della materia-energia (tra le quali ultime si annoverano quelle che tengono insieme le ardue costruzioni atomiche e che da esse si liberano quando i nuclei sono spaccati dai proiettili corpuscolari) rispondono ad una sola legge da cui si deduce l’orbita di Sirio a milioni di anni luce e la traiettoria del protone nel cuore del nucleo di milionesimi di millimetro, allora Alberto Einstein è arrivato molto vicino alla assimilazione unitaria anche di quella forma ancora poco nota di energia vitale che chiamiamo pensiero».

Questa è una grande tappa sulla via del marxismo, della nostra concezione del mondo. «Facendo non solo di materia ed energia una sostanza sola, ma cancellando con la costruzione geniale dello spazio deformato dalla gravitazione la barriera tra ogni sostanza e ogni forma, egli ha scritto alla fine la identità monistica e materialistica tra materia e pensiero, tolta dal mondo e dall’uomo una anima che abbia legge e teoria originalmente indipendenti da quelle della Fisica Totale».
 
 

7. Lo strumento Pensiero
 

Una variante del dualismo spirito-materia è, come abbiamo detto, il dualismo soggetto-oggetto, soggetto conoscitore-oggetto conosciuto. La questione, anch’essa vecchia quanto la filosofia, è: la realtà che l’uomo conosce attraverso il pensiero è una realtà oggettiva o soltanto una realtà soggettiva, cioè determinata attraverso meccanismi propri dell’uomo, appunto quelli che sovrintendono al pensiero? È, anche ammessa una realtà oggettiva al di fuori della conoscenza umana, può l’uomo pervenire ad essa, o ciò che esso uomo può conoscere sarà soltanto e sempre una realtà relativa alla rappresentazione che i propri sensi gli permetteranno di avere?

E l’eterna questione della realtà o non realtà della «cosa in se» di Kant e della umana possibilità o impossibilità di conoscere il «mondo esterno». La nostra risposta è che usciamo da questo enigma nel momento in cui cessiamo di trovarne una risposta nel pensiero, nel piccolo cervello umano, come sempre l’hanno cercata i filosofi e ancora scendiamo sul terreno della prassi umana e sociale; scopriremo così che questo modo millenario di porre la questione è nient’altro che un sofisma astratto; ancora una volta è un falso enigma da cui si esce appena si cessi di pensare al soggetto conoscitore come all’individuo singolo e si allarghi la visuale al cervello collettivo della specie umana, prodotto esso stesso della natura, del cosiddetto «mondo esterno» da conoscere e che dunque vi è connessione diretta tra soggetto pensante e oggetto pensato e non vi è nessun bisogno di anteporre l’uno all’altro, di dare a tutti i costi una precedenza, procedimento tipico delle società gerarchizzate, in cui i filosofi, abituati all’idea che deve sempre esserci un capo, un padrone e un servo, il graduato superiore e quello inferiore, cercano sempre una priorità nelle categorie, sentono irresistibile il bisogno di trovare una preminenza, una presupposizione, devono a tutti i costi supporre una cosa per spiegarne un’altra.

Marx nella seconda delle "Tesi su Feuerbach" scrive: «La questione se al pensiero umano appartenga una verità oggettiva non è una questione teorica, ma pratica. È nell’attività pratica che l’uomo deve dimostrare la verità, cioè la realtà e il potere, il carattere terreno del suo pensiero. La disputa sulla realtà o non realtà di un pensiero che si isoli dalla pratica è una questione puramente scolastica».

Lenin commenta in "Materialismo e Empiriocriticismo": «La questione effettivamente importante della teoria della conoscenza, la questione che distingue le tendenze filosofiche, non sta nel sapere quale grado di precisione è stato raggiunto dalle nostre descrizioni dei mezzi di causalità e se queste descrizioni possano essere espresse in formule matematiche precise, ma sta nel sapere se la fonte della conoscenza di questi mezzi è la legge obiettiva della natura, oppure sono le proprietà del nostro intelletto, la capacità ad esso inerente di conoscere certe proprietà a priori».

Ed è precisamente nella adesione alla prima parte del quesito che consiste la differenza fondamentale tra il materialismo e l’idealismo. Il razionalismo borghese, che pretende, o ha preteso in passato di aver cacciato gli «a priori» confutando il principio teologico che la verità conosciuta fosse di origine trascendente e divina, posa i suoi assiomi su principi altrettanto aprioristici, quando crede di trovare le basi del sapere nella cosiddetta facoltà intrinseca al pensiero umano, immanente ad esso. In realtà i meccanismi logici del pensiero umano derivano essi stessi dalla realtà oggettiva del mondo. La sistemazione di questo enigma storico da parte del materialismo dialettico marxista consiste appunto nel considerare il soggettivo pensiero conoscitore, nient’altro che uno strumento tecnico naturale appartenente al mondo che si vuole conoscere e, dunque, come tutti gli strumenti, suscettibile di perfezione, e aggiustamenti derivati dal suo impiego.

Nei nostri "Appunti filosofici del 1928", Quaderno n. 1, la questione è trattata con estremo rigore marxista; ne riportiamo i passi più significativi: «Indubbiamente noi esprimiamo, registriamo, comunichiamo le nostre conoscenze a mezzo del pensiero, e, in senso più concreto a mezzo del linguaggio parlato e scritto. Sui dati così accumulati facciamo poi delle operazioni o ragionamenti da cui tiriamo fuori nuovi risultati in forma di supposizioni o previsioni che a loro volta vengono confermati in linea generale da avvenimenti del mondo reale. Sembra molto forte l’argomento che tutto questo sistema: nozione, ragionamento, previsione, non possa sussistere senza il soggetto uomo, e per di più uomo pensante e che i suoi rapporti e connessioni non siano proprietà di un mondo esterno extraumano, ma di un mondo che è tale in quanto conosciuto e pensato da noi. In vero la grave difficoltà di questo problema consiste più che altro nelle imperfezioni del linguaggio in cui cerchiamo di tradurlo. Se pretendiamo di risolverlo pensando, ci siamo già posti sul terreno di chi ci vuol convincere che ogni risultato è condizionato da leggi intrinseche del pensiero. Il procedimento corretto è invece l’opposto: il meccanismo proprio dello strumento pensiero, ossia del linguaggio, abbisogna di essere perfezionato e corretto perché il quesito possa essere eliminato... Il valore dei termini e delle relazioni linguistiche è in continua evoluzione e trasformazione: appunto l’esperienza del mondo esterno in ultima istanza sulla validità delle modifiche. Soltanto che la lentezza di queste fa credere che esse siano poco importanti e quindi limitate da un contenuto assoluto del pensiero».

È in questa lentezza dell’evoluzione delle relazioni linguistiche e del pensiero che si sono inserite le speculazioni dei filosofi e le costruzioni trascendentali delle epoche passate, è sull’incapacità organica di classe a riconoscere questa evoluzione fino alle sue estreme conseguenze sociali che si fonda l’impossibilità della scienza borghese ad accettare una simile posizione, perché questo riconoscimento in campo sociale implica la negazione della eternità del modo di produzione capitalistico, e quindi la negazione del proprio dominio di classe.

«In realtà – proseguono gli "Appunti filosofici"– la suscettibilità di adattarsi del pensiero è assolutamente senza limiti: ciò che per un’epoca era impensabile ed era considerato tale per proprietà assoluta del pensiero può essere oggi pensabilissimo; e così se confrontiamo anziché tempi diversi diverse razze o individui di diverse classi sociali, diverso sviluppo cerebrale ecc... Queste impossibilità di pensare, moltissime volte impiegate come dimostrazioni dell’assurdità di certe tesi, hanno dovuto poi lasciar passare il successo delle tesi stesse».

Il pensiero e il linguaggio altro non sono perciò che strumenti che l’uomo utilizza per conoscere e modificare la realtà oggettiva e, come tutti gli strumenti, sono imperfetti e suscettibili di perfezione nel corso del loro utilizzo e dei conseguenti risultati.

In questo senso, come è spiegato nel prosieguo del testo citato, il processo conoscitivo attraverso l’impiego dello strumento pensiero è assimilabile al processo dello sviluppo della tecnica produttiva in cui, ad esempio, vengono impiegati strumenti di durezza inferiore a quella dei materiali che vengono lavorati, il che permette di costruire strumenti di durezza crescente, così come, con un altro esempio, le leggi della dilatazione termica dei gas sono state scoperte utilizzando manometri a loro volta basati proprio sulle proprietà spiegate dalle leggi scoperte. L’impiego dello strumento imperfetto rende possibile il suo continuo miglioramento, e questo è precisamente quanto avviene per l’utilizzo del pensiero: «dobbiamo contentarci di porci in cammino impiegandolo, seppure lo sappiamo imperfetto, ma non sappiamo precisamente di quanto e in che. Ciò non ci impedirà di ottenere risultati buoni, anche se non certi, che condurranno a migliorare lo strumento, e così via con infinite ripetizioni di ciclo».

Tutto ciò risponde alla tesi idealistica borghese che definisce spiegabile il progresso conoscitivo e scientifico solo attraverso l’uso di uno strumento che godrebbe di una sua intrinseca perfezione, o comunque di meccanismi logici suoi propri, immanenti al suo naturale depositario: la scatola cranica dell’uomo-individuo-pensatore.

A sostegno di questa tesi, i teorici filosofeggianti amano spiattellare come esempio inconfutabile di questi pretesi meccanismi perfetti i concetti logici della matematica e della geometria, «linguaggio indispensabile per leggere il meraviglioso mondo della natura» (Galilei) e questo linguaggio simbolico sarebbe opera esclusiva e aprioristica del pensiero umano al punto da meritarsi l’appellativo di scienza esatta per definizione. Abbiamo risposto, con Engels nell’"Antidühring", che questi simboli assiomatici: punto, retta, superficie piana, fino allo stesso concetto astratto di numero, sono a loro volta desunti dal mondo materiale e che dunque tutta l’oggettività delle relazioni geometriche e matematiche poggianti su questi concetti, risulta reale, «vero», solo perché applicata al mondo reale. Ma non abbiamo bisogno di scomodare i classici del marxismo per combattere queste posizioni nemiche, ci è sufficiente citare Einstein, il grande fisico che per il suo potente determinismo materialistico nelle scienze naturali, l’ultimo in ordine di tempo che la scienza borghese abbia espresso e anche l’ultimo che abbia potuto esprimere, abbiamo detto essere nostro: «Il concetto di “vero” non si addice alle asserzioni della geometria pura, perché con la parola “vero” noi abbiamo in definitiva l’abitudine di designare sempre la corrispondenza con un oggetto reale; la geometria invece non si occupa della relazione fra i concetti da essa presi in esame e gli oggetti dell’esperienza, ma soltanto della connessione logica di tali concetti l’uno con l’altro. Non è difficile comprendere perché, ciò malgrado, ci sentiamo costretti a chiamare “vero” le proposizioni della geometria. Ai concetti geometrici corrispondono più o meno esattamente degli oggetti in natura, e questi ultimi costituiscono senza dubbio la causa esclusiva della genesi di quei concetti».

Sottoscriviamo interamente e consideriamo posizioni del genere perfettamente allineate con la serie marxista che pone i prodotti del pensiero all’ultimo posto nella graduatoria della realtà sensibile, immagini riflesse nel cervello umano di oggetti e fenomeni materiali. La capacita di “pensare”, ovvero di astrarre dal reale per dedurne relazioni logiche e ritornare poi a verificarne l’esattezza nella realtà, è un risultato millenario dell’attività umana e, più in generale, della trasformazione e dell’organizzazione della materia naturale e giunge al termine, anziché stare all’inizio come in tutte le tesi ideologiche borghesi, di un processo in cui, in un certo senso, gli uomini hanno agito senza pensare, così come la materia si è trasformata senza averne coscienza. Per dirla con Engels, «prima di argomentare gli uomini hanno agito. In principio era l’azione. E l’attività umana aveva risolto la difficoltà molto tempo prima che l’ingegnosità umana l’avesse inventata».
 
 

8. Degenerazione odierna
 

Da un punto di vista generale, l’odierno utilizzo nella scienza borghese dello strumento pensiero volto a fini speculativi e mercantili ne comporta una deformazione, anziché un affinamento e questo si traduce in un regresso storico sulla strada del progressivo avvicinamento alla conoscenza del vero, regresso che si riflette nelle teorizzazioni idealistiche, impregnate di soggettivismo e di relativismo deteriore, delle moderne correnti di pensiero filosofico e conoscitivo. Assumendo goffe pose da dotti maneggiatori della dialettica, mascherano il vuoto dei loro sofismi accademici dietro la «relatività» della conoscenza, che si tradurrebbe nella negazione di una verità assoluta da conoscere, nella teorizzazione che qualsiasi ipotesi, qualsiasi legge scientifica è aperta a ogni possibile e imprevedibile sviluppo, anzi è scientifica se contiene in sé la possibilità di essere negata e confutata.

L’impossibilità di compiere un solo passo che sia realmente utile ai fini conoscitivi, si traduce in miserevoli contorsioni intorno alla pretesa inconciliabilità tra una verità oggettiva che, essendo di per sé inconoscibile all’uomo nella sua completa oggettività, giustificherebbe come relativamente valida ogni possibile verità soggettiva, ossia ogni pisciata «filosofica» purché provenga dai santuari della intelligenza riconosciuta e incensata dai cosiddetti mass media. Dotte fesserie, che avrebbero fatto inorridire gli idealisti borghesi dell’Ottocento e degli inizi dell’attuale secolo, vengono scodellate in nome della relatività della conoscenza intesa come libertà soggettiva di interpretazione delle leggi materiali dell’universo. Incapace di liberarsi dal dualismo soggetto-oggetto, pensiero-materia, lo scientismo ultramoderno si contorce all’interno di un altro dualismo: verità relativa e verità assoluta.

Le moderne tendenze filosofiche e soprattutto di filosofia della scienza sono derivate dalla convinzione che non esista un unico metodo preciso di indagine scientifica, che, impugnato fino in fondo possa condurre, attraverso una inevitabile successione di errori, approssimazioni, affinamenti di formule e di leggi, alla definizione sempre più precisa dei contorni reali del mondo oggettivo. Il rifiuto del determinismo ha condotto al trionfo del relativismo puro, ossia di concezioni che, anche quando non lo dicono espressamente, negano l’esistenza di una unica realtà assoluta verso cui approssimarsi progressivamente con l’indagine scientifica e la sperimentazione, e propugnano il principio dell’indipendenza delle scoperte scientifiche e conoscitive dal metodo seguito per raggiungerle: ogni «realtà» è quella indagata dal singolo scienziato con il «suo» metodo ed ognuno è libero di interpretare come meglio crede i dati sperimentali e dell’osservazione. In definitiva ogni conclusione scientifica avrebbe valore relativo, ed ogni confutazione, presupponendo l’indagine conoscitiva di un altro soggetto, a sua volta libero di costruire ipotesi e metodologie, sarebbe anch’essa relativa e ogni conclusione libera di svilupparsi in ogni direzione possibile, perché ogni direzione presa sarà casualmente determinata dalla relatività soggettiva del nuovo metodo d’indagine intrapreso. Ogni corrente di pensiero, anzi ogni individuo ricercatore o scienziato si ritiene libero di non tenere in alcun conto le teorie storiche precedenti il periodo di indagine in corso. Feyerabend, ad esempio, che si autodefinisce un anarchico della teoria della conoscenza, sostiene che «metodologia» migliore per il progresso della scienza è «qualsiasi metodo va bene», mentre in generale le moderne correnti filosofiche, non a caso definite neoempiriste e neopositiviste, arrivano al rifiuto della logica deduttiva, e introducono la cosiddetta logica induttiva o analogica in cui la realtà oggettiva del mondo fisico è mediata dal soggettivo stato d’animo dello scienziato, dalla sua «libera essenza interpretativa», traduzione in campo filosofico del democratico e borghesissimo libero cittadino, base dello Stato di diritto.

Popper, che va per la maggiore, arriva addirittura su questa scia ad inventare un «terzo mondo di idee», quello che definisce dei contenuti oggettivi di pensiero che entrerebbe in relazione con il mondo fisico da un lato e dall’altro con quello dei soggettivi stati di coscienza dello scienziato. Il carattere putrescente del modo di produzione capitalistico, che condiziona tutta la ricerca scientifica e la speculazione filosofica, si riflette in campo conoscitivo nell’incontrastato trionfo della metafisica, nel ritorno a vele spiegate della allegoria degli spiriti folletti, delle teorie che vedono la natura in balia di entità sovrumane irraggiungibili e capricciose inutilmente inseguite dal sapere umano.

Marx Bluck, uno dei grossi papaveri nella «filosofia della scienza» ha recentemente tirato fuori una storiella che bene esprime le tendenze dominanti nel mondo scientifico-accademico contemporaneo: egli immagina l’esistenza di un demone che cambia le leggi della natura ogni volta che l’uomo riesce a scoprirle. A questo punto, egli dice, i casi sono due: l’infernale creatura demoniaca può cambiare le leggi naturali o seguendo una regola, e in questo caso l’uomo riuscirà sempre a scoprirle, oppure lo fa in modo arbitrario e allora non sarà possibile giungere alla «verità». La stragrande maggioranza dei «teorici» e dei filosofi brancola oggi intorno a questa ipotesi e di essa è impregnata tutta la ricerca scientifica che in molti campi (biologia, biofisica, ecc.) ha introdotto il casualismo nei fenomeni naturali.

Al fondo di tutto questo sta evidentemente ancora, in ultima analisi, e anche quando fiumi di dotte speculazioni cercano di ingarbugliare la questione, la negazione della realtà oggettiva del mondo sensibile e dunque di una verità assoluta a cui avvicinarsi tramite una serie successiva di verità relative. La questione è capovolta: esistono tante realtà soggettive, legate al libero arbitrio di chi vuole scoprirle, e ogni scoperta è relativa di per sé in quanto riferita a un metodo di indagine liberamente adottato che per assumere pose progressive e «avanzate» molti chiamano dialettica.

Ogni accenno all’esistenza di un’unica verità, raggiungibile tramite un unico metodo, è ferocemente bollata di ideologismo, dogmatismo, di pedanteria scolastica; è considerato grave ostacolo all’evoluzione scientifica. Significativamente dominano ovunque il pragmatismo, l’eclettismo e l’empirismo, cioè tutti gli ingredienti politici dell’opportunismo politico e del conservatorismo sociale.

Per noi marxisti invece, ancora una volta i termini della questione non sono antitetici, ma si fondono in un’unica concezione.

È Lenin a spiegarlo con meravigliosa chiarezza in "Materialismo e Empiriocriticismo" rispondendo ai vari Mach, Bogdanov, Avenarius e ai vari rappresentanti delle correnti empiristiche di quel periodo, certamente più seri degli attuali scribacchini, ma che già allora si riempivano a sproposito la bocca di «dialettica» e «relativismo», seminando gran confusione: «Dal punto di vista del materialismo moderno, cioè del marxismo, i limiti di approssimazione delle nostre conoscenze alla verità obiettiva, assoluta, sono storicamente relativi, ma l’esistenza di questa verità è incontestabile, come è incontestabile il fatto che noi ci avviciniamo ad essa (anche senza poterla mai raggiungere, come afferma Engels nell’"Antidühring").

I contorni del quadro sono storicamente condizionati, ma è incondizionato il fatto che questo quadro rappresenta un modello obiettivamente esistente. Storicamente condizionati sono l’epoca e le condizioni in cui abbiamo progredito nella nostra conoscenza della natura delle cose... ma ciò che non è per nulla condizionato è che ogni scoperta di questo genere è un passo avanti della “conoscenza obiettiva assoluta”. In una parola, ogni ideologia è storicamente condizionata, ma è incondizionato il fatto che ad ogni ideologia scientifica corrisponde una verità obiettiva, una natura assoluta. Voi direte che questa distinzione tra la verità assoluta e la verità relativa è indeterminata. Vi rispondo che essa è appunto “indeterminata” quanto basta per impedire che la scienza sia trasformata in un dogma nel peggior senso della parola, in una qualche cosa di morto, di rigido, ossificato; ma nello stesso tempo, essa è “determinata” appunto quanto basta per distinguersi nel modo più deciso e inequivocabile dal fideismo, dall’agnosticismo, dall’idealismo filosofico...».

La marcia della conoscenza scientifica della realtà oggettiva assoluta è dunque un cammino in cui le progressive conquiste sono tappe che contengono verità relative alle conoscenze e agli sviluppi dell’attività umana dell’epoca in cui si compiono; contengono in genere imperfezioni e errori o, più spesso, falsi dilemmi risolti dalle tappe successive, ma, alla base della teoria marxista della conoscenza sta l’approssimarsi continuo, oggi interrotto e che soltanto nel comunismo riprenderà la corsa, verso una verità assoluta, unica perché coincidente con la realtà materiale del mondo oggettivo a cui la specie umana e la sua conoscenza, il suo pensiero collettivo appartengono.

Invece «mettere il relativismo – prosegue Lenin – alla base della teoria della conoscenza, significa condannarci inevitabilmente allo scetticismo assoluto, all’agnosticismo e alla sofistica, o al soggettivismo. II relativismo come base della teoria della conoscenza è non solo il riconoscimento della relatività delle nostre conoscenze, ma anche la negazione dell’esistenza di ogni misura, di ogni modello obiettivo e indipendente dall’uomo al quale si avvicini la nostra conoscenza relativa... La dialettica, come già spiegava Hegel, comprende in sé gli elementi del relativismo, della negazione, dello scetticismo, ma non si riduce al relativismo. La dialettica materialistica di Marx e di Engels contiene in sé incontestabilmente il relativismo, ma non si riduce ad esso, ammette cioè la relatività di tutte le nostre conoscenze, non nel senso della negazione della verità obiettiva, ma nel senso della relatività storica dei limiti dell’approssimazione delle nostre conoscenze a questa verità».

La storia di queste successive approssimazioni non è lineare, vi sono balzi avanti grandiosi, a cui normalmente seguono lunghi periodi di stasi e di regresso; a volte antiche teorie abbandonate perché apparentemente errate si ripropongono come vitali, altre concezioni che appaiono definitive, si manifestano incapaci a spiegare fenomeni prima mai osservati, ma il cammino si appoggia ad un unico binario, solidamente piantato nella realtà oggettiva del mondo materiale, e non segue i risvolti penosi dei singoli cervelli pensanti ma il solco sociale di cui il proletariato rivoluzionario ha il compito storico di tracciare il tratto finale, che condurrà l’intera umanità finalmente vivente come un tutto ad avvicinarsi a balzi immensi alla coscienza della realtà mondana.

La nostra grande forza, quella del piccolo partito di oggi, è di saper proclamare di voler rimanere a marciare su questa strada, oggi disertata dalla classe protagonista, coscienti che solo il Partito comunista rivoluzionario può possedere la verità relativa e assoluta del trapasso storico distruttore del capitalismo.

Cedere alle infinite seduzioni dell’avversario, schierarsi al seguito, o anche solo lasciarsi suggestionare da qualsiasi aspetto del cosiddetto progresso conoscitivo borghese contemporaneo o futuro, significherebbe precipitare di colpo nel pantano sociale in mezzo al quale abbiamo la disgrazia di operare.

Lo proclamiamo ancora con Lenin: «Dall’opinione, accettata dai marxisti, che la teoria di Marx è una verità obiettiva, si può trarre una sola deduzione, ed è la seguente: per la via tracciata dalla teoria di Marx ci avvicineremo sempre più alla verità obiettiva (senza mai esaurirla); per qualsiasi altra via giungeremo invece alla confusione e alla menzogna».
 
 

9. Grandi arcate del ponte della storia
 

Il processo di avvicinamento per tappe alla verità obiettiva coincide di fatto con la storia dell’uomo, non del suo pensiero ma della sua prassi sociale. In questo senso il nostro metodo di indagine storica è nettamente opposto a quello borghese. Lo storicismo borghese, che si occupi di storia sociale o di filosofia, è impastoiato in due vizi di fondo: da un lato, considera i passaggi conoscitivi come eliminatori e demolitori di quelli precedenti, dall’altro procede come se lo sviluppo della conoscenza fosse una lenta e continua evoluzione sovrastorica del pensiero. Il primo vizio tende a negare il valore storico delle epoche in cui si sono espresse le acquisizioni precedenti, il secondo a svincolare il processo conoscitivo dai movimenti sociali o, nella migliore delle ipotesi, a considerare questi ultimi come sottofondo storico del progresso del pensiero e comunque da esso determinati. Entrambi riflettono le esigenze di conservazione del dominio politico della borghesia e tendono a considerare l’attuale assetto sociale e il modo di produzione capitalistico come definitivo, eterno e naturale, il «miglior mondo possibile». Secondo questa impostazione, ad esempio sarebbe comparso Aristotele che, pur giustificato dalla limitatezza delle informazioni del tempo, avrebbe proclamato un sacco di sciocchezze, poi sarebbero venuti Galileo e Newton a dimostrare la verità, salvo poi comparire Einstein a dimostrare che anche quelle contenevano una buona dose di errori, e subito dopo sarebbe toccato a Planck, Bohr, Heisemberg, Borne a fare giustizia del metodo deterministico per cui la strada da seguire è quella ultima e le precedenti inutili ferrivecchi. Il modo di procedere della borghesia è stato quello di pretendere di cancellare il passato, di giudicare i sistemi di pensiero delle epoche trascorse come inutili e controproducenti ai fini conoscitivi. Secondo questo metodo la vera conoscenza avrebbe progredito a datare dalla comparsa del razionalismo scientifico rinascimentale, che avrebbe fatto piazza pulita di tutto il ciarpame del passato e schiuso finalmente le porte al progresso del pensiero.

Parimenti la tesi del graduale progredire delle acquisizioni del pensiero conduce a negare la necessità dei rivolgimenti sociali. L’uno e l’altro modo di procedere si fondono in uno solo: per la borghesia, negare la funzione del passato significa negare la necessità del futuro, significa proclamare la propria conservazione di classe, significa pretendere di aver detto l’ultima parola in campo sociale, significa sbarrare la strada alla rivoluzione comunista.

Al contrario il collegamento tra le multiformi espressioni del pensiero umano e la storia sociale conduce alla constatazione che le tappe positive della conoscenza umana appaiono in rari risvolti della storia in cui forze umane rivoluzionarie tendono a rovesciare antiche sistemazioni sociali e istituzionali dominanti e ad infrangere l’immobilismo del modo di produzione esistente.

Queste spinte liberatorie dalle pastoie di forme produttive e sociali statiche e conservatrici si esprimono intellettualmente in un balzo avanti, verso la verità conoscitiva; sono guizzi improvvisi del pensiero che riescono a scorgere per primi barlumi di verità prima ignoti, perché nella società si stanno diradando le nebbie delle concezioni culturali e ideologiche su cui poggia lo status quo. In questi rari svolti storici si stacca un altra arcata del ponte che congiunge i primi intuiti conoscitivi delle antiche popolazioni preistoriche alla vita sapiente della società comunista.

In questo senso il marxismo ha sempre considerato con entusiasmo questi balzi avanti, anche quando hanno preso la forma di espressioni religiose, mistiche e extraumane. A differenza della borghesia, che ha preteso affermare le proprie dottrine di classe in sostituzione alle concezioni fideiste dei secoli passati e ha bollato di oscurantismo i periodi in cui queste hanno goduto del massimo trionfo, noi sappiamo scorgere il valore immenso delle concezioni religiose passate e le collochiamo sulla strada del progresso o del regresso sociale a seconda della funzione storica rivoluzionaria o reazionaria che ognuna di esse ha svolto nel suo corso e ne cogliamo i segni progressivi verso la conoscenza umana del mondo ogni qualvolta un’espressione ideologica di un sommovimento sociale ha segnato, indipendentemente dalla natura trascendente e mistica dei suoi contenuti, un passo in questa direzione e ha reso possibile l’apparizione di sistemi di pensiero che hanno segnato balzi in avanti nella direzione della conoscenza oggettiva del mondo materiale. In questo senso, non abbiamo esitato a rifiutare l’antitesi borghese religione-scienza e consideriamo la religione una forma e una fase della conoscenza e la storia delle tappe conoscitive del pensiero umano scritta dai marxisti, o meglio quella che sarà scritta nel comunismo, darà certo la massima importanza all’analisi materialistica dei miti religiosi delle popolazioni primitive e dei trapassi rivoluzionari dei popoli antichi.

Un esempio di ciò che intendiamo è stata la ribellione degli ebrei all’assoggettamento cui furono costretti dall’antico Egitto. Questa rivolta è e può considerarsi la prima rivoluzione popolar-nazionale della storia e getta un ponte di congiunzione, della massima importanza nello sviluppo sociale, con i periodi storici successivi. La ribellione si trasfigurò in forma mitica nella fuga degli ebrei che attraversarono le acque del mar Rosso sotto la guida di Mosé, depositario scelto da dio delle XII Tavole; le acque si aprono miracolosamente al passaggio del popolo ebraico e si richiudono poi travolgendo l’esercito degli inseguitori egizi. Gli ebrei proseguono il loro cammino verso la terra promessa: in tutte le rivoluzioni i ribelli vanno verso un nuovo mondo, e sognano una società diversa e migliore. Quelle XII Tavole hanno potuto scavalcare i millenni perché erano il programma di quei rivoluzionari.

In questo senso noi possiamo dirci più vicini al programma di quelle XII Tavole che all’ateismo razionalistico della borghesia, falso demolitore delle tappe conoscitive passate; non perché vogliamo tornare a credere nell’ultraterreno, ma perché è stata l’espressione ideologica sovrastrutturale di un sommovimento sociale che ha gettato una di quelle arcate protese verso il sorgere del nostro programma rivoluzionario, la società comunista.

Altra grande arcata verso la conoscenza scientifica del mondo reale fu la comparsa della teologia, i cui potenti innovatori del pensiero furono misconosciuti dai teorici della borghesia rivoluzionaria e che quasi sempre viene considerata dalla cultura ufficiale un intralcio allo sviluppo della scienza.

Anche qui, come marxisti, poniamo la questione fuori del contrasto borghese fede-ragione. Non optiamo, come hanno fatto schiere infinite di «progressisti», per la ragione contro le fede, ma collochiamo la fede nel giusto posto che le spetta nel processo storico di avanzata del pensiero umano verso la conoscenza del mondo. Coloro che hanno preteso di rendere definitivo omaggio e riverenza incondizionata alla ragione umana hanno tutti storicamente finito per riabbracciare l’altro polo del binomio, non disdegnando di tornare a inchinarsi agli altari e a civettare con i baciapile.

Un intralcio alla scienza la teologia lo divenne storicamente, quando i fermenti innovatori economici e commerciali del XV e XVI secolo imposero il superamento degli assiomi metafisici su cui poggiava, ma fu appunto la sua comparsa a rendere possibile il trapasso alle scienze razionalistiche. La riscoperta del razionalismo greco per opera degli scienziati della borghesia rivoluzionaria rinascimentale passa attraverso l’incontro grandioso tra il dogma rivelato e trasmesso, proprio della fede cristiana, e l’opera ricercatrice del razionalismo umano: e questo incontro è proprio della teologia.

Presso i greci la natura, e in particolare la fisica, erano sottomesse a leggi e Aristotele, con le sue analisi propedeutiche alla scienza, fornì le armi di un pensiero razionale, con lo sviluppo rigoroso di tutte le forme in sillogismi e il suo metodo deduttivo di ragionamento. La successiva sistemazione sociale di quasi tutto il mondo allora conosciuto, gettò le basi per il dominio temporale della Chiesa romana e il riflesso ideologico di questo assetto sociale fu il cristianesimo, la cui impostazione dogmatica si sviluppò sugli assiomi della fede e della creazione divina, in contrapposizione al razionalismo greco.

In questo sistema di pensiero, culminato storicamente con le opere di S. Agostino (354-450), raziocinio e fede erano inconciliabili; essendo il primo subordinato alla seconda. Ma anche qui, se volessimo inoltrarci un pochino nell’argomento, potremmo dimostrare essere un errore il considerare un fenomeno sovrastrutturale del pensiero come sempre e comunque negativo ai fini dello sviluppo conoscitivo umano. Le speculazioni filosofiche di S. Agostino sull’essenza di Dio e il suo rapporto con il mondo creato lo conducono, per esempio, ad esprimere una concezione relativistica del tempo veramente notevole, superiore alle stesse considerazioni dei greci: passato, presente, futuro, sono modi di esprimersi imprecisi, entrambi possono essere solo «pensati come presente»: il passato deve essere inteso come «memoria», il futuro come «attesa»; ma memoria e attesa sono fatti presenti. Questa asserzione contempla in forma intuitiva il principio per secoli respinto dagli idealisti e anche dai razionalisti borghesi, che il tempo non è una entità astratta, una convenzione adottata dall’uomo per distinguere il trascorrere degli eventi, ma appartiene al mondo fisico reale («non ci può essere tempo senza un essere creato», dice Agostino) e il suo trascorrere non è un assoluto aprioristico slegato dai fatti materiali in successione ma, come dimostrerà Einstein, è relativo alla velocità di questa successione.

Non esprimiamo un concetto molto diverso da questo quando affermiamo di condensare nel nostro programma rivoluzionario la memoria storica della classe operaia (il passato) proiettandola nell’azione rivoluzionaria futura che in un certo senso attendiamo, ma alla quale al tempo stesso volge l’attività presente, quotidiana del Partito. In ogni nostra azione militante noi trasmettiamo nel presente, verso il futuro, il passato del programma comunista, e come tale lo consideriamo patrimonio dei «morti» e dei «nascituri».

In generale comunque, appare chiara in S. Agostino l’inconciliabilità di fede e raziocinio umano: chiunque avesse tentato di sondare la fede con il pensiero sarebbe stato considerato un eretico; ciò costituiva ovviamente un freno allo sviluppo conoscitivo delle leggi del mondo reale, il quale andava non capito, ma accettato fideisticamente per quel che era stato creato.

Fu Tommaso D’Aquino (1224-1274) che, in una imponente e monumentale sistemazione che noi marxisti dobbiamo considerare un’altra arcata del ponte della conoscenza umana, che realizzò una sintesi di questi due punti di vista, argomentando che essendo lo spirito dell’uomo parte dello spirito di dio e la natura una creazione divina, perciò stesso quest’ultima doveva essere razionale e conoscibile al pensiero umano rischiarato dalla fede. Supporre la natura non razionale e inconoscibile all’uomo, significherebbe per Tommaso ammettere l’imperfezione di dio.

Tommaso, che può essere considerato il padre di quella che in seguito fu chiamata la Scolastica, è appunto il fondatore della teologia: tutto poteva essere spiegato razionalmente.

In base ai principi teologici la stessa esistenza di dio poteva essere dimostrata e ciò dette origine a lunghissime e tormentate diatribe intorno a un altro dualismo classico: quello tra esistenza ed essenza. In breve: la ricerca della verità va orientata verso la spiegazione dell’esistenza di questo essere superiore o verso la sua essenza, cioè verso le caratteristiche proprie di questo elemento divino impalpabile, verso ciò che egli è? I filosofi e i teologi dell’epoca ricorsero a vari sofismi per districarsi da questa questione finché concordarono in generale intorno a un abile marchingegno speculativo: la famosa prova ontologica dell’esistenza di dio; essendo egli la perfezione, racchiude in sé tutte le proprietà dell’essenza, della sostanza, e tra queste non potrà non esserci anche quella di esistere; poiché egli è tutto, dovrà per forza anche esistere. Oggi naturalmente, queste diatribe non interessano più, ma non le deridiamo perché derivavano dal principio che l’uso del raziocinio umano non era più in contrasto con i dogmi della fede, e ciò permise successivamente l’osservazione della natura e delle sue leggi e favorì la riscoperta degli scritti degli antichi, dei greci appunto, per la formulazione delle premesse scientifiche.

I due pilastri fondamentali della Scolastica divennero infatti il geocentrismo di Tolomeo e la fisica di Aristotele. La concezione tolemaica del mondo che piazza la terra al centro dell’universo era in sintonia con il cristianesimo che fissa l’uomo al gradino superiore della scala della creazione. Inoltre la concezione cosmica dei greci era dualista: in opposizione alla terra considerata corruttibile, il cielo rappresenta la purezza, la perfezione. I pianeti e il Sole che ruotano intorno alla Terra descrivono dei cerchi perfetti. A ciascun pianeta era associato un dio o una dea: Plutone, Venere, ecc.; più lontano, dietro i pianeti, stava il firmamento. I teologi percepirono questa concezione popolando il cielo di angeli e fissandovi il regno di dio, mentre nelle viscere della Terra stava il regno di Satana, del male. Sulla superficie terrestre male e bene si mescolano nel creato vivente e solo dopo la morte il bene salirà verso l’alto e il male scenderà verso il basso. Questa visione trovava giustificazione nella fisica aristotelica in cui ogni cosa tende al suo posto naturale. I corpi pesanti cadono verso il suolo perché quello è il loro luogo di destinazione mentre i corpi aerei e gassosi, come il fumo e i vapori, tendono a salire verso il cielo; il movimento è estraneo alla materia: un corpo, per muoversi ha bisogno che gli sia applicata una forza, altrimenti rimane in quiete.

La fusione tra il razionalismo greco e il teismo cristiano fece da ponte di passaggio al razionalismo intuitivo dei primi scienziati borghesi. Il grande movimento economico dei XV e XVI Secolo, lo sviluppo dei commerci, il potenziamento dell’industria imposero un rivolgimento di queste concezioni ormai divenute un ostacolo allo sviluppo scientifico. In questo breve ma intensissimo periodo dilemmi millenari furono sciolti non dal «progresso del pensiero», ma dalla prassi sociale e il trapasso dalla Scolastica allo scientismo raziocinante fu tutt’altro che graduale e indolore. Lo scontro tra la moderna concezione astronomica copernicana, poi sposata con entusiasmo da Galilei, e quella tolemaica fu soltanto il riflesso conoscitivo più importante del profondo travaglio sociale di quello scorcio storico. Il possente movimento politico e economico che vide la borghesia affermarsi come classe rivoluzionaria, espresse un impulso sociale e conoscitivo tale che i suoi migliori teorici e scienziati si avvicinarono per un attimo alla verità, travolgendo dogmi e sistemi di pensiero da millenni considerati la summa del sapere umano. Sul piano sovrastrutturale più strettamente ideologico ciò si espresse con un rifiuto del teismo e delle concezioni fideiste. Nella sua battaglia che condusse con l’appoggio del proletariato per liberare la società dalle pastoie del modo di produzione feudale, la borghesia rivoluzionaria rivendicò politicamente la «libertà della persona» e, nella sua frazione illuministica più avanzata e conseguente si proclamo atea, tolse dio e il regno divino dalle vicende terrene e vi pose l’uomo e la sua sacra e individuale ragione. La realtà materiale del mondo fu fatta poggiare sulla testa dell’uomo pensante; ma era una realtà capovolta, poggiava sugli interessi materiali di classe della borghesia e, sul piano della conoscenza, non faceva altro che sostituire all’astrazione fideistica del dio creatore responsabile delle vicende terrene, un’altra astrazione, quella della Persona Umana e della sua Idea posta al di fuori e al di sopra del mondo. I sistemi filosofici che ne derivarono, se ebbero il merito di spingersi fino alla scoperta della dialettica, come in Hegel, finirono per sostituire nuove menzogne sociali a quelle antiche e, successivamente, a spalancare nuovamente le porte ai fantasmi fideisti religiosi del passato.

Sul piano filosofico l’ateismo borghese non fece altro che trasferire le disquisizioni della Scolastica sull’esistenza ed essenza di dio al piano dell’individuo e pretese con l’uso del raziocinio di negare l’esistenza di dio e di cancellare come inutile ciarpame tutte le asserzioni teologiche del passato. Anche in questa contesa il marxismo non si schierò su nessuno dei due fronti.

Il materialismo storico e dialettico di Marx e Engels rimette il mondo reale a poggiare sulle sue basi materiali, pone l’individuo e il suo pensiero nella specie umana e nella natura e dunque all’interno e non al di fuori di questo mondo, e con ciò considera superata anche l’antitesi fede-ragione. Non c’è più bisogno né di una religione che affermi la esistenza di dio né di un ateismo che la neghi. Questa disquisizione teologi co – filosofica non può essere risolta dal pensiero astratto, ma dalla prassi sociale rivoluzionaria. Entrambi i termini della contesa, il fideismo raziocinante della teologia, così come il razionalismo ateo hanno assunto una notevole importanza storica nello sviluppo della conoscenza, ma oggi non ci interessano più.

In questo senso l’affermazione di non credere in dio, ha per noi un significato molto diverso da quello dei borghesi, in quanto intendiamo semplicemente dire che la società comunista non avrà più bisogno di chiese. Non pretendiamo di fornire risposte sulla vita e l’origine del mondo, né ci interessa escogitare la confutazione razionale dell’esistenza di dio. Ci è sufficiente aver individuato i termini della società per cui ad un certo punto dello sviluppo storico sociale é divenuto possibile un complesso di rapporti umani e naturali in cui non vi è più bisogno di chiese che esibiscono un verbo rivelato, un vangelo divino.

L’espressione che i comunisti vogliono abolire la religione è solo una frase propagandistica, riferita alla chiesa. Noi non vogliamo «eliminare» Dio, Madonna o Santi; questo ha preteso di farlo la borghesia, salvo poi, appena assestatosi il suo dominio di classe, riconciliarsi con la chiesa, e sottomettere e massacrare interi popoli in nome di dio. Noi vogliamo abolire appunto le chiese in quanto organizzazioni sociali che hanno determinati scopi, e come tali le combatteremo ogni qualvolta si frapporranno come ostacoli alla rivoluzione proletaria.

Il bisogno umano di credenze extraterrestri, in quanto sovrastrutture delle società divise in classi, tenderà a scomparire nel comunismo nella misura della consapevolezza di se stessa, specie della propria capacità di capire e plasmare il mondo reale.
 
 

10. Nel partito rivoluzionario la lucida intuizione del futuro
 

Un ultimo aspetto da mettere in risalto, che ci serve per confutare ancora la validità sovrastorica della scienza borghese e al tempo stesso per definire la funzione del partito in questa battaglia conoscitiva, è il carattere generalmente pre-scientifico che assumono le grandi sovversioni nella conoscenza nel momento in cui appaiono nei rari svolti storici e rivoluzionari. La tensione sociale che sottende questi balzi conoscitivi esprime minoranze rivoluzionarie in cui tutte le espressioni culturali, artistiche e conoscitive assumono un carattere originale che si approssima di scatto alla verità oggettiva, ma attraverso la intuizione: non dispongono della rigorosa dimostrazione logica o sperimentale completa di ciò che affermano, non ne hanno il tempo e i mezzi. In genere succede anzi che l’apparato scientifico e conoscitivo esistente al momento della comparsa di queste innovazioni intuitive, si trasformi di colpo in un ostacolo alla loro affermazione. Solo successivamente queste posizioni riescono a formalizzarsi nei canoni del rigore scientifico e questo generalmente coincide con l’assetto divenuto progressivamente conservatore dei rapporti produttivi e sociali di cui quelle intuizioni erano l’anticipazione.

Un esempio di questo procedere ci è dato ancora dall’antica Grecia: la grande mobilità sociale dei primi secoli della sua civiltà determina le grandi intuizioni dei filosofi e fisici presocratici, in particolare degli atomisti Leucippo e Democrito che gettano le basi della futura scienza avendo intuito l’essenza del moto e della materia.

La rapida evoluzione della società greca di quel periodo spingeva gli intelletti più sensibili all’acquisizione della dialettica e alle grandi intuizioni relativistiche del continuo cambiamento del mondo reale. Il successivo periodo che vide in Grecia il trionfo e la stabilizzazione della società schiavistica impose un profondo riflusso conoscitivo con l’idealismo di Platone, mentre la stessa sistemazione a carattere logico-formale-scientifica di Aristotele di tutto il sapere allora conosciuto, che pure rappresenta un pilastro fondamentale dell’edificio complessivo della conoscenza umana, costituisce un arretramento rispetto alle  stupefacenti previsioni intuitive precedenti.

Numerosi altri esempi potrebbero essere tratti dalle vicende scientifiche dei periodi più recenti e ciò dimostra tra l’altro che l’evoluzione della conoscenza non è esprimibile con una linea costantemente e armonicamente in crescita, ma con picchi altissimi e repentine cadute su fangosi fondali. I primi coincidono con le epoche dei grandi rivolgimenti politico-economici, le secondo con quelle dell’immobilismo sociale. Nei periodi rivoluzionari inoltre, l’elevato fermento delle tensioni umane produce slanci impetuosi sul piano dell’arte da cui originano solitamente opere il cui elevatissimo pregio rimane intatto in tutte le epoche successive.

Da questa incontestabile realtà le moderne correnti di pensiero cercano di derivare una soluzione di tipo spiritualistico e quasi mistico. Secondo queste interpretazioni che vanno per la maggiore ci sarebbe una differenza tra la conoscenza artistica e quella scientifica deducibile dalla differenza tra la caducità delle scoperte scientifiche, destinate ad essere sostituite da nuove scoperte, nuove teorie e dunque ad essere dimenticate dalle generazioni future, e l’immortalità delle opere artistiche, la cui validità sopravvive intatta ad trascorrere dei secoli e delle epoche storiche.

La ragione di questo sarebbe che lo scienziato cerca la sua affermazione nel mondo sensibile reale e dunque fonderebbe le sue teorie e scoperte su una realtà in continuo cambiamento, impossibile da definirsi in precisi contorni e pertanto inseguirebbe all’infinito verità caduche e mutevoli; invece l’artista raggiungerebbe l’immortalità perché "creerebbe" con la forza dello spirito, che sarebbe un presupposto immanente ed eterno, proprio della sua persona, dato fuori di tutte le nature e di tutte le umanità. Per questo gli scritti di Omero, di Shakespeare, di Dante, di Goethe sono rimasti eterni e non perderanno mai il loro valore con lo svolgersi della storia dell’umanità. Lo scienziato, insomma, procederebbe per intelligenza, propria del mondo materiale che egli tenta di definire, l’artista per ispirazione, che apparterrebbe al profondo dell’inintellegibile "spirito umano" e pertanto l’arte raggiungerebbe vette a cui la scienza mai potrebbe arrivare.

Non possiamo accettare una spiegazione simile, essa pone ancora una volta un falso dilemma: la separazione, anzi la contrapposizione tra arte e scienza. Neghiamo che vi siano prodotti che facciano parte di una attività conoscitiva di natura particolare, che sarebbe quella artistica, che avrebbe acquistato una eternità negata alle conquiste scientifiche. Vi sono opere scientifiche che certamente resteranno eterne come i versi di Omero, di Dante o di Goethe, come quelle di Galileo Galilei, o i "Filosofiae naturalis Principiae" di Newton o gli Elementi di Euclide, tuttora alla base della geometria più utilizzata. L’eleganza di queste opere è completa: sono opere contemporaneamente artistiche e scientifiche perché raggiungono al tempo stesso la laboriosità. paziente analitica dello scienziato e la sintesi potente dell’artista.

Arte e scienza nn sono in antitesi, in certi momenti storici si incontrano ed in genere, anche quando sembrano seguire strade diverse, sono due aspetti analoghi della conoscenza umana, non a caso fuse in una sola espressione operativa umana nelle epoche antiche.

La nostra spiegazione sta invece nel collegamento di queste opere alle epoche sociali in cui si sono svolte, allora riconosciamo che le opere artistiche sono la espressione di nuovi sentimenti e bisogni di epoche illuminate, epoche rivoluzionarie, sono opere che infrangono antichi schemi, che si scontrano con le concezioni dominanti. Invece le sistemazioni scientifiche riflettono la trasmissione delle passate conquiste nelle epoche di sonnecchiamento. Omero è sorto in un’epoca rivoluzionaria dell’antichità, Dante si pone agli albori del tempo moderno e rappresenta in poesia il trapasso tra l’antica struttura feudale e la moderna concezione borghese e analogamente si può dire di Shakespeare.

L’immortalità delle loro opere nasce dall’essere il prodotto di uno di quei rari momenti in cui l’umanità scatta verso nuove conquiste e anticipa nei cervelli più rivelatori i tratti intuiti del futuro assetto sociale. Viceversa la scienza è più vincolata alla tecnologia materiale e questa ai rapporti e alle forme di produzione e di proprietà, nonché all’organizzazione sociale e statale esistente. Ecco perché in genere è l’arte a schiudere i primi segnali rivoluzionari del cambiamento di un’epoca.

La cultura e l’arte appaiono opera di singoli spesso misconosciuti solo perché le rivoluzioni si presentano sempre a minoranze, a gruppi di avanguardia, a partiti minoritari. Quando i principi ispiratori di queste opere diventano dominio generale delle accademie, delle istituzioni statali, delle chiese – tutte forme equivalenti di trasmissione di ideologie – allora diventano conservatori e controrivoluzionari.

La differenza non va dunque ricercata tra scienza e arte, tra intuizione e intelligenza, perché nei trapassi tra le grandi società classiste e nei balzi conoscitivi che ad esse corrispondono è sempre l’intuizione ad essere rivoluzionaria, mentre l’intelligenza è conservativa. L’intelligenza, la conoscenza analitica segue sempre l’intuizione sintetica, la conoscenza avanza per la via della intuizione.

Complessivamente i risultati di tutte queste grandi tappe storiche si sommano e formano quel bagaglio dell’umanità, quella dotazione storica trasmessa dal passato sulla quale noi marxisti lavoriamo e su cui costruiamo i termini della futura conoscenza di specie, nella ultima parte avanzante e decisiva della sua dinamica.

Siamo perciò ritornati alla questione da cui avevamo preso le mosse: la funzione del partito e la natura della sua azione rivoluzionaria, la sola per cui possa avere un significato conclusivo tutto quanto è stato finora esposto.

«Il comunismo è il risolto enigma della storia», abbiamo affermato con Marx; ciò significa che la soluzione esauriente e definitiva di tutti gli enigmi che hanno tormentato gli uomini attraverso la storia potrà aversi solo nel comunismo, nella società comunista realizzata.

Tuttavia abbiamo infinite volte ripetuto che per noi questa società esiste in un certo senso fin da ora, anticipata nel partito comunista che ne possiede la dottrina, in modo definitivo, mai completa e sempre approssimata, ma la possiede ed è il solo soggetto che può possederla.

Non solo sappiamo che l’umanità uscirà dagli enigmi millenari della storia quando avrà una economia comunista, ma abbiamo il coraggio di affermare in opposizione al triste squallore della decadenza attuale che ne è già uscita nella totale vittoria teorica del marxismo, vivente nel partito. Possiamo affermarlo non perché possediamo la scienza così come la conquisterà l’umanità nel comunismo, né la organizzazione sociale che la potrà produrre, ma ne siamo usciti pienamente attraverso una anticipazione intuitiva. La nostra dunque, in senso rivoluzionario, è un’intuizione, quindi contiene ancora riflessi delle scuole che appaiono condannate dal corso dello sviluppo storico; della scuola del pensiero e dello spirito, della scuola della coscienza soggettiva e della scuola della stessa interpretazione teologica dell’umanità, di tutti i sistemi di pensiero che si sono stratificati nella storia e che hanno costituito gli strati di quella tale geologia della conoscenza che è aderente alle ere della geologia terrestre.

Scrivevamo in "Chiesa e Fede - Individuo e Ragione - Classe e Teoria": «Tale studio, come per la natura cosmica o terrestre, si porta sul passato e, sui dati che se ne posseggono, sul presente, e tende nei limiti della possibilità a trovare leggi di sviluppo applicabili anche al futuro. È naturalmente comprensibile a tutti che il materialismo marxista appena nato non trovò e registrò di colpo tutte le leggi scientifiche sociali né le codificò, nemmeno nelle opere monumentali come "Il Capitale", in testi che per i seguaci ed i militanti del movimento si pongano come definitivi. La ricerca e la elaborazione continuò e continua, non potette non dar luogo a divergenze e contrasti che, se non si chiamarono Concili, Scismi, Eresie, si chiamarono Congressi, revisioni, scissioni politiche. Ma ciò non toglie che il movimento nel suo insieme non può vivere e vincere senza un filone dorsale della dottrina, grezzo se si vuole in qualche parte, che attraverso la lotta deve essere portato intatto nel suo tronco vitale fino alla vittoria.» (Battaglia Comunista, n. 17 del 1950).

La nostra cognizione non può avere il valore di cosa perfetta, non ha pretese di carattere scolastico, accademico, che sono poi state sempre caratteristiche delle ideologie conservatrici e controrivoluzionarie, ma ha carattere essenzialmente di partito, essendo il partito il soggetto di questa posizione che liquida le antiche contese ideologiche e sovrappone ad esse una nuova teoria e una precoscienza della società futura.

Procediamo per intuizione quindi, ma non siamo un movimento artistico secondo l’interpretazione individuale e alienata borghese, né cerchiamo l’avallo della ufficialità scientifica.

Per la stessa adesione alla milizia rivoluzionaria di partito non è mai stato né mai sarà chiesta una razionale cognizione della teoria marxista, ma fede ed entusiasmo nella lotta per il comunismo, così come il travaglio sociale che porterà il proletariato alla conquista del potere politico sarà il risultato della fusione tra la spontaneità irrazionale e confusa dell’odio proletario verso il capitalismo e precoscienza attiva del partito, che insieme genereranno un movimento in marcia verso una società comunista sognata, intuita. Non possiamo procedere esclusivamente con gli strumenti della intelligenza perché solo la società libera dalla dominazione di classe borghese e dalla eredità di tutte le precedenti potrà intelligentemente vivere e costruire la futura scienza della specie umana.

Oggi le verità per cui esistiamo e combattiamo non chiedono solo prove, ma fede, non solo dubbio critico, ma lotta, non solo ragione, ma forza; il suo contenuto non è arte né scienza, benché il lavoro di partito sia anche arte e scienza, si chiama rivoluzione. In questo senso il partito comunista può essere il solo depositario della scienza di domani, il solo ambiente in cui si condensa ciò che oggi può definirsi scienza, al di là della possibile ignoranza dei singoli militanti.

Scrivevamo in "Il Programma Comunista", n. 23 del 1959: «La sorte della scienza, il suo illimitato sviluppo al servizio dell’umanità è legato inscindibilmente al comunismo rivoluzionario, al marxismo. Nell’attuale fase putrescente del capitalismo che annuncia la sua morte, il genuino partito comunista è la serra che consente alla scienza, a quanto ha ancora diritto a considerarsi tale, di mantenersi in vita e di sopravvivere».

Tutto questo ci aiuta a capire perché non sarà mai abbastanza corrosiva la nostra critica ai postulati della scienza borghese e che il nostro atteggiamento non può che essere di totale demolizione nei suoi confronti: neghiamo che siano progressivi la sua tecnica e i suoi perfezionamenti, l’ingegneria, le scoperte delle sue università, la sua scienza tutta; non ci suggestiona la frenesia iperbolica dei suoi progressi perché in essi non leggiamo che regresso.

La borghesia ha preteso di costruire l’edificio della conoscenza a forma di piramide, alla cui base colloca le cosiddette scienze esatte: la matematica, la fisica, la chimica, le discutibili scienze biologiche, e salendo verso l’alto colloca negli strati superiori le «scienze imperfette» e soggettive, la psicologia, la sociologia e al vertice la più aleatoria di tutte, la filosofia. Questa piramide, riflesso dell’incertezza sociale della società borghese e della sua intrinseca impossibilità di rispondere ai bisogni della specie, sarà abbattuta e capovolta dalla rivoluzione comunista che introdurrà al vertice della conoscenza innanzi tutto la chiarezza nei rapporti all’interno della specie umana e nel suo modo sociale di vivere, la chiarezza che noi appunto in forma intuitiva anticipiamo nel partito.

Da questa certezza, vera e sola scienza esatta dell’umanità, si partirà per ridiscendere lungo la piramide e ricostruire tutto l’edificio in senso inverso: la psicologia, la fisiologia, la biologia, la chimica e in ultimo fisica e matematica.

Buona certezza scientifica della verità sarà raggiunta dall’umanità solo molto tempo dopo la rivoluzione comunista e appartiene alla più alta dialettica del determinismo marxista la nostra posizione storica secondo cui il passo decisivo e finale in questa direzione spetta alla classe incolta, ai senza scienza: alla classe dei diseredati.