Partito Comunista Internazionale Indice La Teoria marxista della Conoscenza

 
 

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Contro il falso neutralismo della scienza
La via diritta della lotta di classe
Riunione di Firenze, 20-21 settembre 1986








Riassunto del Rapporto ("Il Partito Comunista", n. 146 del 1986)
 

Per ultimo fu ascoltata la conclusione del rapporto di critica delle contemporanee mode filosofiche borghesi che, come da un secolo e mezzo, non cessano di attaccare dai due fianchi la trincea del materialismo dialettico: da un lato l’idealismo che afferma il primato se non l’esclusività del pensiero sulla vita materiale, dall’altro il materialismo volgare negatore del valore della storia e della coscienza in essa. Si individuano le origini della attuale crisi del pensiero borghese nella oggettiva crisi sociale generale che l’affligge, che lo porta, in tutte le sue diverse fallaci scuole, a conclusioni pessimistiche o di meschino rattoppo per risolvere in via di principio la contraddizione vivente fra mondo sociale e mondo naturale. L’empirismo ci accusa di antropocentrismo, cioè di vedere solo l’umanità divisa in classi e la loro lotta ignorando la nostra dottrina l’ambiente naturale esterno e i progressi della sua conoscenza; ci accusano insomma di fare solo «politica». La complessa visione materialistica storica non nega che i due «mondi», o quei tanti in cui si voglia dividere l’universo per comodità analitica, esistano, con loro rispettive necessità evolutive; afferma però 1) che questi mondi non sono fra loro isolati ed autonomi, e che 2) esiste un determinismo che assegna una precedenza alla realtà materiale sulla storia dei viventi e, ulteriormente scendendo la scala, sui loro affetti e, quindi, sulla loro coscienza. Per il marxismo l’uomo, la sua storia, la sua coscienza sono parte della realtà oggettiva.

Il marxismo con questo non nega la complessità e anche l’asprezza delle forze e determinazioni all’interno del mondo delle cose fra le quali ci sono le classi, le loro sofferenze, le loro lotte e i loro partiti; afferma che unico soggetto possibile in una società divisa in classi capace di descriversi e prevedere simili urti è solo il partito anonimo dell’ultima delle classi, e che la soluzione delle contraddizioni classe-società come umanità-natura non è nel pensiero ma nello scontro medesimo, nel quale le precedenti determinazioni si invertono, la debolezza diventa forza, l’ignoranza sapienza. Nella Rivoluzione armata, nel nuovo ordinarsi della vita sociale senza classi, il vero avviarsi dell’umanità ad una ricomposizione del suo mondo lacerato.

La riunione si scioglieva a metà del pomeriggio della domenica, con soddisfazione di tutti.
 
 

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Rapporto ("Comunismo",- n. 23 del 1987)
 
 

 Gli ultimi scorci di secolo sembrano aver innescato un sentimento diffuso di attese e di catastrofismi in tutti gli ambienti sociali borghesi, specialmente tra i maestri delle «scienze umane» che si affannano a proporre ricette di salvezza, e, in qualche occasione, disperazioni aristocratiche del tipo «aprés moi le déluge».

In questo clima confuso e contraddittorio, chi per lungo periodo storico si è allenato a mantenere i nervi a posto in virtù della propria scienza di classe, non si meraviglia della sarabanda fine-impero; il nostro partito e la nostra tradizione storica non hanno niente da cambiare alle tesi fondamentali riguardanti lo sviluppo sociale capitalistico, la sua natura, nascita, sviluppo e morte. Abbiamo sostenuto, nel nostro anche recente lavoro teorico, che pur non essendo ciechi di fronte alle distinzioni, spesso capziose, del pensiero borghese, queste non saranno capaci di salvare il cadavere ambulante, che nessun respiro potrà essere infuso ad un sistema di vita destinato al disfacimento.

Ci confermano in questa valutazione il pessimismo che pervade sia il mondo della scienza ufficiale sia il pensiero più generale, fino alle categorie dello spirito umano considerate immutabili ed assolute, come la religione, l’arte, la filosofia. Mentre abbiamo dedicato attenzione alla ripresa dello spirito di indagine teologica e a volte esoterica sul significato dei tempi ultimi, del tempo dello Spirito, secondo le dichiarazioni di sacerdoti e sciamani di varia provenienza, pensiamo che il Partito debba occuparsi con nettezza di giudizio secondo la sua organica tradizione, alla definizione dell’attuale crisi della scienza e della filosofia borghese.

Premettiamo che non è facile aggirarsi con disinvoltura nella congerie di scuole, risse tra scuole, distinzioni e sottodistinzioni di correnti (già Engels e Lenin ironizzavano sulle decine e decine di idealismi che mentre pretendono di farsi la guerra, sono riconducibili facilmente alla stessa matrice borghese fondata sull’agnosticismo di base in rapporto alla natura del concetto di Realtà e Materia, sullo scetticismo gnoseologico, sul probabilismo statistico in rapporto ai fenomeni materiali, e via dicendo); ma, pur essendo consapevoli del necessario schematismo a cui facciamo ricorso, proprio perché non indulgiamo agli accademismi, intendiamo indicare ai militanti del Partito e al proletariato più combattivo e cosciente, le caratteristiche fondamentali dell’attuale discussione sulla Scienza e la Filosofia.

La grande aspirazione incompiuta (e noi sosteniamo: sempre più destinata a finire in brandelli) della filosofia laica dall’avvento al potere della borghesia alla fine del settecento ad oggi, è quella di unificare la coscienza umana della Realtà, soggettiva e oggettiva, in nome dell’oggettività e neutralità del Sapere.

Non ci si lasci fuorviare se questo intento e questa aspirazione si sono e continuano come non mai ad alimentarsi di dubbio (più o meno metodico) o di sentimento della Distruzione (vedi le correnti nichilistiche dalla fine del secolo ad oggi): nonostante l’impossibilita (da noi da sempre sostenuta) d’una unitaria coscienza di specie, la borghesia come classe è condannata ad inseguire questo fantasma, se non altro per giustificare il suo dominio di classe, la sua istintiva tendenza a sopravvivere, come è proprio di qualsiasi corpo vivente, sia pure sconnesso e proteiforme come è l’attuale regime sociale. Dunque, non sottovalutiamo lo sforzo di stabilire il punto della situazione attuale come viene tentato dalla scienza ufficiale.

Le correnti neo-razionalistiche tendono a liberare la teoria dall’antropocentrismo e la realtà dalla Storia, aspirando ad una visione della oggettività naturale e umana neutrale, senza animismi, romanticismi e intrusioni soggettivistiche.  Il programma è ambizioso: ma l’arco che si tende dall’Illuminismo al neo-positivismo non può certo vantare grandi successi. Lo stesso teocentrismo che rivendica il ritorno ai fondamenti dell’Essere come Persona, non sarebbe che «antrocentrismo differito, cioè espresso in forma indiretta» (Colletti).

Dopo che abbiamo preso in considerazione il cosiddetto pensiero forte e certe sottigliezze del cosiddetto pensiero debole, intendiamo analizzare quei filoni di pensiero che, richiamandosi al realismo kantiano e alla sua capacità di distinzione da certe istanze positivistiche e logiche nemiche d’ogni irrazionalismo e fideismo, in ultima istanza, e lo mostreremo, non sono poi tanto lontani dagli atti di fede dei loro presunti nemici filosofici.

È noto che certe forme d’opportunismo politico e metodologico si vantano oggi di apprezzare il nostro Engels «positivista ed evoluzionista» contro Marx «sognatore e romantico», troppo intriso di dialettica Hegeliana e di fideismo rivoluzionario. Per noi deterministi, potremmo dire che piove sul bagnato, nel senso che non ci siamo mai lasciati abbindolare dalle tematiche soggettivistiche e piccolo-borghesi a base di coscienza e di attivismo a tutti i costi: ma teniamo a smentire questa presunta frattura Engels-Marx poiché è su questo tema che s’incentrano i tentativi di scardinare la dottrina marxista.

Senza illuderci, anzi, respingendo la meccanica tentazione di far corrispondere a precise formazioni politiche le corrispondenti matrici di pensiero, non essendo disponibili a identificare il pensiero progressista-borghese con il neo-positivismo, e la destra fascistoide e conservatrice con le correnti irrazionalistiche e religiose, noi consideriamo che ormai anche sul terreno ideologico il gioco delle parti non è in grado di capovolgere la tendenza storica al crollo dell’imperialismo. La riserva di razionalità del capitalismo illuminato consisterebbe nel recupero del realismo dei fatti e delle operazioni logiche proprie delle forze emergenti e innovatrici, mentre la fiducia nelle idee-forza, nei valori non riducibili a schemi logici sarebbero appannaggio della reazione in senso stretto.

In questo schema di bilancio, tipicamente opportunistico-socialdemocratico, esisterebbe un filone, o triade, che da Hegel porta a Marx e infine ad Heidegger, al quale sarebbe da opporre il razionalismo critico che dal recupero di Kant conduce al meglio del positivismo storico, fino ai neo-epistemologhi come Popper e altri.

Nella triade Hegel - Marx - Heidegger si affermerebbe che la Realtà è Storia: con il che essa non intenderebbe la storia del pianeta terra, ma proprio e soltanto la storia umana, cioè la storia avvenuta, a partire da un certo momento a opera della nostra specie. è questo uno dei punti dolenti dell’ideologia borghese: quale modulo proporre o seguire nel passaggio dalla natura al soggetto o Uomo; portando alle estreme conseguenze questo dilemma bitagliente, la scienza del capitale o porta alla esasperazione il significato della realtà contingente, fino al punto d’idolatrarla come in certe forme di positivismo metafisico, o accentua il valore della soggettività, ed in quel caso rasenta lo psicologismo fino all’esistenzialismo egoistico e nichilistico. E tutto ciò non a caso: poiché la necessità storica del capitale di strappare all’oggetto la sua intima costituzione ed i suoi segreti lo ha spinto a violarlo e manometterlo, mentre dall’altra parte questo è possibile solo esaltando a livello di divinità i poteri della coscienza. La dannazione della scienza borghese è proprio questa, come passare dallo scoglio Scilla al flutto Cariddi senza rompersi l’osso del collo: eppure è nella prassi, è nel mangiare che sta la prova della bontà del budino! Allora l’ideale d’un sapere asettico e neutrale, né esasperatamente intriso di emotività e di sentimento, né eccessivamente asettico da diventare disumano diventa il nuovo feticcio a cui sacrificare qualsiasi vittima. È quello che sta avvenendo, si badi bene, non ad opera della «reazione» pura e semplice, ma delle forze «progressiste e razionali».

Il marxismo non nega di trovarsi esso stesso di fronte a questo grande problema che è il cuore d’ogni vera grande filosofia e tentativo di conoscenza integrale della realtà: non senza cedere alle facili scorciatoie del Presente attualmente inteso, riconosce che questa questione potrà essere razionalmente chiara solo nella società senza classi ("Critica al programma di Gotha").

Nel frattempo, certamente non a semplice titolo di giustificazione contingente, rivendica alla natura organica del Partito la Fede che solo un’azione storica, attuale e legata al programma che si è maturato nelle moderne condizioni della lotta di classe, è capace di recuperare il passato e di proiettare nel futuro il patrimonio della specie umana, non chiusa nella sua ottica ma aperta all’integrazione con la realtà naturale. Solo la compagine militante del Partito è in grado di accogliere dialetticamente le intuizioni di umanità compiuta nella sua essenza, fiorite in altre civiltà del passato, dal mondo greco che ne ha avuto sentore e una certa consapevolezza critica ad altre espressioni umane d’ogni parte della terra. Per questo il legame col passato, la tradizione di lotta non è una semplice e meccanica volontà di vendetta nei confronti delle forze che storicamente hanno impedito alla umanità d’essere specie, ma Ragione e Programma cosciente.

Nel Partito formale e storico che fa suo questo programma sono invece respinte sia nella sua vita attuale che nella sua espressione virtuale rivolta al futuro tutte quelle espressioni di sopraffazione di classe che se per contraddizione hanno avuto la funzione storica di spingere in avanti la liberazione dell’uomo, hanno portato con sé le stimmate dell’odio e della chiusura tipica d’ogni società di classe, sia essa aristocratica o democratica. Per questo nella concezione comunista matura non entrano le versioni d’un comunismo elitario e di razza che possiamo riscontrare nella visione platonica della società o nelle più vicine a noi utopie tipo Città del Sole o nuova Atlantide.

La negazione da parte della nostra tradizione della consistenza del pensiero borghese e della sua pretesa capacità di mettersi dal punto di vista dell’umanità, è confermata dall’inconfondibile bisticcio di idee e di ipotesi della filosofia corrente.

L’impossibilità dello storicismo borghese ed opportunista d’integrare il passato col presente è di proiettare il filo del tempo nel futuro e la consumazione del tradimento del programma storico, non un fatto morale, come abbiamo ripetutamente affermato: non è stato e non è una questione d’astuzia o di sentimento negativo, ma la rinuncia a scoprire le leggi della natura e della storia, la pretesa di edificare la società soggettivisticamente ed esistenzialisticamente, senza legame deterministico col passato, secondo una presunta opera di libertà che è al contrario arbitrio ed abbandono della lotta di classe.

Così anche la rivendicazione del passato per noi non è nostalgia né stato psicologico che pretende di far diventare attuale quello che è invece virtuale, oppure rinculo verso scoperte o intuizioni di generici maestri del pensiero e della scienza, anche lontani dal nostro programma politico per ragioni d’immaturità storica: per parafrasare una celebre affermazione di Proust riferita all’arte, ma che noi possiamo applicare alla nostra lotta per il comunismo, vero e proprio futuro Principe senza scettro e senza inutili retorici allori, «non siamo affatto liberi, non la componiamo a nostro piacimento, ma preesistente prima di noi, dobbiamo, dacché è necessaria e nascosta, e come faremo per una legge di natura, scoprirla». Gli epistemologi che si definiscono «razionalisti critici», sono ciechi proprio di fronte all’integrazione di tradizione, presente ed avvenire della scienza e del sapere, che per noi è una realtà unitaria, non riferibile né al puro mondo della logica, o a quello istintivo del sentimento, o a quello oscuro e fagocitatore d’un imperscrutabile Ragione.

Essi frugano alla cieca nel passato, oppure come nella classica definizione recentemente enunciata da Popper, «cercando un cappello nero, in una stanza nera, d’un uomo nero che forse non c’è», oppure, i più idealisti di loro, stabiliscono un filo meccanico di congiunzione tra espressione di scienza e d’arte o di pensiero, tra loro contraddittori. Questo accade quando si pretende l’esistenza d’una storia del pensiero astratta, indipendente dalle classi e dalla loro lotta, una generica lotta di idee, in nome del principio ideale del conflitto inevitabile delle opinioni e della ricerca. Non è indifferente, nella storia della umanità, trovare analogie e conferme in maestri del passato indipendentemente dallo schieramento dalla parte dei soggetti o dei detentori del dominio nell’ambito del loro presente storico: le scoperte di Aristotele nell’ambito della dialettica rimangono scoperte che hanno ampiamente giustificato lo schiavismo con la più oggettiva e serena disinvoltura. La scoperta della dialettica del concreto da parte di Hegel non gli ha permesso di andare oltre le celebrazioni dello Stato prussiano.

Non è casuale che anche quando Marx riconosce ad Hegel il merito di aver scoperto la dialettica nel campo del pensiero, sostiene la necessità del rovesciamento del sistema, e non con un semplice escamotage verbale. Questo non significa una meccanica ricostruzione dell’attitudine «politica» del pensiero del passato, secondo l’accezione prosaica che questo termine ha acquisito, e non per colpa nostra, ma la negazione che i risultati scientifici del passato possano essere integrati e legati tra di loro secondo un puro e semplice modulo logico, senza tener conto del tessuto storico nel quale si siano manifestati e trascurando gli interessi e la visione della realtà che hanno più o meno direttamente incarnato o interpretato.

In questo andamento «libero» della ricostruzione della vita del «pensiero» e della conoscenza si pretende di volare arbitrariamente dalla terra ai cieli, passare disinvoltamente dal campo della esperienza, anche quella più prosaica generalmente schifata, a quello rarefatto della metafisica, illudendosi di trovare o le intime convinzioni o le irriducibili opposizioni. Ma, abbiamo in altre circostanze sostenuto, come può l’homo sapiens borghese guardare liberamente ai cieli, conoscerne le leggi, se non è in grado di governare la terra? Ecco la natura del nostro presunto geocentrismo che non del tutto respingiamo, senza però affermare d’essere l’unica realtà storica e teorica già uscita e proiettata in una dimensione autenticamente relativistica e liberata dalle ipoteche dell’esistenzialismo-soggettivismo che inevitabilmente premono da ogni parte. Come può pretendere l’homo sapiens borghese e i suoi reggicoda e solidali delle correnti religiose e reazionarie, pretendere di amare Dio, se non è in grado di amare l’uomo? Marx nel "L’Ideologia Tedesca" polemizza con tutte quelle correnti di pensiero che oscillando da un neutralismo ancora di stampo illuministico ad un umanesimo esasperato fino al nichilismo individualistico, non riconoscono il primato che a livello di civiltà ha assunto il rapporto inscindibile uomo-natura.

Secondo i neo-cultori del primato della realtà materiale la visione di Marx secondo la quale «questa natura che precede la storia umana oggi non esiste più da nessuna parte, salvo forse in qualche isola corallina australiana di nuova formazione», sarebbe viziata da un evidente sbilanciamento idealistico ed hegeliano! È chiaro che la sola «natura» presa in considerazione da Marx è quella dell’uomo legato indissolubilmente all’ambiente che egli trasforma con la sua attività pratica; ma questa concentrazione sulla storia non è affatto esclusiva ed unilaterale: ancora oggi solo la teoria marxista ed il suo coerente materialismo rivendicano la precedenza della realtà materiale sulla coscienza, né pretende di risolvere nella storia la realtà in sé della materia.

È proprio dalla ripresa delle concezioni teocentriche della realtà (siano esse a sfondo religioso o attualistico in senso laico) la rivendicazione del primato del soggetto e della metafisica della Interiorità. Anzi, in un atteggiamento neanche tanto nascosto di rivincita contro la concezione materialistica coerente, si tira un respiro di sollievo alla constatazione che la «mistica rivoluzionaria che fu del comunismo» è abbandonata e in disarmo. «Vero è che oggi questa mistica si è spenta a tal punto che è persino difficile evocarne il ricordo; non che il comunismo non ci sia più, che non rappresenti un pericolo, ma quel che è certo e che non è sentito come quella religione che doveva sostituirsi al cristianesimo di cui parlavano i Gramsci, i Lukac, i Block» (A. Del Noce).

A parte le citazioni molto discutibili è indubbio che sono state proprio le correnti idealistiche ed opportunistiche revisionistiche a negare quella mistica comunista che noi rivendichiamo, come quella organica unità di sentimento-intelligenza-ragione che solo è detenuta dal Partito combattente, come forza pratica ed attiva, e non semplicemente intellettuale astratta.

Dai celebri titoli di Croce (quel che è vivo e quel che è morto nella dialettica hegeliana, ad esempio) l’impotenza borghese è costituita proprio da questa cernita nella storia umana tra i detriti ed i semi, l’incapacità d’intendere il nesso tra passato ed avvenire, l’opera di scarto o di pura e semplice demolizione, o di arbitrarie integrazioni con la classica regressione delle categorie spazio temporali che sono tipiche dei sistemi di pensiero attualistici ed idealistici in generale. In un polo apparentemente opposto le correnti neo-razionalistiche e neo-positivistiche si sono sbizzarrite riguardo alla metafisica, che non hanno saputo valutare nella sua funzione storica: l’accumulazione di pensiero assume in certe occasioni storiche una funzione di propulsione rivoluzionaria in contrasto con la deludente e caduca empiria; ma il marxismo, senza condannare acriticamente non è stato mai disposto a riconoscere a certe espressioni filosofiche una vita indipendente ed avulsa dalla pratica sociale. Le comode distinzioni tra memoria sociale accumulata rivolta all’utile, e sapienza pura indipendente dalla realtà naturale e storica, sono le facili giustificazioni di chi non è in grado di riconoscere la reciproca influenza ed interdipendenza tra teoria e pratica.

In questo senso le recriminazioni secondo le quali le correnti storicistiche borghesi sarebbero per loro natura anti-moderne e indifferenti alle grandi svolte teoriche-scientifiche del nostro tempo, non grattano che in superficie, perché presupporrebbero un andamento lineare dello sviluppo della dialettica tra le classi, tra forze antagonistiche; con la fisiologica caduta nell’antico in rapporto al moderno, delle superate condizioni di vita in rapporto alle nuove. E falsa è la polemica dei neo-razionalisti che relegano il vero materialismo storico tra quei rigurgiti di filosofia della storia preoccupati solo della dialettica sociale e indifferenti alle grandi scoperte, puramente scientifiche, che avrebbero spinto l’umanità verso giuste direzioni, da Newton e Galilei ad Einstein. Ci sarebbe piuttosto da chiedersi per quali ragioni lo spiritualismo metafisico comunque mascherato tenda a prevalere sulla sede di scienza oggettiva di consistenti correnti a sfondo empiristico. La ragione sta per noi nelle contraddizioni di classe: l’urgenza è la necessità di difendere «l’universo storico borghese» ha avuto la prevalenza sulle pure pressanti questioni della conoscenza della natura, perché le classi ereditano non solo un patrimonio tecnico, ma una congerie molto complessa di stratificazioni ideologiche, a lunghezza e profondità d’onda più o meno coincidenti, dalla religione all’arte, ai pregiudizi, alle credenze in generale.

Sia pure in modo sommario e schematico dalla rivoluzione inglese del ’600 a quella francese dell’ ’89, presto la borghesia ha dovuto ripiegare sull’appoggio sia pure indiretto delle classi sconfitte. Di fronte al sorgente proletariato moderno ha ceduto sul suo programma sia politico che conoscitivo in generale. Le ragioni della storia come storia delle classi dominanti hanno piegato alle loro necessità le velleità di verità senza aggettivi, come pure l’antropocentrismo il teocentrismo o altro. Non è mai stata la storia umana una pura questione di lotta di idee, ma di urto di interessi di base e delle loro incombenze materiali.

La ripresa dunque d’interesse per la metafisica sotto il nome di metafisica influente noi l’intendiamo come fallimento della teoria generale borghese della storia di risolvere la metafisica nella fisica, le idee nella natura. Lo stesso positivismo storico, con la sua idea di ridurre la filosofia a semplice metodologia, ha dovuto cedere per la prevalenza delle Ragioni storiche della borghesia nelle sue varie componenti; non ha saputo purgare il suo stesso linguaggio dalle confusioni e dagli equivoci, oltre che far chiarezza logica sulle antinomie interne dei suoi postulati di base: si pensi alla formula apparentemente di per sé evidente secondo la quale il principio di induzione non avrebbe bisogno di dimostrazione e di fondazione teorica. Rimaniamo dunque fedeli alle violenti staffilate di Marx contro i merdosi fatti che altro non sono che risultati storici mai riusciti a protocolli o elementi atomici indipendenti e sovrani.

I neo-razionalisti si lamentano che tale metafisica influente generalmente si riduca ad Antica Alleanza biblica tra cielo e terra, o consolazione e medicina del l’anima. Vuol dire che c’è ancora tanto da consolare, fallite le promesse di liberare l’uomo da queste necessità e aperte una volta per sempre le porte della sua affermazione dalle antiche soggezioni. Ma non vogliamo sottovalutare le velleità di una «ricostruzione razionale della scienza» e ne vogliamo seguire gli sviluppi per verificare le concrete possibilità.

Secondo questi restauratori della Ragione la filosofia della scienza non deve guardare tanto alla scienza reale, a come viene effettivamente praticata (ciò che invece può interessare la storia, la sociologia, e la psicologia della scienza), ma piuttosto ad un suo «sostituto logico». Il compito assegnato al filosofo è quello di analizzare certi concetti metodologici (ad esempio chiarire che cos’è una spiegazione, una conferma, una verifica) o mettere in forma logica trasparente i prodotti finiti della ricerca scientifica (ad esempio assiomatizzare le teorie, cioè dare dignità formale ad esse) o rendere esplicite le relazioni infra o inter teoriche (M. Pera).

Ma come trattare la crescita, il progresso, la dinamica della scienza, cioè il sapere reale (vedi il problema storia-logica). Popper ad esempio dice che quando gli scienziati abbandonano una teoria per un’altra lo fanno per ragioni obiettive, precise, chiaramente formulabili e valutabili secondo la logica. Lo fanno appunto perché hanno un metodo. Per chiarire questi nessi propone di dividere la realtà in:
I) mondo primo, il mondo delle cose materiali (poniamo strumenti o libri),
II) il mondo dei sentimenti personali (passioni, emozioni, idiosincrasie, ecc.),
III) il mondo della pura logica, delle idee, indifferente alla pura empiria ed alle stesse motivazioni soggettive di qualunque sia soggetto. Come si vede, niente male, ma lo stesso marxismo teorico non ha mai sottovalutato certi passaggi propri della logica dialettica.

Il problema non solo aperto, ma che si complica nelle mani del razionalista critico, è che tra i tre mondi di base ci sono, ed oggi si tendono a scoprire un infinità di mondi di confine (appunto un’infinità di mondi possibili) ognuno dei quali reclama a sua volta uno statuto o codice particolare, i suoi diritti, i suoi fili spinati, le sue guardie e le sue dogane.

Niente di nuovo sotto il sole, se già il grande Spinoza, come prima Machiavelli, si proponeva di analizzare l’uomo e la realtà non per come si vorrebbe che fosse, ma per quello che è, senza considerare estranea alla «scienza» e dunque alla conoscenza proprio quei mondi che apparentemente si presentano come refrattari alla logica astratta, alle deformazioni e ai simbolismi. Il marxismo compendia queste esigenze appunto senza mai proporre un’immagine di mondi distinti assolutamente e schematicamente incomunicabili, facendo uso strumentale e consapevolmente approssimativo delle matematiche e dei sistemi di formalizzazione, affermando una unità complessiva della realtà che è e non contiene i suoi aspetti differenziati, che respira nelle sue espressioni fenomeniche ed anche non immediatamente visibili o possibili. Ma soprattutto rivendica la pratica non come principio cieco d’azione in sé, ma come relazione di forze materiali e sociali, il terreno privilegiato della verità, il luogo dinamico nel quale le soluzioni impossibili a tavolino si manifestano come praticabili ed anzi necessarie (vedi l’assalto al cielo della Comune, vedi la necessità di lottare sul terreno dello scontro di classe non all’ombra dei Templi, ma a contatto con la classe e contro i suoi nemici).

È invece proprio sul terreno della transizione tra i tre mondi che la «ricostruzione razionale della scienza» fallisce, perché gli epistemologi, nonostante il riconoscimento della funzione del «sapere accumulato» e delle metafisiche influenti, sono affascinati, come del resto ogni forma di opportunismo (da leggere come significava alle sue origini, ricerca della via più breve, più economica, per raggiungere il risultato) dall’economia delle idee, dal terzo mondo della logica che stentano a riconoscere come un’approssimazione utile, ma che si allontana e si rarefà in un ambito vero in sé, quasi perfetto nell’assiomatizzazione e nei postulati. Per questo, la ricostruzione razionale della scienza, confina sempre più con gli esiti religiosi e reazionari, romanticoidi e nostalgici delle metafisiche tradizionali. Anche la scienza in molti di questi autori, tende ad essere identificata nella tendenza, a fondamento della quale non ci sarebbe che un fondamento infondato né vero né falso, e dunque insondabile come sarebbe appunto la vita stessa. Inutile lamentarsi allora se le posizioni filosofiche dei sistemi post-kantiani si sono determinati innanzi tutto da posizioni religiose, se i loro temi filosofici esprimono atteggiamenti e motivazioni teologici, per questo tutti in opposizione al kantismo, tutti animati dal desiderio di riconquistare per l’uomo quel posto centrale nell’universo che gli assegna la teologia mistica e che la rivoluzione copernicana gli ha invece fatto perdere. La comodità che alletta la ricostruzione «razionale della scienza» consiste nell’illusione di ridurre il I e il II mondo al III, quello platonistico e ideale della pura logica; una ricostruzione a tavolino, fatta di collages, d’immagini elevate a sistema, di fatti tradotti nella maiuscola della impossibilità di essere spiegati.

Notoriamente, al di là di facili scorciatoie della filosofia cha aveva già abbastanza contemplato il mondo, Marx oppone il terreno accidentato e difficile della pratica sociale, della lotta, escluso una volta per tutte che il regno dell’economia e del vitale sia da identificare semplicemente con l’istintualità e l’emozione: scoperto che il terreno delle forze produttive non è cieco e senza una trama logica; anzi, riconosciuto che in quel magma di interessi contrapposti risiede la dinamica che giustifica le sovrastrut-ture della politica, dell’arte, della religione e del pensiero in generale. Ed allora emerge con chiarezza che la tendenza borghese a giustificare gli errori e gli istituti dell’economia come forze cieche, naturali, dominate dalle famose «ferree leggi» alle quali non si può sfuggire, come demoni che governano un loro dominio, è la loro sublimazione, la rassegnazione a lasciarsi dominare da essi o il desiderio di saltarli a piedi pari con le ali dell’ideale politico, della purezza del pensiero, con potenza salvifica della religione, magari immanentistica e laica della libertà.

La via che viene invece indicata dal marxismo è quella aspra e diritta della transizione difficile, non indolore, che culmina nel riconoscimento che «ad un certo grado di sviluppo delle forze produttive queste vengono in conflitto con i rapporti di produzione, e tendono inevitabilmente a rovesciarli per instaurare altre forme sociali».

La lotta per la presa del potere politico, la dittatura del proletariato è quella transizione necessaria che nega tutte le facili vie dell’aggiustamento pacifico, della espansione graduale, della soluzione della conflittualità attraverso i pannicelli caldi del «diritto» e della buona volontà.

Nella gestazione infine della «ricostruzione razionale della scienza» dobbiamo tener conto della funzione dei «guastatori» come Kuhn e soprattutto Feyerabend, i quali obiettano che se si guarda alla scienza reale con l’aiuto della storia e della logica si scopre che nella pratica scientifica il riferimento al metodo è carente o diventa addirittura un «ornamento verbale». Feyerabend mostra che non c’è una buona regola che non venga prima o poi violata, per cui «tutto va bene», e che ciò avviene non per capricci personali, ma per ragioni oggettive. Di fronte alle esibizioni degli anarcoidi per i quali esiste la vita e la natura e per i quali la teoria è un lusso inutile e fuorviante, il materialismo storico ha da ribadire che mai ha avuto intenzione di idolatrare la sua visione astratta del mondo, di essere sempre stato consapevole che la teoria può diventare essa stessa «ideologia» nell’accezione deteriore; chi infatti ha posto sotto l’urna di vetro mummie materiali ed ideali sono stati i traditori del cosiddetto Diamat, istituendo una Santa Inquisizione con tanto di rituali e processi; i sacerdoti della purezza e della conservazione formale hanno così riaperto la strada al dualismo tipicamente sacrale tra attività pratica e principi teorici, riaffermando l’attitudine chiesastica alla rigidezza in dottrina e la più sfrenata disponibilità ai peggiori commerci nell’ambito della pratica sociale.

I «guastatori» dovrebbero spiegare meglio perché le regole del metodo saltano, e per quale tipo di ragioni oggettive (storiche, naturali, logiche?). Noi non temiamo di sostenere che la teoria come «guida per l’azione» non ha un valore in sé, ma in rapporto alla pratica, alla lotta, e che proprio in quanto è un utensile, non siamo disponibili a gettare uno strumento utile sia pure vecchio, in cambio d’improbabili nuovi marchingegni di dubbia agilità ed efficacia.

La nostra difesa del metodo scientifico non è mai dunque una semplice difesa d’ufficio, ma la lotta per la restaurazione dell’organo rivoluzionario nelle condizioni storiche attuali e future, senza alcun rinnegamento della tradizione che ha selezionato nel tempo e nello spazio e in determinate congiunture storiche le sue armi e i suoi metodi di combattimento; ci riferiamo alla Comune di Parigi che ha fatto piazza pulita una volta per tutte dell’illusione di utilizzazione dell’apparato statale borghese e postulato a caratteri indelebili la necessità della sua distruzione; oppure l’esperienza del parlamentarismo che nella fase rivoluzionaria del 1919 ha dimostrato la necessità di liberarsi da parte del proletariato della zavorra democratica stramarcia del capitalismo occidentale.

Nel mezzo, tra ricostruttori e guastatori, sempre nel campo dell’epistemologia, si trovano i teorici del principio di trasferimento, che, come Lakatos, affermano la tesi secondo la quale «ciò che è vero in logica è vero anche nella mitologia e nella storia della scienza»: essi tentano di farsi mediatori tra i feticisti del metodo ed i suoi detrattori avendo assimilato l’esplosivo hegeliano, come chiama Lakatos la definizione classica del principio secondo il quale «tutto ciò che è razionale è reale».

Ma tutti questi signori se ne stanno caldamente rinchiusi nel tempio o ne vivono all’ombra, perché appena nasce la necessità di raccordarsi alla pratica sociale, al massimo si dimostrano capaci di «spropositi», come mellifluamente chiamò Croce quelle adesioni di intellettuali europei della prima guerra mondiale alla causa della loro Patria, proponendo la loro arte e la loro scienza al servizio della propria borghesia in pericolo, prefabbricando come Thomas Mann una storia della Germania coerente con la tradizione classica ed illuministica di Federico il Grande, o come fece Bergson, identificando la sua teoria dello «élan vital» con la mobile e dinamica Francia, contro il meccanicismo teutonico.

La nostra nozione di Partito come depositario dell’unica possibile «scienza di specie» nel bel mezzo delle contraddizioni di classe esclude qualsiasi forma di circonvenzione sia di capace che d’incapace, per aver dalla propria parte degli inutili compagni di strada da pescare nel mare magnum dello intellettualismo sempre più affamato di pensioni e di prebende. Se, come è classico nella nostra tradizione, il Partito ha da riconoscere il merito di qualche spirito magno che smetta dall’ammorbante stagno opportunistico borghese per la sua capacità di verità e di amore per la scienza come è stato per Einstein, ciò non ha niente a che vedere con l’illusione di proporre tessere o lauree honoris causa, ma con la conferma che il Partito aderisce ad una coscienza che esclude sia la demagogia dell’operaismo sia le tentazioni statistiche di aderire alle condizioni contingenti della classe per trarne lezioni fulminanti e indeterminabili in anticipo. Sappiamo bene, anche dalle loro «opere», che gli epistemologi i razionalisti critici di varia tendenza non fanno mistero o di democratismo o di anarchia, quando non esplicitamente di reazionarismo borghese, da Popper ai suoi allievi o estimatori! La loro nozione di scienza, fa aperta professione complessiva di problematicismo e di scetticismo perché rispecchia più o meno consapevolmente la frattura insanabile che il sapere ha subito nell’ambito della divisione del lavoro, della specializzazione, della riduzione a tecnicità d’ogni sana spinta all’unità, al monismo, alla fede nella coerenza complessiva del mondo che vide Einstein apertamente ostile nei confronti degli indeterministi della scuola di Copenaghen. Come già pensavano alcuni filosofi classici, se la società ha propri leggi e ordine, anche il cosmo può essere ordinato, e non viceversa. Tutto questo alla faccia di questi asettici chirurghi dell’oggetto e del soggetto che a forza di anatomizzare si trovano tra le mani un giocattolo impazzito incapace ormai di funzionamento, e tanto meno di essere piacevole e divertente. Neghiamo dunque a qualsiasi tentativo di campo borghese la possibilità di trovare il circuito giusto tra i diversi mondi in cui hanno distinto la realtà; neghiamo la possibilità di poter affermare la conoscenza della natura senza soggetto, senza prima aver messo da parte la concorrenza spietata e anarchica tra opinioni opposte e in lotta tra loro per ragioni di bottega; confermiamo la nostra convinzione che quella poca scienza di cui dispone oggi l’umanità è racchiusa esclusivamente in un organo estremamente delicato e fragile qual è il Partito di classe, perché l’unico capace, come dice Lenin, di porsi dal punto di vista del movimento della società nel suo complesso, contro la logica di volontà in contraddizione tra loro, ed invece capace di sacrificare le propria poco probabile genialità alla pratica forse oscura e modesta, ma diritta, alla vita organica in cui le funzioni vengono svolte tutte nell’interesse della classe oggi, della specie nell’avvento della società comunista.