Partito Comunista Internazionale "Dall’Archivio della Sinistra"

Partito Comunista d’Italia
Conferenza Nazionale – Como, maggio 1924

 

RELAZIONE DELLA SINISTRA


 – Questione del fronte unico.
 – Questione del governo operaio.
 – L’opera del vecchio C.E.
 – Replica per la sinistra.


 
 
 

    Il comp. Togliatti vuole che si definiscano i gruppi che oggi partecipano alla discussione.
    Incominciamo perciò a definire quello che è, secondo noi, il gruppo di "centro", per cui egli ha parlato. Questo gruppo si è proposto un compito nobilissimo: cercare una linea di equilibrio tra il nostro partito e l’Internazionale. Il concetto fondamentale delle sue tesi può essere così espresso: "noi siamo d’accordo con tutta la attività del Comintern, meno per quella che riguarda la tattica fusionista seguita in Italia". Si tratta però di una questione capitale, in quanto la linea in essa seguita dal Comintern è stata la conseguenza logica di tutta la sua tattica. A questa tattica nel suo complesso noi rivolgiamo le nostre critiche. Analizziamo brevemente i punti su cui esiste dissenso fra noi e il Comintern e, per conseguenza, tra noi e la maggioranza del C.C. del nostro partito.
 

Questione del fronte unico

    Noi siamo sempre stati e siamo tuttora favorevoli al fronte unico perché accettiamo il principio che il partito deve approfittare per la sua lotta di tutte le questioni – anche d’importanza secondaria – che interessano la classe lavoratrice. La situazione attuale, in cui sempre più aumentano la miseria e i bisogni della massa proletaria, agevola la nostra opera in tal senso. Noi sappiamo, d’altra parte, che vi sono larghi strati di lavoratori che aderiscono ad altri partiti, ma che in taluni casi specifici, sono costretti – nel loro stesso interesse – a riunirsi intorno al Partito Comunista. Ma appunto per questa ragione, appunto per riuscire a sottrarre questi proletari dall’influenza degli altri partiti, noi pensiamo che non si debba in nessun caso attuare dei blocchi con altri partiti politici.
    A questo proposito è bene rilevare che è un errore di dire che, oltre al nostro, esistono altri "partiti proletari". I partiti socialdemocratici non sono dei partiti proletari perché il loro programma non è il rovesciamento del regime borghese, ma il suo rafforzamento, vale a dire il tradimento degli interessi del proletariato. È perciò evidente che noi non possiamo essere per il fronte unico dei partiti, ma soltanto per il fronte unico della classe lavoratrice.
 

Questione del governo operaio

    Su questo punto soprattutto esiste un reale dissenso tra noi e la 3° Internazionale. Il comp. Togliatti ha difeso tale formula dell’Internazionale e l’ha spiegata dal punto di vista della maggioranza del Comitato Centrale. Ma è bene ricordare che in realtà l’Internazionale nel suo IV Congresso ha approvato il discorso Graziadei per il governo operaio parlamentare. Accettando questa tesi si viene a perdere una delle caratteristiche fondamentali dell’Internazionale Comunista: quella di lottare per Dittatura proletaria. Questo significa infatti l’insurrezione armata, mentre il governo operaio significa la conquista parlamentare del potere.
    Ciò è risultato in modo evidente attraverso l’esempio della disfatta tedesca di cui la responsabilità ricade senza dubbio sull’Internazionale che ha approvato e appoggiato l’opera dei compagni della Germania, indicandola a noi come un esempio da seguire.
    Fino a qual punto si deve criticare e combattere l’attività del Comintern? Lo vedremo esaminando l’opera che esso ha svolto in quest’ultimo periodo. Intanto si può dire che l’esempio delle recenti elezioni in Italia e in Francia dimostra che i compromessi non sono mai utili ai partiti comunisti e per conseguenza alla classe lavoratrice. In questi due paesi si è tentato in tutti i modi di fare un blocco con gli altri partiti sedicenti proletari. Il risultato è stato, come a tutti noto, completamente negativo, e allora si è ricorso al sistema di presentare delle liste senza nome comunista: in Italia con il nome "Unità Proletaria", e in Francia col nome di "Blocco degli operai e dei contadini". In realtà, anche senza il blocco con altri partiti, si sono avuti in tutti e due paesi delle magnifiche affermazioni e si è avuta così la prova che il pessimismo dell’Internazionale nei confronti del proletariato occidentale era assolutamente ingiustificato. Noi pensiamo che l’Internazionale deve rivedere tutta la sua tattica; sono necessarie poche formule, ma chiare, precise, e che non si prestino ad equivoci. Solo in tal modo le masse potranno comprendere le nostre parole d’ordine. Se invece, contrariamente al nostro desiderio e alle nostre speranze, si insistesse nell’andare sempre più a destra, noi ci opporremmo con tutte le nostre forze, e se poi certe forme equivoche dovessero entrare a far parte del programma dell’Internazionale, dichiareremmo essere necessaria la creazione, in seno alla stessa Internazionale, di una frazione di sinistra, sia pure non permanente, ma tale da poter lottare per la conquista delle singole centrali nazionali. Noi, insomma, chiediamo al Comintern una formulazione precisa del programma, dello statuto e della tattica.
 

L’opera del vecchio C.E.

    Vorrei che la brevità del tempo disponibile non m’impedisse di rispondere a tutte le critiche che vengono mosse ai compagni che hanno diretto il Partito fino al IV Congresso mondiale. Ad ogni modo è necessario almeno accennare alle più importanti questioni. Noi rivendichiamo le nostre antiche posizioni e le confermiamo. Oggi vi è qualcuno che ritiene che la scissione nel modo con cui è stata effettuata a Livorno, abbia rappresentato un errore. Da parte nostra non abbiamo nulla di rimpiangere. Fin da quando è stata costituita organicamente la frazione comunista in seno al PSI, affermammo di non voler l’epurazione, bensì la scissione. Questo abbiamo voluto e questo abbiamo attuato, non applicando burocraticamente le decisioni del Comintern, ma con la precisa volontà di costituire in Italia un vero partito comunista. Tale scopo è stato raggiunto. Non siamo riusciti – è vero – a riunire intorno ad esso la maggioranza della classe lavoratrice, ma da parte nostra si è teso con tutte le nostre forze a questo scopo. Molto tempo prima che l’Internazionale indicasse la necessità di costituire i gruppi comunisti nei Sindacati, noi, primi in Europa, abbiamo costituito tali gruppi. La situazione rese impossibile il raggiungimento dello scopo che, attraverso di essi ci eravamo proposti, malgrado tale situazione, è però innegabile che l’apparato fu creato e funzionò. A proposito del fronte unico ci si rimprovera di non essere entrati, come partito, nell’Alleanza del Lavoro e di essere perciò rimasti senza una rappresentanza in seno ad essa. In realtà la famosa riunione a cui ci siamo rifiutati di intervenire doveva solo discutere sulla creazione dell’Alleanza del Lavoro sindacale e non assegnava i posti di dirigenza: di modo che comunque, noi saremmo stati esclusi da essa. Durante la preparazione dello sciopero generale dell’agosto 1922, il C.E. del Partito, come ricorderete, partecipò alle riunioni con gli altri partiti. Questi ultimi dicevano di volere – come scopo dello sciopero – né più né meno che la rivoluzione. Noi, naturalmente, non li prendemmo sul serio e proponemmo che, raggiunto l’accordo sulle modalità e sui fini dello sciopero, questo non dovesse essere fatto cessare se non in seguito alla deliberazione unanime di tutti i partiti che l’avevano proclamato e diretto. La nostra proposta non venne accettata e si disse che i comunisti... non volevano la rivoluzione. In realtà, quando si trattò di diffondere l’ordine di sciopero, soltanto il nostro partito dimostrò di avere una rete organizzata di collegamenti e solo attraverso a questi fu possibile far giungere tale ordine in ogni centro industriale ed agricolo.
    Una parte delle tesi della minoranza è dedicata alla critica del nostro atteggiamento nella questione degli Arditi del Popolo, nel 1921. Orbene, i compagni devono prendere nota del fatto che in quell’epoca si presentarono al nostro partito numerosi individui evidentemente mandati da nostri avversari – forse Nitti, forse i fascisti, forse la stessa polizia – i quali dichiarandosi "capi" degli Arditi del Popolo, tentavano di introdursi in mezzo a noi... per scopi evidenti. Noi non ci lasciammo ingannare e, col nostro atteggiamento, mettemmo in guardia i compagni. Abbiamo poi saputo che questi stessi individui si presentarono, in un secondo tempo, alle sezioni del Partito dicendosi nostri rappresentanti e, infine, che tutti costoro passarono armi e bagagli al fascismo dimostrando in modo evidente la loro qualità di agenti provocatori. Per tale ragione e per la equivocità che si palesava in tutto il movimento degli Arditi del Popolo, noi crediamo di avere allora agito nel pieno interesse del nostro partito.
    Veniamo ora alla questione della fusione col P.S.I.. Noi pensiamo tuttora che l’unica tattica da seguire in confronto di esso sia quella che tenda a sopprimerlo, e che quella usata invece dall’Internazionale abbia rappresentato un gravissimo errore. Alla vigilia del IV Congresso mondiale il Comitato Centrale del nostro partito aveva dato incarico alla delegazione italiana di votare contro la fusione; se poi questa era imposta, si lasciava libertà ai delegati di partecipare o meno alla discussione sulle sue modalità. Ma il C.E. aveva fin da allora dichiarato che in tal caso esso non avrebbe più mantenuto il proprio posto ed infatti, di ritorno dal IV Congresso noi rimanemmo nel C.E. soltanto più allo scopo di sbrigare le questioni organizzative ed amministrative in attesa dell’arrivo del famoso "comitato per la fusione". Non si dica però che da parte nostra si è sabotato la fusione: se anche avessimo voluto svolgere un’attività in questo senso saremmo stati nella impossibilità di farlo poiché, dopo pochissimo tempo dal nostro ritorno in Italia, fummo tratti in arresto.
    Ci si chiede un programma d’azione per il Partito nell’attuale situazione. Siamo dal più al meno d’accordo col comp. Togliatti nella valutazione delle forze del fascismo e delle opposizioni ad esso. Riteniamo però che si debba insistere sulla necessità di autonomia politica ed organizzativa del nostro partito. Tale necessità è risultata evidente anche nelle recenti elezioni, che hanno rappresentato una vittoria non dell’unità proletaria, ma dei Comunisti. I blocchi proletari, le proposte a getto continuo agli altri partiti costituiscono una commedia di cui il proletariato è stanco, e che lo allontana da noi.
    Al V Congresso noi diremo di essere, oggi come ieri, contrari ad ogni fusione e di non voler a nessun costo che vengano affidati posti di dirigenza e chi manca tuttora di una vera e propria educazione comunista. Il comp. Togliatti si è soffermato sulla questione del Partito Comunista mondiale. Ebbene noi chiediamo: nel Partito Comunista mondiale si possono ammettere i "noyautage" e le fusioni? In realtà il partito comunista mondiale purtroppo non esiste e poiché questa è la situazione, la disciplina nostra può essere solo formale e non sostanziale come dovrebbe essere invece se, come noi desidereremmo, il Partito Comunista mondiale esistesse realmente.
    Quali garanzie offre l’Internazionale di diventare il partito comunista mondiale? Non basta il fatto che del Comitato Centrale di essa facciano parte i migliori compagni del Partito Comunista russo, poiché si tratta di una questione di situazioni storiche. Certe audacie che fino a ieri potevano accettare perché dirette da un genio qual’è il compagno Lenin dobbiamo oggi respingerle come pericolose per il movimento comunista e per il proletariato.
    Allo scopo di impedire uno spostamento a destra dell’Internazionale, si deve oggi svolgere un’attività alla periferia di questa pur mantenendosi disciplinati al centro. Se, come noi speriamo, la creazione di una frazione internazionale di sinistra non risulterà necessaria, tanto meglio, ma nel caso contrario noi non ci sentiamo di escludere la formazione di essa.
    Il nostro gruppo rivendica e riafferma tutte le sue antiche opinioni: le tesi di Roma, il modo in cui è avvenuta la scissione di Livorno, la sua posizione contro la fusione col Partito Socialista Italiano, pur riconoscendo che queste opinioni devono essere e sono subordinate alle deliberazioni dei congressi nazionali ed internazionali. Però diciamo fin d’ora che, né da soli né in collaborazione con altri gruppi, noi possiamo – finché dura la nostra divergenza con l’Internazionale – assumere nessun posto di dirigenza.
 

Replica del rappresentante della sinistra

    Il compagno Bordiga ritiene egli pure che la differenziazione tra il grosso del partito e la minoranza risalga alle origini del Partito. Al convegno astensionista del 1920 egli si oppose alla formazione di una frazione comunista nazionale perché riteneva che un tale passo fosse ancora prematuro appunto perché in quell’epoca una frazione comunista non avrebbe potuto riunire delle forze sufficienti a costituire un forte partito. Ma è certo, d’altra parte, che nel manifesto lanciato dai compagni dell’Ordine Nuovo e del Soviet all’indomani del Convegno di Imola mancavano le firme di coloro che oggi sono rappresentanti della minoranza.
    Mi spiace, prosegue il compagno Bordiga, che ragioni di tempo mi impediscano di controbattere tutte le accuse che vengono mosse al vecchio Comitato Esecutivo, ma non posso però rinunciare a rispondere alle più importanti.
    La minoranza ci rimprovera la violenta polemica condotta contro il Partito Socialista Italiano. Anche in questo il vecchio Comitato Esecutivo seguiva una linea di condotta precisa e meditata, ma io constato che, dopo il nostro allontanamento dai posti di dirigenza, la polemica non si è affatto attenuata, ma ha assunto, invece, un carattere peggiore perché più personalistico. A questo proposito non è inutile rilevare che nessuno di noi ha mai condotto una polemica così violenta e così velenosa contro gli uomini del Partito Socialista Italiano, come quella che conducevano i terzini nel "Più Avanti!" il che dimostra che la critica è facile...
    È stato detto che il vecchio C.E. esercitava un vera e propria dittatura nel Partito. Ciò è assurdo; ed è inutile che io qui ricordi come in parecchie occasioni noi abbiamo dichiarato di essere disposti a lasciare il nostro posto e come soltanto per disciplina abbiamo continuato a rimanervi fino al IV Congresso mondiale.
    Siamo d’accordo con il "centro" nel ritenere che le differenti situazioni richiedano delle differenti parole d’ordine, ma per quel che riguarda la forma con cui il potere deve essere conquistato e mantenuto riteniamo che non vi debbano essere equivoci e che l’unica parola d’ordine che i comunisti devono lanciare a questo proposito debba essere quella della dittatura del proletariato, che comprende in sé la conquista insurrezionale del potere e il monopolio di esso da parte della classe lavoratrice. In Sassonia, attraverso la equivoca formula del Governo Operaio, i proletari si sono convinti che il ministro della Guerra avrebbe loro aperto gli arsenali... ed è successo quello che a tutti è noto.
    Sempre a proposito della Germania, è bene osservare che se la attuale situazione è buona non si deve però dimenticare che oggi il Partito Comunista tedesco è diretto dalla Sinistra (il cui pensiero non coincide però perfettamente con il nostro) mentre all’epoca della sconfitta di ottobre esso era diretto dalla Destra.
    I compagni della maggioranza del nostro Comitato Centrale insistono nel dichiarare la coincidenza del loro pensiero con quello del Comintern, ma ciò non è esatto, perché questo non solo è più a destra del nostro Centro, ma perfino della stessa minoranza del Partito Comunista. Voi, compagni del Centro, avete senza dubbio compiuto un lavoro utilissimo per il Partito, ma non avete ancora compiuto una sufficiente elaborazione di pensiero. Sul programma di lavoro siamo quasi tutti d’accordo, ma la differenza che esiste tra noi e il Centro è questa: noi abbiamo un programma che vogliamo attuare; il Centro propone lo stesso programma all’Internazionale, ma se questa non lo accetta è disposto ad accettare quello dell’Internazionale. Per quanto riguarda la nostra partecipazione ai posti direttivi del Partito diciamo che fino a quando esistono delle divergenze con l’Internazionale ciò non sarà assolutamente possibile. Dichiariamo anzi fin d’ora che se i membri del nuovo Comitato Esecutivo saranno nominati dal Comintern, la tendenza che sarà esclusa da esso non potrà neppure far parte del Comitato Centrale.

("Lo Stato Operaio" 22 maggio 1924)