Partito Comunista Internazionale "Dall’Archivio della Sinistra"

Corrente di Sinistra nel
Partito Comunista d’Italia

 

PER FINIRLA CON LE RETTIFICHE
 

Desidero fermamente che questa sia l’ultima delle mie risposte a carattere personale e di rettifica su questioni di fatto, e mi riprometto di scrivere d’ora in avanti sulle questioni oggettive e concrete su cui sorgono le divergenze tra la sinistra e le altre correnti del Partito e dell’Internazionale.

La Centrale ha dichiarato già da una settimana che è chiusa la cosiddetta campagna antifrazionista e che si apre il dibattito generale, ma, se non ci fosse la dichiarazione suddetta, nessuno si sarebbe accorto del mutamento. Le differenze tra campagna e discussione sta nel fatto che si rinunzia a tempestare di articoli e pezzetti editoriali, di cappelli e commenti in corsivo ogni scritto da cui si dissente, ma si pubblicano tutte le serie trattazioni dei problemi in esame preparate indipendentemente dai compagni dei vari gruppi che partecipano al dibattito. Non è che da parte nostra si tema tale insieme di piccoli espedienti polemici, per il solo fatto che evidentemente non possiamo fare altrettanto, non essendo in grado di leggere e di confutare, prima che si pubblichino, gli scritti dei nostri contraddittori. È che quel sistema lascia adito al malvezzo di scegliere dalle affermazioni avversarie talune che meglio si prestano ad essere travisate e sfruttate, di limitarsi a confutare quelle e non tutto il pensiero che è stato prospettato, e sottolineare quindi il lato pettegolo e infecondo del contrasto, aumentando la tensione, soffiando sulle incompatibilità interne che affiorano, avvelenando scientemente l’atmosfera, per poi dire che dall’altra parte si è fatta opera di disunione e disgregazione.

Spero quindi di dover per l’ultima volta seguire, nello scrivere per la discussione, la linea informe ed antipatica di queste pubblicazioni cattive e tendenziose, e oltretutto – so che fino all’ultimo avrò predicato al deserto – dannose dallo stesso punto di vista di chi le lancia, nella speranza di più sollecito e facile successo.
 

BORDIGA A TUTTO SPIANO

Poiché uno dei lati caratteristici della tendenza che detesto e combatto è la mania dei dati numerici, sono stato tentato di fare una statistica del numero delle volte che il mio nome compare negli scritti polemici che ci sono stati ammanniti. Per intere colonne lo si incontra a tre o quattro righi di distanza ed anche più di frequente. C’è da distribuire felicità a decine di cacciatori di réclame. A me personalmente la cosa non fa né caldo né freddo, ma la trovo poco propizia alla serietà del Partito e del dibattito. Esso è la riprova del metodo di politicantismo adoperato purtroppo nel seno della nostra organizzazione. Non sono i problemi concreti su cui Bordiga esprime delle opinioni che preoccupano, e nemmeno il problema oggettivo se Bordiga abbia o no compiuto il suo dovere come qualunque altro compagno, ma la questione – che per me resta nel quadro della politica parlamentare ed esula da quello della politica comunista – della influenza e della popolarità di cui gode l’uomo politico Bordiga. Solo dopo ridotta questa al minimo con i più acconci mezzi, si faranno i conti con Bordiga compagno, mentre in considerazione seria le critiche e deduzioni di Bordiga non le si piglieranno mai. E si crede che i mezzi più acconci siano, non gli argomenti e la critica serena, ma le accuse, per non dire le insinuazioni. Non ho bisogno di dire io stesso che della personale simpatia me ne frego, perché parrebbe una posa, ma mi preme ancora una volta protestare contro questa mentalità manovristica e diplomatica.

Le poche e rimasticatissime idee con le quali si imbastisce su misura la polemica contro di noi hanno il manzoniano carattere di contraddirsi a due a due, e di poter per tal modo essere mandate pressocchè tutte a spasso. Questa pacchiana insistenza a parlare di Bordiga, a vedere in lui il solo bordighiano (se così fosse molti compagni si sarebbero più rapidamente e brillantemente acquittés del loro mandato) fa a calci con una delle critiche che si vorrebbe fare a me e a Trotzky, e non so se ai bordighiani o ai trotzkisti: saremmo cioè noi ad esagerare il compito dei capi nella rivoluzione proletaria e nella dirigenza del Partito, a vedere l’influenza degli uomini invece che quella delle masse. Non solo io non ho questa sciocca opinione, ma essa è evidentemente nutrita nel fondo del cuore dei miei contraddittori, per cui tutto il problema del Partito italiano è il problema Bordiga.

Ma il problema Bordiga è così intricato, a sentire le varie asserzioni che danzano intorno al riverito mio nome, da vederci una sola via di uscita: la mia sparizione fisica dalla superficie di questo basso mondo. La mia stessa espulsione, che il compagno Humbert Droz lascia cortesemente comprendere di intravedere come conclusione della crisi, non sanerebbe nulla perché il mio spettro non cesserebbe di aggirarsi intorno ai trionfanti dirigenti del Partito come elemento perturbante il desideratissimo sonno. Infatti, mi si attribuiscono contemporaneamente le più opposte attitudini e intenzioni, e di tutte si riesce ad essere scontenti. Se taccio e mi apparto, rendo impossibile il funzionamento del Partito, e la sua bolscevizzazione. Se parlo, scrivo, comunico con qualche uno o due compagni, la bolscevizzazione non ne risulta meno gravemente insidiata, e si parla con leggerezza rivoltante della decisione a frazionare, scindere, spezzare il Partito. Si inventa che io non voglio andare di proposito a una riunione internazionale per dedurne che non ho il coraggio di affrontare il dibattito, quando si tengono nel cassetto gli articoli con cui ho preso in modo stridente la mia posizione e le mie responsabilità, e si inventa non meno arbitrariamente che io lavori diabolicamente ad una frazione internazionale. Secondo L’Unità del 3 luglio – dico L’Unità perché l’articolo non è firmato – Bordiga «perseguendo un suo piano preciso e chiaro mantiene dei rapporti di carattere internazionale con elementi di estrema sinistra negli altri partiti». E l’ignoto informatissimo scrittore, oltre a fare i suoi scongiuri, mostra di sapere perfino che «in nessuno di questi partiti Bordiga ha trovato elementi disposti a spezzare i principi organizzativi rivoluzionari con la creazione di una organizzazione di frazione». Ed allora che canchero di rapporti mantiene?

Ora io dichiaro che non ho mai fatto tentativi del genere, e quindi non mi sono trovato in condizione di vederli respinti; di più: invito l’ignoto di cui sopra a fare il nome di un solo compagno estero con cui mantengo rapporti di corrispondenza in quanto non ne ho con nessuno. Dichiaro che penso che oggi non è ancora possibile un orientamento parallelo di gruppi di estrema sinistra nei vari partiti, che questa la riterrei cosa utile e forse nell’avvenire necessaria, ma che la sua realizzazione non dipende affatto dalla decisione mia o di chicchessia di intavolare rapporti epistolari bensì da cause più profonde di cui lo scambio eventuale di lettere non potrebbe essere che uno dei tanti effetti esteriori. E queste cause, se si preciseranno, non spariranno certo con gli esorcismi disciplinari e la incriminazione delle lettere in circolazione.
 

IL CASO NAPOLI
(...)
 

IL CASO GIRONE
(...)
 

LA SINISTRA ITALIANA E L’INTERNAZIONALE COMUNISTA

La filastrocca è già lunga, e questo argomento è di tale importanza da poter ben figurare in una trattazione impersonale cui ci auguriamo di poterci elevare. Ma l’insistenza a foggiare di sana pianta la leggenda è intollerabile. Ancora qui si può individuare due accuse contraddittorie. Noi siamo colpevoli di aver creata la rottura con l’Internazionale, e su questa solfa non la si smette mai. Quando poi si tratta dell’Esecutivo Allargato del giugno e di altre occasioni in cui facemmo ogni sforzo con tutta lealtà per vedere di superare il conflitto, si travisano le cose e ci si accusa di aver tenuto nascosto al Partito il dissidio. Si pretende poi persino che la sinistra italiana non abbia mai rappresentato la maggioranza del Partito: si dimentica, tra l’altro, la conferenza del maggio 1924 nella quale avemmo 35 voti contro 9 dispersi, si dimenticano le ripetute decisioni e discussioni del Comitato Centrale, forse perché allora era solidale in esse l’attuale stato maggiore centrista. Un ampio articolo dovrà essere dedicato a questo tema. La verità è che sempre abbiamo mantenuto il nostro dissenso ideologico su molti problemi, ma che sempre abbiamo osservato con lealtà la disciplina. Abbiamo lasciato la Direzione del Partito quando non potevamo tenerla senza rompere la disciplina: alle molte inesattezze dette dal compagno Grieco, che elabora una sua infelice ricetta sul problema delle frazioni, che di serio significa solo questo: le frazioni erano lecite quando Grieco era all’opposizione, non lo sono oggi che Grieco è con l’Internazionale, risponderemo a suo tempo, ma risponde per ora Humbert Droz riconoscendo che l’incompatibilità vi era. Ma Humbert Droz vuole farla coincidere colla incompatibilità a stare nell’Internazionale: minaccia o argomento polemico che esso sia, lo respingiamo con violenza, invitando i compagni a considerare da che parte siano quelli che propongono tagli, se non scissioni, nel Partito.

Si potrà anche espellerci, ma, come ho detto, la questione non sarà risolta, perché non sorge dalla condotta mia o di pochi altri. Se si formano gruppi che per il loro dissidio sentono di non poter partecipare agli organi supremi del Partito e se questo è riconosciuto in fondo dalla stessa Internazionale come necessario (sebbene erroneamente Humbert Droz asserisca che al IV Congresso ci venne offerto di assumere in maggioranza la direzione del Partito: bensì è vero che io avrei non ho rifiutato) dal momento che questo avviene si deve ritenere che esistono cause profonde che gli articoli della Centrale si compiacciono di designare con la parola necessità storica. Del resto che queste cause fossero visibili lo provano quegli stessi scritti. Nel caso di Milano si parlò di frazionismo potenziale. Nella relazione Gramsci si dice che la campagna contro la sinistra dovrà essere non solo ideologica ma politica perché certamente “Bordiga passerà al frazionismo aperto”. Quando fu soppresse Prometeo fu dichiarato che non aveva mai fatto opera di frazione ma che la rivista in avvenire avrebbe potuto assumere tono frazionista.

Che vuol dire tutto questo? Che vi è una situazione in cui bisogna avere il coraggio di guardare, senza chiuderci nella pregiudiziale che vi è una Internazionale, quasi ente metafisico e irreale, che automaticamente vede, risolve e dirige (e attaccheremo frontalmente questa tesi, dimostrando come sia tessuta di una devozione fragile ed equivoca alla vera Internazionale in cui viviamo); che è inutile sperare di uscirsene condannando Bordiga, attaccando Bordiga, anatomizzando Bordiga, ed espellendo, magari domani, Bordiga. Come è inutile preparare tutto questo con le vantate conversioni di Grieco. Se convertendomi io, lasciandomi provocare agli estremi di una liquidazione disciplinare, o magari capitando sotto una vettura tranviaria, potesse il problema ritenersi superato, ben misero capo di partiti e di Internazionali sarebbe chi vi dedica, non voglio dire tanto sforzo di intelligenza, ma semplicemente tanta superficie di carta stampata.

Dixi, et (probabilmente) non salvavi animam meam. Ma spero di poter ugualmente mettere un amen.

Amadeo Bordiga

(L’Unità, 22 luglio 1925)