Partito Comunista Internazionale "Dall’Archivio della Sinistra"

Terza Internazionale (Comunista)
Settima Sessione dell’Esecutivo Allargato
Ventitreesima seduta, 11 dicembre 1926, mattina
Continuazione della discussione sulle questioni interne del P.C. Russo
 
  

Discorso di Kamenev

 
 
 Compagni! La questione principale di fronte alla quale si trova il Comintern in questo punto dell’ordine del giorno è la questione se nel nostro partito esiste una deviazione di destra e come questa si esprime.

Senza esitare neanche un attimo a questa questione rispondo che nel nostro partito esiste una deviazione di destra. Si può perfino sostenere che sarebbe strano se non ci fossero delle tendenze di destra tese alla revisione della teoria e della prassi del leninismo. Una serie di fattori significativi costituisce la base materiale delle tendenze di destra nel nostro partito. Soprattutto il fatto che il proletariato dell’Unione Sovietica realizza la sua dittatura e costruisce il socialismo in un paese contadino. La seconda premessa favorevole allo sviluppo di queste tendenze è il ritardo della rivoluzione mondiale. Il terzo fattore importante è la pressione che tutta la situazione della NEP, lo sviluppo dei gruppi borghesi nonché della loro attività politica, come pure l’apparato statale esercitano sui singoli membri del nostro partito. Faccio a meno di elencare ulteriori fonti di tendenze opportunistiche nel nostro partito, queste sono pienamente sufficienti.

La presenza di queste influenze su singoli membri del nostro partito, nonché le deviazioni di destra che si manifestano di tanto in tanto indubbiamente nel partito, non significano naturalmente affatto che nel nostro paese si sia compiuto un "Termidoro", cioè uno spostamento del potere dal proletariato a qualche altra classe; non significano neanche che si siano realizzate le speranze riposte da ideologi della nuova borghesia, ideologi del tipo di Ustrjalov, nell’evoluzione dei bolscevichi in direzione della democrazia borghese; non significano che il partito abbia abbandonata la via della politica di classe. Tali dichiarazioni, nonché tutte le dichiarazioni simili devono da noi essere respinte con ogni decisione. Non abbiamo nulla in comune con esse. Coloro che insistono su tali dichiarazioni si pongono in aperto contrasto con il nostro partito e con i suoi compiti.

Per noi è ora completamente chiaro – per me come pure per i compagni Zinoviev, Trotzki ed altri – che, per esempio, fra quelli espulsi dal KPD (per prendere l’esempio più vivo e a voi più vicino) ci sono uomini che non accettano le condizioni, sia pure pesanti, poste dal Comintern e che quindi non fanno di tutto per ritornare nelle file del loro partito. Non c’è neanche bisogno di dire che riteniamo che questo è un errore fatale. Un bolscevico può lavorare e lottare utilmente per la sua classe solo se sta nelle file del Comintern, in un unico fronte con il primo e per ora unico Stato operaio. Bisogna saper subordinare se stesso alle più pesanti richieste del proprio partito. Colui che tenterà di formare un proprio "partito" o gruppo contro il Partito Comunista verrà spinto inevitabilmente in contrasto al Comintern ed all’Unione Sovietica, e respinto entro brevissimo tempo nel campo dei loro nemici, quali che siano le sue intenzioni e desideri soggettivi.

Senza dubbio ogni rivoluzionario serio ha il dovere di sostenere quelle concezioni che secondo il suo parere sono importanti per la rivoluzione proletaria, anche se con ciò deve rimanere per molto tempo in minoranza e andare contro la corrente dominante in quel dato periodo. Altrimenti non è un rivoluzionario ma un misero burocrate. Ma coloro che non possono comprendere il vero senso della nostra dichiarazione del 16 ottobre, trasformano le nostre idee in una caricatura del bolscevismo. Questo senso consiste invece in questo: dare ad ogni operaio, ad ogni membro di partito la piena fiducia che l’unità del partito è cara a noi come ad ogni bolscevico, che noi faremo la nostra strada solo insieme al partito, che per noi non esiste e non può esistere altra strada.

A questo punto devo però sollevare una protesta, e cioè che la nostra critica, che a volte forse, come è sempre stato per i bolscevichi, è molto tagliente, ma diretta solo contro le concezioni di singoli compagni, venga dichiarata una critica al partito, una critica della sua natura proletaria. Respingiamo come un controsenso politico una tale attribuzione, una tale accusa. Il nostro partito sta alla testa del movimento proletario mondiale, esso – e solo esso – è capace di condurre a nuove vittorie questo movimento. Ma si devono anche guardare in faccia i reali pericoli di fronte ai quali si trova il partito, si deve riconoscere la deviazione di destra nel partito e combatterla apertamente. Così ci ha insegnato Lenin. È questo che noi abbiamo fatto.

Come più importante forma di manifestazione di questa deviazione opportunistica di destra, che è in diretta relazione con la situazione attuale, con la stabilizzazione dei rapporti capitalistici, con la pressione esercitata da borghesia e contadiname, come una delle più importanti e più naturali forme di manifestazioni di questa deviazione di destra, che contrasta allo stesso tempo con tutte le tradizioni del nostro partito, e pregiudica la vigilanza rivoluzionaria del proletariato, vediamo prima di ogni altra cosa e in prima linea l’abbellimento della NEP, l’occultamento di quei contrasti interni e di quella lotta di classe che ondeggiano sotto il guscio della NEP e della cui necessità Lenin ci mise in guardia già dal primo giorno dell’introduzione della NEP. Un tale tentativo d’abbellimento della NEP e d’occultamento delle difficoltà significa cercare di sminuire il significato della crescita della nuova borghesia e del suo capitale nel paese, non dare la dovuta importanza, mettere in secondo piano la crescita dei kulak nelle campagne. Un tale abbellimento danneggia la combattività del proletariato e lo porta ad uno sbagliato orientamento nella sua lotta rivoluzionaria che ancora continua. Altrettanto dannosa è anche l’insufficiente attenzione al fattore tecnico, l’arretratezza economica del nostro paese rispetto ai paesi capitalistici che si esprime in prima linea nella differenza fra i prezzi del mercato mondiale ed in nostri prezzi interni, della Russia Sovietica. Soltanto concentrando l’attenzione del partito su questi fenomeni, possiamo superarli con successo, cosa della quale siamo pienamente convinti. Con l’occultamento, le energie del proletariato non vengono stimolate, ma vengono invece alimentate dannose illusioni che si rifletteranno inevitabilmente sulla sua vigilanza rivoluzionaria e sulla intensità della sua lotta, sulla capacità di resistenza di fronte ad influenze piccolo-borghesi e borghesi.

Una seconda caratteristica della deviazione di destra è la sbagliata valutazione del ruolo e del significato del contadiname nel nostro paese, quella valutazione che ha trovato la sua espressione nella parola d’ordine indirizzata a tutti gli strati dei contadini: "Arricchitevi", o in una formula come per esempio quella – citata alla lettera – di "allargare i limiti delle restrizioni dell’economia dei contadini benestanti e dei kulak", oppure nella teoria del pacifico concrescere dei kulak nel socialismo, ecc.

Queste parole d’ordine, queste formule, questa teoria non significano solo una valutazione sbagliata, non leninista, del ruolo dei contadini nello sviluppo della lotta proletaria e della rivoluzione socialista, ma spingono anche il partito su una sbagliata via di classe, gli tolgono di mano le armi di fronte all’influenza enorme ed inevitabile della predominante parte contadina nella popolazione del paese, mentre Lenin invece non si stancava mai di ricordarci sempre e continuamente questa influenza.

Un aspetto altrettanto caratteristico delle deviazioni di destra sono i tentativi di nascondere l’acutezza della lotta nel nostro paese. Sotto la dittatura proletaria, la lotta di classe assume naturalmente forme nuove, peculiari, ma esiste comunque, e nasconderla non può che recare danno al proletariato.

Negli ultimi tempi siamo stati tuttavia testimoni di una serie di tentativi per nascondere e coprire le dimensioni della lotta di classe all’interno del contadiname. Abbiamo anche visto che non si comprendeva e non si voleva porre come base della politica la verità che per il dato periodo di lavoro di costruzione soviettistica è caratteristica una lotta intensa di varie classi e gruppi della popolazione per la distribuzione del reddito nazionale. Ancora di più una serie di fatti dimostra che singoli elementi del partito tendevano a cercare una soluzione di questa questione della lotta per la parte del reddito nazionale a spese della classe operaia. Vi fanno parte per esempio le deformazioni inaudite – già condannate dal nostro CC – del regime d’economia, che sono sfociate nel tentativo di realizzare questo regime a spese della classe operaia. Questo però non è un fenomeno casuale, ma uno degli aspetti inevitabili, caratteristici, naturali della deviazione di destra, non proletaria, nel nostro partito.

Abbiamo anche visto e sentito una serie di fatti e dichiarazioni che hanno messo in luce un atteggiamento fondamentalmente sbagliato nella politica salariale. È qui che vanno cercati gli elementi della deviazione veramente di destra! Se, inoltre, teniamo presente il tentativo di mettere in dubbio uno dei concetti cardinali del leninismo, il concetto della dittatura del partito, confermato dal 12° Congresso del partito, se si pensa inoltre che proprio nel momento in cui la corrente sopra caratterizzata ha raggiunto nel partito una diffusione piuttosto ampia – al 14° congresso del partito è stata data perfino la direttiva che il fuoco della lotta ideologica debba essere diretto verso sinistra – ne risulta un sistema chiuso di concezioni che nella loro totalità non possono non essere definite che con le parole "deviazioni di destra". Necessariamente questa deviazione doveva riflettersi anche nell’arena internazionale.

Non ho la possibilità di entrare dettagliatamente in una delle questioni tattiche, cioè nella questione della nostra posizione verso il comitato Anglo-Russo, bensì mi devo limitare alla seguente indicazione, la quale deve suscitare l’immediato interesse di ogni membro del Comintern e anche il vostro interesse in quanto capi supremi del movimento proletario mondiale. In un documento emanato da una delle più grandi organizzazioni comuniste, si leggono le seguenti parole: «Il comitato Anglo-Russo può, deve e giocherà indubbiamente un ruolo potente nella lotta contro tutti gli interventi diretti contro l’Unione Sovietica. Esso sarà il centro organizzante delle forze proletarie internazionali nella lotta contro tutti i tentativi delle borghesie internazionali di scatenare una nuova guerra».

Questo fu scritto in un momento in cui la parte inglese di questo Comitato tradì la lotta proletaria in Inghilterra. Ma anche a parte questo, non è facile trovare un documento che sia in così profonda contraddizione con i fondamenti del leninismo come le parole appena citate. Nessuno mette in dubbio che la parte russa del Comitato composta di membri del nostro partito risponderà in pieno ai compiti che vengono posti al Comitato Anglo-Russo nelle parole appena citate. Ma altrettanto poco si può dubitare che la parte inglese di questo Comitato non solo non adempierà a questi doveri, ma tradirà la causa della rivoluzione mondiale nello stesso modo come ha tradito lo sciopero dei minatori.

Fino a poco tempo fa in nessun bolscevico potevano sorgere dubbi in proposito. Solo dal momento in cui, nonostante nostri ammonimenti, venne fatto l’errore fondamentale in tutto l’atteggiamento dei nostri rapporti con il comitato Anglo-Russo, una tale valutazione inaudita – che è uno schiaffo a tutte le dichiarazioni di Lenin – di un intero settore del movimento operaio internazionale, come lo è il documento appena citato, si è fatta largo nel partito e viene adesso diffusa indisturbatamente in esso.

Anche Lenin ha avuto occasione di esprimersi su quella gente che in questa citazione viene definita come "centro organizzativo delle forze proletarie internazionali nella lotta contro tutti i tentativi delle borghesie internazionali di scatenare una nuova guerra", cioè sui dirigenti sindacali inglesi. In uno dei suoi ultimi lavori, dedicato alla questione della conferenza dell’Aja, Lenin scrisse, fissando la tattica dei rappresentati del PC di fronte ai dirigenti sindacali inglesi proprio nella questione della prevenzione della guerra e dell’intervento. «Credo che, se alla conferenza dell’Aja avremo alcune persone capaci di fare, in una lingua o l’altra, un discorso contro la guerra, la cosa più importante sarà di confutare l’opinione che i presenti (cioè quelle persone sulle quali la citazione da me riportata pone le sue speranze come combattenti contro la guerra – L.K.) siano avversari della guerra, che essi la comprendano – della quale verranno e dovranno essere sorpresi dalla guerra del tutto inaspettatamente – che essi si rendano conto anche solo limitatamente delle vie e dei mezzi della lotta contro la guerra, che essi siano in grado anche solo limitatamente, nella lotta contro la guerra, di imboccare una via ragionevole e che porti alla meta».

Che cosa ci ha insegnato il rivoluzionario proletario Lenin, e che cosa abbiamo trovato nel documento da noi citato! Questo documento è però di grande importanza, e credo che vi debbano essere applicate le seguenti parole di Lenin, dette nello stesso articolo e per lo stesso motivo. «Credo che contro simili dichiarazioni, che venivano fatte già dopo la guerra, si debba intervenire con tutta risolutezza e spietatezza e che si debba fare il nome di ogni relatore. Il giudizio su un tale relatore può, soprattutto quando è necessario, essere attenuato in ogni modo, però non si deve tacere su nessuno di tali casi, poiché la leggerezza in questa questione è un male che supera ogni altra cosa, e di fronte al quale è assolutamente impossibile essere indulgenti».

Basta confrontare questo giudizio di Lenin con la suddetta caratteristica del Comitato Anglo-Russo, per comprendere in che cosa consiste la deviazione di destra e fino a che punto essa si allontana dal leninismo anche in questioni della lotta internazionale della classe operaia. Il documento da me citato proviene dalla nostra direzione di partito di Mosca ed è una dichiarazione indirizzata al proletariato di Mosca per chiarire la posizione della maggioranza del C.C. riguardo alla questione del Comitato Anglo-Russo.

Ho elencato i singoli elementi della corrente di destra. Questa corrente di destra non viene esaurita attraverso singole citazioni, essa sta in diretta relazione con determinate tendenze nel campo sia della politica internazionale sia di quella nostra interna nell’attuale momento storico, nella vitale tappa della stabilizzazione capitalistica.

La teoria che lega in un insieme tutti questi singoli errori, che mette ad essi la corona e fa in questo modo il tentativo di creare tutta una linea politica, fra l’altro di dimensioni internazionali, è attualmente la teoria del socialismo in un solo paese.

Per quanto riguarda il nocciolo di questa questione, noi siamo, ora come prima, sulla posizione di Lenin, e non vediamo alcuna ragione di abbandonare questa posizione. In uno dei suoi ultimi lavori dell’anno 1922 Lenin scrisse: «Non abbiamo nemmeno finito le fondamenta dell’economia socialista (ritornerò ancora su queste parole – L.K.), le forze a noi nemiche del morente capitalismo possono ancora riprendercele. Dobbiamo rendercene conto pienamente e riconoscerlo apertamente, perché non esiste niente di più pericoloso delle illusioni (e delle vertigini, soprattutto a grand’altezza). Nella confessione di quest’amara verità non esiste niente di "terribile", niente che ci autorizzi anche al più piccolo scoraggiamento, poiché abbiamo sempre aderito a quella verità elementare del marxismo e l’abbiamo ripetuta, che per vittoria del socialismo sono necessari gli sforzi comuni dei lavoratori di più paesi progrediti!».

Abbiamo sempre avuto questa posizione e rimaniamo su questa anche oggi. Non proponiamo niente di nuovo, vogliamo soltanto che questa formulazione di Lenin non venga gettata a mare. Sosteniamo che non esistano altre dichiarazioni di Lenin che annullino queste parole che egli stesso ha definito come "verità elementare del marxismo". Ciò che Lenin dice qui non sulla conquista del potere tramite il proletariato, ma proprio sulla vittoria del socialismo nel senso della vittoria dell’economia e della società socialista, non ha bisogno di commenti.

Noi respingiamo come calunnia inaudita l’affermazione che noi non consideriamo lavoro di costruzione socialista il lavoro di costruzione socialista del potere dei soviet in Russia. Nessuno oserà affermare che nei nove anni di potere sovietico io e i compagni che la pensano come me abbiano messo meno energia e meno forza di chiunque altro nel lavoro di costruzione socialista proprio in campo economico. L’odierno lavoro di costruzione nell’Unione Sovietica è un lavoro di costruzione socialista. Nessuno ne può dubitare.

Se voi, compagni del Comintern, farete lo sforzo di conoscere a fondo le pratiche divergenze d’opinione che separano l’opposizione dalla maggioranza, vi convincerete che queste divergenze non contengono neanche la traccia di un dissenso sulla possibilità o l’impossibilità del socialismo. (Zinoviev: molto giusto!) Questo terreno è comune a noi tutti. Tutto il dissenso verteva solo sulla scelta delle vie e dei mezzi che potessero assicurare al lavoro di costruzione socialista una debita velocità. È questo prima di tutto che costituisce per noi la questione centrale e il metro principale per la scelta dell’una o dell’altra proposta pratica – se le misure possono assicurare il predominio incontrastato degli elementi d’economia socialista nello sviluppo del paese.

È la nostra fiducia imperturbabile negli ulteriori progressi del lavoro di costruzione socialista che ci rende possibile guardare in faccia con coraggio alle difficoltà del periodo di transizione, quelle difficoltà sotto le quali la classe operaia deve soffrire molto (per esempio questione del salario, disoccupazione, costruzioni di abitazioni) e che oggi si manifestano con straordinaria durezza, nonostante i grandi successi economici che nel corso degli ultimi anni il proletariato sotto la guida del nostro partito ha raggiunto con eroici sforzi. Proprio questa nostra ferma fiducia nel successo del lavoro di costruzione socialista ci rende possibile, anche in altre questioni, come per esempio nella questione contadina, nella questione del capitale privato e del suo ruolo ecc., esortare i compagni a guardare in faccia a tutte le difficoltà e rivelarle apertamente davanti alla classe operaia. Per quanto riguarda però le proposte pratiche, dirette al più rapido superamento di queste difficoltà principali, sono stati proprio i nostri avversari e critici a rendersi colpevoli di pessimismo e di incredulità (Zinoviev: molto giusto!) (grida: quali sono però le vostre proposte?).

La questione non sta in ciò che i nostri avversari e critici, in malafede o per insufficiente cognizione di causa, ci vogliono attribuire, ma nelle premesse con le quali possa essere condotta a termine la costruzione della società socialista nell’Unione Sovietica. I nostri avversari affermano che nel nostro paese, dove alcuni milioni di proletari devono guidare un contadiname di cento milioni, e questo sotto la NEP e nell’accerchiamento capitalistico, la società socialista possa essere costruita definitivamente, senza considerare la rivoluzione proletaria, anche se solo in alcuni paesi progrediti. Questa posizione che pone delle speranze così ottimistiche nelle capacità socialiste del contadiname, viene chiamata "ottimismo". Noi sosteniamo che il completamento della costruzione dell’economia socialista nell’Unione Sovietica verrà compiuto con il contributo di rivoluzioni proletarie in altri paesi (schiamazzi, grida: basta!). E questo, per ragioni sconosciute, viene chiamato "pessimismo". Noi sosteniamo che l’ottimismo circa la capacità socialiste del contadiname presso i nostri avversari non è altro che il rovescio della medaglia del loro pessimismo nei riguardi della rivoluzione proletaria internazionale (schiamazzi, grida: basta!). Questo "ottimismo" poggia in pieno sulle teorie da me già caratterizzate sul concrescere del kulak nel socialismo, sulle capacità socialiste del piccolo proprietario (schiamazzi, grida).

Qual è però il primo e più caratteristico segno della vittoria definitiva del socialismo di cui stiamo qui parlando?

Se ci si attiene a Marx ed a Lenin, non si può trovare un’altra caratteristica che non la abolizione delle classi. Proprio sulla questione dei rapporti fra proletariato e contadiname nel lavoro di costruzione socialista, Lenin scrisse quanto segue: «Che cosa significa guidare il contadiname? Significa come prima cosa che venga condotta una linea verso l’abolizioni delle classi, non verso il piccole produttore. Se noi deviassimo da questa linea fondamentale e decisiva, smetteremmo di essere dei socialisti e passeremo nel campo di quei piccolo-borghesi, nel campo di quei socialrivoluzionari e menscevichi che oggi sono i peggiori nemici del proletariato».

Quindi la vittoria definitiva del socialismo non può significare altro che, come minimo, la abolizione delle classi. La vittoria del socialismo significa quindi la trasformazione del contadiname in lavoratori di un’economia unitaria, socializzata e a conduzione pianificata. I nostri avversari credono però che l’"ottimismo" consista nella dichiarazione che questo compito possa essere e sarà risolto nell’Unione Sovietica prima che il proletariato dei paesi progrediti del mondo capitalistico abbatta la propria borghesia: voi lo chiamate ottimismo, noi lo chiamiamo il più profondo pessimismo.

La difettosità di questo punto di partenza ha già portato alcuni compagni a delle dichiarazioni il cui senso è che da noi nell’Unione Sovietica il progetto di programma progetto del Manifesto dei Comunisti di Engels sia già realizzato per nove decimi. Se si considera la questione dal punto di vista del passaggio del potere al proletariato, dal punto di vista che l’industria è stata dichiarata proprietà dello Stato proletario, dal punto di vista della nazionalizzazione della terra, delle banche, dei trasporti ecc. (Skrypnik: inerzia), allora questi nove decimi non solo erano realizzati nel 1926, ma già nel 1918, e Lenin ne era perfettamente informato quando scrisse quattro anni più tardi che «non abbiamo nemmeno finito le fondamenta dell’economia socialista».

Se però consideriamo questi nove decimi non dal punto di vista del passaggio del potere e della proprietà dello Stato proletario, ma dal punto di vista della reale costruzione di una società realmente socialista, dal punto di vista di quella profonda modificazione delle masse contadine che le trasforma da piccoli produttori di merce e piccoli proprietari, anche se lavorano su terra nazionalizzata, in lavoratori di un’economia unitaria, socialista, senza classi, allora la dichiarazione che questo compito sia oggi già risolto per nove decimi non significa altro che far sorgere delle illusioni, le quali sono dannose sia per la causa del proletariato russo sia per la causa del proletariato internazionale. Per poter spiegare una tale cosa, bisogna ignorare tutta la dottrina marxista e leninista, e bisogna anche ignorare le seguenti parole di Lenin, che qui da noi ora vengono dimenticate troppo spesso: «Fino a che permanga la proprietà privata di mezzi di produzione (per esempio di attrezzature agricole e di bestiame, anche se è stata abolita la proprietà privata della terra) e la libertà del commercio, fino a quel momento permane anche la base economica del capitalismo».

Da noi però lavorano sotto tali condizioni – proprietà privata dei mezzi di produzione con contemporanea abolizione della proprietà privata della terra – quasi 25 milioni di poderi. Oggi non può essere diversamente. Abbiamo fatto progressi enormi. Con le creative capacità economiche del proletariato abbiamo fatto meravigliare il mondo e lo meraviglieremo anche in futuro con la grande rapidità delle nostre conquiste nel campo della costruzione economica socialista. Però questa situazione del contadiname permane, e la vittoria del socialismo invece presuppone proprio che questa venga cambiata con l’aiuto di cooperative, dell’industrializzazione, dell’elettrificazione.

Nel 1922 Lenin disse: «Non abbiamo nemmeno finito le fondamenta dell’economia socialista»; nel 1926 ci si viene a dire invece che il progetto del Manifesto dei Comunisti è già realizzato per nove decimi.

Eppure Lenin non era un pessimista, non era un pusillanime, nel fare questa dichiarazione. La sua dichiarazione non doveva e non poteva portare ad un indebolimento della combattività e dell’energia costruttrice del proletariato dell’Unione Sovietica della Russia della NEP in una Russia socialista. Lenin però ritenne necessario dire al proletariato tutta la verità sulla nostra situazione ed innalzare, grazie a questa verità lo spirito di combattimento di classe, l’energia costruttrice del proletariato. Far nascere delle illusioni, invece, ignorare i fatti, porta delusioni non solo al proletariato russo ma anche al proletariato internazionale.

Di simili dichiarazioni, il partito non ne ha fatto il suo credo. L’accettazione di questa teoria avrebbe resa necessaria l’eliminazione di tutta una serie di dichiarazioni del partito, che non sono state messe in dubbio finora da nessuno. E proprio perché il partito non ha fatto diventare il suo credo queste dichiarazioni di singoli compagni, perché non le ha scolpite nelle sue tavole dei comandamenti, abbiamo il diritto di criticare e di confutare queste concezioni di singoli compagni e singoli gruppi di compagni.

Non possiamo lasciare senza protesta questa tendenza, perché se non la si contrastasse nelle file del partito e del Comintern, entro un determinato periodo questa porterebbe a crisi contro cui noi, insieme all’enorme maggioranza del nostro partito e del Comintern, speriamo di opporci (risate): la sostituzione della prospettiva rivoluzionaria internazionale, che era determinante per tutto il lavoro pratico di Lenin fino alla rivoluzione d’ottobre, con la prospettiva nazional-riformista che ci viene ora proposta. E noi riteniamo che il Comintern in quanto organizzazione rivoluzionaria del proletariato può e deve aiutare il nostro partito a non cadere in quella tendenza.

Questi sono gli elementi teorici e pratici di cui si compone la deviazione di destra.

Alcuni compagni hanno tentato di presentare la nostra lotta contro questa deviazione veramente di destra come salutata dalla stampa borghese e socialdemocratica. Io dichiaro che questa è la più gran falsità (schiamazzi), che al contrario, com’era da aspettarsi, proprio questa deviazione di destra viene salutata dalla borghesia mondiale, e che la socialdemocrazia mette le sue speranze proprio sul suo ulteriore sviluppo. Per far piena chiarezza su questo dato di fatto, rivolgo alla presidenza del Comintern la proposta di formare una commissione, per raccogliere le dichiarazioni della stampa borghese e socialdemocratica – senza eccezioni – e di duplicarle in più lingue (grido: Lei crede che il Comintern se ne prenderà la briga?), e allora i lavoratori vedranno a chi inneggia questa stampa (schiamazzi). Sono disposto a dare una mano a questa commissione mettendole a disposizione il materiale colossale che ho raccolto.

Voglio però limitarmi ad un solo esempio. Se qui è stato citato Miljukov per dimostrare che sarebbe la borghesia ad appoggiarci, allora io mi richiamerò al nemico più astuto della dittatura proletaria, a Ustrjalov, che proprio Lenin, che lo citava spesso, definiva come tale. Il vero rappresentante della nuova borghesia, Ustrjalov, scrive in occasione e dopo la 15ª conferenza (giornale "Nowosti Shisni", n. 232, del 19 ottobre 1926) quanto segue, nel suo articolo "Crisi del PC russo": «Adesso c’è bisogno di una nuova manovra, di un nuovo impulso, espresso metaforicamente, di una Nep-Nep. Da questo punto di vista va riconosciuto che le concessioni di fatto ai seguaci di Zinoviev, per le quali il partito si è recentemente deciso, devono suscitare seri timori». E più avanti si legge: «Viva il Politburo, se la dichiarazione di pentimento dei capi dell’opposizione è un risultato della loro capitolazione unilaterale ed incondizionata. Ma guai a lui, se è il frutto di un compromesso con loro. In questo caso la lotta divamperebbe inevitabilmente di nuovo. Il C.C. vittorioso deve acquisire un’immunità interna contro il veleno disgregante dell’opposizione. Esso deve trarre tutte le conseguenze dalla sconfitta dell’opposizione. Altrimenti sarà un disastro per tutto il paese». Più avanti ancora Ustrjalov scrive: «Così e in nessun altro modo si devono porre nei riguardi di questa cosa gli intellettuali russi, gli "Spez" (specialisti), gli ideologi dell’evoluzione, non della rivoluzione». Ustrjalov ne trae: «Pertanto noi non solo siamo contro Zinoviev, ma anche decisamente per Stalin» (schiamazzi).

I compagni che citano Miljukov, non dovrebbero dimenticare di citare anche questa concezione del Signor Ustrjalov, del più astuto di tutti i nemici della dittatura proletaria. (Grido: Quando è stato scritto questo?) Questo venne scritto dopo la 15ª conferenza. Evidentemente alcuni dei nostri nemici di classe sono propensi, così come fa Miljukov, a sfruttare la nostra "critica", ma tutti approvano – così come fa Ustrjalov – la politica diretta contro le nostre concezioni.

È da osservare, compagni, che il Signor Ustrjalov, quest’astuto nemico, che raccomanda al C.C. di trarre tutte le conseguenze dalla sconfitta dell’opposizione e di darle il colpo di grazia, non fa mancare al C.C. i suoi consigli. Così per esempio egli ricorda il vecchio Platone e il suo consiglio riguardo ad uomini che sono sì capaci ma nocivi per lo Stato, e ripete questo consiglio: «Fate avere a questa gente tutto l’onore personale, ornate con corone le loro teste, ma allontanatele dalla loro patria il più distante possibile» (risate).

Compagni, riteniamo che sia nostro dovere lottare contro la deviazione di destra da me caratterizzata, e riteniamo che sia nostro diritto difendere, nell’ambito del partito, il nostro modo di vedere secondo il suo statuto. Ancora di più: crediamo che questa nostra lotta non resterà senza influenza sulla politica del partito, anzi, che abbia già avuto una certa influenza, cosa della quale ho parlato alla 15ª conferenza del partito.

Nonostante tutta l’asprezza della discussione in questi Plenum potremo, in base agli insegnamenti dell’anno passato e con un po’ di buona volontà della maggioranza, trovare una linea comune per il lavoro pratico. Eppure, a causa di questa lotta, contro di noi sono state sollevate le più svariate accuse. La scelta delle accuse però non veniva fatta in modo che esse corrispondessero effettivamente alle nostre concezioni, ma con l’obiettivo di screditarci il più possibile. Non voglio entrare nel merito di tutte queste accuse, ma voglio limitarmi solo a tre di esse che oggi vengono artificialmente poste in primo piano.

La prima accusa di riferisce all’egemonia del trotzkismo; la seconda all’appoggio o favoreggiamento dell’idea dei due partiti e la terza accusa alla questione della politica dei prezzi nella sua applicazione pratica.

Per quanto concerne l’egemonia del trotzkismo, ho da dire questo. Voi tutti, che siete dei politici esperti, vedete chiaramente quale vantaggio strategico si ha quando si sostituisce ad una analisi delle nostre dichiarazioni che sono comuni a noi ed a Trotzki, grida di allarme sull’egemonia del trotzkismo, o quando si fa passare per analisi queste grida di allarme. Questo è falso. Noi non abbiamo mai difeso, non difendiamo neanche oggi, e non difenderemo in futuro mai ciò che ha differenziato il trotzkismo storico dal leninismo – rivoluzione permanente, questione del contadiname, ecc. (schiamazzi, urla).

Oggi però non si procede contro queste idee sbagliate di Trotzki, bensì proprio contro quegli aspetti della concezione che infine lo hanno portato a Lenin. Le idee che oggi vengono attaccate non appartengono né a noi né a Trotzki, ma a Lenin. I nostri avversari attaccano le idee principali del leninismo, per esempio il concetto dello stretto legame della nostra rivoluzione con la rivoluzione internazionale, e chiamano questi concetti "trotzkismo".

Nella storia del comunismo cose del genere sono già avvenute più volte. Spesso venivano attaccate idee di Marx definendole blanquiste. Così anche l’odierno ideologo del Comintern, l’impavido combattente contro il trotzkismo, il compagno Martynov, ha consumato molta carta e inchiostro per confutare delle idee leniniste – definendole come idee blanquiste e bakuniniste. Noi rifiutiamo ciò che differenzia il compagno Trotzki da Lenin, difenderemo però insieme a lui le vere idee del marxismo e leninismo contro coloro che oggi le deformano.

Diamo qui un esempio semplice, evidente, che da solo, di per sé, rende comprensibile il reale stato delle cose, anche se tutto il resto per qualche ragione geologica fosse improvvisamente scomparso. Il compagno Trotzki ha qui citato il programma del KJV (Lega Giovanile Comunista) dell’Unione Sovietica. Permettetemi compagni, dato che lo avete interrotto, che io rilegga queste parole. Nel paragrafo 4 del programma si legge: «Nonostante che la Russia disponga di enormi ricchezze naturali, essa dal punto di vista industriale è un paese arretrato con predominante popolazione piccolo-borghese. Essa può giungere al socialismo solo attraverso la rivoluzione proletaria mondiale, nella cui epoca di sviluppo siamo ormai entrati».

Compagni, questa frase è senza dubbio in contraddizione con quella teoria del "socialismo in un solo paese" che qui è stata difesa davanti a voi. Se voi volete accettare questa teoria, allora dovete modificare le parole da me sottolineante.

Faccio la proposta di seguire la buona vecchia regola e di chiamare le cose con il proprio nome (grida: e dire trotzkismo al trotzkismo! risate). Quindi coloro che vogliono revisionare il programma vanno chiamati revisionisti (schiamazzi, grida), coloro che difendono il vecchio programma, ortodossi (risate, schiamazzi, grida). Ora vi chiedo: chi vuole cancellare da questo programma le parole sulla rivoluzione mondiale? Forse Trotzki? Se Trotzki lo avesse fatto, noi saremmo contro di lui.

Le cose però stanno così: non è Trotzki a voler revisionare questo programma, a voler cancellare le parole sulla rivoluzione proletaria, ma sono altri che lo vogliono fare. Quindi siamo con Trotzki contro questi altri. Chiunque sia a voler imporre questa revisione, questo sfiguramento, questa deformazione della chiara dottrina leninista – certo non vorrete sostenere che questo programma sia redatto sotto l’influenza di Trotzki e non di Lenin – noi saremo sempre contro di lui e con colui che combatte una tale revisione. Noi siamo con Trotzki perché non è lui a revisionare le idee fondamentali di Lenin, come per esempio il legame fra la nostra rivoluzione e la rivoluzione internazionale, mentre sono altri a farlo.

Alla 15ª conferenza si è detto che la novità nel nostro partito in questi ultimi anni consiste nel nostro passaggio al trotzkismo (voci: Giustissimo!). Questo è falso. La novità è che una parte dei compagni, in questioni fondamentali molto serie, fra l’altro nella questione del legame fra la rivoluzione nostra e quella mondiale, rinnega il leninismo (Zinoviev: giustissimo!).

E adesso alla questione dei due partiti. La nostra posizione è quella della compattezza e del monopolio del partito bolscevico comunista che realizza la dittatura nel nostro paese. In tutto quello che abbiamo scritto non troverete una parola che contrasti con questo (schiamazzi, grida: E in quello che avete fatto?). Al contrario, dovete ammettere che nel nostro partito sorgeva una corrente che impostava in modo sbagliato questa questione, mentre l’iniziativa del partito apparteneva proprio a noi (rumori, grida: ossowski?).

Per quanto riguarda la questione della politica dei prezzi, noi respingiamo la politica dell’aumento dei prezzi. Questo l’ho dichiarato al Plenum di luglio del C.C. In forma scritta noi, cioè Trotzki ed io, abbiamo consegnato una dichiarazione firmata in comune perché venisse inserita nel protocollo della 15ª conferenza – una dichiarazione aperta ed inequivocabile con cui respingiamo la politica dell’aumento dei prezzi all’ingrosso.

Nonostante che questa dichiarazione scritta non sia stata inserita nel protocollo della conferenza e quindi non potrà essere conosciuta dai membri del nostro partito che lo leggeranno, essa rimane pienamente valida. Si potrà imporci la politica dell’aumento dei prezzi come si vuole, io non l’ho mai condivisa e la combatterò.

Queste sono, compagni, le accuse sollevate contro di noi.

Che cosa però sosteniamo, in realtà? Qual è il nostro Credo? La nostra risposta alle questioni più importanti può essere riassunta nelle seguenti brevi frasi. Naturalmente questa risposta non esaurisce tutte le questioni, per farlo il tempo concesso è troppo breve; posso dare una risposta solo alle questioni più importanti.

Come prima cosa noi affermiamo che non devono essere combattuti solo coloro che hanno deviato veramente dal comunismo in direzione dell’ultra radicalismo (estremismo di sinistra), non solo coloro che affermano che la rivoluzione d’ottobre sbocca in una degenerazione borghese, che cadono nel sindacalismo e nell’anarchismo o dalla disperazione vanno a finire nelle braccia dei nemici dell’Unione Sovietica e del Comintern, ma anche quelle tendenze di destra – le ho già caratterizzate – che coscientemente o semi-coscientemente partono dal presupposto che per decenni si debba contare in una stabilizzazione, e che spingono il partito sulla via dell’indebolimento della dittatura del proletariato.

Come seconda cosa sosteniamo che per tutto il lavoro di formazione politica del proletariato deve essere decisiva la prospettiva della rivoluzione mondiale, che dal programma del KJV non devono essere cancellate le parole da me sopra citate, così come dagli statuti dei sindacati non si devono cancellare i RGI. Dobbiamo dire a tutti i lavoratori che nel nostro paese costruiremo una piena società socialista, però solo con l’aiuto del proletariato mondiale, e che è inammissibile revisionare le concezioni di Lenin in questo punto.

Come terza cosa sosteniamo che questa prospettiva non può in alcuna misura indebolire l’energia e l’entusiasmo del proletariato, del partito e del KJV nel pratico lavoro di costruzione socialista nel nostro paese; che ogni successo del proletariato e del potere dei soviet nel campo del lavoro di costruzione socialista è un forte elemento della crescente rivoluzione mondiale e ce la avvicina.

Come quarta cosa sosteniamo che le premesse per la costruzione del socialismo consistono nell’alleanza fra operai e contadini (sotto le condizioni definite da Lenin, cioè mantenendo il ruolo di guida del proletariato) e nell’industrializzazione del paese. Senza una determinata velocità d’industrializzazione è impossibile un ulteriore rafforzamento dell’alleanza con i contadini. L’industrializzazione è oggi una premessa per il rafforzamento dell’alleanza con i contadini, e soprattutto per assicurare il ruolo di guida della classe operaia in questa alleanza. Questo spiega perché affrontiamo la questione della velocità dell’industrializzazione.

Come quinta cosa sosteniamo che il vittorioso lavoro di costruzione socialista e il mantenimento del ruolo di guida del proletariato sia nel campo politico sia nel campo economico, richiedono un sistematico aumento della sua parte di reddito nazionale. Al livello odierno della nostra economia nazionale, nel decimo anno del potere sovietico, una giusta politica salariale deve basarsi sul presupposto che l’aumento dei salari è una premessa per l’aumento della produttività, e non viceversa. L’avvicinamento degli operai allo Stato, l’aumento della loro attività come contrappeso all’indubbio accrescere dell’attività degli strati non-proletari e antiproletari della popolazione devono essere i compiti principali del presente.

Come sesta cosa sosteniamo che fra i vari strati della popolazione contadina la povertà rurale è l’unico sicuro sostegno della rivoluzione proletaria. Noi insistiamo sul punto di vista che le seguenti parole di Lenin devono essere il filo conduttore di tutta la politica verso la campagna: «Dobbiamo saper andare d’accordo con il contadino medio, ma non dobbiamo rinunciare neanche un momento alla lotta contro il kulak, e dobbiamo appoggiarci fermamente solo ai contadini poveri».

Seguendo quest’indicazione dobbiamo condurre una corrispondente politica per gli strati poveri della popolazione rurale (esenzione del 40% dei contadini dal pagamento delle tasse, credito a condizioni vantaggiose, facilitazioni per rifornire di attrezzature agricole ecc.), individuando nei poveri delle campagne, nel rafforzamento del loro potere sociale e del loro ruolo politico nelle campagne il principale punto di sostegno per la costruzione socialista nelle campagne.

Come settima cosa sosteniamo che in campo internazionale si deve ritornare alle direttive fondamentali di Lenin, le quali respingono tutti i tentativi di diffondere l’illusione che l’Unione Sovietica possa appoggiarsi ad elementi del movimento internazionale come quelli rappresentati nel Comitato Anglo-Russo o nel Consiglio Generale ecc.

Queste sono le nostre vere concezioni. Questo non è né socialdemocratismo né "trotzkismo", ma leninismo. Siamo del parere che il sostenere queste nostre reali concezioni non offra alcun appiglio per accusarci di deviazione dalla posizione di Lenin.

Siamo dell’opinione che nel partito debbano essere create condizioni tali per cui il sostenere queste concezioni, anche se non coincidono con il punto di vista dell’uno o dell’altro membro del C.C., non venga considerato un delitto contro il partito. La dichiarazione del 16 ottobre rimane per noi pienamente valida, però essa è solo una dichiarazione sulla sottomissione alle decisioni del partito, dei suoi congressi e delle sue conferenze, del suo C.C. e della sua C.C.C. (schiamazzi, urla: non crediamo alle parole ma ai fatti!); ma essa non significa che noi riconosciamo la nostra concezione come socialdemocratica.

Compagni, noi ci sottomettiamo ad ogni decisione del partito (urla, grida: non è che questo si noti molto!). Voi progettate un colpo contro l’opposizione. Noi non dubitiamo che questo colpo rafforzerà quelle tendenze di destra delle quali ho parlato. Esse si manifesteranno senza dubbio ed inevitabilmente già nel prossimo futuro, e non ho alcun dubbio che di fronte al fatto del loro ineluttabile rafforzamento e attacco, noi, quelli della cosiddetta "opposizione", ci troveremo sullo stesso fronte insieme all’enorme maggioranza degli elementi proletari del nostro partito.

Noi ci sottomettiamo ad ogni decisione del partito, ma non possiamo riconoscere che il nostro lavoro pratico o le nostre concezioni deviino in qualche modo dal leninismo.

L’Internazionale Comunista era, è e rimane per noi l’unica organizzazione proletaria rivoluzionaria, e il leninismo sarà l’unica stella polare della nostra lotta.