Partito Comunista Internazionale Dall’Archivio della Sinistra

"Prometeo"

 

L’Internazionale e la Rivoluzione
GLI ERRORI DELL’INTERNAZIONALE
(Prometeo, n. 2, 15 giugno 1928)

LA TRAGEDIA DELL’INTERNAZIONALE
(Prometeo, n. 3, 15 luglio 1928)

Ricorso presentato dalla Sinistra al sesto Congresso dell’I.C.
(Prometeo n. 3, 15 luglio 1928)




 
 
 

Premessa (in "Comunismo", n.27, 1989).

I grandi rivolgimenti politici che sconvolgono i paesi dell’ex "socialismo reale" e gli ex-partiti comunisti (avvenimenti che fanno trepidare il mondo intero) non sono altro che la tragica conseguenza della degenerazione del Comintern che, già 10 anni dopo la vittoria dell’Ottobre, aveva raggiunto uno stadio estremamente pericoloso. Di lì a poco tempo dopo, infatti, l’organizzazione mondiale rivoluzionaria del proletariato passò definitivamente nel campo della controrivoluzione.

Se l’abbattimento di qualche pezzo del vergognoso muro di Berlino ha indotto il signor Occhetto Achille a proporre il cambiamento del nome al suo partito, e sarebbe stato molto più serio farlo quando il muro venne innalzato, a noi i rivolgimenti, anche tragici, che si verificano ad Oriente confermano la giustezza delle nostre analisi di sempre.

Nel 1951 scrivevamo: «Che la vittoria materiale della rivoluzione proletaria in Russia nell’ottobre 1917 abbia comportato la vittoria critica definitiva del comunismo marxista è verità acquisita. Che la vittoria, non armata ma sociale, della controrivoluzione in Russia abbia rappresentato una sconfitta anche parziale per il sistema critico marxista, e quindi la situazione storica d’oggi, e il parallelo inginocchiarsi del movimento rivoluzionario proletario mondiale, comporti una modifica o ricostruzione del marxismo teorico, è un falso in assoluto. Com’è una dottrina della rivoluzione così dalla sua prima scrittura il marxismo è una teoria delle controrivoluzioni; come è una previsione della rivoluzione socialista unitaria e mondiale, così è dal primo momento una sicura e non pavida attesa di controrivoluzioni in serie, ripetute, diffuse, incrociate nella spazio e nel tempo» ("Battaglia Comunista", n. 18/1951).

Ben volentieri ripubblichiamo quindi gli articoli che seguono, apparsi, nel 1928, nel giornale della Frazione italiana all’estero. Nel primo di questi articoli viene, innanzi tutto, ribadita la necessità inderogabile per il proletariato rivoluzionario di raggrupparsi attorno ad una organizzazione Internazionale. Il compito immediatamente successivo è quello di "garantire l’organizzazione dal pericolo di degenerazione; questa garanzia", spiega la Frazione, non può essere trovata in "una centralizzazione esteriore e burocratica", ma solo in quei caratteri specifici sempre ribaditi dalla Sinistra italiana e cioè attraverso una ben definita elaborazione teorica ed altrettanto ben definite direttive tattiche.

Il "vizio d’origine" dell’Internazionale, rilevato anche nella famosa lettera a Korsch, unito ai grandissimi problemi che i compagni russi erano costretti ad affrontare, tutto questo insieme di cose, e venuta a mancare una guida della potenza e chiarezza di Lenin, fece sì che si adottasse una tattica situazionistica che, alla continua ricerca di successi immediati, finì con il far dimenticare le posizioni rivoluzionarie di classe della dottrina marxista fino a snaturare l’organizzazione rivoluzionaria mondiale.

Se Stalin pose la definitiva pietra tombale sull’Internazionale nel corso del secondo conflitto imperialista, l’Internazionale era già stata uccisa con la definitiva vittoria delle teorie del socialismo in un solo paese.

Il secondo dei due articoli, che non ha bisogno d’alcun commento, spiega quale fosse ormai la situazione all’interno del partito russo e dell’Internazionale, quali fossero i sistemi usati per risolvere le questioni all’interno del partito e di fronte a quali difficoltà le opposizioni continuavano la loro battaglia in difesa dei principi marxisti.

In ultimo viene ripubblicato il "Ricorso al VI Congresso dell’internazionale". Questo ricorso stilato da un gruppo di proletari italiani emigrati ed indirizzato ai sommi capi dell’Internazionale farebbe certamente sorridere qualsiasi studioso del ramo. Noi, al contrario, lo ripubblichiamo perché è una puntuale critica alla tattica dell’Internazionale ed è impostato con una lucida visione della gravissima situazione in cui si trovava l’Internazionale stessa ed il futuro della rivoluzione. I compagni della Frazione non s’illusero certo di far cambiare, con il loro ricorso, la politica dei grandi capi del Cremlino, mettevano però in chiaro tutti i problemi.

Il ricorso non passò, passò la controrivoluzione, quella stessa controrivoluzione che oggi sembra, sia ad Oriente sia ad Occidente, nella sua marcia trionfale.

«Ma se le controrivoluzioni del secolo scorso insegnarono quanto è consegnato nella storia della Comune, e della rivoluzione soviettista, questa controrivoluzione di oggi non potrà nemmeno essa passare invano; e se avrà portato il capitalismo verso gli Urali e verso i mari del Levante, anche questo segnerà la strada per la rivoluzione proletaria, che batterà dall’Atlantico al Pacifico le forze mostruose del Capitale; sola prospettiva storica che esso debba finalmente, e dopo tanti bestiali ritorni, piegare la testa» ("Prometeo", n. 6, 15 settembre 1928).
 
 




L’Internazionale e la Rivoluzione
GLI ERRORI DELL’INTERNAZIONALE
(Prometeo, n. 2, 15 giugno 1928)





La natura internazionale della società comunista, per cui la classe proletaria è destinata a compiere la rivoluzione, non è pura aspirazione informe che si relega in una clausola programmatica, ma è la condizione che deve ispirare l’azione comunista in ogni paese e soprattutto laddove il proletariato ha conquistato il potere politico. Il grido di Carlo Marx "Proletari di tutti i paesi unitevi" ritrova nell’attività spiegata dal Maestro nella 1ª Internazionale una configurazione netta che, applicata alla situazione attuale, profondamente diversa da quella in cui operò la prima esperienza dell’organizzazione internazionale, fornisce gli elementi per guidare il proletariato comunista.

La borghesia, in quanto classe di dominio politico, riposante su antagonismi che generano i conflitti di classe all’interno di ogni Stato ed i conflitti fra Stati, può mantenere il suo dominio solamente frustrando, con la violenza o la corruzione politica, lo sforzo del proletariato a darsi una organizzazione internazionale capace di coordinare i movimenti, per impedirne lo stroncamento o la denaturazione nei limiti di un singolo Stato, per orientarli verso il fine comunista. Anche se non esiste una formazione mondiale con i suoi statuti e la sua organizzazione, la borghesia agisce direttamente su scala internazionale e, se questa struttura organica fa difetto, la ragione va ricercata nella possibilità, mille volte provata, con cui i governi riescono a stabilire una perfetta solidarietà contro il proletariato.

La formazione di un’organizzazione internazionale della nostra classe non può essere il risultato della buona volontà dei capi dei partiti. La costruzione effettiva di un partito comunista mondiale, ove la centralizzazione non sia solamente una forma esteriore e burocratica, ma si accompagni con una politica corrispondente ai nostri scopi, dipende dalla confluenza delle direttive nel lavoro rivoluzionario delle singole sezioni dirette da un centro internazionale che prestabilisce e regola non sotto l’impulso delle situazioni contingenti, ma con il sicuro orientamento verso i nostri programmi, il che si traduce nella reale comprensione di tutto il processo della lotta delle classi.

Di fronte ad una classe che detiene e difende il suo potere con istituzioni possenti, il problema della formazione del partito mondiale è certamente il più arduo da risolvere; esso presenterà difficoltà e crisi che possono allontanare singoli elementi o gruppi dalla nostra battaglia, ma che contengono le forze rigeneratrici che assicurano la continuità dell’azione rivoluzionaria.

I movimenti ed anche i successi del proletariato nell’ambito di un singolo paese sarebbero condannati alla sconfitta qualora essi non si collegassero e coordinassero profondamente con quelli dei proletari degli altri paesi, giacché l’ultima parola è stata detta dalla borghesia come classe di governo nazionale: la parola che spetta al proletariato è quella di fondare una società che non conosce frontiere.

La sinistra ha sempre affermato che il difficile problema della costruzione reale dell’Internazionale doveva trovare la sua soluzione attraverso una rigida elaborazione di direttive politiche e tattiche le quali, con il costante e collettivo confronto delle esperienze della lotta di classe, dovevano costituire il sistematico e chiaro orientamento dei partiti. Il compagno Bordiga, in tutte le consultazioni internazionali, si è opposto al situazionismo consistente nell’adattazione dell’attività comunista alle contingenze del momento ed ha continuamente marcato che allorquando ci si scosta dai nostri principi, sia pure nell’illusione di guadagnare o di mantenere delle posizioni, in realtà si prepara un successo dell’opportunismo nelle nostre file e si retrocede, non si avanza nella nostra battaglia.

La Terza Internazionale, costituitasi in una situazione che dava prossima la vittoria rivoluzionaria in Europa, indusse Lenin a concentrare frazioni e gruppi della Seconda Internazionale sulla base di una possente rigenerazione del marxismo rivoluzionario elaborata dalle tesi del 2° Congresso. Ma questo non è stato sufficiente: occorreva approfondire fin d’allora, completare la nostra impalcatura teorica e politica per impedire che gli opportunisti, i quali, sotto l’impulso delle vive lotte di quell’epoca, davano la loro adesione ai nostri programmi, non trovassero poi la possibilità di esibire i loro copiosi residui socialdemocratici raccomandandoli così con il pretesto che la situazione imponeva elasticità, adattabilità, mentre il proletariato era chiamato a favorire e non a combattere le soluzioni governative socialdemocratiche come un passo verso la liberazione, come in Italia con l’antiparlamento, in Francia con la tattica dei blocchi di Clichy, in Germania con l’esperimento della "nuova tattica", in Inghilterra, in Cina.

Il difetto d’origine della Terza Internazionale doveva rivelarsi poi nelle situazioni determinate dalle successive disfatte rivoluzionarie, mentre diveniva sempre più difficile la situazione interna della rivoluzione russa. I compagni russi che dirigevano l’Internazionale, sovrastati da un ambiente sociale difficilissimo, non sorretti da un’effettiva collaborazione degli altri partiti, sono stati avviati a concepire un’applicazione tattica per gli altri paesi identica a quella che aveva dato la vittoria al proletariato in Russia. Lenin, sulle tracce del marxismo, aveva insegnato a respingere come contro-rivoluzionaria la tesi dell’attesa di un completo sviluppo economico borghese prima di scatenare l’assalto rivoluzionario. Lenin aveva insegnato a discernere sulle capacità del partito, nella coscienza del proletariato l’elemento fondamentale di rivoluzione dei conflitti sociali, che determinano la crisi di classi dominanti anche precapitaliste, a cui è aperta la successione della dittatura proletaria non della democrazia borghese. Ma da questa sapiente tattica di Lenin e dei bolscevichi non doveva dipendere il falso leninismo che denatura l’egemonia del proletariato, il quale può divenire il protagonista di trasformazioni sociali che in Inghilterra, in Francia ed altrove furono compiute dalla borghesia, che crea il Lenin dei compromessi a tutto spiano, il quale indicherebbe al proletariato la necessità di stringere alleanze con altre classi e perfino con frazioni della borghesia.

La sinistra ha costantemente affermato che i rivoluzionari russi forniscono al proletariato il miglior materiale di direzione, ma fin dal 5° Congresso dell’Internazionale il compagno Bordiga rilevava l’urgenza, per gli altri partiti, viventi in un ambiente sociale che forniva il diretto impulso dalla lotta di classe, di collaborare seriamente con il proletariato russo.

D’altronde, i bolscevichi russi non avevano dovuto combattere contro la borghesia che da decenni esercita il suo potere politico e la cui arma essenziale di dominio è rappresentata dall’infiltrazione social-pacifista nelle file del proletariato, per disgregarlo e vincerlo allorché la situazione offre la possibilità rivoluzionaria. Applicata in occidente la tattica dei bolscevichi, essa non poteva che condurci d’errore in errore, mentre nel ’23, nel ’24, nel ’26, nel ’27 lo stesso proletariato russo reagiva attraverso le diverse fasi dell’opposizione diretta dal compagno Trotzki, le cui "Lezioni d’Ottobre" dimostrano che la tradizione proletaria dei bolscevichi si salda con quella rivoluzionaria del proletariato di tutti i paesi.

Gli avvenimenti del 1917 provano con quale maestria marxista Lenin seppe respingere dal proletariato ogni compromesso, che allora lo avrebbe legato a divenire un’informe opposizione di sinistra della borghesia, e con quanta energia Lenin seppe dirigere contro gli opportunisti del partito bolscevico il proletariato a disperdere con le armi l’Assemblea Costituente.

Fino al 1927 la sinistra nella sua opposizione ha cercato di indicare le lezioni degli avvenimenti che si svolgevano per porre un effettivo riparo agli errori che si compivano. Ma invano; nel momento difficile della nostra crisi, resa favorevole dalla situazione di provvisori successi del capitalismo, nel folto di una confusione completa del proletariato comunista sconvolto da una propaganda scandalista sull’inesistente trotzkismo, si è voluto chiudere il proletariato russo nelle frontiere delle sue difficoltà e l’Internazionale Comunista ha, con il XV congresso russo, rettificato e modificato le direttive fondamentali per cui si era fondata la rivoluzione russa.

Oggi non si tratta più d’errori, di competizioni per il significato dell’esperienza russa, degli insegnamenti di Lenin, si tratta del trionfo, nelle nostre file, di una linea politica opportunista dalla quale il proletariato deve liberarsi per proseguire vittoriosamente il cammino della sua rivoluzione, per non incontrare sicure disfatte.
 
 

La crisi dell’Internazionale

Non è possibile analizzare la nostra crisi con un raffronto ed un’analogia con la crisi della Seconda Internazionale, mentre gli insegnamenti di Lenin e di Bordiga devono essere costantemente presenti ai comunisti di sinistra. Questi nostri maestri ci hanno insegnato a restare profondamente connessi con il processo della lotta rivoluzionaria, a seguirne le fasi per accelerarne il corso perché solamente con il più deciso sforzo di ricavare dalle situazioni la massima mobilitazione possibile delle masse, è dato di combattere con successo lo stesso opportunismo sulle nostre file.

La Terza Internazionale è dominata, come d’altronde tutta la vita del proletariato internazionale, dall’esistenza di un partito di governo. Da questo fatto discendono, con la natura della crisi, le prospettive della rivoluzione e l’espressione che deve essere data alla nostra attività di sinistra.

Anche prima del XV congresso russo il criterio interclassista aveva fatto progressi nei circoli dirigenti del partito bolscevico, dello Stato russo e dell’Internazionale. Scambiato come termine generale di confronto per l’economia del paese quello del consumo individuale con l’altro dell’aumento a tutti i costi della produzione, si era parallelamente stabilita la nuova teoria sull’industrializzazione, sui kulak, sulla Nep, sui contadini medi, sui contadini poveri. Non più quali classi capaci di divenire le guide della trasformazione economica comunista venivano considerate quelle fondamentali del regime soviettista, ma le altre erano suscettibili di fornire una maggiore produzione. E le classi borghesi e neocapitaliste, le meglio attrezzate a causa delle loro esperienze, hanno seriamente profittato per infliggere colpi al proletariato ed ai contadini poveri e per accumulare le ricchezze che consentono di unificare, con il sabotaggio economico al governo soviettista, che non ha ricavato la maggiore produzione illusoriamente attesa, il lavoro e l’organizzazione diretta controrivoluzionaria!

Di fronte a questa situazione non mancano i gruppi che sostengono esservi in Russia un governo capitalista. Una tale asserzione dovrebbe avere riscontro con un’analisi che, sulla base del Manifesto dei Comunisti, provasse che l’organizzazione economica della società russa corrisponde a quella di uno Stato borghese. Dimostrazione questa fortunatamente impossibile mentre l’esperienza ungherese e quella italiana, se non ci si vuole riferire a quella della Comune, dimostrano che il placido tramonto del regime soviettista non è da prospettarsi, mentre per la classe capitalista non resta – nella fase economica dell’imperialismo – che la dittatura senza limitazioni. Non è mancato chi a proposito della rivoluzione cinese ha sostenuto la lotta fra i due governi di Londra e di Mosca, gli avvenimenti del dicembre 1927 hanno dimostrato che la falsa linea politica opportunista ha costato la vita ai compagni russi che erano rappresentanti del governo soviettista verso i presunti alleati sudisti.

La giusta comprensione della situazione russa è indispensabile per orientarsi sicuramente negli avvenimenti caratterizzati dal sapiente tentativo del capitalismo internazionale per vincere la sua battaglia anche in Russia. Dopo gli avvenimenti del novembre 1927 e la repressione violenta contro le pattuglie d’avanguardia del proletariato russo, è visibile la manovra del capitalismo di profittare della crisi economica soviettista, di fronte alla quale – per colpa della politica economica seguita – la classe proletaria e i contadini hanno una posizione di sfavore in confronto a quella precedente rispetto alle altre categorie e classi, per stringere il cordone isolatore e minacciare la rottura delle relazioni commerciali se il governo soviettista non cederà, avviandosi alla attenuazione del monopolio sul commercio estero ed al riconoscimento dei debiti. La fase attuale del petrolio, il nuovo attacco del governo conservatore ed il blocco franco-tedesco sono indici chiari di quest’orientamento capitalista, mentre estremamente preoccupante è la notizia data e non smentita dall’Humanité del parziale riconoscimento dei debiti verso l’Inghilterra.

La sinistra è convinta che in Russia si è oggi in una fase di transizione che è aggravata dalla crisi economica; la linea politica che ispira lo Stato russo è quella della capitolazione e della disfatta, l’azione continua e violenta contro i compagni di sinistra che combattono in una situazione terribile, non rappresenta un successo rivoluzionario, ma facilita il successo controrivoluzionario.

Si sono lette in questi giorni le disposizioni per una democrazia interna del partito russo; si vorrebbe accettare una rivendicazione sostenuta dalla sinistra?

Delle due l’una: o questa democrazia non esisteva quando per rivendicarla s’era espulsi dal partito o deportati; e se ne vede oggi la reale necessità ed allora si cominci col reintegrare quelli che ancora in questi giorni vengono arrestati. Ma la manifestazione del dissenso di sinistra corrisponde al grado di successo ottenuto dall’opportunismo, quando ancora si restava nel campo degli errori l’opposizione doveva limitare la sua richiesta alla democrazia di partito, che avrebbe facilitato la risoluzione della crisi; ora che una linea politica opportunista è divenuta la linea ufficiale dell’Internazionale, occorre la frazione per vincere quelle stratificazioni estranee al proletariato rivoluzionario che si sono consolidate nelle nostre file.

Il preteso corso a sinistra che si svolge non viene da noi condiviso, ma combattuto; esso non indica un avviamento al risanamento perché urta con la reale situazione interna di partito che va sempre più aggravandosi. Questo corso ha piuttosto lo scopo di ottenere un effimero successo interno contro la sinistra attraverso nuovi equivoci e nuova confusione mentre l’esperienza insegna ad essere estremamente vigili su questi zig-zag che danno al nemico le migliori possibilità.
 
 

Conclusione

L’Internazionale come organo direttivo supremo delle lotte del proletariato mondiale ha fallito il suo scopo nel novembre 1927, quando ufficialmente si sono alterati i nostri programmi. Oggi, malgrado la centralizzazione esteriore, l’Internazionale si presenta come un aggregato di partiti comunisti alcuni dei quali operano in un ambiente gravissimo ove la lotta rivoluzionaria si impone al proletariato.

Il VI congresso mondiale potrebbe ancora risolvere favorevolmente la nostra crisi, ma per questo sarebbe necessaria una vera rivoluzione interna che riportasse al posto di comando i bolscevichi che sono deportati o incarcerati. La sinistra farà quanto può in questo senso, sebbene non fondi alcuna prospettiva di successo data la gravità della nostra crisi e l’orientazione politica dei dirigenti dei partiti comunisti.

Per quanto come organizzazione di lotta rivoluzionaria l’Internazionale abbia fallito, i partiti che la compongono sono ancora le organizzazioni ove il proletariato deve combattere per farne la guida della rivoluzione.

Lo stesso corso della rivoluzione russa dipende dal successo della rivoluzione in un altro paese e la crisi del capitalismo è tale che non tutto è perduto nemmeno della Russia soviettista se il proletariato riuscirà a vincere la sua battaglia rivoluzionaria.