Partito Comunista Internazionale "Dall’Archivio della Sinistra"

"Prometeo"
   

L’impresa "fascista" (?) in Abissinia
(Prometeo, n. 120, 21 luglio 1935)

  

 

Presentazione (in “Comunismo”, n.38, 1999)

Sono notevoli nell’articolo che segue le rigorose valutazioni di tutti gli aspetti, sociali, politici, economici, classisti, sia a livello nazionale sia internazionale, che concorsero a determinare la necessità per l’imperialismo italiano a dare per primo mano alle armi; ma l’articolo acquista ancor più importanza se teniamo conto dell’epoca in cui esso fu scritto: il luglio 1935. Non si tratta quindi di una fredda, anche se lucida, analisi a posteriori ma di una previsione materialisticamente fondata, e successivamente comprovata dai fatti, di quello che nei mesi e negli anni successivi sarebbe puntualmente accaduto.

Il titolo, composto di sole tre parole, rappresenta una formidabile sintesi della posizione comunista rivoluzionaria che la nostra Frazione tenne nei confronti di quella che, dai traditori di tutte le risme, fu definita l’avventura fascista.

Lo scritto, con uno studio limpido e lineare, dimostra come già dallo scorso secolo i maggiori imperialismi europei avessero gli occhi, ed anche le mani, sul cosiddetto impero etiopico, e non tanto per le sue ricchezze minerarie o per la fertilità dei territori, ma soprattutto per la posizione strategica che esso deteneva.

Se l’Abissinia aveva potuto restare indipendente per un periodo così lungo ciò era, esclusivamente, dovuto al fatto che i contrasti tra i vari imperialismi avevano finito per neutralizzarsi a vicenda. Ma questo rapporto di equilibrio, che per mezzo secolo aveva retto, crollò di colpo quando tutte le condizioni oggettive per lo scatenamento del secondo macello imperialistico vennero a maturazione. E se fu l’Italia a rompere la pax imperialista sottoscritta, ciò dipese non dallo spirito bellicoso e guerrafondaio del regime fascista, ma dal fatto che il capitalismo italiano, più debole dei suoi concorrenti, più degli altri aveva risentito dei colpi della giganteggiante crisi economica e, prima degli altri, dovette ricorrere alla medicina a cui tutti i capitalismi agonici debbono ricorrere: la guerra.

Se l’impresa etiopica fosse stata solo ed esclusivamente il risultato della politica e della ideologia del fascismo si sarebbero dovuti spiegare quali motivi avevano indotto i vari governi italiani, che fascisti non erano, ad intraprendere la conquista dell’Eritrea, a tentare già più di una volta quella di Etiopia e, soprattutto, ad effettuare quella di Libia. Si sarebbe dovuto spiegare come mai tutta l’operazione avesse preso il via con l’assenso della democratica repubblica francese, dopo lo storico accordo di Laval. Si sarebbe dovuto spiegare, inoltre, il perché gli Stati Uniti (patria di tutte le libertà) e l’Unione Sovietica (patria del socialismo in un solo paese), in barba alle sanzioni, avessero rifornito l’Italia fascista di macchinari bellici e soprattutto di petrolio permettendogli di portare a compimento la sua guerra.

Definire la campagna di Etiopia come una guerra fascista serviva però a socialisti e stalinisti per portare a compimento la loro funzione controrivoluzionaria consistente nel distogliere la classe proletaria internazionale dai suoi obiettivi rivoluzionari e per legare i suoi destini ai destini del capitalismo nazionale. Quello che la socialdemocrazia aveva fatto nel 1914, in nome della difesa dei principi democratici e contro i pericoli di vittoria di regimi reazionari, ora, nel 1935, lo stalinismo lo sbandierava come difesa delle conquiste proletarie, della rivoluzione russa, del socialismo.

Anche in quella occasione solo da un piccolo nucleo di compagni, educati alla scuola della Sinistra Comunista, si levò la voce della solidarietà internazionale fra proletari e sfruttati, del rifiuto di ogni tipo di guerra imperialistica e della sua trasformazione in guerra fra le classi.

I nostri compagni non si illusero di poter forzare gli eventi storici, ormai irrimediabilmente compromessi, ma, d’altro canto, sempre furono coscienti che la nostra voce “soffocata oggi”, sarebbe servita “domani, dando coscienza alla violenza delle masse che saranno nuovamente gettate nell’arena delle lotte rivoluzionarie per la vittoria comunista e la liquidazione di tutti i traditori”.

 
 
 


 L’impresa "fascista" (?) in Abissinia

Un articolo di un nostro compagno pubblicato sul numero 20 di "Bilan" permetterà ai compagni di ritrovare, in dettaglio, i precedenti dell’attuale conflitto che vede schierarsi l’imperialismo italiano contro il regime semi-patriarcale e semi-feudale di Etiopia. La persistenza di una zona non controllata direttamente dall’uno o dall’altro imperialismo europeo, non è affatto dovuta al fatto che la Francia, l’Inghilterra o l’Italia (per limitarci ai capitalismi più interessati in questa regione dell’Africa tropicale) non abbiano concepito dei piani di conquista dell’Etiopia. Fra il 1860 ed il 1900, volta a volta, ciascuna di queste tre potenze ha tentato di occupare gli altipiani di Abissinia e se vi ha rinunciato questo è dipeso unicamente dall’impossibilità di arrivare al suo scopo senza dovere affrontare una guerra contro l’imperialismo concorrente. Se l’Inghilterra, in un primo momento, aveva lasciato che l’Italia prendesse possesso dello sbocco marittimo di Massaua, questo fu unicamente perché quest’azione indeboliva la resistenza che opponevano allora i dervisci nell’Alto Nilo alla vittoriosa conquista britannica. Ma dipoi, quando non era possibile procedere, senza una guerra mondiale, ad una modificazione delle zone di influenza stabilite in Africa, l’Italia e la Francia soprattutto dovettero ogni volta abbandonare l’impresa di conquista: nel 1898 la missione Marchand a Fachoda nell’Alto Nilo dovette cedere di fronte alle minacce inglesi e se nel 1896 l’Italia potette avventurarsi verso Ardua questo fu possibile unicamente perché l’Inghilterra era di già sicura della sconfitta dell’esercito italiano, disfatta che rappresenta una eccezione in tutta la storia del banditismo coloniale imperialista. Dovunque i rovesci militari del principio erano seguiti da una vittoria che la borghesia poteva ottenere grazie alla possibilità in cui essa si trovava di armare fino ai denti i suoi eserciti "civilizzatori".

Non fu questo il caso dell’Abissinia per due ragioni essenziali: dapprima il risveglio del proletariato italiano che spezzò le mani a Crispi, in seguito la sicura entrata in campo dell’imperialismo britannico qualora questo non si fosse sentito sufficientemente garantito dalla resistenza dell’esercito comandato da Menelik. Noi non facciamo qui una semplice ipotesi, ma rileviamo questo dato storico degli avvenimenti dell’anno successivo a Fachoda dove l’Inghilterra intervenne direttamente quando passava all’attacco la Francia, potenza ben più forte dell’Italia ed assicurata da condizioni interne favorevoli e non sconvolte da forti agitazioni proletarie.

L’Etiopia d’altra parte aveva una costituzione geologica ed economica che doveva permettere quella che si è chiamata la sua indipendenza. Priva di grandi bacini minerari, ed estendentesi su terre poco fertili, essa aveva potuto conservare una struttura economica dove non solamente l’industria non aveva potuto fare il suo intervento rivoluzionatore, ma le stesse forme dell’economia del servaggio avevano potuto fare poca breccia; gli elementi primitivi delle formazioni delle tribù avevano potuto persistere a dare vita ad un impero che in realtà non era che una confederazione di Stati dove la terra era sottomessa a distribuzioni in comune in corrispondenza col volgere delle stagioni.

Ma dal punto di vista strategico, molto più dunque che dal punto di vista economico, l’Abissinia ha sempre risvegliato gli appetiti di tre imperialismi concorrenti che non potevano aggiudicarsene la conquista senza una guerra fra di essi. Il fatto che nell’ultimo macello Francia, Italia e Inghilterra abbiano partecipato alla stessa costellazione spiega probabilmente perché ancora oggi l’Etiopia sia l’unico Stato non sottomesso al controllo diretto nell’imperialismo (non menzioniamo la Liberia di importanza estremamente secondaria e di scarso valore strategico).

Abbiamo voluto riportare questi precedenti unicamente per mettere in evidenza che non ci troviamo affatto di fronte ad un’esigenza particolare del fascismo, o ad una manifestazione di quello spirito guerriero che, secondo i traditori socialisti e centristi che pare si vogliano dare convegno a Basilea, sarebbe prerogativa esclusiva dei fascisti. Il liberale Giolitti era alla testa del governo quando il capitalismo italiano passò alla conquista della Tripolitania e da quel momento la premessa degli avvenimenti attuali era posta; estendere le zone conquistate in vista anche del loro collegamento. A Versaglia l’Italia non potette ottenere questo risultato a causa delle possessioni dell’Inghilterra in Africa, in seguito essa cercò di giungervi con manovre pacifiche tendenti ad attirare l’Etiopia sotto il suo controllo per arrivare infine all’attacco frontale di questi giorni. Se al posto di Mussolini si fosse trovato Nitti, Sforza o magari un governo di tipo di quello che rivendicano i centristi in Francia, il problema non avrebbe cambiato che di forma. Non avremmo avuto le ubriacature di tipo imperiale del fascismo, ma i salamelecchi di fronte alla necessità della civilizzazione che avrebbero accompagnato i saturnali del capitalismo come ad esempio fecero gli arcidemocratici inglesi nelle carneficine contro i Boeri.

Non si tratta dunque di guerra "fascista" ma di una guerra capitalista contro la quale non può drizzarsi che il proletariato italiano ed internazionale dirigentesi verso l’appoggio alle masse oppresse di Abissinia che, a causa di una economia estremamente ritardataria, non sono ancora arrivate alla coscienza della necessità di infrangere il regime che le opprime.

D’altronde un’analisi anche rapida delle condizioni concrete in cui si svolge attualmente il piano di espansione italiana ci permetterà di vedere confermata nettamente la posizione che noi difendiamo e che si conclude nell’opporre alla formulazione della "guerra fascista" l’altra di "guerra capitalista". È perfettamente esatto, socialismo e centrismo si trovano in Italia in condizioni presso a che analoghe a quelle che traversa il proletariato italiano, non possono cioè affermare le loro posizioni politiche, né possono determinare dei movimenti politici di opposizione al governo attuale. Ma altrove dunque? In Russia, per esempio, nessun dubbio è possibile: il centrismo domina incontrastato e non solamente è in grado di spezzare con la violenza ogni movimento di opposizione, ma può giungere fino a dare degli esempi ai governi democratici o fascisti di tutti gli altri paesi assassinando legalmente dei rifugiati politici i quali non vogliono piegarsi e diventare degli strumenti della politica centrista. In quali posizioni viene a trovarsi il proletariato russo? In quelle di un appoggio entusiasta alle "vittorie proletarie" consistenti nell’entrata dell’U.R.S.S. nella Società delle Nazioni, nella conclusione del patto franco-sovietico. Una sola voce è forse partita dalla Russia per stimolare un’azione internazionale del proletariato per contrastare il piano dell’imperialismo italiano? Nessuna, ma per contro possenti mobilitazioni di masse per applaudire a Litvinov e Stalin che vanno evidentemente di vittoria in vittoria quando si tratta di entrare arditamente e vergognosamente nell’arena del capitalismo mondiale.

Ed in Francia? Basta leggere il "Populaire" o l’"Humanité": "Il fascismo non passa", "il Fronte Popolare infligge ogni giorno una sconfitta al fascismo". Per noi (i nostri lettori lo sanno) se queste vittorie socialiste e centriste sono possibili e reali, questo dipende unicamente dal fatto che la funzione politica che il capitalismo ha affidato al fascismo in Italia ed in Germania, questa stessa funzione può essere affidata in Francia a radicali, socialisti e centristi: l’unico obiettivo capitalista è quello della distruzione del proletariato e su questa via socialisti e centristi hanno fatto miracoli dopo la dichiarazione di Stalin e l’osanna alla Repubblica che ha assassinato decine di migliaia nella Comune e che schiaccia con spietata violenza ogni tentativo degli sfruttati nelle colonie. Ma se queste vittorie sono dunque reali, come è possibile che esse non abbiano nessuna influenza sugli avvenimenti di Etiopia? Quale è il contegno del governo francese, di questo stesso governo che deve cedere all’influenza del "Fronte popolare"? Di più, se si tratta di "guerra fascista" perché non impostare un’azione del proletariato francese in vista di un’agitazione operaia in tutti i paesi? La risposta è molto semplice: una tale azione sarebbe contraria agli interessi del capitalismo francese che dà mano libera al capitalismo italiano sperando di avere in contropartita il suo appoggio nella politica diretta a contrastare il piano di rivincita dell’imperialismo tedesco. Non è escluso, anzi all’avviso del redattore di queste linee è certo che l’Italia non entrerà in guerra a fianco della Francia, ma il problema è questo: il governo francese su cui può esercitarsi una pressione "formidabile" del Fronte Popolare il quale ha numerosi ministri nella persona dei radicali entrati recentemente nell’alleanza con centristi e socialisti, questo governo ha mandato all’aria il progetto Eden, attraverso il quale l’imperialismo inglese cercava di contenere il piano di espansione italiana. Se andiamo un po’ oltre vediamo che l’accordo franco-italiano del gennaio scorso è quello che ha permesso lo scatenamento dell’offensiva italiana: ora questo patto è stato approvato dai socialisti francesi i quali militano nella stessa Internazionale Social-democratica dove siedono gli "antifascisti" italiani che hanno preso l’iniziativa di convocare sportsman, scolari, donne, combattenti e proletari al Congresso di Basilea.

Recentemente, alla Società delle Nazioni, la questione Abissinia è stata posta e l’Inghilterra sperava di poter arrivare ad un compromesso che impedisse lo sviluppo dell’azione italiana. Laval che tornava da Mosca, ha preso l’iniziativa del compromesso. Litvinov presiedeva ed il problema era il seguente: l’Italia ammetteva la procedura d’arbitraggio alla condizione di mantenere la mobilitazione e sviluppare l’invio d’eserciti in Africa. Un ordine del giorno consacrante questa rivendicazione italiana nello stesso tempo in cui si lasciava all’Abissinia la possibilità di nominare delegati non etiopici, è stato votato all’unanimità, sotto la presidenza – lo ripetiamo - di quegli che l’"Humanité" mette sempre avanti, con giusta ragione d’altronde, come "il nostro compagno Litvinov".

Questa rapida analisi ci permette di constatare la situazione nella quale si trovano le masse operaie: influenzate da centristi e socialisti che collegano il proletariato intorno a posizioni che corrispondono agli interessi del capitalismo mondiale. Questo spiega perché il capitalismo italiano possa procedere indisturbato nel suo piano di espansione in Abissinia. L’unica opposizione che esso può incontrare è quella del capitalismo di un altro paese. Abbiamo già indicato come a Roma nel gennaio ed in seguito a Stresa, il capitalismo italiano ha comperato l’acquiescenza francese. Nei confronti dell’Inghilterra esso non poteva niente offrire immediatamente mentre esistono profonde ragioni che impediscono un compromesso fra di due briganti. Ma i problemi di questa specie si risolvono su un piano nel quale gli interessi del proletariato italiano come quelli degli sfruttati abissini entrano in conto ma nel senso della lotta a morte contro gli operai. In definitiva questi problemi si pongono su questa base: se vai troppo oltre te lo impedisco con la forza, quello che in termini concreti significa che l’Etiopia potrebbe diventare il prodromo della guerra mondiale. La storia si ripeterà? Il macello del 1914 è stato preceduto dalle avvisaglie che furono rappresentate dall’impresa libica e balcanica del capitalismo italiano. Nel braciere attuale dei contrasti mondiali, l’Italia avrà ancora questo ruolo di pattuglia di punta del capitalismo mondiale?

A parte queste considerazioni sulle quali d’altronde ogni previsione è un azzardo, resta il fatto che alla base dell’impresa italiana sta il patto Laval-Mussolini che è stabilito in funzione del piano di rivincita del capitalismo tedesco il quale d’altronde ha già dato una prima risposta attraverso il patto navale con l’Inghilterra. Il proletariato di tutti i paesi è stato incastrato nel piano della Società delle Nazioni dal centrismo e dal socialismo mentre si prepara il Congresso di Basilea. Questo baccanale gonfierà fino all’esasperazione l’otre dei traditori avvinazzati che non avranno limiti nelle loro sbornie di demagogia che il capitalismo mondiale ammirerà esultante: giammai come ora la sua causa avrà trovato tanto entusiasmo; per meglio preparare la scena si chiamerà forse ancora Litvinov a presiedere la seduta della Società delle Nazioni dove si consacreranno i diritti dei proletari a farsi scannare per gli interessi della patria.

La frazione di sinistra perché pone il problema sulla base degli interessi del proletariato italiano e di tutti i paesi, come di quelli degli sfruttati d’Abissinia, deve esporre i suoi militanti ad essere battuti nelle riunioni dove i centristi e socialisti vogliono sviluppare incontrollati la loro opera di corruzione e di tradimento. La nostra voce sarà probabilmente soffocata oggi ma essa rintronerà domani dando coscienza alla violenza delle masse che saranno nuovamente gettate dagli avvenimenti nell’arena delle lotte rivoluzionarie per la vittoria comunista e la liquidazione di tutti i traditori.