Partito Comunista Internazionale "Dall’Archivio della Sinistra"

"Prometeo" sui fatti di Spagna

 
 

Contro la "industrializzazione" dei cadaveri  sui fronti militari,
per la ripresa delle lotte classiste!
L’unica arma di classe
(Prometeo n.139, del 22 novembre 1936)

  

 
  

Più gli avvenimenti avanzano, più si assottigliano le schiere dei proletari che restano fedeli alla loro classe, più forte diviene l’impresa – nel seno delle masse – di tutte le correnti politiche nemiche. Oggi, come ed ancor più che nel 1914, giacché alla coscrizione obbligatoria di allora negli eserciti imperialisti si è sostituito il volontariato nelle "milizie antifasciste" e la crociata alla testa della quale si ritrovano quelle stesse forze che hanno operato lo schiacciamento del proletariato rivoluzionario in Germania, Italia, Cina e in tutti i Paesi.

Eravamo pochi, fino al luglio scorso, a resistere contro l’imperversare della propaganda nemica fra gli operai, siamo ancor meno oggi a mantenere fermamente la bandiera del proletariato mentre sono proprio quelli che hanno fino ad ieri collaborato, appoggiato o simpatizzato al nostro sforzo che diventano i paladini più influenti nella difesa di concezioni politiche contro le quali avevamo insieme combattuto.

La realtà è là, essa segue la sua logica di ferro, implacabile, essa obbedisce alle leggi del regime capitalista; l’evoluzione delle situazioni la conferma e, ahimè, non più attraverso un successo parziale del nemico ma con cataste di cadaveri proletari che la borghesia ha potuto stendere al suolo a migliaia, e diecine di migliaia, unicamente perché ha potuto – come nel 1914 – fare loro credere che si battevano per il socialismo e non per la repubblica borghese, per arrestare l’attacco reazionario e non per fare il letto, con le loro proprie vite, del rafforzamento del regime dell’oppressione capitalista.

Nei ranghi anche più avanzati del proletariato, oggi – come nel 1914 – non si discute più, è sabotaggio se ci si azzarda ad esaminare i quattro mesi decorsi degli avvenimenti spagnuoli, la divisa è "si marcia", il "nemico è là, ci si deve battere, non si deve esitare", la riflessione è diventata un crimine ed il capitalismo è arrivato al punto più elevato del suo successo; il proletariato, che non può difendersi e vincere che alla condizione di comprendere per costruire il suo fronte di battaglia, considera oggi che raggrupparsi per meditare significa perdere un’occasione del suo successo.

E pertanto i fatti sono là: non uno di essi permette che si continui, tutti sono una tragica conferma di insegnamenti ben tosto secolari e dai quali non ci si può scostare senza traversare la barricata della lotta sociale e divenire agenti, coscienti od incoscienti del nemico capitalista.

Ecco quanto scrive ("Humanité" del 4 XI 1936) il senatore Morizet, uno fra i tanti complici di Franco: «Non si tratta di due forze che sono in presenza l’una dell’altra e più o meno uguali, ma di un numero infimo di soldati o di militari ribelli, circa 20.000 uomini che lottano contro un popolo di 22 milioni di uomini... In verità non vi sono che 5.000 legionari in tutto... Franco ha trasportato 6.000-7.000 marocchini. Occorre aggiungere da 2.000 a 3.000 soldati che sono stati obbligati a marciare sotto la minaccia del revolver. Voi mi direte che questo piccolo numero di soldati è compensato dalla quantità militare degli ufficiali. Ora l’incapacità degli ufficiali spagnuoli è universalmente conosciuta... No, non sono essi che sono capaci di fare quello che fanno, sono da 200 a 300 aviatori tedeschi ed italiani, sono tecnici tedeschi ed italiani che massacrano il popolo spagnuolo e distruggono città e villaggi».

Dunque, 200 e 300 aviatori possono avere ragione di centinaia di migliaia di operai armati. Se questo fosse, non resterebbe che da proclamare come definitivamente sotterrata la bandiera del proletariato la cui lotta sarebbe per sempre condannata. Giacché, sul terreno della competizione militare, la classe operaia non potrà mai, assolutamente mai rivaleggiare con il nemico il quale costruisce degli strumenti colossali mentre i proletari rivoluzionari sono sprovvisti di ogni possibilità in questo campo. Di più, giammai come in Ispagna attualmente, i proletari sono stati talmente sprovvisti di armi, né in Russia durante la lotta per il potere, né in Germania, né in Italia, né in nessun paese. Ma il proletariato non provvisto di un’armata militare – giacché è impossibile che esso l’abbia prima della conquista del potere – era esso stesso un esercito capace di vincere in Russia, di battersi negli altri paesi e malgrado disfatte provvisorie restare l’armata che la storia rende invincibile e che vincerà sicuramente, unicamente perché essa rappresenta l’espressione politica di una forza sociale che – quando la situazione giunge al punto terminale ed inevitabile della maturazione dei contrasti su cui è basato il regime capitalista – sconquasserà, fin nelle sue fondamenta, la società attuale e lo sbirro capitalista che esso si chiami Mussolini, Stalin, Caballero o Blum, il quale desse l’ordine al suo formidabile apparato militare di tirare sulle masse rudimentalmente armate vedrebbe fracassarsi tutto il suo esercito. No, la tragedia spagnuola è la più dolorosa delle conferme del marxismo giacché essa prova che, per inchiodare il proletariato al fronte nemico, per annientarlo in quanto classe, non è bastato l’inganno di Azaña, ma è stato necessario di giungere progressivamente fino alla estrema sinistra socialista, al P.O.U.M., agli anarchici.

L’avvelenamento nemico colpisce in pieno il proletariato. I militanti anche i più avanzati, fino al luglio scorso, non avevano più esitazioni: la democrazia fa il letto al fascismo. Oggi essi, a noi che li spingiamo a analizzare gli avvenimenti che danno una lugubre e nuova conferma a questa formulazione, rispondono: "si marcia". Ma in realtà chi "marcia" oggi in Ispagna se non le orde fasciste, che accatastano migliaia e migliaia di vittime proletarie? Si, anche in Ispagna la democrazia fa il letto del fascismo: se essa si è annessa P.O.U.M. ed anarchici questo è unicamente perché solo così il capitalismo del paese ed internazionale poteva condurre a termine la macabra mistificazione.

È dalle viscere stesse di un governo di Fronte Proletario che l’attacco fascista è fecondato. Governo e dirigenti socialisti, anarchici e del P.O.U.M. sanno cinque giorni prima che l’offensiva sarà scatenata: silenzio completo di fronte alle masse che, sorprese e senza direzione, hanno malgrado tutto la forza di respingere l’attacco, nei centri industriali soprattutto. Le masse sono sul fronte di classe, esse sono invincibili, esse avrebbero vinto se vi fosse stato un partito per mantenervele e condurle alla vittoria. Il partito non vi era e l’inevitabile si è prodotto; tutte le altre forze politiche agenti nelle masse – in una situazione di accentuazione della situazione – sono state trascinate all’inevitabile precipitazione del loro ruolo politico, esse sono state progressivamente guadagnate dal nemico e, come Noske, benché con le forme diverse dipendenti dalla nuova situazione, hanno tradito collaborando al governo borghese.

Due classi, due strumenti, due cammini di classe. Alla duplice faccia nemica del Fronte Popolare, che feconda il fascismo, che, consapevole della data dell’attacco tace perché le masse siano meglio sorprese, il proletariato risponde con la sua arma di classe, lo sciopero. Stroncato questo, il pericolo resta che le masse ritrovino il loro cammino. Ed allora sorge la colossale mistificazione dei fronti militari territoriali: tutti al fronte per arrestare l’attacco ed il proletariato che è estirpato dal suo terreno di classe – nella lotta sociale e soprattutto nelle situazioni culminanti, i mezzi termini sono impossibili – è scaraventato nel terreno di classe del nemico. E questo che, da un punto di vista superficiale, è estremamente inferiore, è in realtà l’arbitro delle situazioni perché il suo nemico, il proletariato, non esiste più. Quest’ultimo ha le armi ma, come nel 1914, in forme diverse ma con una stessa sostanza, le impiega non per la sua classe, ma per il nemico, nella sua cinta, sotto la sua direzione, agganciato al suo Stato. Il fronte militare o sociale capitalista si oppone a quello classista nelle campagne e nelle città del proletariato. L’uno e l’altro è impossibile ed ancora una volta l’uno o l’altro: borghesia o proletariato.

Le ragioni profonde del nostro dissidio con la minoranza della frazione risiedono giustamente nel fatto che questi compagni hanno creduto che si dovesse penetrare e persino accreditare fra le masse il fronte che era e resta quello del nemico. La rottura ideologica e brutale che era inevitabile potrà – noi lo speriamo ardentemente – mantenere unita la frazione, alla sola condizione che questi compagni meditino sull’evoluzione delle situazioni: la riflessione non potrà che guarire dall’aberrazione.

Una volta nel fronte nemico il massacro del proletariato era inevitabile e questo nel caso della vittoria fascista, come nell’altro della vittoria governativa: nelle due ipotesi chi ne esce rafforzato è il regime nemico, come nel 1914, nei paesi dove i proletari erano stati macellati nel nome della lotta contro lo czarismo come negli altri nel nome della lotta contro il prussianismo.

Gli avvenimenti sembrano indicare che Caballero, P.O.U.M. ed anarchici sono i complici di Franco verso lo sbocco di una vittoria della destra e non che quest’ultima sia – come nell’aprile 1931 e nel febbraio 1936 – la complice di Caballero e compari per una vittoria della contro-rivoluzione democratica.

Incapaci di discutere la realtà degli avvenimenti, i proletari che fino ad ieri ancora erano con noi a lottare per opporre alla doppia faccia nemica, del fascismo e dell’antifascismo, l’unica faccia del proletariato e della sua classe, prendono pretesto dall’eroismo degli operai spagnuoli per persistere nella via che conduce al massacro. In altri tempi questa si chiamava l’industrializzazione dei cadaveri. La demagogia si rivela ancora una volta il più sporco nemico del proletariato. In effetti che cosa significano questi esempi mirabili degli operai spagnuoli? Questo ed unicamente questo: che malgrado la più eroica delle resistenze e delle lotte gli operai sono sconfitti. È questo dunque un argomento definitivo non per, ma contro la tesi che si oppone alla nostra.

Sebbene con forme non nette – e questo a causa della sua situazione interna – ma successivamente con un’espressione inequivocabile la frazione ha difeso l’impostazione di classe e si è battuta per essa! Nell’emigrazione come sul posto, dove delle chiare minacce erano fatte contro i suoi delegati da parte dei complici del P.O.U.M. di Franco. Su questo terreno unicamente la lotta sarà continuata.

La più accanita lotta dei proletari sul fronte territoriale attuale che è il fronte del nemico è la più crudele e più disperata delle disfatte degli operai, in tutte e due le ipotesi, la vittoria di Franco o del Fronte Popolare. Il Capitalismo ammassa cadaveri oggi a Madrid: se Franco entra domani avrà campo libero di fronte ad una massa decapitata ed insanguinata e lo stesso sarebbe nel caso opposto di un successo governativo.

Nel 1936 i vocaboli sinistri del 1914 riprendono corso nelle fila del proletariato, come quelli dell’interventismo e non interventismo. Sotto forme diverse la sostanza è la stessa del 1914. Il capitalismo registra un nuovo trionfo, ma la misura estrema del suo trionfo è un sintomo sicuro dell’approssimarsi di tempeste rivoluzionarie: dal sangue dei proletari spagnuoli, dall’accensione del fronte imperialista sgorgheranno le battaglie insurrezionali della classe operaia. I cimiteri che Franco ed i suoi complici socialisti, centristi, P.O.U.M. e anarchici, hanno aperto in Ispagna, sotterrano non il proletariato e la sua causa, ma le forze che gli sono nemiche ed estranee: le vittime proletarie sono cadute per sotterrare tutti i nemici della classe operaia, esse feconderanno i quadri dell’Internazionale, della rivoluzione in tutti i paesi, essi portano questa bandiera: la nostra frazione porta sulle sue spalle questa tremenda responsabilità.