Partito Comunista Internazionale Dall’Archivio della Sinistra
Terza Internazionale (Comunista)
Terzo congresso
 
TESI SULLA TATTICA
 
Emendamenti proposti dalle delegazioni tedesca, austriaca e italiana alle tesi della delegazione russa.
Discorso di Terracini, Delegato dal Partito Comunista d’Italia, in sede di discussione sulle tesi tattiche presentate da Radek.
Dichiarazione della delegazione italiana.
 
 
 
 


Terza Internazionale (Comunista)
Terzo congresso
 

TESI SULLA TATTICA

Emendamenti proposti dalle delegazioni tedesca, austriaca e italiana alle tesi della delegazione russa
(dal Bulletin du III Congrès..., 5 luglio 1921, p. 4)
 
 
 

Testo proposto Emendamenti
 I. Delimitazione dei problemi

«La nuova Associazione Internazionale dei lavoratori è fondata con lo scopo di organizzare un’azione d’insieme del proletariato dei diversi paesi, tendente ad un solo e stesso fine: l’abbattimento del capitalismo, l’instaurazione della dittatura del proletariato e della repubblica internazionale dei soviet, che permetteranno di abolire completamente le classi e di realizzare il socialismo, primo scalino verso la società comunista».

Questa definizione degli scopi dell’Internazionale comunista, posta nel suo statuto, delimita chiaramente tutte le questioni della tattica che sono da risolvere.

Si tratta della tattica da usare nella nostra lotta per la dittatura del proletariato. Si tratta dei mezzi da usare per conquistare

 la maggioranza della classe operaia ai principi del comunismo;  la classe operaia ai fini del comunismo; [1]
 dei mezzi da usare per organizzare gli elementi socialmente determinanti del proletariato, nella lotta per la realizzazione del comunismo; si tratta delle relazioni con gli strati piccolo-borghesi proletarizzati, dei mezzi e procedimenti da prendere per demolire il più rapidamente possibile gli organi del potere borghese, rovinarli, e ingaggiare la lotta finale internazionale per la dittatura.

La questione stessa della dittatura, come unica strada per la vittoria, è fuori di discussione. Lo sviluppo della rivoluzione mondiale ha mostrato chiaramente che c’è soltanto un’alternativa nella situazione storica attuale: dittatura capitalistica o dittatura proletaria.

Il III congresso dell’Internazionale comunista riprende l’esame delle questioni sulla tattica in condizioni nuove, poiché in molti paesi la situazione oggettiva ha assunto una tensione rivoluzionaria e si sono formati grandi partiti comunisti, che tuttavia non posseggono ancora in nessuna parte la direzione effettiva

 del grosso  [2]
della classe operaia nella lotta rivoluzionaria.
 

II.  Alla vigilia di nuove lotte

La rivoluzione mondiale, cioè la distruzione del capitalismo, il coagulo delle energie rivoluzionarie del proletariato e l’organizzazione del proletariato in una forza aggressiva e vittoriosa, richiederanno un periodo abbastanza lungo di lotte rivoluzionarie.

La diversa acutezza degli antagonismi, la differenza della struttura sociale e degli ostacoli da sormontare nei diversi paesi, l’alto grado d’organizzazione della borghesia nei paesi d’avanzato sviluppo capitalistico nell’Europa occidentale e nell’America del Nord, erano ragioni sufficienti perché la guerra mondiale non sboccasse immediatamente nella vittoria della rivoluzione mondiale. I comunisti hanno dunque avuto ragione di dichiarare, già durante la guerra, che il periodo dell’imperialismo avrebbe condotto all’epoca della rivoluzione sociale, cioè a un lungo seguito di guerre civili all’interno dei diversi Stati capitalistici e di guerre tra gli Stati capitalistici da una parte e gli Stati proletari e i popoli coloniali sfruttati dall’altra.

La rivoluzione mondiale non è un processo che avanza su una linea retta; è la lenta dissoluzione del capitalismo, è la trincea rivoluzionaria quotidiana, che s’intensifica sempre più e si concentra in acute crisi.

Il corso della rivoluzione mondiale è stato reso ancora più difficile dal fatto che potenti organizzazioni e partiti e sindacati socialdemocratici, fondati dal proletariato per guidare la sua lotta contro la borghesia, si sono trasformati durante la guerra in strumenti d’azione controrivoluzionaria e d’immobilizzazione del proletariato e sono restati tali dopo la fine della guerra. Ciò ha permesso alla borghesia mondiale di superare facilmente la crisi di smobilitazione; ciò ha permesso, durante il periodo d’apparente prosperità del 1919-20, di risvegliare nella classe operaia una nuova speranza di migliorare la sua situazione all’interno della struttura capitalistica, e questa è stata la causa essenziale della disfatta delle sollevazioni del 1919 e della crisi dei movimenti rivoluzionari nel 1919-20.

La crisi economica mondiale, che apparve a metà del 1920 e che oggi si è estesa su tutto il mondo, aumentando ovunque la disoccupazione, prova al proletariato internazionale che la borghesia non è in grado di ricostruire il mondo. L’esasperazione di tutti gli antagonismi politici mondiali, la rapace campagna della Francia contro la Germania, le rivalità anglo-americane e nippo-americane con la corsa agli armamenti che ne consegue, mostrano che il mondo capitalistico agonizzante è nuovamente tentato a una guerra mondiale. La Società delle Nazioni, trust internazionale degli Stati vincitori per lo sfruttamento dei concorrenti vinti e dei popoli coloniali, è minata attualmente dalla concorrenza americana. L’illusione con la quale la socialdemocrazia internazionale e la burocrazia sindacale hanno stornato le masse operaie dalla lotta rivoluzionaria, l’illusione, cioè, che esse potrebbero, rinunciando alla conquista del potere politico con la lotta rivoluzionaria, ottenere gradualmente e pacificamente il potere economico e il diritto di autogovernarsi, è sul punto di spegnersi.

In Germania la commedia della socializzazione con cui il governo Scheidemann-Noske, nel marzo 1919, cercò di trattenere il proletariato dall’assalto decisivo, ha perduto ogni senso. Le frasi sulla socializzazione hanno ceduto il posto al sistema molto concreto di Stinnes, cioè alla sottomissione dell’industria tedesca a un dittatore capitalista e alla sua cricca. L’attacco del governo prussiano, sotto la direzione del socialdemocratico Severing, contro i minatori della Germania centrale, rappresenta il preludio a una offensiva generale della borghesia tedesca in vista della riduzione dei salari al proletariato tedesco.

In Inghilterra tutti i piani di nazionalizzazione hanno fatto naufragio. Invece di realizzare il progetto di nazionalizzazione della commissione Sankey, il governo appoggia la serrata contro i minatori inglesi con lo spiegamento della truppa.

Il governo inglese riesce a ritardare la sua bancarotta soltanto grazie ad una spedizione di rapina in Germania. Non pensa in alcun modo ad una ricostruzione sistematica dell’economia nazionale. La stessa ricostruzione delle contrade devastate del Nord della Francia, nella misura in cui è stata intrapresa, non serve ad altro che all’arricchimento dei capitalisti privati.

In Italia la borghesia è passata all’attacco contro la classe operaia, con l’aiuto delle bande bianche dei fascisti.

Ovunque la democrazia borghese si è dovuta smascherare, più completamente nei vecchi Stati democratici borghesi piuttosto che nei nuovi, nati dal crollo imperialista. Guardie bianche, arbitrato dittatoriale del governo contro gli scioperanti in Inghilterra; fascisti e Guardia regia in Italia; i Pinkerton, l’esclusione dei deputati socialisti dal parlamento, legge di Lynch negli Stati Uniti; terrore bianco in Polonia, in Iugoslavia, in Romania, Lettonia, Estonia; legalizzazione del terrore bianco in Finlandia, in Ungheria e nei paesi balcanici, «leggi comuniste» in Svizzera, in Francia ecc. Dovunque la borghesia cerca di far ricadere sulla classe operaia le conseguenze della crescente anarchia economica, di prolungare la giornata lavorativa e di far cadere i salari. Ovunque la borghesia trova gli aiutanti nei capi della socialdemocrazia e dell’Internazionale sindacale di Amsterdam. Ma sebbene costoro possano ritardare il risveglio delle masse operaie per una nuova lotta e l’approssimarsi di nuove ondate rivoluzionarie, essi non possono impedire il processo.

Già si vede il proletariato tedesco prepararsi al contrattacco; si vedono i minatori inglesi, malgrado il tradimento dei loro capi tradeunionisti, tenere eroicamente duro, per lunghe settimane, con la lotta contro il capitalismo minerario. Vediamo come la volontà di lotta si accresce nei ranghi avanzati del proletariato italiano dopo l’esperienza, che esso ha fatto, dell’esitante politica del gruppo Serrati, volontà di lotta che si esprime nella formazione del Partito comunista d’Italia. Noi vediamo come in Francia, dopo la scissione, dopo la separazione dai socialpatrioti e dai centristi, il Partito socialista cominci a passare dall’agitazione e dalla propaganda del comunismo a manifestazioni di massa contro i rapaci appetiti dell’imperialismo francese. In Cecoslovacchia assistiamo allo sciopero politico di dicembre, intrapreso, nonostante che è mancato completamente di una testa, da un milione d’operai e, come conseguenza, alla formazione di un Partito comunista ceco, partito delle masse. In febbraio abbiamo avuto in Polonia uno sciopero dei ferrovieri diretto dal partito comunista, e n’è risultato uno sciopero generale, e abbiamo assistito alla progressiva decomposizione del Partito socialista polacco, socialpatriota.

Quel che dobbiamo attendere non è il riflusso della rivoluzione mondiale né il placarsi delle sue onde, ma proprio il contrario: nelle circostanze date, un’esasperazione immediata degli antagonismi sociali e delle lotte sociali è la prospettiva più verosimile.
 

III. I più importanti compiti del momento

La conquista dell’influenza principale sulla maggior parte della classe operaia, l’introduzione nella lotta di determinati settori di questa classe: ecco, al momento attuale, il problema più importante dell’Internazionale comunista.

Perché noi siamo sì in presenza di una situazione economica e politica obiettivamente rivoluzionaria nella quale la crisi rivoluzionaria più acuta può esplodere assolutamente all’improvviso (in seguito a uno sciopero operaio, a una rivolta coloniale, a una nuova guerra o anche a una grande crisi parlamentare): ma il maggior numero degli operai non è ancora sotto l’influenza del comunismo, soprattutto nei paesi in cui la potenza particolarmente forte del capitalismo finanziario ha fatto nascere vaste sacche di operai corrotti dall’imperialismo (per esempio, in Inghilterra e negli Stati Uniti) e dove la vera propaganda rivoluzionaria tra le masse sta soltanto incominciando.

Fin dal primo giorno della sua fondazione l’Internazionale comunista si è data il compito, chiaramente e senza equivoci, non già di formare piccole sette comuniste, che cercassero di esercitare la loro influenza sulle masse operaie unicamente attraverso l’agitazione e la propaganda, ma di prendere parte alla lotta delle masse operaie, di guidare questa lotta nel senso comunista e di costituire nel processo della lotta grandi partiti comunisti rivoluzionari.

Già nel corso del suo primo anno d’esistenza l’Internazionale comunista ha ripudiato le tendenze settarie prescrivendo ai partiti affiliati, per quanto fossero piccoli, di collaborare con i sindacati, di prender parte alla loro vita, di vincere la loro burocrazia reazionaria dall’interno e di trasformarli in organizzazioni rivoluzionarie delle masse proletarie, in strumenti di lotta. Dal suo primo anno d’esistenza, l’Internazionale comunista ha prescritto ai partiti comunisti non di chiudersi in club propagandistici ma di utilizzare per l’educazione e l’organizzazione del proletariato tutte le possibilità che la Costituzione dello Stato borghese è costretta a lasciar loro aperte: la libertà di stampa, la libertà di riunione e di associazione e tutte le istituzioni parlamentari borghesi, per quanto deprecabili esse siano, per farne armi, tribune, piazzeforti del comunismo. Nel suo II congresso, l’Internazionale comunista, nelle risoluzioni sulla questione sindacale e sull’utilizzazione del parlamentarismo, ha ripudiato apertamente tutte le tendenze di natura settaria.

Le esperienze di questi due anni di lotta dei partiti comunisti hanno confermato a chiare lettere la giustezza del punto di vista dell’Internazionale comunista. Essa, con la sua politica, ha portato gli operai rivoluzionari, in numerosi Stati, a separarsi non soltanto dai riformisti dichiarati ma anche dai centristi. Da quando i centristi hanno formato una Internazionale 2 e ½ che si allea pubblicamente agli Scheidemann, ai Jouhaux e agli Henderson sul terreno dell’Internazionale sindacale di Amsterdam, il campo di battaglia è diventato molto più chiaro per le masse proletarie, il che faciliterà molto le lotte a venire.

Il comunismo tedesco, grazie alla tattica dell’Internazionale comunista

 (lavoro rivoluzionario nei sindacati, lettere aperte ecc.),  (lavoro rivoluzionario nei sindacati), [3]
 si è trasformato da semplice tendenza politica quale era nelle lotte del gennaio e del marzo 1919, in grande partito rivoluzionario di massa. Esso ha acquistato nei sindacati una influenza tale che la burocrazia sindacale,
 spaventata dall’efficacia del lavoro fatto dai comunisti nei sindacati, è stata costretta ad escludere dai sindacati stessi numerosi comunisti assumendo così su di sé l’odiosità della scissione.  per paura dell’influenza rivoluzionaria dell’attività dei comunisti nei sindacati, escluderà dai sindacati numerosi comunisti e sarà costretta a prendere su di sé l’odiosità della scissione. [4]
In Cecoslovacchia i comunisti sono riusciti a conquistare alla loro causa la maggioranza degli operai organizzati.

In Polonia il Partito comunista, grazie soprattutto al suo lavoro di scavo nei sindacati, non soltanto è entrato in contatto con le masse, ma è diventato la loro guida nella lotta nonostante le mostruose persecuzioni che costrinsero le organizzazioni comuniste a un’esistenza assolutamente clandestina.

In Francia, i comunisti hanno conquistato la maggioranza in seno al Partito socialista.

In Inghilterra il processo di consolidamento dei gruppi comunisti sul terreno delle direttive tattiche dell’Internazionale comunista si conclude e l’influenza crescente dei comunisti obbliga i socialtraditori a tentare di rendere impossibile l’entrata dei comunisti nel Labour Party.

Dal canto loro i gruppi comunisti settari (come il KAPD, ecc.) non hanno incontrato sulla loro strada un successo. La teoria del rafforzamento del comunismo con la sola propaganda e agitazione, con la fondazione di sindacati comunisti separati, è completamente fallita. Da nessuna parte un Partito comunista con una certa influenza ha potuto essere fondato in questo modo.
 

IV. La situazione in seno all’Internazionale comunista

Su questa via che porta alla formazione di partiti comunisti di masse, il Partito Comunista non ha proceduto dovunque abbastanza.


D’altra parte, la formazione di partiti comunisti di masse è divenuta la pietra di paragone dei centristi dichiarati e dei semi-centristi, che, sotto la spinta delle masse rivoluzionarie operaie, sono stati costretti ad entrare nell’Internazionale Comunista.

In Italia, durante la lotta per la determinazione della politica comunista, il gruppo Serrati ha dimostrato in realtà di essere un gruppo centrista, per il quale la rottura con i riformisti è più penosa che la rottura con l’Internazionale Comunista. Nella sua tendenza a formare dei partiti di masse rivoluzionarie e non opportuniste, l’Internazionale Comunista ha preferito rompere temporaneamente con le masse operaie italiane che non hanno ancora abbandonato le illusioni riformiste, finché, smascherato il gruppo di Serrati e con l’aiuto dell’esempio del Partito Comunista d’Italia, esse siano divenute delle masse realmente comuniste coscienti e combattive.

Questa politica del Comitato Esecutivo dell’Internazionale Comunista ha permesso di scoprire delle tendenze centriste e semi-centriste in altri partiti di masse comunisti. Essendosi resi conto che l’Internazionale Comunista non vuol formare che dei partiti di masse veramente rivoluzionari, essi lanciano il grido di guerra della degenerazione dell’Internazionale Comunista, divenuta, secondo loro, settaria come hanno fatto il gruppo Levi in Germania e, in una certa misura, Smeral in Cecoslovacchia. Il carattere di queste tendenze si manifesta in modo chiaro ed aperto: sono delle tendenze centriste che rappresentano un certo smussamento della politica, che non vogliono che la lotta di classe s’inasprisca, cioè si limitano all’agitazione e alla propaganda e, in definitiva, non riescono a mettersi in contatto con la frazione combattente del proletariato. È la tendenza centrista alla passività politica.

L’internazionale Comunista sosterrà dovunque i lavoratori rivoluzionari nella loro lotta contro i tentativi di diluizione della tattica rivoluzionaria elaborata dai Congressi e così perverrà a realizzare il suo fine che è la formazione di partiti di masse rivoluzionari.

Là dove i gruppi dirigenti opportunisti si sforzano costantemente di mettere ostacolo a che l’organizzazione e la stampa dei partiti contribuiscano alla mobilitazione delle masse in vista della rivoluzione, là dove cercano di ritardare il progresso rivoluzionario di queste masse, là dove i gruppi parlamentari e le burocrazie dei sindacati e dei partiti, così come i giornalisti del partito, non si sottomettano alle decisioni del partito e del suo Comitato Direttivo, in tutte queste circostanze l’Internazionale Comunista considera dovere dei partiti comunisti di pronunciarsi senza riserve contro questi elementi, ed ogni sforzo fatto dagli operai rivoluzionari per disciplinare e subordinare i loro dirigenti troverà l’appoggio autorevole dell’Internazionale Comunista. [5]


In due dei paesi più importanti del capitalismo vittorioso, tutto resta da fare nel campo della formazione di partiti di masse comunisti. [6]
Negli Stati Uniti dell’America del Nord, nei quali già prima della guerra, per ragioni storiche, non esisteva alcun movimento rivoluzionario di una qualche ampiezza, i comunisti hanno sempre davanti a sé i compiti primordiali più semplici: la formazione di un nucleo comunista e il suo collegamento con le masse operaie. La crisi economica, che ha reso disoccupati cinque milioni d’operai, fornisce un terreno assai favorevole per questi compiti. Consapevole del pericolo di una possibile radicalizzazione del movimento operaio e dell’influenza che potrebbe subire da parte dei comunisti, il capitale americano cerca di distruggere il giovane movimento comunista con barbare persecuzioni, di annientarlo e di costringerlo nell’illegalità, nella quale – esso pensa – questo movimento, senza contatti con le masse, degenererebbe verso una setta propagandistica e si seccherebbe.

L’Internazionale comunista attira l’attenzione del Partito comunista unificato d’America sul fatto che l’organizzazione illegale non deve costituire che uno dei terreni di riunione, di chiarificazione per le forze comuniste più attive, ma che il Partito unificato ha il dovere di tentare tutti i mezzi e tutte le strade per uscire dalle sue organizzazioni illegali e raggiungere le grandi masse operaie in fermento; che ha il dovere di trovare le forme e le strade proprie per concentrare politicamente queste masse nella loro vita pubblica in vista della lotta contro il capitalismo americano.

Il movimento comunista inglese, anch’esso, non è ancora riuscito malgrado la concentrazione delle sue forze in un partito comunista unito, a diventare un partito di massa.

La duratura disorganizzazione dell’economia inglese, l’aggravamento inaudito del movimento degli scioperi, il crescente scontento delle grandi masse popolari nei riguardi del regime di Lloyd George, la possibilità di una vittoria del Labour Party e del Partito liberale nelle prossime elezioni parlamentari, tutto ciò apre nello sviluppo dell’Inghilterra nuove prospettive rivoluzionarie e pone di fronte ai comunisti inglesi questioni di un’importanza estrema.

Il primo e principale compito del Partito comunista d’Inghilterra è di diventare un partito di massa. I comunisti inglesi devono porsi sempre più sul terreno del movimento di massa esistente nei fatti e che si sviluppa senza tregua: devono entrare in tutte le concrete ramificazioni di questo movimento e fare delle rivendicazioni isolate e parziali degli operai il punto di partenza per la loro agitazione in prima persona, per la loro propaganda instancabile ed energica.

Il potente movimento degli scioperi mette alla prova, agli occhi di centinaia di migliaia e di milioni d’operai, il grado di capacità, di fedeltà, di costanza e di coscienza delle trade-unions e dei loro capi. In queste condizioni l’azione dei comunisti in seno ai sindacati acquista un’importanza decisiva. Nessuna critica che provenga dal partito, per il semplice fatto di provenire dal di fuori del movimento di massa, potrebbe esercitare in esso, neppure in una ridottissima misura, un’influenza simile a quella che può essere esercitata con il lavoro quotidiano e costante dei nuclei comunisti nei sindacati, con il lavoro che tende a smascherare i traditori e i borghesi del tradeunionismo, che in Inghilterra – più ancora che in qualsiasi altro paese – sono il trastullo politico del capitale.

Se, in altri paesi, il compito dei partiti comunisti diventati partiti di massa consiste in buona misura nel prendere l’iniziativa dell’azione di massa, in Inghilterra il compito del Partito comunista consiste in primo luogo, sulla base delle azioni di massa che si sviluppano nella realtà, nel dimostrare col proprio esempio e provare che i comunisti sono capaci di esprimere esattamente e coraggiosamente gli interessi, i bisogni e i sentimenti di queste masse.

I partiti comunisti dell’Europa centrale e occidentale si trovano in piena elaborazione dei loro metodi d’agitazione e di propaganda rivoluzionaria, in piena elaborazione di metodi organizzativi che rispondano al loro carattere di lotta, infine in piena transizione dalla propaganda e dall’agitazione comunista all’azione. Questo processo è ostacolato dal fatto che in molti paesi l’entrata degli operai rivoluzionari nel campo del comunismo si è compiuta sotto la direzione di capi che non hanno ancora superato le loro tendenze centriste e non sono in grado di condurre un’effettiva agitazione e propaganda comunista, o temono senz’altro questa propaganda perché sanno che essa condurrebbe i partiti alle lotte rivoluzionarie.


Al momento dell’azione, le tendenze centriste di questi capi hanno avuto per effetto che i partiti comunisti non hanno tentato di prendere nelle loro mani la direzione dell’azione delle masse e che, durante l’azione, queste hanno avuto sulle spalle gli elementi centristi e semi-centristi (Serrati, Levi). [7]
Queste tendenze centriste hanno portato, in Italia, alla scissione del partito. I capi del partito e dei sindacati riuniti attorno a Serrati, invece di trasformare i movimenti spontanei delle masse operaie e la loro crescente attività in lotta cosciente per il potere, lotta per cui in Italia la situazione è matura, hanno lasciato che questi movimenti si deteriorassero. Per costoro il comunismo non era un modo di scuotere e concentrare le masse operaie in vista della lotta. E poiché temevano la lotta, dovettero diluire la propaganda e l’agitazione comunista e condurla alle secche centriste. Rafforzarono in tal modo riformisti quali Turati e Treves nel partito e quale D’Aragona nei sindacati.

Poiché essi non si distinguevano dai riformisti, né con le parole né con le azioni, non si vollero poi più staccare da loro. Preferirono separarsi dai comunisti. La politica della tendenza Serrati, rafforzando da un lato l’influenza dei riformisti, dall’altro creò il doppio pericolo di rafforzare gli anarchici e i sindacalisti e di far nascere tendenze antiparlamentariste, radicali solo a parole, nel seno stesso del partito. 

La scissione di Livorno, la formazione del Partito comunista d’Italia, la concentrazione di tutti gli elementi comunisti sul terreno delle decisioni del II congresso dell’Internazionale comunista e in un partito comunista, fecero del comunismo, in questo paese, una forza di massa, dato che il Partito comunista d’Italia combatte senza sosta e senza debolezza la politica opportunista del serratismo e conserva inoltre la possibilità di restare legato alle masse del proletariato nei sindacati, negli scioperi, nelle lotte contro le organizzazioni controrivoluzionarie dei fascisti, di fondere insieme i movimenti di queste masse e di trasformare le loro azioni spontanee in lotte accuratamente preparate.

In Francia, dove la posizione sciovinista della «difesa nazionale» e successivamente l’ebbrezza della vittoria sono state più forti che da qualsiasi altra parte, la reazione contro la guerra si è sviluppata più lentamente che negli altri paesi. Grazie all’influenza della rivoluzione russa, alle lotte rivoluzionarie nei paesi capitalistici e alle esperienze delle prime lotte del proletariato francese tradito dai suoi capi, il Partito socialista ha visto la propria maggioranza evolvere verso il comunismo, prima ancora di essere collocato, dal corso degli avvenimenti, di fronte al problema decisivo dell’azione rivoluzionaria. Questa situazione sarà tanto meglio e tanto più utilizzata dal Partito comunista francese, che liquiderà più categoricamente dal suo proprio seno, specie nei circoli dirigenti, le sopravvivenze dell’ideologia del pacifismo nazionalista e del riformismo parlamentare ancora superstiti.


Le sopravvivenze dell’ideologia nazionalpacifista e riformista si mostrarono particolarmente durante la crisi delle riparazioni nel corso della quale le esigenze rapaci del capitale finanziario francese furono presentate come esigenze di giustizia. Il partito comunista francese ha perfino dimenticato, nel momento in cui le truppe francesi occuparono il Lussemburgo, nel momento in cui sciolsero i soviet operai di questo paese, di sviluppare una propaganda energica. La mobilitazione della classe nel ’19 non è stata sufficientemente utilizzata dal partito per fare una propaganda e organizzare manifestazioni rivoluzionarie. Il gruppo parlamentare comunista ha permesso al suo oratore di parlare a favore di un’intesa franco-inglese, quindi a favore di una alleanza fra i rapaci imperialisti dei due paesi.

Il processo attraverso il quale il partito si liberi delle tendenze centriste e semi-centriste, così come il progresso del partito verso l’attività devono essere coscientemente reclamati dagli elementi più evoluti all’interno dei partiti e dei sindacati. [8]

Il partito deve, in una misura ben maggiore, avvicinarsi alle masse e ai loro settori più oppressi ed essere l’espressione chiara, completa e inflessibile delle loro sofferenze e dei loro bisogni. Nella sua lotta parlamentare, il partito deve categoricamente rompere con le forme ripugnanti, imbevute di menzogna del parlamentarismo francese, coscientemente strumentate dalla borghesia per ipnotizzare e intimidire i rappresentanti della classe operaia. I parlamentari francesi devono sforzarsi, in tutti i loro interventi, di innalzare la bandiera nazional-democratica, repubblicana e tradizionalmente rivoluzionaria, e di presentare con chiarezza tutti i problemi come problemi di interesse e di lotta senza quartiere tra le classi.

L’agitazione pratica deve assumere un carattere assai più concentrato, più teso e più energico. Essa non deve disperdersi nei particolarismi e nei dettagli mutevoli della politica quotidiana. Da tutti gli avvenimenti, piccoli e grandi, essa deve trarre le stesse conclusioni fondamentali rivoluzionarie e inculcarle nelle masse operaie, anche nelle più arretrate. Soltanto a condizione che osservi quest’atteggiamento veramente rivoluzionario il Partito comunista, cesserà di apparire – e in realtà di essere – semplicemente l’ala sinistra del blocco longuettista, che offre con insistenza e con un successo crescente i suoi servigi alla società borghese per proteggerla dagli scossoni che si annunciano in Francia, con una logica inflessibile. Fatta astrazione dal problema se questi avvenimenti rivoluzionari decisivi, arriveranno prima o dopo, un partito comunista moralmente dotato, interamente permeato di volontà rivoluzionaria, troverà la possibilità, anche nell’attuale fase di preparazione, di mobilitare le masse operaie sul terreno politico ed economico e di conferire alla loro lotta un carattere più chiaro e più ampio.

I tentativi fatti da elementi rivoluzionari impazienti e politicamente inesperti, che vogliono adoperare anche per questioni e scopi isolati i metodi estremi, per loro natura applicabili solo alla decisiva azione rivoluzionaria del proletariato (come la proposta alla classe del ’19 di non rispondere affatto alla mobilitazione) possono, se messi in atto, rimandare alle calende greche la preparazione rivoluzionaria del proletariato per la conquista del potere. I tentativi degli elementi rivoluzionariamente impazienti e non abbastanza esperti di impiegare il metodo dell’insurrezione rivoluzionaria decisiva in situazioni che non sono mature e che esigono anzitutto un aumento della propaganda rivoluzionaria, delle manifestazioni e delle agitazioni parziali, saranno facilmente superate se il partito sa, nel suo insieme, utilizzare completamente tutte le situazioni date al massimo delle possibilità offerte. È necessario che la chiarezza fondamentale e l’attività rivoluzionaria regnino nel partito perché esso possa impedire alle azioni di massa di andar oltre lo scopo, cosa che un esame attento del rapporto delle forze permette. [9]
È un dovere per il Partito comunista francese, come per tutti i partiti analoghi, di respingere questi metodi assolutamente pericolosi. Ma questo dovere non deve in alcun caso avere come risvolto l’inazione del partito. Tutto al contrario.

Rafforzare il legame del partito con le masse è prima di tutto ricollegarlo più strettamente ai sindacati. Il fine non è affatto quello di sottomettere meccanicamente ed esteriormente i sindacati al partito, facendoli rinunciare all’autonomia che si rende assolutamente necessaria per il carattere stesso della loro azione: consiste nel far si che gli elementi realmente rivoluzionari riuniti nel Partito comunista diano vita, anche nel quadro sindacale, a una tendenza che corrisponda agli interessi generali del proletariato in lotta per la conquista del potere.

In considerazione di ciò, il Partito comunista francese deve criticare, in forma amichevole ma chiara e decisiva, tutte le tendenze anarco-sindacaliste che respingono la dittatura del proletariato e la necessità di un’unione della sua avanguardia e di una organizzazione dirigente, centralizzata, cioè, di un partito comunista; e anche tutte le tendenze sindacaliste transitorie che, sotto la copertura della Carta d’Amiens, elaborata otto anni prima della guerra, non possono in realtà, oggi, fornire alcuna risposta chiara e netta alle domande essenziali della nuova epoca post-bellica.

L’odio che si manifesta nelle file dei sindacati francesi contro lo spirito di casta dei politici è prima di tutto un odio, perfettamente giustificato, contro i parlamentari «socialisti tradizionali». Ma il carattere puramente rivoluzionario del Partito comunista gli offre la possibilità di far comprendere a tutti gli elementi rivoluzionari la necessità di unione politica, al fine della conquista del potere da parte della classe operaia.

La fusione del gruppo sindacalista rivoluzionario con l’organizzazione comunista nel suo insieme è condizione necessaria e indispensabile di qualsiasi lotta seria del proletariato francese. [10]
Non si verrà a capo, né si batteranno le tendenze verso l’azione prematura, né si vincerà l’impressionismo nei principi e il separatismo organizzativo dei sindacalisti rivoluzionari, se non quando il partito stesso, come già abbiamo detto prima, sia diventato, affrontando in modo veramente rivoluzionario qualsiasi questione della vita e della lotta quotidiana delle masse operaie francesi, un centro di attrazione per esse.

In Cecoslovacchia le masse lavoratrici, nel corso di questi due anni e mezzo, si sono in gran parte liberate dalle illusioni riformistiche e nazionaliste. Nello scorso settembre la maggioranza degli operai socialdemocratici si è separata dai suoi capi riformisti. In dicembre un milione d’operai circa, su tre milioni e mezzo di lavoratori industriali della Cecoslovacchia, si è contrapposto, in un’azione rivoluzionaria di massa, al governo capitalistico cecoslovacco. Nel mese di maggio di quest’anno il Partito comunista cecoslovacco si è costituito, con circa 350 mila membri, a fianco del Partito comunista della Boemia tedesca precedentemente formato, che conta circa 600 mila membri. Così i comunisti costituiscono non soltanto una gran parte del proletariato della Cecoslovacchia, ma addirittura dell’intera popolazione. 

Il Partito cecoslovacco si trova ora di fronte al problema di attrarre, per mezzo di un’agitazione realmente comunista, ancora più estese masse operaie, di istruire i membri, siano essi nuovi membri o vecchi compagni, con una propaganda comunista chiara e senza timidezze, di unire gli operai di tutte le nazionalità cecoslovacche per formare un fronte ininterrotto dei proletari contro il nazionalismo, questa roccaforte della borghesia in Cecoslovacchia, e per trasformare in potenza invincibile la forza così creata dal proletariato, nel corso delle future battaglie contro le tendenze oppressive del capitalismo e contro il governo. Il Partito ceco-slovacco si trova oggi di fronte al problema di trasformare le masse operaie che esso comprende, mediante la propaganda e l’educazione, in comunisti pienamente coscienti, grazie ad un’azione realmente comunista e alla partecipazione alle battaglie imminenti contro le tendenze oppressive del capitalismo, di attrarre a sé delle masse operaie sempre maggiori, di costituire, unendo gli operai di tutte le nazionalità della Cecoslovacchia, un fronte unico dei proletari contro il nazionalismo, questa fortezza della borghesia in quel paese, e di sostenere energicamente la forza così acquistata dal proletariato contro il capitalismo e contro il governo borghese. [11]
Il Partito comunista di Cecoslovacchia sarà tanto più all’altezza di questa missione quanto più esso saprà con chiarezza e decisione vincere tutte le tradizioni ed i pregiudizi centristi, quanto più condurrà una politica capace di educare alla rivoluzione e concentrare le masse più vaste del proletariato e quanto più sarà anche in condizione di preparare le azioni di massa e di eseguirle vittoriosamente. Il congresso decide che il Partito comunista cecoslovacco e quello tedesco-boemo devono fondere le loro organizzazioni entro una data fissata dal Comitato esecutivo.

Il Partito comunista unificato di Germania, nato dall’unione del gruppo Spartacus con le masse operaie degli Indipendenti di sinistra, per quanto sia già un grande partito di massa, ha la missione immensa di aumentare la sua influenza sulle grandi masse, di rafforzare le organizzazioni proletarie di massa, di conquistare i sindacati, di infrangere l’influenza del Partito socialdemocratico e della burocrazia sindacale 


e di divenire nelle battaglie future del proletariato la guida del movimento delle masse [12]
e di individuare nelle lotte future del proletariato i capi dei movimenti di massa. Questo compito davvero essenziale del partito impone che esso applichi tutti i suoi sforzi d’adattamento, di propaganda e d’organizzazione, che si ponga l’esigenza di conquistare le simpatie

per i fini del comunismo [13]
 della maggioranza del proletariato senza la quale, vista la potenza del capitale tedesco, nessuna vittoria del comunismo sarà possibile in Germania.

Il Partito unificato in Germania non si è ancora mostrato all’altezza di questo compito né riguardo all’ampiezza, né riguardo al contenuto dell’agitazione.

Esso non ha saputo seguire conseguentemente la via tracciata dalla «lettera aperta», il metodo cioè di mettere in rilievo il contrasto tra gli interessi del proletariato e la politica traditrice dei partiti socialdemocratici e della burocrazia sindacale. Esso non ha ancora saputo trovare il modo di passare dalla propaganda, inaugurata dalla lettera aperta, al collegamento delle masse, attirate dalla propaganda della lettera aperta, al partito comunista, e alla propria introduzione nelle lotte parziali. [14]
La stampa e l’organizzazione del partito hanno ancora troppo il carattere di club e non di strumenti e d’organizzazioni di lotta. Le tendenze centriste, che ancora si manifestano in questo partito e che non sono ancora state completamente superate, hanno condotto inoltre alla situazione per cui il partito, di fronte alla necessità della lotta, vi si è dovuto impegnare senza la sufficiente preparazione
 e non tenne sufficientemente presente la necessità del collegamento morale con le masse non comuniste. e, come reazione contro le tendenze centriste, è stato portato a fondersi con lo stato d’animo delle masse, a trascurare il ruolo di direzione delle masse da parte del partito. [15]
 Le esigenze d’azione che saranno presto imposte al Partito comunista unificato di Germania dal processo di distruzione dell’economia tedesca, dall’offensiva
del capitale contro le condizioni di esistenza delle masse operaie potranno essere soddisfatte se non a patto che il partito, lungi dall’opporre i suoi obiettivi di azione agli obiettivi di agitazione e organizzazione, non terrà sempre ben desto lo spirito di combattività nelle sue file, non darà alla sua agitazione un carattere realmente popolare, non articolerà la sua struttura in modo da affrontare, sviluppando i legami con le masse, la situazione nel migliore modo possibile e da preparare non meno accuratamente la lotta. del capitale nazionale e straniero contro l’esistenza delle masse operaie potranno essere soddisfatte solamente se il partito, lungi dall’opporre al suo compito di azione i suoi compiti di agitazione ed organizzazione, manterrà vigile nelle sue organizzazioni lo spirito di combattività, se renderà veramente popolare la sua propaganda, se mediante il suo legame con le masse svilupperà in sé la capacità di utilizzare le situazioni di combattimento, dopo una seria preparazione ed esame della situazione. [16]

L’azione di marzo è stata una lotta imposta al Partito comunista unificato di Germania dall’offensiva del governo tedesco contro il proletariato della Germania centrale. Il PCUG è coraggiosamente entrato in azione per difendere gli operai e per respingere la prima azione della borghesia tedesca, per aprire il terreno ad uno spiegamento rafforzato di tutta la classe operaia in vista delle riparazioni di guerra. Esso ha così mostrato d’essere il partito di combattimento del primo paria rivoluzionario di Germania.

Il III Congresso dell’Internazionale Comunista considera l’azione di marzo del PCUG come un progresso, come il passaggio del più forte partito di massa dell’Europa Centrale alla lotta effettiva, come il primo tentativo di realizzazione del ruolo dirigente del partito comunista nelle lotte del proletariato tedesco, ruolo che il partito si era assunto nel suo programma di fondazione. L’azione di marzo è lo smascheramento e la sconfitta del carattere francamente controrivoluzionario del partito indipendente e degli elementi centristi mascherati in seno allo stesso PCUG. L’azione di marzo, a causa di numerosi errori commessi e di numerosi difetti d’organizzazione del partito, ha permesso di vedere chiaramente questi errori, questi difetti e di intraprenderne la soppressione. Essa ha messo in luce la mancanza di disciplina del partito nella lotta e ha contribuito al consolidamento di questa disciplina. Essa ha trascinato le masse ancora legate ai socialdemocratici e ha creato in seno a questo partito un fermento rivoluzionario. Lungi dallo scuotere l’organizzazione del partito, l’azione di marzo ne ha rafforzato lo spirito combattivo.

In questa prima grande lotta sostenuta dopo la fondazione, il PCUG ha commesso una serie di errori. Uno di questi risiede nel fatto di non aver denunciato abbastanza chiaramente il carattere della provocazione della borghesia e dei suoi accoliti. Esso non ha sottolineato abbastanza nettamente che l’azione di marzo non deve essere ricondotta ad una decisione del partito di passare all’attacco, ma è stata suscitata dall’offensiva di Hoersing contro la Germania Centrale. La teoria dell’offensiva messa avanti dopo l’azione non regge.

Nell’azione di marzo il partito ha cercato di passare dalla difensiva all’offensiva. L’errore è stato che lo scopo della battaglia non è stato abbastanza strettamente adattato allo sviluppo del moto. L’intervento centrista di un certo numero di dirigenti del partito ha avuto per risultato che la preparazione della lotta difensiva del partito, dal punto di vista della agitazione e della propaganda, non ha avuto luogo nella misura necessaria.

Il Terzo Congresso dell’Internazionale è del parere che il PCUG potrà condurre con più successo le sue azioni, se lo spirito di combattività e di stretta disciplina nella lotta regna in tutti gli elementi del partito; se il partito adatta realmente le sue parole d’ordine di battaglia alle situazioni reali; se le azioni sono condotte in modo metodico; se l’insieme dell’organizzazione si trova in stretto legame con le masse e possiede il massimo di unità e di mobilità.

Il PCUG (VKPD), nell’interesse di una valutazione accurata delle possibilità di combattimento, deve ascoltare con attenzione le opinioni che mettono in evidenza le difficoltà dell’azione e che danno a proprio favore delle giustificazioni serie. Ma, non appena un’azione è stata decisa dalla istanze del partito, tutti i compagni devono sottomettersi alle decisioni prese e mettere tutte le loro forze al servizio dell’azione. Il partito ha il dovere di opporsi senza riserve a tutti coloro che, durante l’azione, lo sabotano attivamente o passivamente e secondo le circostanze di privarli delle loro funzioni o di espellerli dal partito. La critica delle azioni può cominciare soltanto dopo la loro fine, non può esercitarsi nel quadro della disciplina del partito e deve tener conto della situazione nella quale il partito si trova di fronte agli avversari di classe. Dato che Levi ha disprezzato queste naturali esigenze della disciplina di partito e queste condizioni della critica all’interno del partito, dato che ha sabotato egli stesso la lotta, che ha marciato la mano nella mano con i socialdemocratici e i centristi in pieno combattimento, dato che, finita la lotta, si è schierato apertamente dalla parte degli avversari più decisi del partito, dato che ha fornito direttamente alla giustizia bianca un materiale d’accusa contro le vittime di combattimenti, il congresso approva la sua espulsione dal partito per violazione smaccata della disciplina e per tradimento. Esso ritiene ogni collaborazione politica dei membri dell’Internazionale Comunista con lui come incompatibile con l’appartenenza all’Internazionale. Il mantenimento di Levi e di un gruppo di suoi amici ha turbato la ritirata in buon ordine e il raggruppamento del partito per la lotta. Il III Congresso dell’I.C. chiede che la critica delle azioni e degli organi superiori del partito sia strettamente circoscritta nell’ambito dell’organizzazione. [17 - sostituisce il capitolo 7, Gli insegnamenti dell’azione di marzo]

I partiti dell’Internazionale comunista diverranno partiti di massa rivoluzionari se sapranno battere l’opportunismo, le sue sopravvivenze e le sue tradizioni nelle proprie file, cercando di legarsi strettamente alle masse operaie che lottano, attingendo i loro obiettivi dalle lotte pratiche del proletariato, respingendo nel corso di queste lotte sia la politica opportunista basata sul compromesso e sulla smobilitazione, sia la fraseologia rivoluzionaria che impedisce di vedere il reale rapporto tra le forze e le vere difficoltà della lotta. I partiti comunisti sono nati dalla scissione degli antichi partiti socialdemocratici. Questa scissione risulta dal fatto che questi partiti durante la guerra, con un’alleanza con la borghesia, o con una politica esitante, che mirava ad evitare qualsiasi lotta, si sono comportati da traditori. I principi dei partiti comunisti costituiscono il solo terreno sul quale le masse operaie potrebbero nuovamente riunificarsi, poiché questi principi esprimono i bisogni di lotta del proletariato. E, stando così le cose, attualmente sono i partiti e le tendenze socialdemocratiche e centriste che rappresentano la divisione e la parcellizzazione del proletariato, mentre al contrario i partiti comunisti ne costituiscono un elemento di unione.

In Germania sono stati i centristi a separarsi dalla maggioranza del loro partito, quando essa seguì la bandiera del comunismo. Per timore dell’influenza unitaria del comunismo, i socialdemocratici e gli Indipendenti di Germania, come la burocrazia sindacale socialdemocratica, rifiutarono la collaborazione in azioni comuni con i comunisti, in difesa dei più elementari interessi del proletariato. In Cecoslovacchia furono i socialdemocratici a far rompere il vecchio partito, quando si resero conto del trionfo del comunismo. In Francia furono i longuettisti a separarsi dalla maggioranza degli operai socialisti, mentre il partito comunista si sforzava di riunire sindacalisti e operai socialisti. In Inghilterra furono i riformisti e i centristi che, per paura della loro influenza, cacciarono i comunisti dal Labour Party e sabotarono la riunificazione degli operai nella loro lotta contro i capitalisti. In tal modo sono stati invece i partiti comunisti a divenire fattori d’unione del proletariato nella lotta per i suoi interessi e, coscienti del loro ruolo, essi sapranno accumulare nuove energie.
 

V. Lotte e rivendicazioni parziali

I partiti comunisti non possono svilupparsi che nella lotta. Anche i più piccoli tra i partiti comunisti non devono limitarsi alla propaganda pura e semplice o all’agitazione. Devono costituire, in tutte le organizzazioni di massa del proletariato, l’avanguardia che indica alle masse ritardate, esitanti – formulando per esse precisi obiettivi di lotta, incitandole a reclamare la soddisfazione dei propri bisogni elementari – come bisogna condurre la battaglia e rilevando in tal modo il tradimento di tutti i partiti non comunisti. È solo alla condizione di sapersi porre alla testa del proletariato in tutte le sue lotte e di saper provocare queste lotte che i partiti comunisti potranno guadagnare effettivamente le grandi masse proletarie alla lotta per la dittatura proletaria.

Tutta l’agitazione e la propaganda, tutta l’azione del partito comunista devono essere imbevute dalla convinzione che, nel quadro del capitalismo, nessun miglioramento durevole è possibile per la situazione delle masse proletarie; che soltanto il rovesciamento della borghesia e la distruzione dello Stato capitalistico permetteranno di lavorare per il miglioramento della situazione della classe operaia e per restaurare l’economia nazionale rovinata dal capitalismo.

Ma questa convinzione non deve farci rinunciare a combattere per le attuali rivendicazioni vitali e immediate del proletariato, in attesa che esso sia in grado di difendersi con la propria dittatura. La socialdemocrazia che oggi, nel momento in cui il capitalismo non è più in grado di assicurare agli operai neppure un’esistenza da schiavi sazi, presenta il vecchio programma socialdemocratico delle riforme pacifiche, riforme che devono essere realizzate per via pacifica sul terreno e nel quadro del capitalismo in crisi; questa socialdemocrazia inganna scientemente le masse operaie. Non soltanto il capitalismo, durante il periodo del suo disfacimento, non è più capace di assicurare agli operai condizioni di esistenza un po’ più umane, ma gli stessi socialdemocratici, i riformisti di tutti i paesi, provano giorno per giorno che essi non hanno la minima intenzione di condurre la minima lotta per la più modesta tra le rivendicazioni contenute nel loro stesso programma.

Rivendicare la socializzazione o la nazionalizzazione delle più importanti branche dell’industria, come fanno i partiti centristi, è ancora una volta ingannare le masse popolari. Non soltanto i centristi hanno indotto in errore le masse, cercando di persuaderle che la socializzazione può strappare dalle mani del capitale i principali settore industriali senza bisogno di sconfiggere la borghesia; essi cercano altresì si stornare gli operai dalla lotta vitale, reale per i loro più immediati bisogni, facendo loro sperare una progressiva egemonia sulle diverse industrie, l’una dopo l’altra, dopodiché avrebbe inizio l’edificazione «sistematica» dell’edificio economico. Ritornando così al programma minino della socialdemocrazia, cioè alla riforma del capitalismo che oggi è diventata una vera e propria truffa controrivoluzionaria.

Se in questo programma di socializzazione, per esempio dell’industria del carbone, ha ancora un ruolo l’idea lassalliana di concentrare su un’unica rivendicazione tutte le energie del proletariato, per farne una leva d’azione rivoluzionaria che conduca per il suo sviluppo interno alla lotta per il potere, in questo caso abbiamo a che fare con sognatori che creano castelli in aria: oggi, in tutti i paesi capitalistici, la classe operaia soffre flagelli così numerosi e vergognosi che è impossibile combattere tutti questi pesi schiaccianti e questi attacchi perseguendo un solo obiettivo particolare, debole, assolutamente immaginario. Bisogna invece prendere ogni bisogno delle masse come punto di partenza delle lotte rivoluzionarie, il cui confluire soltanto può creare l’onda possente della rivoluzione sociale.


Quest’atteggiamento dei centristi e dei riformisti si manifesta anche nel modo di condurre le azioni. Essi danno alle azioni parziali un obiettivo limitato in anticipo. Essi si sforzano, nel momento in cui l’azione scoppia, di limitarla, di impedirne l’estensione a nuovi strati proletari (sciopero dei minatori inglesi) e di liquidarla al più presto con un compromesso (ferrovieri tedeschi nel dicembre 1920 e nel gennaio 1921). [18]
I partiti comunisti non proporranno per questa lotta nessun programma minimo che finirà per trasformarsi in un sostegno e in un perfezionamento del vacillante edificio del capitalismo. La rovina di quest’edificio resta il loro fine, il loro compito attuale. Ma per assolvere questo compito i partiti comunisti devono lanciare delle rivendicazioni la cui realizzazione costituisca una necessità immediata e urgente della classe operaia e devono difendere queste rivendicazioni nella lotta delle masse, senza preoccuparsi di sapere se sono compatibili o non con lo sfruttamento odioso della classe capitalista.

I partiti comunisti devono tener conto non già delle capacità d’esistenza e di concorrenza dell’industria capitalistica, non della forza di resistenza delle finanze capitaliste ma della portata della miseria che il proletariato non vuole e non deve sopportare. Se queste rivendicazioni rispondono ai bisogni vitali di larghe masse proletarie, se queste masse sono compenetrate dalla consapevolezza che senza la realizzazione di queste rivendicazioni la loro esistenza diventa impossibile, allora la lotta per queste rivendicazioni diverrà il punto di partenza per la lotta per il potere. I partiti comunisti al posto del programma minimo dei riformisti e dei centristi, pongono la lotta per i bisogni

 concreti del proletariato, per un sistema di rivendicazioni che nel loro insieme demoliscono la potenza della borghesia, organizzano il proletariato e costituiscono altrettante tappe nella lotta per la dittatura del proletariato e ciascuna delle quali, in particolare, esprima chiaramente uno dei bisogni delle larghe masse, anche se queste masse non si collocano ancora coscientemente sul terreno della dittatura del proletariato. concreti del proletariato, per un sistema d’esigenze che demoliscano la potenza della borghesia, organizzino il proletariato, costituiscano il contenuto di misure di transizione fra l’economia capitalista e l’economa comunista e, dando espressione alle aspirazioni delle grandi masse, le mobilitino a poco a poco, anche se queste masse non si pongono ancora coscientemente sul terreno della dittatura, in vista della lotta per la dittatura proletaria. [19]
Nella misura in cui la lotta per queste rivendicazioni abbraccia e mobilita masse sempre più vaste, nella misura in cui questa lotta oppone i bisogni vitali delle masse ai bisogni vitali della società capitalistica, la classe operaia prenderà coscienza di questa verità: se essa vuole sopravvivere, il capitalismo deve perire. Questa constatazione susciterà in essa la volontà di combattere per la dittatura. È compito dei partiti comunisti di allargare le lotte che si sviluppano sulla base di queste rivendicazioni concrete, di approfondirle e di collegarle fra loro.
[L’emendamento figura tale e quale nelle Tesi votate] Ogni azione parziale intrapresa dalle masse lavoratrici per il conseguimento di una rivendicazione parziale, ogni serio sciopero economico, mobilita contemporaneamente tutta la borghesia che si mette, come classe, a fianco di quella parte degli imprenditori che è minacciata, onde impedire qualsiasi vittoria, anche parziale, del proletariato (ausiliari tecnici in Germania, crumiri borghesi nello sciopero dei ferrovieri in Inghilterra, fascisti). Per la lotta contro i lavoratori la borghesia mobilita inoltre tutto intero il proprio apparato statale (militarizzazione dei lavoratori in Francia e Polonia, stato di eccezione durante lo sciopero dei minatori inglesi). I lavoratori combattendo per le loro rivendicazioni parziali, sono costretti automaticamente a lottare contro l’intera borghesia e il suo apparato statale. [20]
Nella misura in cui le lotte per le rivendicazioni parziali o le lotte settoriali di diversi gruppi d’operai crescono in una lotta generale della classe operaia contro il capitalismo, il Partito comunista ha il dovere di porre parole d’ordine più elevate e più generali, compresa quella del diretto rovesciamento dell’avversario.

Stabilendo le loro rivendicazioni parziali, i partiti comunisti devono star bene attenti a che queste rivendicazioni, avendo un loro preciso collegamento con i bisogni di larghe masse, non si limitino a trascinare queste masse nella lotta, ma, di per se stesse, siano suscettibili di fornire una struttura organizzativa.

Tutte le parole d’ordine concrete, che hanno la loro fonte nei bisogni economici delle masse operaie, devono essere inserite nel piano della lotta per il controllo operaio che non sarà un sistema d’organizzazione burocratica dell’economia nazionale sotto il regime capitalistico ma la lotta contro il capitalismo condotta dai soviet di fabbrica e dai sindacati rivoluzionari. È soltanto con la creazione di questo genere d’organizzazione di fabbrica, è soltanto attraverso il loro collegamento per branche

 industriali [21]
 e per centri industriali, che la lotta delle masse operaie potrà conseguire un’unità organica, che ci si potrà opporre alla divisione delle masse operata dalla socialdemocrazia e dai capi dei sindacati. I soviet di fabbrica conseguiranno lo scopo soltanto se nasceranno nella lotta per gli obiettivi economici comuni alle più larghe masse degli operai, soltanto se creeranno il legame tra tutte le componenti rivoluzionarie del proletariato: il partito comunista, gli operai rivoluzionari e i sindacati in via di sviluppo rivoluzionario.

Qualsiasi obiezione contro la proposizione di parole d’ordine di questo tipo, qualsiasi accusa di riformismo con il pretesto di queste lotte parziali dipende da questa particolare incapacità di comprendere le condizioni vive dell’azione rivoluzionaria che si è manifestata già nell’opposizione di certi gruppi comunisti alla partecipazione ai sindacati e all’utilizzazione del parlamentarismo. Non si tratta di limitarsi a predicare continuamente al proletariato gli obiettivi finali, ma di far progredire la sua lotta concreta perché soltanto essa può condurlo a lottare per gli obiettivi finali. A qual punto le obiezioni contro le rivendicazioni parziali siano prive di base ed estranee alle esigenze della vita rivoluzionaria appare soprattutto dal fatto che anche le piccole organizzazioni, fondate da comunisti di sinistra quali ospizi di dottrinarismo «puro», sono state costrette a porre sul tappeto delle rivendicazioni parziali quando hanno voluto cercare di avviare alla lotta masse operaie più numerose di quelle che si raggruppano attorno a loro e quando vogliono prendere parte alle lotte delle grandi masse popolari per potervi esercitare la loro influenza.

La natura rivoluzionaria dell’epoca attuale consiste precisamente nel fatto che le condizioni d’esistenza più modeste delle masse operaie sono incompatibili con l’esistenza della società capitalistica e che per questa ragione la stessa lotta per le rivendicazioni più modeste assume le dimensioni di una lotta per il comunismo.

Mentre i capitalisti approfittano del sempre crescente esercito di disoccupati per esercitare una pressione sul lavoro organizzato, pianificando una riduzione dei salari, i socialdemocratici, gli Indipendenti e i capi ufficiali dei sindacati si prendono volgarmente gioco dei disoccupati, considerandoli semplicemente come destinatari della beneficenza governativa e sindacale e caratterizzandoli politicamente come sottoproletariato, i comunisti devono rendersi chiaramente conto che nelle condizioni attuali l’esercito dei disoccupati costituisce un fattore rivoluzionario di colossale importanza. La direzione di quest’esercito deve essere assunta dai comunisti. Grazie alla pressione esercitata dai disoccupati sui sindacati, i comunisti devono accelerare il rinnovamento dei sindacati e in primo luogo liberarli dall’influenza dei capi traditori. Il partito comunista, riunificando i disoccupati all’avanguardia del proletariato nella lotta per la rivoluzione socialista, tratterrà gli elementi più rivoluzionari e più impazienti dei disoccupati da atti disperati isolati e renderà capace tutta la massa di appoggiare in condizioni favorevoli l’attacco iniziato da un gruppo di proletari, di sviluppare questo conflitto oltre il quadro precostituito, di farne il punto di partenza per una decisa offensiva; in una parola trasformerà tutta questa massa e, da esercito di riserva dell’industria, ne farà un esercito attivo della rivoluzione.

Prendendo con la più strenua energia la difesa di questa categoria d’operai, calandosi nel cuore della classe operaia, i partiti comunisti non rappresentano gli interessi di uno strato operaio contrapposto ad un altro, rappresentano l’interesse comune della classe operaia, tradita da capi controrivoluzionari a profitto di momentanei interessi dell’aristocrazia operaia: più ampio è il settore dei disoccupati e dei semioccupati, più gli interessi passeggeri dell’aristocrazia operaia devono essere subordinati a questi interessi comuni. Il punto di vista che fa leva sugli interessi dell’aristocrazia operaia, per rivolgerli come arma contro i disoccupati o per abbandonare questi ultimi alla loro sorte, divide la classe operaia ed è in realtà controrivoluzionario. Il partito comunista, come rappresentante dell’interesse generale della classe operaia, non deve accontentarsi di riconoscere e valorizzare con la propaganda tali interessi comuni. Esso non può rappresentare efficacemente questi interessi generali se non conducendo, in determinate occasioni, proprio il grosso della massa operaia più oppressa e impoverita alla lotta contro la resistenza dell’aristocrazia operaia.
 

VI. La preparazione della lotta

Il carattere del periodo di transizione fa obbligo a tutti i partiti comunisti di potenziare al massimo il loro spirito di combattività. Ogni lotta isolata può sfociare in una lotta per il potere. Il partito non può acquisire il mordente necessario se non dà all’insieme della sua propaganda il carattere d’appassionata denuncia contro la società capitalistica, se non si sa legare, con quest’agitazione, alle più larghe masse del popolo, se non sa parlar loro in modo che esse possano acquisire la convinzione di essere sotto la direzione di un’avanguardia che lotta effettivamente per il potere. Gli organi e i manifesti del partito comunista non devono essere pubblicazioni accademiche che cercano di provare a livello teorico la giustezza del comunismo; devono essere grida che richiamano alla rivoluzione proletaria. L’azione dei comunisti nei parlamenti non deve tendere a discutere con il nemico e persuaderlo ma a smascherarlo senza riserve e senza pietà, a smascherare gli agenti della borghesia, a sollecitare la volontà di lotta delle masse operaie e a condurre gli strati piccolo-borghesi, semiproletari del popolo all’unione con il proletariato. Il nostro lavoro di organizzazione nei sindacati come nei partiti non deve puntare a una costruzione meccanica, a un aumento numerico delle nostre file; dev’essere compenetrato dalla consapevolezza delle lotte incombenti. Soltanto quando il partito, in tutte le sue manifestazioni di strada e in tutte le sue forme d’organizzazione, sarà la volontà di combattere personificata, soltanto allora esso potrà compiere la sua missione nel momento in cui le condizioni necessarie a più vaste azioni di lotta saranno tutte presenti.

Là dove il partito comunista rappresenta una forza di massa, dove la sua influenza si estende, oltre i quadri delle organizzazioni proprie del partito, su larghe masse operaie, esso ha il dovere di promuovere con l’azione la scesa in lotta delle masse. Grandi partiti di massa non potrebbero accontentarsi di criticare le carenze degli altri partiti, e opporre alle rivendicazioni di quelli rivendicazioni comuniste. È su di essi, in quanto partiti di massa, che poggia la responsabilità della rivoluzione.

Là dove la situazione delle masse operaie diventa sempre più intollerabile, i partiti comunisti devono tentare di tutto per portare le masse operaie a difendere con la lotta i loro interessi. In presenza del fatto che in Europa occidentale e in America, dove le masse sono organizzate in sindacati e partiti politici, e dove conseguentemente non sarà possibile per un certo periodo contare su movimenti spontanei che in casi assai rari, i partiti comunisti hanno il dovere, usando tutta la loro influenza nei sindacati, aumentando la loro pressione sugli altri partiti che si basano sulla massa operaia, di tentare d’ottenere un rilancio generale della lotta per gli interessi immediati del proletariato; e se i partiti non comunisti partecipano di malavoglia a questa lotta, il compito dei comunisti consiste nel preparare in anticipo le masse operaie al possibile tradimento da parte di partiti non comunisti, durante una delle fasi successive di lotta; nel tendere il più possibile la situazione e nell’aggravarla per poter essere capaci di continuare la lotta, all’occorrenza, senza altri partiti (vedere la lettera aperta al VKPD, che può servire da punto di partenza esemplare per altre azioni). Se la pressione del partito comunista nei sindacati e sulla stampa non è sufficiente per trascinare il proletariato alla lotta su un fronte unico, allora è dovere del partito comunista di cercare da solo di trascinare grandi settori delle masse operaie. Questa politica indipendente, che consiste nel far difendere gli interessi vitali del proletariato dalla sua frazione più cosciente e più attiva, sarà coronata da successo e riuscirà a scuotere le masse ritardatarie soltanto nel caso in cui gli obiettivi della lotta derivino dalla situazione concreta, siano comprensibili alle larghe masse e queste masse vedano in tali obiettivi i loro propri obiettivi, pur non essendo ancora abbastanza forti per combattere direttamente e per imporli.

Peraltro il partito comunista non deve accontentarsi di difendere il proletariato contro i pericoli che lo minacciano, di parare i colpi inferti contro la massa operaia. Il partito comunista è, nel periodo della rivoluzione mondiale, per sua stessa natura, un partito d’attacco, un partito di assalto contro la società capitalistica; ha il dovere, dal momento in cui si profila una lotta difensiva contro la società capitalistica, di approfondirla e di ampliarla, di trasformarla in una crescente offensiva. Il partito ha altresì il dovere di fare di tutto per condurre a quest’offensiva le masse popolari tutte insieme, là dove siano date le condizioni favorevoli.

Chi si oppone per principio alla politica dell’offensiva contro la società capitalistica viola, le direttive del comunismo.

Le condizioni favorevoli consistono in primo luogo nell’esasperazione delle lotte nello stesso terreno della borghesia, nel quadro nazionale e internazionale. Quando le lotte intestine in seno alla borghesia abbiano assunto la dimensione che si può prevedere, la classe operaia si troverà ad affrontare le forze nemiche frazionate e disperse; allora il partito deve prendere l’iniziativa, dopo una minuziosa preparazione nel settore politico e, se possibile, nei gangli organizzativi e condurre le masse alla lotta.

La seconda condizione per delle sortite, per attacchi su un fronte vasto, è il gran fermento che esiste nelle categorie determinanti della classe operaia; fermento che permette di prevedere che la classe operaia sarà pronta a lottare contro il governo capitalistico su tutto l’arco del fronte. Se è indispensabile, quando il movimento si estende, accentuare le parole d’ordine di lotta, è ugualmente un dovere per i dirigenti comunisti della lotta, nel caso in cui il movimento assumesse una direzione retrograda, ritirare dalla battaglia le masse dei combattenti, con il massimo di ordine e di coesione.

Se il partito comunista deve adottare l’attacco o la difesa dipende dalle circostanze concrete. L’essenziale è che esso sia imbevuto di spirito combattivo, che si sbarazzi della passività centrista che, inevitabilmente, incanalerebbe anche la propaganda del partito nella routine semiriformista. Questa costante predisposizione alla lotta deve costituire la caratteristica dei grandi partiti comunisti non soltanto perché su essi, in quanto partiti di massa, pesa la responsabilità della lotta, ma anche per la complessità della situazione attuale: disgregazione del capitalismo, crescente pauperizzazione delle masse. Bisogna ridurre questo periodo di disgregazione, se non si vuole che tutte le basi materiali del comunismo vengano annientate e che tutta l’energia delle masse operaie sia distrutta durante questo periodo.

VII. Gli insegnamenti dell’azione di marzo

L’azione di marzo: una lotta imposta al Partito comunista unificato di Germania dall’attacco del governo contro il proletariato della Germania centrale.

Nel corso di questa prima grande battaglia che il partito unificato dovette sostenere dopo la sua formazione, esso commise una serie di errori, il principale dei quali consistette nel fatto che, in luogo di far emergere chiaramente il carattere difensivo di questa lotta, con il suo grido di guerra, esso fornì ai nemici senza scrupoli del proletariato, alla borghesia, al partito socialdemocratico e al partito indipendente un pretesto per denunciare il partito unificato, di fronte alle masse proletarie, come sostenitore del golpismo. Quest’errore fu ulteriormente appesantito da un certo numero di compagni del partito, che presentavano l’offensiva comunista come il metodo di lotta fondamentale del Partito comunista unificato di Germania nell’attuale situazione. Gli organi ufficiali del partito, come il suo presidente, compagno Brandler, si sono già pronunciati contro questi errori.

Il III congresso dell’Internazionale comunista considera l’azione di marzo del Partito comunista unificato di Germania come un passo avanti. Il congresso ritiene che il Partito comunista unificato sarà tanto più in condizione di realizzare con successo le sue azioni di massa, quanto più saprà meglio adottare, in avvenire, parole d’ordine di lotta adeguate alla situazione reale, quanto più esso attentamente studierà questa situazione e quando più agirà con maggiore unità.

Il Partito comunista unificato di Germania, nell’interesse di una comprensione minuziosa delle possibilità di lotta, dovrà attentamente considerare i fatti e i riflessi e soppesare con cura tutti i fondati motivi che segnalano le difficoltà dell’azione. Ma dal momento in cui un’azione è stata decisa dalle autorità del partito, tutti i compagni devono sottomettersi alle decisioni del partito ed eseguire queste azioni. La critica di queste azioni non può essere iniziata che dopo che esse siano terminate e non deve essere esercitata che all’interno del partito e dei suoi organi e prendendo in considerazione la situazione in cui si trova il partito in rapporto al nemico di classe.

Poiché Levi non ha riconosciuto queste evidenti considerazioni della disciplina e le condizioni poste alla critica del partito, il congresso approva la sua esclusione dal partito e considera inammissibile qualsiasi collaborazione con lui da parte dei membri dell’Internazionale.


 

[Emendato al n. 17 e spostato nel capitolo IV]

VIII. Forme e modi della lotta diretta

Le forme e i modi della lotta, le sue proporzioni come la questione dell’offensiva e della difensiva, dipendono da certe condizioni che non si possono creare arbitrariamente. Le precedenti esperienze della rivoluzione hanno mostrato differenti forme d’azioni parziali:
1) Azioni parziali di settori isolati del proletariato, azioni dei minatori, dei ferrovieri, ecc. in Germania; in Inghilterra, degli operai agricoli, ecc.
2) Azioni parziali dell’insieme degli operai per scopi limitati (l’azione durante le giornate di Kapp, l’azione dei minatori inglesi contro l’intervento militare del governo inglese durante la guerra russo-polacca).

Dal punto di vista territoriale, queste lotte parziali possono comprendere regioni isolate, paesi interi o molti paesi per volta. L’azione di marzo rappresentò un’eroica lotta condotta da centinaia di migliaia di proletari contro la borghesia; ponendosi vigorosamente alla testa della difesa degli operai della Germania centrale, il Partito comunista unificato di Germania dà prova di essere realmente il partito del proletariato rivoluzionario tedesco.

Tutte queste forme di lotta sono destinate, nel corso della rivoluzione, in ogni paese, a scambiarsi le une con le altre, a diverse riprese. Il partito comunista non può evidentemente rifiutarsi di compiere azioni parziali territorialmente limitate, ma i suoi sforzi devono tendere a trasformare ogni battaglia locale di una certa importanza in lotta generale del proletariato. Ugualmente esso ha il dovere di difendere gli operai in lotta di un settore industriale, chiamando all’attacco possibilmente tutta la classe operaia e, nello stesso tempo, esso è obbligato, per difendere gli operai che lottano su un obiettivo particolare, a organizzare, quando sia possibile, gli operai di altri centri industriali. L’esperienza della rivoluzione mostra che più il campo di battaglia è grande, più grandi sono le prospettive di vittoria. La borghesia, nella sua lotta contro la rivoluzione mondiale che si sviluppa, si appoggia da una parte sulle organizzazioni di guardie bianche, dall’altra sull’effettivo sgretolamento della classe operaia, sulla reale lentezza a costituirsi del fronte proletario. Più grandi sono le masse del proletariato che entrano in lizza, più grande è il campo di battaglia e più il nemico dovrà dividere e disseminare le sue forze. Anche se gli altri settori della classe operaia, che accorrono in aiuto di un solo settore del proletariato che si trovi in condizioni sfavorevoli, non riescono momentaneamente a impegnare tutto il potenziale delle loro forze per sostenerlo, il loro intervento, di per sé solo, obbliga i capitalisti a dividere i loro contingenti militari, poiché essi non possono sapere che estensione e che mordente assumerà la partecipazione alla lotta del resto del proletariato.

Nel corso dello scorso anno, durante il quale abbiamo osservato un’offensiva sempre più arrogante del capitale contro il lavoro, abbiamo visto nello stesso tempo, in tutti i paesi, che la borghesia, non contenta del lavoro delle sue organizzazioni politiche, creava organizzazioni di guardie bianche, legali o semilegali, sempre più protette dallo Stato, per svolgere un ruolo determinante in ogni grande scontro economico e politico. In Germania è l’Orghesch, sostenuta dal governo e che comprende i partiti di tutte le sfumature, da Stinnes a Scheidemann. In Italia sono i fascisti, le cui eroiche prodezze da banditi hanno modificato l’atteggiamento della borghesia e creato l’illusione di una trasformazione completa dei rapporti tra le forze politiche. In Inghilterra il governo di Lloyd George, per opporsi al pericolo degli scioperi, s’indirizza ai volontari il cui compito consiste nel «proteggere la proprietà e la libertà del lavoro», sia con la sostituzione degli scioperanti sia con la distruzione delle loro organizzazioni. In Francia il giornale semi-ufficiale «Le Temps», ispirato dalla cricca di Millerand, conduce una propaganda energica in favore dello sviluppo delle «leghe civiche» già preesistenti e per il trapianto di metodi fascisti sul territorio francese. Le organizzazioni di crumiri e d’assassini, che hanno in ogni tempo completato il regime americano delle libertà borghesi, hanno avuto un organo dirigente nella Legione Americana apparsa dopo la guerra.

La borghesia, che conta sulla sua forza e che si vanta della sua solidità, sa perfettamente, nelle persone dei suoi governanti, che in tal modo essa ottiene soltanto un momento di tregua e che nelle condizioni attuali ogni grande sciopero ha la tendenza a trasformarsi in guerra civile e in lotta immediata per il potere.

Nella lotta del proletariato contro l’offensiva del capitale è dovere dei comunisti non soltanto prender posto nelle prime file e istruire coloro che lottano affinché comprendano i fini essenziali da realizzare con la rivoluzione, ma anche appoggiarsi sui migliori elementi e sugli uomini più attivi


 delle aziende e [22]
 dei sindacati per creare proprie truppe operaie e organizzazioni di combattimento per opporre resistenza ai fascisti e far perdere alla «gioventù dorata» della borghesia il vizio d’insultare gli scioperanti.

A causa dell’eccezionale importanza delle legioni d’assalto controrivoluzionarie, il partito comunista, i nuclei comunisti nei sindacati devono dedicare la massima attenzione al problema dei servizi di collegamento e di preparazione, alla sorveglianza da esercitare costantemente sugli organi di lotta da un lato e sulle forze delle guardie bianche dall’altro. Stati maggiori, depositi d’armi, rapporti con la polizia, la stampa e i partiti politici: preparazione, insomma, di tutto un dossier, necessario per la difesa ed il contrattacco.

Il partito comunista deve in questo modo inculcare nei più larghi strati del proletariato, con i fatti e con le parole, l’idea che ogni conflitto economico o politico può, con il concorrere di circostanze favorevoli, trasformarsi in guerra civile, nel corso della quale il compito del proletariato sarà quello di impadronirsi del potere politico.

Il partito comunista, in presenza di atti di terrore bianco e della rabbia per l’ignobile caricatura di giustizia, deve costantemente mantenere nel proletariato l’idea che esso non deve, nel momento della sollevazione, lasciarsi ingannare dagli appelli dell’avversario alla calma ma, al contrario, con atti di giurisdizione popolare organizzata, deve fornire un’espressione alla giustizia proletaria e regolare i suoi conti con i boia della sua classe. Ma nei momenti in cui il proletariato non è ancora che all’inizio del suo compito, quando si tratta ancora di mobilitarlo per mezzo dell’agitazione, con le campagne politiche, con gli scioperi, l’uso delle armi e degli atti di sabotaggio non sono utili se non quando servono a impedire i trasporti di truppe contro le masse proletarie in lotta o quando si tratti di strappare all’avversario una posizione importante nello scontro diretto. Atti di terrorismo individuale, per quanto essi debbano essere considerati con attenzione quale prova, sintomo dell’effervescenza rivoluzionaria e debbano essere difesi contro la legge di Lynch della borghesia e dei suoi lacchè socialdemocratici, non sono tuttavia in alcun modo suscettibili di elevare il grado di organizzazione e di disposizione del proletariato a lottare, poiché suscitano nelle masse l’illusione che atti eroici isolati possano supplire alla lotta rivoluzionaria del proletariato.
 

IX. L’atteggiamento nei confronti degli strati intermedi e del proletariato

Nell’Europa occidentale non c’è nessun’altra grande classe che, al di fuori del proletariato, possa rappresentare un fattore determinante della rivoluzione mondiale, come fu invece il caso della Russia dove la classe contadina era già destinata, per la guerra e per la carenza di terra, ad essere un fattore decisivo della lotta rivoluzionaria, al fianco della classe operaia.

Ma in Europa occidentale vi sono partiti di contadini, grandi frazioni della piccola borghesia urbana, un largo settore di questo nuovo «terzo stato» che comprende impiegati, ecc... che sono collocati in condizioni di esistenza sempre più intollerabili. Sotto la pressione del rincaro della vita, della crisi degli alloggi, dell’incertezza della loro situazione, queste masse entrano in un fermento che le fa uscire dalla loro inattività politica e le trascina nella lotta tra rivoluzione e controrivoluzione. La bancarotta dell’imperialismo negli Stati vinti, il tracollo del pacifismo e delle tendenze socialriformiste nel campo della controrivoluzione dichiarata nei paesi vittoriosi, spingono una parte di questi settori intermedi verso il campo della rivoluzione. Il partito comunista deve accordare a questi settori la sua attenzione continua.

Conquistare i piccoli contadini alle idee del comunismo, conquistare e organizzare gli operai agricoli, ecco una delle condizioni preliminari più importanti per la vittoria della dittatura proletaria, poiché consente di trasportare la rivoluzione dai centri industriali nelle campagne e di creare così i punti d’appoggio più importanti per risolvere la questione degli approvvigionamenti, che è

 la  una [23]
  questione fondamentale per la rivoluzione.

La conquista di settori abbastanza vasti di impiegati del commercio e dell’industria, di funzionari inferiori e medi

 e d’intellettuali [24]
 faciliterebbe la dittatura del proletariato, la soluzione dei problemi tecnici e organizzativi durante l’epoca di transizione dal capitalismo al socialismo. Essa porterà al non funzionamento 
 del meccanismo dell’avversario  la vita economica e l’amministrazione dello Stato [25]
 e farà cessare l’isolamento in cui si trova il proletariato nei confronti dell’opinione pubblica.

I partiti comunisti devono sorvegliare nel modo più attento il fermento dei settori piccolo-borghesi; devono utilizzare questi settori nel modo più appropriato, anche se essi non si sono ancora liberati dalle illusioni piccolo-borghesi. Essi devono incorporare le frazioni intellettuali e d’impiegati, che si sono liberati da queste illusioni, nel fronte proletario e usarle per l’educazione delle masse piccolo-borghesi in fermento.

La rovina economica e il dissolvimento delle finanze pubbliche che ne deriva, costringono la stessa borghesia a condannare la base del suo apparato governativo, i funzionari inferiori e medi, a una crescente pauperizzazione. I movimenti economici che si producono in questi settori attentano direttamente alla struttura dello Stato borghese e, anche se esso ogni tanto si riconsolida per un po’, gli sarà comunque impossibile assicurare una base sicura di beni materiali al proletariato finché dura il suo sistema di sfruttamento. Prendendo la difesa dei bisogni economici dei funzionari medi e inferiori con tutte le loro forze disponibili e senza riguardo per lo stato delle finanze pubbliche, i partiti comunisti compiono un lavoro preliminare efficace per la distruzione delle istituzioni di governo borghesi e preparano gli elementi per costruire l’edificio del governo proletario.
 

X. Coordinamento internazionale dell’azione

Affinché tutte le forze dell’Internazionale comunista possano essere messe in moto, per rompere il fronte internazionale controrivoluzionario e affrettare la vittoria della rivoluzione, bisogna sforzarsi con estrema energia di dare alla lotta rivoluzionaria un’unica linea internazionale.

L’Internazionale comunista impone a tutti i partiti comunisti, il dovere di prestarsi reciprocamente, nella lotta, l’appoggio più energico. Le lotte economiche che si sviluppano esigono, ovunque ciò sia possibile, l’intervento del proletariato d’altri paesi. I comunisti devono agire nei sindacati affinché questi impediscano in tutti i modi non soltanto l’introduzione di crumiri, ma anche affinché boicottino l’esportazione verso i paesi nei quali una parte importante del proletariato è in lotta. Nel caso in cui i governanti capitalistici di un paese adottino misure violente contro un altro paese per spogliarlo e soggiogarlo, è dovere dei partiti comunisti non limitarsi alla protesta ma fare tutto il possibile per impedire la spedizione di brigantaggio del loro governo.

Il III congresso dell’Internazionale comunista si rallegra con i comunisti francesi per le loro manifestazioni che appaiono come l’inizio

 dell’accentuarsi della loro azione  di un’azione seria [26]
 contro il ruolo controrivoluzionario, rapace, svolto dal capitale francese. Ricorda loro il dovere di lavorare con tutte le forze affinché i soldati francesi dei paesi occupati imparino a comprendere il loro ruolo di boia al servizio del capitale francese e a ribellarsi contro la rivoltante missione che è loro attribuita. È compito del Partito comunista francese far entrare nella coscienza del popolo francese che, tollerando la formazione di un esercito d’occupazione imbevuto di spirito nazionalista, esso nutre il proprio nemico. Nelle regioni occupate dalle truppe sono addestrati coloro che poi saranno pronti ad estinguere nel sangue il movimento rivoluzionario della classe operaia francese. La presenza di truppe di colore sul suolo della Francia e delle regioni occupate impone al partito francese compiti particolari. Questa presenza dà al Partito comunista francese la possibilità di avvicinare questi schiavi coloniali, di dire loro che essi servono gli sfruttatori e i boia del loro popolo, di incitarli alla lotta contro il regime dei colonizzatori e di mettersi, loro tramite, in contatto con la popolazione delle colonie francesi.

Il Partito comunista francese deve, dal canto suo, far comprendere al proletariato tedesco che nessuna lotta è possibile contro il suo sfruttamento da parte del capitale dell’Intesa senza rovesciare il governo capitalistico tedesco che, pur lanciando alte grida contro l’Intesa, altro non è se non l’usciere e l’amministratore del capitale dell’Intesa stessa. Soltanto dimostrando con una lotta violenta di non cercare affatto una via d’uscita per l’imperialismo tedesco in bancarotta ma di dedicarsi a sbarazzare il terreno dai resti dell’imperialismo tedesco, il VKPD sarà in grado di aumentare tra le masse operaie della Francia la volontà di lotta contro l’imperialismo francese.

L’Internazionale comunista, che ha denunciato al proletariato internazionale le pretese del capitale dell’Intesa alle riparazione di guerra come una campagna di rapina ai danni delle masse lavoratrici dei paesi vinti, che ha sbugiardato i tentativi dei longuettisti e degli Indipendenti tedeschi di dare un’apparenza accettabile a tale rapina che è quanto meno assai pesante per le masse operaie, che li ha sbugiardati per la vergognosa capitolazione di fronte agli squali della Borsa dell’Intesa, l’Internazionale comunista mostra allo stesso tempo al proletariato francese e tedesco la sola strada che conduce alla ricostruzione delle regioni distrutte, all’indennizzo alle vedove e agli orfani e che sollecita il proletariato dei due paesi alla lotta comune contro i suoi comuni sfruttatori.

La classe operaia tedesca non può aiutare il proletariato russo nella sua difficile battaglia, se non con una lotta vittoriosa che acceleri l’unione della Russia agricola con la Germania in Occidente.

È compito dei partiti comunisti di tutti i paesi le cui truppe partecipano all’asservimento e allo spezzettamento della Turchia, di mettere in cantiere tutte le iniziative per far rivoltare le truppe.

I partiti comunisti dei paesi balcanici hanno il dovere di puntare tutte le forze delle masse che essi organizzano per colpire il nazionalismo, contrapponendogli la creazione di una federazione comunista balcanica e non omettendo nulla per avvicinare il momento della loro vittoria. Il trionfo dei partiti comunisti in Bulgaria e in Serbia, che porterà alla caduta dell’ignobile regime di Horty e alla liquidazione del regime feudale dei boiardi romeni, estenderà nella maggior parte dei vicini paesi sviluppati la base agricola, particolarmente necessaria per la rivoluzione italiana.

Sostenere la Russia dei soviet resta, come prima, il dovere fondamentale dei comunisti di tutti i paesi. Essi non devono soltanto levarsi, nel modo più energico, contro qualsiasi attacco rivolto alla Russia soviettista; devono anche impegnare tutte le loro energie per abbattere gli ostacoli che gli Stati capitalistici frappongono tra la Russia soviettista e il mercato mondiale, e i popoli tutti. Bisogna che la Russia soviettista riesca a ristabilire la sua posizione economica, per attenuare l’immensa miseria causata da tre anni di guerra imperialista e da tre anni di guerra civile; bisogna che essa riesca ad elevare la capacità di lavoro delle sue masse popolari, per essere in grado di aiutare, in avvenire, gli Stati proletari vittoriosi dell’Occidente, fornendo loro viveri e materie prime e proteggendoli contro il soffocamento del capitale americano.

Non è soltanto con manifestazioni in occasione d’avvenimenti particolari, ma nel perfezionamento del legame internazionale tra i comunisti nella loro lotta comune, costante, su un fronte ininterrotto, che consiste il ruolo politico universale dell’Internazionale comunista.

Su quale settore di questo fronte avrà luogo l’avanzata vittoriosa del proletariato, se sarà nella Germania capitalistica con il suo proletariato estremamente soggiogato dalla borghesia tedesca e dall’Intesa, e posto di fronte all’alternativa di vincere o soccombere; se sarà nei paesi agricoli del Sud-Est o in Italia, dove la demolizione della borghesia è già avanzata, non può essere previsto fin d’ora. È dovere dell’Internazionale comunista intensificare all’estremo lo sforzo di tutti i settori del fronte mondiale del proletariato; è dovere dei partiti comunisti fare di tutto per appoggiare le lotte decisive d’ogni sezione dell’Internazionale comunista, in tutti i modi a loro possibili. Questo legame deve caratterizzarsi prima di tutto nel fatto che, quando una grande crisi comincia in un paese, negli altri i partiti comunisti cercano di riacutizzare e di far esplodere nei loro i propri conflitti interni.
 

XI. Il crollo delle Internazionali 2 e 2 e ½

Il terzo anno d’esistenza dell’Internazionale comunista ha visto una completa caduta dei partiti socialdemocratici e dei capi sindacali riformisti che sono stati smascherati e messi a nudo.

Ma quest’anno ha visto anche il loro tentativo di raggrupparsi in un’organizzazione e di assumere un’offensiva contro l’Internazionale comunista.

In Inghilterra i capi del Labour Party e delle Trade Unions hanno mostrato, durante lo sciopero dei minatori, il loro scopo che consisteva soltanto nel confondere coscientemente il fronte proletario in formazione e nella cosciente difesa dei capitalisti contro gli operai. Il crollo della Triplice alleanza ha fornito la prova che i leader sindacali riformisti non sono neppure disposti a lottare per il miglioramento della sorte del proletariato nel quadro del capitalismo.

In Germania il Partito socialdemocratico, uscito dal governo, ha dimostrato d’essere incapace di condurre un’opposizione anche propagandistica, sul tipo di quella condotta dalla vecchia socialdemocrazia prima della guerra. In qualsiasi gesto di opposizione questo partito si preoccupava soltanto che non si scatenasse alcuna lotta da parte della classe operaia. Pur trovandosi, per così dire, all’opposizione nel Reich, il partito socialdemocratico ha organizzato la spedizione in Prussia delle guardie bianche, contro i minatori della Germania centrale, per provocarli alla lotta armata – come esso stesso ha ammesso – prima che le file comuniste fossero pronte per il combattimento. Di fronte alla capitolazione della borghesia tedesca nei confronti dell’Intesa, di fronte a questo fatto evidente che questa borghesia non potrebbe soddisfare le condizioni dettate dall’Intesa, che renderebbero l’esistenza del proletariato tedesco completamente intollerabile, la socialdemocrazia tedesca è rientrata al governo per aiutare la borghesia a trasformare il proletariato tedesco in una truppa d’iloti.

In Cecoslovacchia la socialdemocrazia mobilita esercito e polizia per strappare agli operai comunisti il possesso delle loro case e delle loro istituzioni.

Il Partito socialista polacco con la sua tattica ingannatrice aiuta Pilsudsky ad organizzare una spedizione di brigantaggio contro la Russia soviettista, aiuta il suo governo a gettare in prigione migliaia di comunisti, cercando di cacciarli dai sindacati in cui, malgrado tutte le persecuzioni, essi riuniscono attorno a sé masse sempre più vaste.

La socialdemocrazia del Belgio resta in un governo che prende parte alla completa schiavizzazione del popolo tedesco.

I partiti e i gruppi centristi dell’Internazionale 2 e ½ non si dimostrano affatto meno odiosi di quelli della controrivoluzione.

Gli Indipendenti di Germania respingono brutalmente l’invito del partito comunista di condurre in comune la lotta contro l’aggravamento della sorte della classe operaia, invito rivolto malgrado le differenze di principi. Durante le giornate di marzo essi, deliberatamente, si sono posti al servizio del governo delle guardie bianche contro gli operai della Germania centrale e in seguito, dopo aver favorito la vittoria del terrore bianco, dopo aver denunciato all’opinione pubblica borghese le prime file del proletariato come un proletariato di ladri e di briganti, si sono lamentati, ipocritamente, di questo stesso terrore bianco. Pur avendo preso impegno, nel congresso di Halle, di sostenere la Russia soviettista, gli Indipendenti conducono sulla loro stampa una campagna di calunnie contro la repubblica dei soviet in Russia. Entrano nelle file di tutta la controrivoluzione russa, con Wrangel, Miljukov, Burtsev, sostenendo il sollevamento di Kronstadt contro la repubblica dei soviet, sollevamento che manifesta l’inizio di una nuova tattica della controrivoluzione internazionale nei confronti della Russia soviettista: rovesciare il Partito comunista di Russia, l’anima, il cuore, la spina dorsale, il sistema nervoso della repubblica soviettista, per uccidere quest’anima e non avere altro da fare, in seguito, che seppellirne il cadavere.

A fianco degli Indipendenti tedeschi, i longuettisti francesi si associano a questa campagna e si accodano altrettanto pubblicamente alla controrivoluzione francese che, come si sa, ha adottato per prima questa nuova tattica nei confronti della Russia.

In Italia, la politica dei gruppi del centro, di Serrati e D’Aragona, la politica della ritirata di fronte a qualsiasi lotta, ha dato nuovo coraggio alla borghesia e le ha dato la possibilità di dominare tutta la vita italiana servendosi delle bande bianche dei fascisti.

Sebbene i partiti del centro e della socialdemocrazia non differiscano tra loro che per qualche dettaglio, l’unione dei due gruppi, nell’Internazionale unica, non è ancora stata realizzata.

I partiti centristi si sono riuniti in febbraio in un’organizzazione internazionale separata, con una piattaforma politica e uno statuto particolari. Questa Internazionale 2 e ½ cerca, sulla carta, di oscillare tra le due parole d’ordine della democrazia e della dittatura del proletariato. In pratica essa non soltanto aiuta la classe capitalista in ogni paese, coltivando uno spirito d’incertezza nella classe operaia, ma addirittura, di fronte alle rovine accumulate della borghesia internazionale, di fronte alla sottomissione di una parte del mondo agli Stati capitalistici vittoriosi dell’Intesa, essa offre i suoi consigli alla borghesia per realizzare il suo piano di rapina, senza scatenare le forze rivoluzionarie delle masse popolari.

L’Internazionale 2 e ½ si distingue dalla Seconda Internazionale soltanto nella misura in cui essa aggiunge, alla paura comune della potenza del capitale, che unisce i riformisti, alla paura di perdere, se formulasse esattamente il suo punto di vista, quel poco d’influenza che ancora le resta tra le masse ancora indecise, anche se di sentimenti rivoluzionari. L’identità politica essenziale dei riformisti e dei centristi trova la sua espressione nella difesa che, in comune, fanno dell’Internazionale sindacale di Amsterdam, quest’ultimo bastione della borghesia mondiale; unendosi, ovunque essi abbiano influenza sui sindacati, ai riformisti e alla burocrazia sindacale per combattere i comunisti, rispondendo ai tentativi di trasformare i sindacati con la esclusione dei comunisti e con la scissione dei sindacati, i centristi provano che, assolutamente come i socialdemocratici, essi sono avversari decisi della lotta del proletariato e aiutanti della controrivoluzione.

L’Internazionale comunista deve, come ha fatto finora, condurre la lotta più decisa non soltanto contro la Seconda Internazionale e contro l’Internazionale sindacale di Amsterdam ma anche contro l’Internazionale 2 e ½. È soltanto con questa lotta senza quartiere, che mostri quotidianamente alle masse che l’Internazionale comunista può togliere a questi agenti della borghesia la loro influenza sulla classe operaia, che i socialdemocratici e i centristi sono ben lontani dall’intenzione di dover lottare per vincere il capitalismo e che non hanno neppure quella di lottare per i bisogni elementari della classe, soltanto con questa lotta fino alla vittoria si batte in breccia qualsiasi tendenza e qualsiasi svolta centrista nelle proprie file, si dimostra con la propria azione quotidiana di essere l’Internazionale dell’azione comunista e non quella della predica e della teoria comunista. L’Internazionale comunista è la sola organizzazione del proletariato internazionale che sia suscettibile, per i suoi stessi principi, di dirigere la lotta contro il capitalismo. Essa deve rafforzare sia la sua coesione interna sia la sua direzione internazionale, la sua azione, al fine di poter conseguire gli scopi che si è proposta nel suo statuto: «l’organizzazione di azioni comuniste dei proletari di diversi paesi, che perseguano un scopo comune: il rovesciamento del capitalismo, l’instaurazione della dittatura del proletariato e di una repubblica sovietica internazionale».


 
 
 
 
 
 
 
 
 



Terza Internazionale (Comunista)
Terzo congresso
 

XI seduta, 1 luglio 1921
Discorso di Terracini
Delegato dal Partito Comunista d’Italia, in sede di discussione sulle tesi tattiche presentate da Radek

(Dal protocollo tedesco, confrontando per alcune frasi evidentemente monche il "Bulletin du IIIe Congrès")







I delegati hanno già letto stamattina sul "Moscoa" le proposte d’emendamento che la delegazione tedesca, insieme con l’austriaca e l’italiana, desiderano sottoporre ai congressisti. Ora la gioventù comunista ci comunica che si associa ai delegati italiani, tedeschi e austriaci e desidera esprimere il suo parere sulle nostre proposte.

Dichiaro fin dall’inizio che noi non desideriamo modificare i principi generali delle tesi che il compagno Radek ha ieri proposte, al termine del suo rapporto. A nostro parere, queste tesi sono effettivamente collegate alle tesi e al rapporto del compagno Trotzki. Quando parlò sul suo tema, lo stesso compagno Trotzki disse che il compagno Radek aveva protestato perché egli aveva sconfinato dalla questione di cui si trattava per invadere il campo delle tesi sulla tattica; il compagno Trotzki si era quindi dovuto ritirare per lasciare al compagno Radek l’intero campo delle tesi tattiche. Questo episodio mostra che fra il rapporto del compagno Radek e quello del compagno Trotzki esiste effettivamente un legame e che si può passare dall’uno all’altro senza enunciare nuovi principi generali, senza aggiungere nuovi chiarimenti. Tutti i delegati, anche i tedeschi, gli austriaci e gli italiani, come pure la gioventù comunista, hanno approvato nell’insieme le tesi presentate dal compagno Trotzki. Ciò significa che si sono dichiarati contemporaneamente d’accordo con le tesi del compagno Radek. Essi si contraddirebbero se, dopo aver approvato le tesi del compagno Trotzki, oggi respingessero quelle del compagno Radek.

Ma, a nostro avviso, le tesi di Radek possono servire soltanto di base al dibattito e si dovrebbe prima introdurvi delle sostanziali modifiche. Voi avete letto oggi gli emendamenti proposti: essi occupano quasi una pagina intera. Tutti questi emendamenti poggiano su principi generali che adesso esporrò. Ogni singolo emendamento sarà poi discusso e illustrato da altri compagni che, come me, hanno ricevuto delle notizie sulla situazione in certi paesi, che hanno tratto con le tesi in questione.

Le tesi di Radek trattano in uno dei loro paragrafi della situazione in diversi paesi e degli avvenimenti che si sono prodotti nei loro partiti. Queste tesi sulla situazione presente dovrebbero darci la chiave della tattica da seguire in quei paesi e partiti. È appunto sotto questo titolo che, a nostro avviso, sono necessari alcuni emendamenti.

Prendiamo, per esempio, la situazione in Italia. Quello che si dice sull’Italia non corrisponde alla vera situazione nel Partito Socialista e nelle masse proletarie. Queste affermazioni possono facilmente mettere nelle mani dei nostri nemici un’arma contro di noi.

Nel paragrafo IV si legge: «La politica della tendenza serratiana, mentre da un lato rinforzava l’influenza dei riformisti, accresceva dall’altro il pericolo costituito da quella degli anarchici e dei sindacalisti, e generava nel partito stesso tendenze antiparlamentariste di radicalismo parolaio». L’affermazione che le masse italiane cercavano i loro capi per la lotta contro il capitalismo fra i sindacalisti e gli anarchici non corrisponde, secondo noi, alla verità. Gli anarchici e i sindacalisti non hanno mai posseduto in Italia un’organizzazione; non è vero che le masse proletarie si siano rivolte verso gli anarchici e i sindacalisti per trovare altri dirigenti nella lotta contro il capitalismo dopo che il Partito Socialista si era mostrato debole.

Numerosi avversari del comunismo, del Partito Comunista, in Italia hanno effettivamente sostenuto che le masse, dopo che la III Internazionale aveva dato un giudizio negativo sul P.S.I., si cercarono dei capi anarchici e sindacalisti. A quanto mi risulta, anche la compagna Zetkin, nel comitato centrale del V.K.P.D., ha dichiarato che il P.C.d’I. si compone in maggioranza di sindacalisti e presenta numerosi anarchici. Anche Serrati ha più volte sostenuto sulle colonne dell’Avanti! e nei suoi discorsi che, nella scissione di Livorno, siano stati solo gli anarchici e i sindacalisti a separarsi dal Partito Socialista; che essi abbiano voluto far credere che l’organizzazione della III Internazionale e tutti i partiti degli altri paesi non fossero altro che organizzazioni di anarchici; perciò il Partito Socialista non abbia più voluto tollerare nelle proprie file degli anarchici e dei sindacalisti.

Oggi, invece, le masse possono scegliere fra anarchici da un lato e riformisti e centristi dall’altro: fra quelli e questi c’è una grande forza organizzata: il P.C. d’Italia, e noi siamo convinti che, come dovunque, le masse operaie seguiranno il Partito Comunista. Anche in Italia, dopo lo smarrimento seguito alla scissione di Livorno, esse hanno cercato un centro intorno a cui organizzarsi e l’hanno trovato nel P.C. d’Italia.

Proponiamo quindi che il paragrafo sulla tendenza delle masse a cercarsi dei capi fra gli anarchici e i sindacalisti sia così modificato: «Nel momento dell’azione l’orientamento centrista di questi capi ha avuto per effetto o che i partiti non hanno saputo prendere con tutta l’energia la guida delle azioni di massa o che, durante l’azione, elementi centristi o semicentristi li hanno attaccati alle spalle». Non v’è dubbio che oggi questo pericolo non esiste più, perché c’è in Italia un Partito Comunista che guida le masse nella lotta contro il capitalismo e la borghesia.

Dobbiamo ora sollevare una questione di principio, cioè la questione della tendenza radicale nel P.C. d’Italia.

Già nelle discussioni in sede d’Esecutivo e qui nel congresso si è fortemente lottato contro la tendenza radicale. Quando, nell’Esecutivo, si trattò la questione del Partito Comunista di Francia, il delegato della gioventù comunista di Francia cercò di mostrare come l’opportunismo sia ancor oggi forte nel P.C.F., portando l’esempio di casi in cui il P.C.F., a suo parere, non aveva preso una posizione veramente rivoluzionaria. In tale occasione molti compagni si scagliarono violentemente contro il delegato della gioventù comunista di Francia. Ora noi non siamo affatto del parere che le proposte del compagno della gioventù comunista di Francia debbano essere accettate qui. Non siamo dell’avviso che il P.C.F., avrebbe dovuto fare la rivoluzione e opporsi con le armi all’invasione dell’esercito nel Lussemburgo. Non crediamo che, in occasione della chiamata alle armi delle reclute del 1919, il P.C.F. avrebbe dovuto diramare l’ordine di non presentarsi e opporre resistenza armata ai gendarmi che avessero voluto prelevare i giovani. Ma noi non crediamo che si possano respingere così in blocco tutte le tendenze radicali. Le tesi del compagno Radek contengono, a parer nostro, espressioni troppo forti contro le tendenze radicali nel partito francese, come pure contro le stesse tendenze che si possono osservare in molti paesi. (Interruzioni). No, sono troppo forti e non troppo deboli!

La III Internazionale deve ancora combattere una grande battaglia contro le tendenze di destra, contro le tendenze centriste, semicentriste e opportuniste. Se abbiamo escluso Levi dalla III Internazionale e dal V.K.P.D. e negato l’accesso alla III Internazionale al P.S.I. e con esso anche a Serrati, non dobbiamo però credere che la III Internazionale si sia ormai liberata da tutte le tendenze di centriste e dal pericolo di tendenze opportuniste. La lotta contro le tendenze centriste e opportuniste ci sta ancora dinanzi in tutta la sua grandezza. Nella III Internazionale, in molti partiti che appartengono ad essa, sussistono ancora forti tendenze centriste ed è necessario combatterle decisamente.

D’altra parte, nelle proposte che abbiamo accettato ieri in sede di Esecutivo, nella parte riguardante l’azione svolta dall’Esecutivo dell’I.C., si parlava di partiti appartenenti alla III Internazionale che però mostrano ancora tendenze centriste. Si è detto che queste tendenze devono essere decisamente stroncate.

Si è parlato di certi partiti che aderiscono alla III Internazionale perché così volevano le masse, contro o quasi il desiderio dei capi, questi capi appartengono ora alla III Internazionale, solo perché le masse hanno voluto l’adesione all’Internazionale. Esiste quindi la possibilità che questi capi, i quali hanno aderito all’Internazionale solo perché le masse lo desideravano, rifacciano ora il tentativo di passare, contro il desiderio delle masse, ad una politica centrista o riformista. L’Esecutivo deve sorvegliare con la massima attenzione questi dirigenti e provvedere affinché non possa saltar fuori un nuovo Serrati o un nuovo Levi, che rappresentano un pericolo non solo per il movimento nei rispettivi paesi, ma per tutta l’Internazionale.

Noi siamo quindi del parere che debba essere posta in primo piano non la lotta contro le tendenze radicali, ma piuttosto la lotta contro i "destri" e specialmente nei punti che si riferiscono alla situazione nel P.C.F. Da questi paragrafi dovrebbe essere eliminato tutto ciò che si rivolge in modo troppo rude contro le tendenze indicate col termine di "elementi impazienti e politicamente inesperti", mentre si dovrebbero inserire soltanto dei consigli alle tendenze radicali. Per esempio, si può consigliare al Comitato Centrale del P.C.F. di lavorare in modo che gli elementi radicali, come ha detto nell’Esecutivo il compagno Lenin, «non facciano sciocchezze». Deve invece essere sottolineato che l’attenzione e l’attività dell’Esecutivo del P.C.F. devono essere rivolte in prima linea alle tendenze di destra.

Il compagno Zinoviev, nel suo rapporto sull’Esecutivo, ha parlato molto ampiamente contro queste tendenze. Se quindi accogliamo nelle tesi l’emendamento da noi proposto, vi accogliamo per ciò stesso anche le dichiarazioni del compagno Zinoviev. Noi non crediamo che il compagno Radek abbia nulla da obiettare contro il nostro emendamento. Quando fu discussa nell’Esecutivo la questione del P.C.F., il compagno Radek non parlò contro la tendenza radicale, ma appunto contro la tendenza di destra. Quindi, in nostri emendamenti non hanno altro scopo che di sottolineare anche nelle tesi tattiche la stessa cosa che il compagno Radek ha già detto nell’Esecutivo a proposito del P.C.F.

Venendo alla situazione in Cecoslovacchia, sorge una seconda questione generale. E’ vero che essa è sovente ricordata anche nelle tesi del compagno Radek, ma io vorrei soffermarmi in particolare su di essa a proposito della situazione cecoslovacca.

La questione riguarda l’organizzazione di partiti di massa. Nelle sue tesi, il compagno Radek sembra molto preoccupato di impedire che i partiti comunisti dei diversi paesi si dedichino oggi ad un compito che non sia quello dell’organizzazione di sempre più larghe masse proletarie ed operaie. Per esempio, nel paragrafo 1, si legge: «Si tratta delle questioni riguardanti la tattica... concernenti i mezzi da adoperare per conquistare ai principi del comunismo la maggioranza della classe operaia». Ora noi siamo del parere che le parole sulla necessità di conquistare ai principi del comunismo la maggioranza della classe operaia possano portare a malintesi nei partiti e in altre organizzazioni operaie. Sì, bisogna cercare di organizzare nel Partito Comunista la maggior parte del proletariato, si deve tendere a portare verso le organizzazioni del P.C. sempre più grandi masse proletarie. Ora, quanto alle parole "conquistare le masse", noi possiamo semplicemente dire che si deve cercare di conquistare la simpatia della maggioranza del proletariato per la lotta rivoluzionaria. Le tesi del compagno Radek contengono il pensiero che si debba conquistare al comunismo la maggioranza del proletariato.

Nel par. 4, pagina 9 dell’edizione francese delle tesi, leggiamo che in Cecoslovacchia esiste già un partito di 350.000 organizzati, oltre ai circa 60.000 organizzati nel Partito Tedesco del paese. Dopo l’unificazione, i due partiti daranno quindi una cifra totale di oltre 400.000 iscritti. Se ne deduce, da un lato, che il Partito Cecoslovacco avrà di fronte a sé il compito non di attirare a sé con l’agitazione la maggioranza degli operai, ma di educare in senso comunista quella maggioranza che già comprende; dall’altro, sembra a noi che il P.C. di un paese piccolo come la Cecoslovacchia, che già conta più di 400.000 iscritti, debba ora porsi anche degli altri compiti e in primo luogo quello di trascinare nella lotta i proletari che sono ancora fuori dal partito. Certo, non si deve interrompere il lavoro di propaganda, non si devono chiudere le porte del P.C. ai lavoratori che vogliono entrarvi. Su questo non v’è dubbio. Ma v’è anche un altro compito, cioè la formazione politica dei 400.000 operai che sono organizzati nel P.C. di Cecoslovacchia. Gli operai che fino ad ora si trovano sotto l’influsso di capi riformisti e democratici e sono sempre stati educati in uno spirito anticomunista, riformista e opportunista, devono ora essere educati al comunismo. Dire che il P.C. cecoslovacco ha il compito di attirare a sé masse ancor più grandi di operai, e non solo mediante la propaganda, significa perciò che il P.C. deve essere anche allargato nello stesso tempo mediante l’azione.

Vogliamo ora spiegare che cosa noi dobbiamo aspettarci dalla lotta rivoluzionaria e come essa si presenterà. Essa dovrà essere veramente la lotta dell’intero, o quasi, proletariato. A nostro parere, non è necessario per l’azione rivoluzionaria aspettare che la maggioranza del proletariato sia organizzata e riconosca i principi del comunismo. Noi abbiamo spesso sentito ripetere che la rivoluzione russa fu fatta e vinse quando il P.C. di Russia era ancora soltanto una piccola e relativamente insignificante organizzazione. Se dunque si dice che la maggioranza del proletariato deve essere organizzata nel partito, ciò deve significare soltanto che la maggior parte del proletariato deve essere condotta alla lotta rivoluzionaria.

Quando ho letto le tesi del compagno Radek, ho avuto l’impressione che egli affermi che si debba organizzare la maggioranza del proletariato prima di iniziare la lotta rivoluzionaria. Noi non condividiamo quest’opinione. Crediamo al contrario che la classe operaia sarà attirata al partito solo attraverso l’azione. I lavoratori che oggi appartengono ai partiti democratici e riformisti, saranno convinti più dall’azione che dalla nostra propaganda che i principi comunisti sono giusti. Solo allora essi lasceranno i partiti riformisti. A mio parere, un partito comunista sarà sempre composto dagli operai più attivi finché non intraprenderà la lotta e, ancor più, finché non l’avrà quasi vinta.

I lavoratori che ora appartengono ai partiti maggioritari e riformisti e che vengono conquistati dalla nostra propaganda, non aderiranno al partito comunista, ma ne rimarranno fuori e formeranno una massa senza partito, come è avvenuto in Russia, dove solo ora, dopo tre anni di lotta rivoluzionaria, i lavoratori senza partito aderiscono al comunismo e senza averne momentaneamente una chiara idea.

Perciò nelle tesi non si deve affermare che il compito principale del partito comunista è di conquistare la maggioranza del proletariato ai principi del comunismo. Molto più giusto sarebbe dire che si deve attirare nella lotta rivoluzionaria la maggioranza del proletariato. Ma non si deve proclamare che la maggioranza del proletariato deve essere necessariamente organizzata nel partito comunista, perché in tal modo si dà ai riformisti un’arma potente contro di noi. I riformisti hanno sempre sostenuto che non si può cominciare la lotta rivoluzionaria prima che la maggioranza dei proletari sia organizzata nel partito. Si vuole qui applicare al partito comunista un principio democratico. Ma è un principio che si adatta solo ai riformisti, non alle tesi proposte dalla III Internazionale.

Questa affermazione ricompare nel punto dove si parla dei compiti del partito tedesco e della posizione del K.P.D. di fronte all’Internazionale (pag. 9). Qui si dice: «Il V.K.P.D., nato dall’unione della lega "Spartakus" con le masse operaie degli indipendenti di sinistra, pur essendo già partito di masse, ha il compito di aumentare e consolidare la sua influenza sulle grandi masse, di conquistare le organizzazioni delle masse proletarie, i sindacati, di infrangere l’influenza del partito socialdemocratico e della burocrazia sindacale». Il V.K.P.D. ha dunque il compito di aumentare la sua influenza sulle grandi masse. A nostro parere, tuttavia, un partito come il tedesco, che conta un gran numero di iscritti, ha anche un compito molto più importante, quello cioè di mettersi alla testa delle masse per guidare le lotte imminenti del proletariato tedesco. Noi possiamo essere certi che il movimento rivoluzionario in Germania è ancora lontano dall’essere finito: al contrario, la lotta futura del proletariato tedesco sarà molto più importante, molto più aspra, proprio perché il proletariato tedesco è stato vinto nell’azione di marzo.

Io ero in Germania, quando la lotta scoppiò. Mi trattenni parecchi giorni e tornai subito dopo in Italia; devo dire che osservai che l’influenza e la popolarità del partito tedesco in Italia erano molto maggiori dopo l’azione di marzo, quando non esisteva più nessuna speranza di vittoria, che prima. I compagni italiani, gli operai con i quali parlai, mi chiedevano continuamente della lotta del proletariato tedesco. E io non posso descrivervi come fosse forte la simpatia dei lavoratori italiani per il partito tedesco, che ha avuto il coraggio di intraprendere la lotta per difendere fra le maggiori difficoltà il proletariato di Germania. Dopo l’azione di marzo gli operai italiani mostravano una maggiore simpatia per il K.P.D. che prima. Mostravano per il partito un’ammirazione e una fiducia maggiori di quelle che si notavano in Germania. Oggi abbiamo in Germania un partito veramente di massa. Prima gli operai italiani non potevano esserne convinti. Il compagno Trotzki scuote la testa; sembrerebbe che non creda a quello che sto dicendo (Trotzki: non mi riferisco soltanto a quello che state dicendo in questo momento). L’ho ben intuito. Posso tuttavia dire con certezza che la mia affermazione corrisponde al vero stato d’animo del proletariato italiano.

D’altra parte l’azione di marzo in Germania è stata utile sotto molti rapporti al V.K.P.D. Essa ha contribuito a strappare la maschera a numerosi opportunisti. Nella lotta di marzo il partito tedesco ha imparato quale deve essere la disciplina nell’azione. Abbiamo sempre parlato di disciplina, ma non abbiamo mai avuto l’occasione di applicarla. Durante le lotte di marzo, tuttavia, i compagni tedeschi hanno imparato ad applicare la disciplina e oggi possiedono una capacità di lotta che mancava prima dell’azione e che noi stessi, purtroppo, finora non abbiamo.

Il compagno Radek e altri hanno parlato in tono ironico della teoria dell’offensiva. È vero, l’espressione non è molto felice. È presa dal linguaggio militare. Sembrerebbe che il compagno Radek abbia letto molto di tattica militare, dal momento che parla con tanta ironia della tattica dell’offensiva che, dopo l’azione di marzo, avrebbe trovato i suoi teorici in Germania. Vi è tuttavia un certo senso nelle parole "Teoria dell’offensiva", ed è necessario che noi abbiamo chiaro questo significato. Noi siamo convinti che esso andrà a profitto della lotta rivoluzionaria. Non dobbiamo respingere questa teoria, ma cercar di comprendere il significato.

Quando si parla di teoria dell’offensiva, ci si riferisce ad una tendenza ad ampliare l’attività del P.C. Si vuol sottolineare con ciò il fatto che una tendenza dinamica sostituirà quella statica che finora aveva messo solide radici in quasi tutti i partiti comunisti della III Internazionale. Con la formula della teoria dell’offensiva si vuol indicare il passaggio dal periodo dell’inattività al periodo dell’azione. Solo in questo senso, solo in questo spirito si può, a mio parere, accettare la teoria dell’offensiva. Se noi la interpretiamo come ora faccio io, non dovremmo respingere a priori nelle tesi tattiche le affermazioni dei compagni che parlano di teoria dell’offensiva, ma cercar di correggere quello che in tali affermazioni è esagerato.

Sono queste le principali varianti che noi proponiamo ai congressisti. Prima di tutto non si deve procedere con troppa durezza contro la sinistra e sbarrare il terreno alla destra nei partiti comunisti e nella III Internazionale. A nostro parere, si deve invece combattere la destra, che rappresenta per il comunismo un pericolo molto maggiore. La sinistra può diventare pericolosa per il partito solo quando questo svilupperà in pieno la sua attività. Inoltre va sottolineato il seguente punto: non è affatto necessario per la lotta rivoluzionaria che la maggioranza delle masse lavoratrici sia già organizzata e conquistata dal partito comunista. Importante è solo che i partiti comunisti siano in grado, dal momento della lotta, di trascinarsi dietro le masse.

Come ho già detto, altri compagni dopo di me tratteranno le altre questioni che emergono da queste tesi. Per quel che mi riguarda, mi limito alle due questioni che ho appena trattato.
 

[Segue subito dopo il discorso di Lenin: "Compagni, con mio grande rammarico, devo limitarmi a un’autodifesa"].
 
 
 
 
 
 
  



Terza Internazionale (Comunista)
Terzo congresso
 

Dichiarazione della delegazione italiana
14ª Seduta
(Dal Protocollo tedesco, pp. 669-670)

 

La delegazione italiana dichiara che le proposte d’emendamento da essa appoggiate devono essere interpretate esattamente come i proponenti le intendevano, e per nulla affatto come il compagno Lenin indica nel suo discorso.

Il Partito Comunista d’Italia non ha mai sostenuto la teoria del putschismo e non ha la più lontana intenzione di farla propria. La miglior dimostrazione di ciò è data dalla lotta che esso quotidianamente conduce contro gli anarchici e contro i sindacalisti.

La delegazione italiana non è – come sembra risultare dall’interpretazione del compagno Lenin – contro l’organizzazione sempre crescente delle masse proletarie. Lo prova lo stesso grande lavoro di proselitismo che il Partito Comunista d’Italia svolge fra le masse.

La delegazione italiana non è affatto dell’avviso che non si debbano guidare le masse in lotte o azioni parziali. Ed è un fatto che il Partito Comunista d’Italia le guida in tutti i loro movimenti e sollevazioni.

Il compagno Lenin, nella sua interpretazione delle proposte d’emendamento, si batte implacabilmente contro lo spauracchio del putschismo, che, dove esiste, rappresenta effettivamente un pericolo, ma che nel Partito Comunista d’Italia non esiste affatto. Involontariamente, egli dà così nelle mani delle tendenze opportuniste e centriste, contro le quali la lotta continua tuttora, un’arma e uno strumento di battaglia.

Come ha già dichiarato, anche a nome di altre delegazioni all’inizio del dibattito, nel presentare le sue proposte di emendamento la delegazione italiana ha deciso di votare per le Tesi e di accettarle nei loro lineamenti generali, prima che esse ritornino alla commissione apposita.