Partito Comunista Internazionale Stampa in lingua italiana

Partito e organismi di classe nella tradizione della Sinistra comunista
Rapporto alla riunione generale di Ivrea, 12-13 aprile 1969
(da Il Programma Comunista, nn. 8, 17-22 / 1969)

     Resoconto breve del rapporto
 1. Premessa
 2. Vecchi invarianti principi 
 3. Nuova nomenclatura di antichi errori 
 4. Chiarezza di principi e d’intenti 
 5. Per la costituzione dei consigli operai in Italia (Il Soviet, 4 gennaio) 
 6. Le tesi della Sinistra Comunista 
 7. Tesi sulla costituzione dei Consigli operai (Il Soviet, 11 aprile 1920)
 8. Le tesi dell’Internazionale 
 9. Soviet e consigli di fabbrica 
10. L’orgia immediatista e situazionista 
11. Il concretismo antimarxista dell’ordinovismo
12. Tutto perisce senza il Partito 
13. Breve storia degli organismi di classe 
14. - Le Commissioni Interne 
15. - I consigli di fabbrica 
16. - Il programma dei commissari di fabbrica 
17. - I Consigli in Germania 
18. - I Consigli negli altri Paesi 
19. Gli insegnamenti dell’Ottobre
20. La suggestione delle forme di organizzazione 
21. Gerarchia di funzioni 
22. Gli insegnamenti della sinistra comunista 

[Il Programma Comunista, n. 8, 1969]

I grandi temi trattati alla riunione generale del Partito il 12-13 aprile 1969, ad Ivrea
Resoconti brevi
 

Il rapporto era stato concordato, com’è consuetudine, già nella precedente riunione generale del partito, quella di fine 1968. Premeva mettere a posto alcune questioni che, nella generale confusione derivante dallo sfaldamento dei partitoni dell’opportunismo, vengono distorte da parte dei gruppetti di falsa sinistra, piccolo-borghesi, anarco-sindacalisti, ecc., che contribuiscono così ad aggiungere pasticci al grosso pasticcio esistente.

Al nostro partito tutto si potrà imputare ma non certo mancanza di chiarezza, e siccome, di questi tempi, quel che occorre per ritener possibile la ripresa della lotta rivoluzionaria di classe è proprio la chiarezza critica e programmatica, si è dovuto affrontare vecchi temi e riesaminare lontane vicende storiche che hanno travagliato il movimento comunista. Il lavoro, come tutti i lavori di partito, non vuol essere un contributo intellettuale e storiografico, ma un mezzo, uno strumento di combattimento rivoluzionario, secondo la nota formula marxista che non può esservi azione rivoluzionaria senza teoria rivoluzionaria. Il partito deve trarre le lezioni della controrivoluzione per battere il nemico e gli alleati del capitalismo, primi fra tutti i falsi partiti operai, gli agenti della borghesia in seno agli organismi proletari.

Sul rapporto partito e azione economica, partito e sindacati economici della classe operaia, è già stato ampiamente svolto un approfondito studio, sulla scorta di classici testi passati e recenti della Sinistra Comunista. La partecipazione dei comunisti ai sindacati di classe è un punto fermo, come è un punto fermo irrinunciabile la costituzione della rete dei gruppi comunisti in fabbrica e nei sindacati per conquistare questi ultimi all’influenza e alla direzione del partito. Le forze del solo partito non sono sufficienti a garantire l’allestimento di un’armata di classe capace di battere il capitalismo. Bisogna conquistare alla direzione comunista il maggior numero possibile di reparti del proletariato. Per raggiungere questo obbiettivo essenziale, da cui puntare all’assalto finale al potere, non basta averne coscienza; bisogna anche penetrare gli organi di classe con l’azione globale del partito.

Si dice che i sindacati sono ormai scaduti da organi di difesa proletaria perché la fase imperialistica del capitalismo non consente conquiste parziali. Si oppongono ai sindacati, infeudati all’opportunismo, altri organi “di base”, che affidino la difesa proletaria piuttosto a un’azione “politica” e, giusta la espressione più vecchia di quel che non si creda, alla “contestazione”, all’istinto delle masse. Si riparla, quindi, di Soviet, di Consigli di fabbrica, di Commissioni di base e chi più ne ha più ne metta.

La tesi centrale della Sinistra Comunista è quella che essa enunciò in Italia nel 1919 di fronte ai “massimalisti”, sparafucile a parole e controrivoluzionari nei fatti, del Partito Socialista di allora, antesignano del partitaccio di oggi, del PCI, e di tutti i partitacci “fratelli” del mondo; è quella tesi che il 2° congresso della Internazionale Comunista codificò in apposite tesi; è quella che scaturisce dal saldo possesso del marxismo: i Soviet sono organi politici, statali, del potere proletario; quindi sorgono quando la lotta per il potere si fa decisiva, e non quando salta per la testa ai dirigenti del partito di costituirli, in quanto devono sostituire subito dopo la vittoria gli organi rappresentativi, parlamentari e democratici dello Stato capitalista.

I Consigli di fabbrica, a loro volta, che nelle concezioni operaiste dell’ordinovismo venivano confusi coi Soviet, non sono organi politici, ma economici e aziendali, e nella funzione remota di controllare la produzione non possono sorgere che quando l’economia borghese è in dissesto completo – come in Russia negli ultimi mesi precedenti l’Ottobre – per contrapporsi alle direzioni aziendali come organi di esecuzione di disposizioni politiche nel campo economico, ben sapendo che questa funzione potrà essere effettivamente ed efficacemente svolta solo quando il potere politico sia stato strappato al capitalismo.

A conforto di queste vecchie e consolidate tesi della Sinistra stanno la storia del sorgere e dello svilupparsi dei suddetti organi, le vicende tragiche della loro cattura da parte dello Stato capitalista (come in Germania e in Austria) o il loro trasformarsi addirittura in organi di dittatura proletaria, come avevano funzionato in Russia nel periodo rivoluzionario.

Alla base di queste formulazioni sta un altro caposaldo programmatico marxista: la rivoluzione non è una questione di forme di organizzazione, per cui non si compiono passi innanzi sostituendo un organo con altro di nome diverso, come non si potenzia la marcia del partito verso la rivoluzione adottando tattiche eclettiche e incoerenti, sostituendo uomini e capi ritenuti incapaci con altri ritenuti padreterni, ecc. Da ciò si deduce che, senza la ferma guida del partito politico di classe, qualunque organo del proletariato: sindacato, soviet, consiglio di fabbrica, ecc. agisce in senso controrivoluzionario.

Da ciò non si deve concludere – come i falsi sinistri di oggi, in definitiva concordi con l’opportunismo in generale di oggi e di ieri – né che si debba essere indifferenti alla lotta politica – errore anarco-sindacalista, negatore del partito politico – né che si debba restare indifferenti alla lotta economica – errore purista, negatore della funzione rivoluzionaria della classe proletaria e assertore della separazione della lotta politica dalla lotta economica, ricadendo nelle astrazioni idealistiche riconducibili all’anarchismo individualista e dell’ “Unico” – né infine che si debba subordinare l’azione del partito agli umori immediati delle masse – errore ordìnovista, assommante tutti gli errori operaisti e immediatisti sulla base di un democratismo operaio ricavato dalla democrazia borghese, per cui prima vengono gli organi immediati della classe, consigli, ecc. e solo dopo (o mai?) il partito politico.

Il Partito Comunista, come dimostra la storia delle sue lotte, non ha mai rinunciato né rinuncia alla conquista di nessun organo genuinamente di classe, ma non fa di questi organi dei feticci cui subordinare la propria impostazione programmatica e anche tattica.

Il rapporto, sostanziato da citazioni illustrative delle posizioni delle diverse tendenze opportuniste e delle controtesi marxiste, si è concluso con il ribadimento di fermi capisaldi di lotta comunista, per cui, quali che siano le condizioni storiche, è impensabile la ripresa dell’azione di classe, la formulazione di una tattica comunista, ed infine l’egemonia del partito nella lotta rivoluzionaria delle masse, senza che il partito non abbia prima svolta un’intensa attività sui posti di lavoro e negli organismi economici e politici di classe, per crearvi i propri organi di esecuzione e di raccordo fra il proletariato e la direzione dittatoriale del programma.
 
 
 
 

[Il Programma Comunista, n. 17, 1 ottobre 1969]
 

Ci siamo già occupati estesamente della questione delle lotte economiche immediate delle masse lavoratrici e della funzione del partito in esse, come pure del partito e dei sindacati economici operai. Lo scopo era ristabilire anche in questo campo l’esatta posizione del comunismo rivoluzionario, per diradare le nebbie diffuse dall’opportunismo al fine di sradicare la gloriosa e internazionale tradizione del Partito Comunista. Nei momenti di riflusso della rivoluzione, di stagnazione degli urti di classe, rifioriscono le più remote fra loro e più che sconfitte posizioni devianti dal sano principio marxista, e il partito è costretto, nel suo lungo lavoro di risistemazione programmatica, ad affrontarle di nuovo, quasi che tutte le battaglie del passato dovessero riproporsi ancor oggi, sembrando che a nulla abbiano valso. Non è certo così, ma colpevole di leggerezza sarebbe il partito di classe che non difendesse l’integrità del programma contro qualunque nemico, di fronte a qualsiasi posizione divergente. È in questo lavoro incessante che si enuclea, si fortifica e si estende la compagine del partito. Della confusione teorica e programmatica, da cui deriva quella politica e d’azione, traggono vantaggio solo il nemico di classe e l’opportunismo.

Come se non fossero bastate le bestemmie degli attuali falsi partiti operai, se ne aggiungono altre a sconvolgere le file proletarie e a rendere più difficile e pesante l’opera del partito. Gli attuali rigurgiti immediatisti, di natura piccolo-borghese e di forme anarcoidi, negatrici del partito e della organizzazione di classe del proletariato, si affannano a riproporre agli operai – deluse le vecchie generazioni; frastornati quelli cresciuti col veleno stalinista; scettiche le nuove leve – balorde e confuse posizioni presentandole come nuovi e originali parti della storia, posizioni che prospettano la sostituzione del partito politico e del sindacato di classe con altri organismi, riducendo ancora una volta la soluzione della questione del potere a forme di organizzazione, a escogitazioni più o meno brillanti. Ogni volta che un “nuovo” verbo si è invocato, la sciagura è puntualmente piombata sul proletariato e sul corso della rivoluzione.

Questo studio vuol mostrare, quindi, attraverso accadimenti storici e scontri di opposte tendenze anche all’interno del partito di classe, non solo che il preteso “nuovo” è più vecchio del vecchio, ma che ogni forma assunta dalla lotta organizzata del proletariato è precaria e caduca se non viene sostanziata dal programma comunista, perché non si tratta soltanto di rovesciare le istituzioni politiche del potere capitalistico, ma di edificare il nuovo potere proletario, la dittatura di classe, e di mantenerlo alla scala mondiale, per conquistare l’era comunista.
 

Vecchi invarianti principi

Dire “vecchio”, in tempi in cui l’abilità si misura con la più alta capacità di istupidire l’umanità, è dire superato, morente, pronto per il cimitero. È un riflesso psicologico della frenesia produttiva, lanciata in geometrica progressione dall’insaziabile fame di plusvalore del capitale verso l’assurdo criminale del produrre per produrre. Le macchine deperiscono appena progettate. Il loro grado di utilità si misura dalla velocità di pompare lavoro umano, che nelle mani capitaliste si trasforma in capitale. Tutto ciò che è fatto proprio dal modo di produzione attuale diviene mezzo di sfruttamento del lavoro degli uomini, come in oro si trasformava tutto ciò che Mida toccava.

Marx scriveva a Ruge nel settembre 1843:

«Nulla ci impedisce di collegare la nostra critica con la critica della politica, con la partecipazione alla politica, quindi con lotte reali, e di identificarla con esse. Allora non affronteremo il mondo in modo dottrinario, con un nuovo principio: Qui è la verità, qui inginocchiati! Noi illustreremo al mondo nuovi principi, traendoli dai principi del mondo. Noi non gli diciamo: abbandona le tue lotte, sono sciocchezze; noi grideremo la vera parola d’ordine della lotta. Noi gli mostreremo soltanto perché effettivamente combatte, poiché la coscienza è una cosa che esso deve far propria, anche se non lo vuole. Apparirà chiaro, allora, come da tempo il mondo possieda il sogno di una cosa della quale non ha che da possedere la coscienza, per possederla realmente. Apparirà chiaro come non si tratti di tirare una linea retta tra passato e futuro, bensì di realizzare i pensieri del passato. Si mostrerà infine come l’umanità non incominci un lavoro nuovo, ma porti a compimento consapevolmente il suo vecchio lavoro».
Il partito politico di classe è la realizzazione storica della coscienza della classe, da cui non può separarsi. La dottrina marxista è il corpo dei «nuovi princìpi», tratti «dai princìpi del mondo», con cui l’umanità porta «a compimento consapevolmente il suo vecchio lavoro». Prescindere da questi princìpi, deformarli, o aver la pretesa di darne dei nuovi, vuol dire allontanare la classe dalla coscienza che essa «deve far propria, anche se non lo vuole». Dal "Manifesto dei Comunisti" del 1848:
«Le posizioni teoriche dei comunisti non poggiano affatto sopra idee, sopra princìpi che siano stati inventati o scoperti da questo o quel rinnovatore del mondo. Esse sono soltanto espressioni generali dei rapporti effettivi di una lotta che già esiste, di un movimento storico che si svolge sotto i nostri occhi».
Vecchia e invariante teoria, perché vecchie e invarianti sono la lotta proletaria, i nemici e il fine ultimo. La storia del comunismo rivoluzionario si identifica con le lotte per la difesa della dottrina marxista e per la preparazione dell’abbattimento rivoluzionario del potere politico delle classi dominanti.
 

Nuova nomenclatura di antichi errori

La struttura morfologica della classe si presenta da sempre, da quando cioè è sorto il partito politico, così: alla base la massa dei lavoratori, o classe statisticamente intesa; al vertice, il partito politico di classe; in posizione intermedia, le organizzazioni sindacali operaie. La classe esiste in virtù dell’esistenza del suo vertice, il partito. È condizione primordiale. Ma la sua esistenza operativa dipende anche dalla sua organizzazione di difesa economica.

Le varie deviazioni storiche dal marxismo rivoluzionario sono tutte riconducibili alla separazione degli elementi di questa struttura. La separazione del partito dalle organizzazioni economiche proletarie produce l’errore “purista”: il partito viene inteso come un monastero e l’attività del partito come mera custodia dei testi. Esempi storici: l’anarchismo teorico, in cui è "peccato" l’attività politica e bestemmia il partito, lo Stato e qualunque organizzazione, anche economica; primeggia, in idealistica autosufficienza, l’”Unico”, l’individuo. La separazione delle organizzazioni economiche immediate dal partito si esprime nell’errore sindacalista. Esempio classico il sindacalismo rivoluzionario, che esalta l’immediatismo, l’operaismo, l’economicismo. Questa deviazione è la matrice dell’”ordinovismo”, per riferirci ad una stortura che ha preteso legarsi al marxismo. È chiaro che ambedue le deviazioni, sebbene a volte possano vantare intonazioni marxiste, col marxismo non hanno nulla a che vedere.

Al marxismo, invece, fanno capo due “interpretazioni”, quella rivoluzionaria e quella riformista. Spesso si è assistito al travasarsi di elementi e, meno spesso, di gruppi “puristi” e “immediatisti” nelle organizzazioni rivoluzionarie e riformiste. Esempi storici sono l’adesione del sindacalista rivoluzionario francese Rosmer all’Internazionale Comunista e il passaggio in blocco o quasi degli ordinovisti al riformismo moderno degli ex-partiti comunisti nazionali.

A scorno di tutti i presenti e sopravvissuti avversari del comunismo, diciamo subito che la Rivoluzione d’Ottobre, la nascita dell’Internazionale e dei partiti comunisti hanno posto fine per sempre al conflitto tra marxismo rivoluzionario e riformismo, anche se nei panni di quest’ultimo l’opportunismo domina sul movimento operaio, ed anche se rigurgitano nella classe dei proletari escrementi immediatisti d’antico stampo.

L’opportunismo è la forma della controrivoluzione: in ciò sta il pericolo in agguato entro la classe operaia. Esso non nega né il partito, né il sindacato, si veste di rosso e accarezza la barba di Marx, si presenta alle folle con un’organizzazione estesa e massiccia, si attivizza in ogni forma e circostanza, nel parlamento borghese e negli organi statali, nei sindacati e nelle organizzazioni di classe, affonda radici nel fertile terreno dell’economia mercantile e monetaria da cui trae sostanze finanziarie e sociali, tende ad imparentare la classe dei proletari alle sorti della società capitalistica per l’intermediazione delle mezze classi e delle aristocrazie del lavoro.

Ecco perché dobbiamo porre l’accento sul partito e sul programma marxista, essenziali per qualificare il partito politico della casse operaia. Non basta dirsi partito e nemmeno rivendicarne il programma generico, ma è essenziale agire in conformità dei principi: è essenziale la tattica.

Quando si profilò in seno al Partito Comunista d’Italia e dell’Internazionale Comunista la minaccia di un opportunismo "comunista", questo si esplicò sul terreno della tattica, e la Sinistra dovette battersi continuamente dimostrando che non esistevano più tattiche utili ai fini rivoluzionari, ma ne esisteva una sola e che tale valutazione scaturiva dalla constatazione che le molteplici tattiche escogitate dalle direzioni nazionali e internazionali deviavano dalle basi di principio.

L’immediatismo, anche in seno alle file comuniste, si affaccia sempre sul piano tattico, e all’inizio giura e spergiura di non voler rinunciare ai principi e al programma, assicurando a parole che "poi", cessata l’occasione, ritornerà sulla via diritta. Di passo in passo, abbiamo assistito, deviazione dopo deviazione, alla totale inversione di rotta dei vecchi partiti ex-comunisti. Come non si improvvisa il partito di classe, così non se ne improvvisa la tattica.

Le diverse formule di pretesa accelerazione storica dei conflitti sociali e della soluzione rivoluzionaria, quali che ne siano i variopinti nomi, tutte convergono nell’opporsi all’unico schema valido, per formulazione teorica e per riprova storica: partito politico - organizzazioni intermedie - classe. Sostituendo nella serie, anche se per un breve periodo, al partito gli altri elementi o diversamente ordinandoli si uccidere la capacità storica della classe e si ritarda la soluzione invece di accelerarla. Alla luce di questa necessaria gerarchia, non abbiamo bisogno di conoscere nomi e cognomi, date e luoghi di nascita di pretesi nuovi partiti, programmi, soluzioni e invenzioni.

La Sinistra si batté sempre, ancor vivo Lenin, per la formazione delle sezioni comuniste dell’Internazionale in modo non affrettato, tale che la parte separatasi dai vecchi partiti socialisti fosse ben salda su posizioni rivoluzionarie, a queste sacrificando anche il numero e la consistenza momentanea. Gli strepiti dei "bolscevichi" occidentali allora alla moda per questa intransigenza coprirono la voce della Sinistra, ma non la loro miserabile vergogna per avere tradito la causa nel breve scorcio degli anni successivi. È vero che il partito si rafforza al fuoco della lotta, ma è altrettanto vero che deve preesistere, incarnazione del programma e dell’azione rivoluzionaria.

Si disse, allora, che in Italia si era “tagliato troppo a sinistra”, e infatti la direzione centrista del Partito Comunista d’Italia, succeduta alla direzione di Sinistra, provvide subito a far entrare dalla finestra non tanto uomini e personaggi cui era stato impedito nel ’21 di entrare dalla porta, quanto posizioni e volontà di schietta marca opportunista. Se un rimpianto oggi può esserci, è di aver tagliato troppo poco “a sinistra”. Quali garanzie potevano dare le posizioni eclettiche del massimalismo parolaio, quando a tutto si pensava fuorché a dare al partito una direzione rivoluzionaria intransigente? Quale credito poteva vantare il gruppo dell’Ordine Nuovo, che poneva il partito alla coda della serie nella formula marxista, e lo faceva precedere da quei “consigli di fabbrica” di cui è impossibile definire la funzione?
 

Chiarezza di principi e d’intenti

Il Partito Comunista d’Italia non era ancora stato costituito, ed era appena sorta la frazione comunista in seno al Partito Socialista Italiano, che al congresso di Bologna del PSI, nell’agosto 1919, fu varato un programma nel quale si dichiarava che in Italia dovevano essere costituiti i Soviet. I progetti di costituzione dei Soviet si moltiplicarono. Ognuno aveva il suo, più originale degli altri. La Sinistra, nel marasma imperante, pose mano a rimettere le cose al loro posto. In una serie di articoli apparsi nell’organo della frazione, Il Soviet, fu affrontata la questione dei Soviet, dei consigli di fabbrica, e della funzione primaria del partito. Principalmente in una serie di tre articoli dal titolo: "Per la costituzione dei consigli operai in Italia", apparsi il 4 e 1’11 gennaio e il 1 febbraio 1920 (altri ne seguiranno subito dopo), fu investigata tutta la materia. Ne riportiamo i testi, facendo notare al lettore che coincidono esattamente con le tesi dell’Internazionale Comunista approvate dal 2° Congresso, tenuto a Mosca ben sette mesi dopo, cioè dal 17 luglio al 7 agosto del 1920, di cui citeremo stralci essenziali per un adeguato confronto.

Gli articoli de Il Soviet devono prima di tutto spiegare che cosa è il Soviet, così come è sorto al fuoco della rivoluzione in Russia, perché, fra l’altro, una confusione estrema veniva fatta tra Soviet, consigli di fabbrica, organi generici di rappresentanza, elezionismo Sovietista e democratico, ecc. Poi, ristabiliti gli esatti termini delle questioni, così come si erano realizzati nella Russia rivoluzionaria, il testo della Sinistra Comunista affronta gli errori dell’Ordine Nuovo, del sindacalismo, ed anche quelli enunciati in alcune altre proposte del Congresso socialista di Bologna. Gli articoli svolgono i temi in modo estremamente sintetico ma efficacissimo, senza ricorrere, come dovremo fare noi più avanti, a riferimenti storici particolari, in quanto proprio in quegli anni il proletariato, a differenza di oggi, combatteva battaglie sociali e politiche di particolare durezza e nel fuoco di quelle lotte assimilava con relativa facilità anche i problemi più ardui della rivoluzione.

Questo il testo completo dell’articolo in cinque puntate su questo tema fondamentale:
 

Per la costituzione dei consigli operai in Italia
(Il Soviet, 4 gennaio - 22 febbraio 1920)

[ È qui ]
 
 

[Il Programma Comunista, n. 18, 15 ottobre 1969]
 

Le tesi della Sinistra Comunista

Il testo comunista Per la costituzione dei Soviet in Italia aveva messo a nudo errori ed anche manovre del centro e della destra socialista, scatenando una fitta polemica. Questo nuovo testo, Per la costituzione dei consigli operai, ribadisce la diversa natura e funzione, rispetto ai Sindacati economici, dei Consigli di fabbrica, con i quali i fautori dell’Ordine Nuovo da un lato, quelli di Guerra di classe dall’altro, pretendevano di sostituire i Soviet, o Consigli, operai, e addirittura il Partito politico di classe.

La polemica era d’importanza primaria, perché sia gli ordinovisti sia i sindacalisti confondevano l’attività politica e quella economica, l’importanza delle lotte immediate con quella della lotta per il potere, arrivando al punto di propugnare il controllo operaio in fabbrica e sull’economia prima ancora di possederne l’unico e vero strumento, cioè il potere politico, lo Stato della dittatura proletaria. La Sinistra proclamava che non solo il potere economico si sarebbe esercitato dopo la conquista di quello politico, ma che addirittura sarebbe stata illusione esiziale ritenere che il controllo sull’economia si potesse effettuare immediatamente e contemporaneamente su tutta la rete produttiva e di scambio, dovendosi prospettare, invece, la trasformazione economica come un processo più o meno lungo, derivante da fattori di indole oggettiva e dalla capacità del Partito Comunista di progredire nella conquista delle masse al comunismo.

La seriazione non è: lotta per il potere in fabbrica – esercizio del potere per la trasformazione dell’economia aziendale (tramite i Consigli di fabbrica) – Stato operaio, come pretendevano gli ordinovisti. La dinamica marxista è diversa: lotta per il potere a scala almeno nazionale – esercizio del potere nella trasformazione dell’economia (dittatura del proletariato) – società senza classi e senza Stato politico.

Lenin aveva tracciato una prima conclusione nel suo discorso del marzo 1919 al Primo Congresso dell’Internazionale Comunista:

«Separarsi da coloro che illudono il proletariato proclamando la possibilità delle sue conquiste nell’ambito borghese e la combinazione o la collaborazione degli strumenti di dominio borghesi con i nuovi organi proletari».
La direttiva di Lenin colpiva i partiti socialisti, e in particolare le frazioni cosiddette "centriste", gli indipendenti ecc., che propugnavano il riconoscimento legale dei Consigli operai e di fabbrica da parte dello Stato, per celare la loro profonda natura controrivoluzionaria e nel tentativo estremo di imbrigliare le masse proletarie.

Prendere la Fabbrica o prendere il Potere?, intitolerà ancora Il Soviet uno dei suoi articoli del 22 febbraio 1920, prendendo lo spunto dall’occupazione da parte degli operai in sciopero degli stabilimenti in Liguria, che facevano funzionare tramite i Consigli di fabbrica.

«Noi non vorremmo – commentava Il Soviet – che dovesse entrare nelle masse operaie la convinzione che sviluppando la istituzione dei consigli sia possibile senz’altro impadronirsi delle fabbriche ed eliminare i capitalisti. Questa sarebbe la più dannosa delle illusioni. La fabbrica sarà conquistata dalla classe lavoratrice – e non solo dalla rispettiva maestranza, che sarebbe troppo lieve cosa e non comunista – soltanto dopo che la classe lavoratrice tutta si sarà impadronita del potere politico. Senza questa conquista, a dissipare ogni illusione ci penseranno le guardie regie, i carabinieri, ecc., cioè il meccanismo di oppressione e di forza di cui dispone la borghesia, il suo apparecchio di potere».
Era scontato il successivo fallimento dell’occupazione delle fabbriche e si anticipava di trent’anni tutta la sporca commedia dei falsi partiti comunisti della cosiddetta "autogestione", della "fabbrica agli operai" e della "terra ai contadini".

Ancora una volta si dimenticava la funzione del partito, e la Sinistra doveva ricordarla:

«Il problema fondamentale della rivoluzione sta dunque nella tendenza del proletariato ad abbattere lo Stato borghese ed assumere nelle proprie mani il potere. Questa tendenza nelle larghe masse della classe operaia esiste come diretta risultanza dei rapporti economici di sfruttamento da parte del Capitale che determinano nel proletariato una situazione intollerabile e lo spingono ad infrangere le esistenti forme sociali.
«Ma il compito dei comunisti è quello di indirizzare questa violenza rivoluzionaria delle folle e dare ad essa una migliore efficienza. I comunisti – come già disse il Manifesto – meglio del presente proletariato conoscono le condizioni della lotta di classe e della emancipazione del proletariato, la critica che essi fanno della storia e della costituzione della società li pone in grado di costruire una previsione abbastanza esatta degli sviluppi del processo rivoluzionario. Perciò i comunisti costituiscono il partito politico di classe, che si propone l’unificazione delle forze proletarie, l’organizzazione del proletariato in classe dominante attraverso la conquista rivoluzionaria del potere».


* * *

Tutta l’azione polemica della Sinistra sboccò nelle Tesi sulla costituzione dei Consigli operai, in contrapposizione ai vari progetti presentati in seno al PSI. Ne riproduciamo il testo non solo come documento storico, ma come contributo serio e coerente dei comunisti all’elaborazione teorica e pratica dell’indirizzo rivoluzionario. Le Tesi apparvero ne Il Soviet dell’11 aprile 1920, anch’esse prima del Secondo Congresso dell’I.C.
 

Tesi sulla costituzione dei Consigli operai
proposte dal C.C. della Frazione Comunista Astensionista del P.S.I.
(Il Soviet, 11 aprile 1920)

[ Sono qui ]
 
 

Le tesi dell’Internazionale

La Sinistra Comunista aveva sempre considerato la sua attività in ogni campo come apporto alla lotta mondiale del proletariato. Fosse ancora frazione del PSI, o alla direzione del Partito Comunista, le sue elaborazioni teoriche, gli apporti in tesi e dibattiti sia in Italia sia negli organismi internazionali comunisti, miravano a dare un contributo a tutto il partito internazionale comunista.

Infatti, non solo nelle Condizioni di ammissione dei partiti nell’Internazionale Comunista la Sinistra collaborò con Lenin e i dirigenti del comunismo mondiale apportando un elemento di particolare intransigenza nella loro formulazione, ma anche indirettamente, nel caso della definizione dei compiti del partito e degli organismi proletari, su cui nel Secondo Congresso di Mosca del luglio 1920 l’Internazionale dette un corpo speciale di tesi, che sotto il titolo Il movimento sindacale, i comitati di fabbrica e d’officina affrontavano le questioni del collegamento del partito con le organizzazioni economiche sindacali e d’azienda del proletariato, trattando invece nella Risoluzione sul ruolo del Partito Comunista nella rivoluzione proletaria le questioni relative ai Soviet.

Netta è la coincidenza di posizioni tra la Sinistra e l’Internazionale sulle questioni di fondo. A proposito del partito e della classe operaia, la Tesi 2. della Risoluzione così si esprime, a scorno e condanna non solo delle sbracate posizioni degli odierni ex-partiti comunisti, ma anche e soprattutto di quelle sfumate e scivolose della stessa Internazionale negli anni successivi al 1924:

«Fintanto il potere statale non è stato conquistato dal proletariato e questi non ha affermato, una volta per tutte, il suo dominio e prevenuto ogni tentativo di restaurazione borghese, il Partito Comunista non ingloberà nei suoi ranghi organizzati che una minoranza operaia. Sino alla conquista del potere e durante il periodo di transizione, il Partito Comunista può, grazie a circostanze favorevoli, esercitare una influenza ideologica e politica incontestabile su tutti gli strati proletari e semi-proletari della popolazione, ma non li può inquadrare organizzativamente nelle sue file. Ciò si verificherà quando la dittatura del proletariato avrà privato la borghesia di mezzi così potenti come la stampa, la scuola, il parlamento, la chiesa, l’amministrazione, ecc.; soltanto quando la disfatta definitiva del regime borghese sarà divenuta evidente agli occhi di tutti, allora tutti gli operai, o almeno la gran parte, cominceranno ad entrare nelle file del Partito Comunista».
Nella Tesi 3. si chiarisce la funzione specifica del Partito dinnanzi alla massa con una formula che resterà celebre:
«Il compito del comunismo non è di adattarsi a questi elementi arretrati della classe operaia [cioè ai gruppi operai seguaci di partiti e sindacati opportunisti, bianchi e gialli], ma di elevare tutta la classe operaia al livello dell’avanguardia comunista».
Nella Tesi 4. si affronta la questione del partito in generale, ancora oggi particolarmente idonea nei confronti dei tentativi di gruppi immediatisti che si affannano a screditare la forma partito e l’organo sindacale:
«L’Internazionale comunista è assolutamente convinta che il fallimento dei vecchi Partiti socialdemocratici della II Internazionale non può in alcun caso essere considerato un fallimento del Partito proletario in generale. L’epoca della lotta diretta in vista delle dittatura del proletariato suscita un nuovo partito proletario mondiale, il Partito Comunista».
Nella Tesi 5. si ribadisce:
«L’Internazionale Comunista ripudia nel modo più categorico l’opinione secondo la quale il proletariato può compiere la sua rivoluzione senza avere il suo partito politico. Ogni lotta di classe è una lotta politica. Il fine di questa lotta, che tende a trasformarsi inevitabilmente in guerra civile, è la conquista del potere politico (...) La stessa lotta di classe esige anche la centralizzazione e la direzione unica delle diverse forme del movimento proletario (sindacati, cooperative, comitati di officina, ecc.). Il centro organizzatore e dirigente non può essere che un Partito politico».
Dopo di aver esaminato il carattere retrogrado, «in rapporto al marxismo rivoluzionario, vale a dire al comunismo», del sindacalismo rivoluzionario e operaismo, il testo così prosegue:
«Ma non è con lo sciopero generale, con la tattica delle braccia incrociate, che la classe operaia può vincere la borghesia. Il proletariato deve pervenire all’insurrezione armata. Chi ha capito questo deve anche comprendere che un partito politico organizzato è necessario e non può essere sostituto da informi organismi operai. I sindacalisti rivoluzionari parlano spesso del grande ruolo che deve giocare una minoranza risoluta della classe operaia; questa minoranza che è comunista e che ha un programma, che vuole organizzare la lotta delle masse, è proprio il Partito Comunista».
Nella Tesi 6. si ribadisce il compito del partito di legarsi alle grandi masse costruendo la rete del gruppi comunisti negli organismi di massa della classe operaia.

Nella Tesi 8. si affronta direttamente la questione dei Soviet. Così il testo:

«La vecchia classica suddivisione del movimento operaio in tre forme (Partito, sindacati, cooperative) ha fatto il suo tempo. La rivoluzione proletaria in Russia ha suscitato la forma essenziale della dittatura proletaria, i Soviet. La nuova suddivisione che dappertutto noi valorizziamo è questa: 1° il Partito, 2° il Soviet, 3° il Sindacato. Ma il lavoro nei Soviet come pure nei sindacati d’industria divenuti rivoluzionari, deve essere invariabilmente e sistematicamente diretto dal Partito del proletariato, vale a dire dal Partito Comunista. Avanguardia organizzata della classe operaia, il Partito Comunista rappresenta del pari i bisogni economici, politici e spirituali della classe operaia tutta intera. Esso deve essere l’anima dei sindacati e dei Soviet come pure di ogni altra forma di organizzazione proletaria.
«L’apparizione dei Soviet, forma storica principale della dittatura del proletariato, non sminuisce per nulla il ruolo dirigente del Partito Comunista nella rivoluzione proletaria. Quando i comunisti tedeschi di "sinistra" (si veda il loro Manifesto al proletariato tedesco del 14 aprile 1920 firmato dal "Partito operaio comunista tedesco") dichiarano che "il Partito deve, anch’esso, adattarsi sempre di più all’idea sovietica e proletarizzarsi", noi vi intravvediamo un’espressione che insinua l’idea che il Partito Comunista deve fondersi nei Soviet e che i Soviet possano rimpiazzarlo. Questa idea è profondamente erronea e reazionaria. La storia della rivoluzione russa ci mostra a un certo momento che i Soviet marciavano in senso contrario al Partito proletario e sostenevano gli agenti della borghesia. La stessa cosa si è potuta osservare in Germania. E ciò è possibile anche negli altri paesi. Perché i Soviet possano assolvere la loro missione storica è al contrario necessaria l’esistenza di un Partito Comunista abbastanza forte da non "adattarsi" ai Soviet, ma da esercitare su di essi un’influenza decisiva, da costringerli a "non adattarsi" alla borghesia né alla socialdemocrazia ufficiale, da guidarli per mezzo di questa frazione comunista».
Questi concetti venivano ribaditi nelle Tesi sulle condizioni per la creazione dei Consigli di operai (Soviet). Sulle premesse per la creazione e l’organizzazione dei Soviet, ecco il testo:
«a) Entusiasmo generale rivoluzionario nella più vasta cerchia di operai e operaie, di soldati e di tutta la popolazione lavoratrice; b) una tale acutizzazione della crisi politica ed economica che il potere cominci a sfuggire dalle mani del Governo borghese; c) allorché nelle file delle masse operaie e, innanzi tutto, in quelle del Partito Comunista sia maturata la ferma risoluzione di impegnare una lotta decisiva, sistematica, e secondo un piano determinato, per la conquista del potere. Senza queste premesse – il testo continua – è impossibile procedere alla organizzazione immediata dei Soviet».
Circa i tentativi da più parte sollecitati ed anche in alcuni casi realizzati, come avremo modo di vedere in una breve storia dei Consigli in Europa, di "legalizzare" i Soviet, le tesi sono perentorie e spietate:
«È tradimento far entrare i Soviet nell’ingranaggio costituzionale democratico-borghese (...) I Soviet significano dittatura del proletariato, l’Assemblea nazionale significa dittatura della borghesia. Accordare e conciliare la dittatura degli operai con quella dei borghesi è cosa impossibile». Dopo aver affermato che i Soviet non sono «fiori di serra», le tesi concludono: «Senza rivoluzione i Soviet non sono possibili; senza rivoluzione proletaria i Soviet degenerano in parodia».

 

[Il Programma Comunista, n. 19, 31 ottobre 1969]
 

Soviet e consigli di fabbrica

La coincidenza tra le posizioni del Secondo Congresso della Terza Internazionale e quelle della Sinistra Comunista non si limitano alla questione dei Soviet, né a quella della funzione del Partito Comunista, ma, come appare evidente, è totale. Anche sui Sindacati, sui Consigli di fabbrica, su tutti i diversi organi che la lotta di classe esprime a seconda delle necessità, questa coincidenza è manifesta. A giusta ragione l’Internazionale dava un’importanza di fondo alla capacità del Partito Comunista di guidare le masse in ogni lotta contro il regime, e sulla base delle tesi sindacali si costituì l’Internazionale Sindacale Rossa col preciso scopo di organizzare i sindacati antiriformisti in opposizione alla centrale sindacale gialla, socialdemocratica, di Amsterdam.

Le Tesi Sindacali dell’Internazionale, dopo aver constatato che i sindacati durante la guerra mondiale avevano stretto un patto di alleanza permanente con lo Stato borghese per sostenerlo nello sforzo bellico, e che, terminato il conflitto, avevano dato il loro appoggio per evitare gli scontri tra proletariato e borghesia, mettono in evidenza il carattere esclusivamente legalitario della politica sindacale delle centrali dirette dai socialdemocratici. Questa politica si sforza di sostituire alla pratica dello sciopero quella di "contratti a lunga scadenza"; all’organizzazione di classe la costituzione di "Comunioni del Lavoro", di "Joint Industrial Councils", embrioni di organismi corporativi a fini di permanente collaborazione tra sindacati e direzioni aziendali, con l’intento di giungere a quei Comitati di "arbitrato", d’impronta statale, che rappresentano la grande aspirazione della burocrazia sindacale e del padronato per evitare o attenuare lo scontro di classe.

Alla funzione della burocrazia sindacale di dividere «il grande torrente del movimento operaio in deboli rivoli», per il riformismo contro la rivoluzione, le tesi oppongono che «i comunisti devono entrare nei Sindacati per farne dei coscienti organi di lotta per il rovesciamento del capitalismo e per il comunismo», ed anche per guidare le lotte immediate dei proletari. Si ribadisce la necessità di non creare «speciali sindacati», se non in caso di «straordinari atti di violenza da parte della burocrazia sindacale (scioglimento di gruppi locali rivoluzionari dei Sindacati per opera delle direzioni opportuniste), oppure dell’aristocrazia operaia che impedisce l’organizzazione delle grandi masse»; ma di restare in questi sindacati «che si trovano in stato di fermento e che compiono il trapasso sul terreno della lotta di classe» e di appoggiare le Federazioni con «tendenza rivoluzionarie se anche non comuniste...» che «si ripropongono la lotta contro le tendenze controrivoluzionarie delle burocrazie sindacali e l’appoggio alle azioni spontanee e dirette del proletariato».

Le tesi concludono questa prima parte con la classica enunciazione comunista: «Subordinare i Sindacati alla reale direzione del Partito, come avanguardia della rivoluzione operaia», scopo per raggiungere il quale occorre «formare dappertutto, nei Sindacati, nei Consigli di fabbrica, dei Gruppi Comunisti», la frazione del partito al fine di «impadronirsi del movimento sindacale e dirigerlo».

Nella seconda parte delle Tesi sindacali si affronta più specificamente la questione dei Consigli di fabbrica. Nelle condizioni di completo disfacimento dell’economia, determinato dalla Prima Guerra imperialista, la ripresa della produzione industriale era lentissima anche per 1’ "assenteismo" degli stessi capitalisti i quali, abituati ai favolosi profitti del periodo bellico, garantiti dal miglior "cliente" che si possa immaginare, cioè lo Stato, non se la sentivano di investire i loro capitali per un "modesto" utile d’impresa. Sorge in questo particolare ambiente storico la necessità per gli operai di farsi essi stessi, se non promotori della ripresa economica, almeno i "controllori" della efficienza economica delle aziende, con la pratica che passò sotto la denominazione di "controllo operaio". A questo fine sorsero i Consigli di fabbrica.

L’Internazionale, nelle tesi del Secondo Congresso, sottolinea questa funzione specifica dei Consigli di fabbrica, ma li colloca correttamente nel periodo storico che sembra preludere, almeno in Europa, alla rivoluzione. Il testo inizia così, e ci ricorda la già citata precisa anticipazione fatta dalla Sinistra a proposito dell’occupazione delle fabbriche da parte dei lavoratori:

«La lotta economica del proletariato per l’aumento dei salari e per il miglioramento generale delle condizioni di vita delle masse accentua ogni giorno il suo carattere di lotta senza sbocco. La disorganizzazione economica che investe un paese dopo l’altro, in proporzione crescente, dimostra, anche agli operai più arretrati, che non è più sufficiente lottare per l’aumento dei salari e la riduzione della giornata lavorativa; che la classe capitalista perde sempre più la capacità di ristabilire la vita economica e di garantire agli operai almeno le condizioni di esistenza di prima della guerra. La coscienza sempre crescente delle masse operaie fa nascere fra loro una tendenza a creare organizzazioni capaci di avviare la lotta per la rinascita economica a mezzo del controllo operaio esercitato sull’industria per mezzo dei Consigli di Produzione.
«Questa tendenza (...) è suggerita in definitiva dallo sforzo per realizzare il controllo dell’industria, scopo storico speciale dei Consigli operai di fabbrica. È per questo che si commetterebbe un errore cercando di formare questi Consigli soltanto con operai partigiani della dittatura del proletariato. Lo scopo del Partito Comunista, al contrario, consiste nel profittare della disorganizzazione economica per organizzare gli operai e per metterli nella necessità di combattere per la dittatura del proletariato diffondendo l’idea della lotta per il controllo operaio, idea che oggi tutti capiscono».
Esposti le condizioni e i compiti dei Consigli di fabbrica, e la loro utilizzazione da parte del Partito, il testo delimita subito le funzioni e i confini di questi organi:
«Il Partito Comunista non potrà assolvere questo impegno che consolidando nella coscienza delle masse la ferma assicurazione che la restaurazione della vita economica sulla base capitalista è attualmente impossibile; essa significherebbe d’altronde un nuovo asservimento alla classe capitalista. L’organizzazione economica corrispondente agli interessi delle masse operaie non è possibile che in uno Stato governato dalla classe operaia, e se il pugno fermo della dittatura proletaria si incarica dell’abolizione del capitalismo e della nuova organizzazione socialista».
Frasi lapidarie, categoriche, che non danno adito ad equivoci. Il lettore le confronti col pattume oggi propinato da ogni banda vecchia e nuova, in nome del... socialismo e della rivoluzione, e rifletta anche a quello che più avanti citeremo degli innovatori di allora.

Le tesi svolgono, poi, motivi di pratica utilizzazione delle circostanze al fine della mobilitazione degli operai e del loro inquadramento nei Consigli di fabbrica. Nella Tesi 5, altra formulazione categorica: «I Consigli operai di fabbrica non possono rimpiazzare i Sindacati». Il testo continua con una precisa e sintetica analisi delle diverse funzioni dei due organi:

«I Sindacati hanno organizzato le masse operaie allo scopo di una lotta per l’aumento dei salari e per la riduzione della giornata lavorativa, e l’hanno fatto su una larga scala. I Consigli operai di fabbrica si organizzano per il controllo operaio dell’industria e per la lotta contro la disorganizzazione economica; essi inglobano tutte le organizzazioni operaie, ma la lotta che essi sostengono non può assumere che molto lentamente un carattere politico generale. Non è che nella misura in cui i Sindacati giungeranno a sormontare le tendenze controrivoluzionarie della loro burocrazia, ovvero diventeranno organi coscienti della Rivoluzione, che i comunisti avranno il dovere di sostenere i Consigli operai di fabbrica nella loro tendenza a diventare gruppi sindacali di fabbrica».
Il testo prevede, a giusta ragione, che i Consigli di fabbrica debbano essere gli organi di fabbrica del Sindacati, nella misura in cui l’organizzazione sindacale viene strappata dalle mani opportuniste e passa in quelle rivoluzionarie. È un punto, questo, pienamente condiviso, assieme a tutto il programma dell’Internazionale, dalla Sinistra, la quale si è sempre battuta per la più stretta centralizzazione e per la semplificazione degli organi di classe. Allora come oggi la mania degli alchimisti della lotta di classe ha sempre parteggiato per la moltiplicazione delle forme organizzative, attribuendo a queste poteri eccezionali e risolutori, capaci persino di capovolgere i rapporti di forza fra le classi.

Il compito accentratore del Partito è fortemente sottolineato dal testo che segue:

«Lo scopo dei comunisti si riduce agli sforzi che essi devono fare perché i Sindacati e i Consigli di fabbrica si compenetrino dello stesso spirito di fermezza combattiva, di coscienza e di comprensione dei migliori metodi di combattimento, vale a dire dello spirito comunista. Per assolvere a ciò, i comunisti devono sottomettere, di fatto, i Sindacati e i Comitati operai al Partito Comunista e creare così organi proletari di massa che serviranno di base ad un potente Partito proletario centralizzato, che inglobi tutte le organizzazioni proletarie e le faccia tutte marciare nella strada che conduce alla vittoria della classe operaia e alla dittatura del proletariato, al Comunismo».
Nella terza parte, le tesi affermano l’urgenza di una organizzazione internazionale sindacale di classe, la quale raggruppi tutti i sindacati locali e le centrali sindacali nazionali, per farne dei potenti organi di lotta rivoluzionaria, da contrapporre alla famigerata centrale gialla di Amsterdam, infeudata all’imperialismo mondiale tramite la tutela socialdemocratica.

In conclusione, i Consigli di fabbrica, o qualsiasi organo aziendale, non hanno alcuna somiglianza con i Soviet, o Consigli, degli operai, e non rientrano in quello schema di precedenze che l’Internazionale aveva prestabilite e che, per fugare eventuali dubbi o equivoci, ripetiamo: «1° il Partito, 2° il Soviet, 3° i Sindacati».
 

L’orgia immediatista e situazionista

È inutile dire che si dichiararono per i Consigli di fabbrica sia i sindacalisti sia gli anarchici, ed anche Mussolini. Va dato atto ai sindacalisti di aver formulato precise raccomandazioni, nel loro congresso del marzo 1920 a Parma, perché i Consigli di fabbrica non si trasformassero in nuovi organi di conciliazione aziendale, di pungolo produttivo, escludendo che la loro funzione di gestori della futura economia sociale li abilitasse al rovesciamento del regime capitalista. Gli anarchici, inoltre, dichiarando la loro adesione ai Consigli di fabbrica, chiarirono, in una mozione votata dal congresso dell’Unione anarchica italiana a Bologna nel luglio 1920, che

«Il Congresso, tenendo conto che i Consigli di fabbrica e di reparto hanno la loro principale importanza in quanto si prevede prossima la rivoluzione e potranno essere organi tecnici della espropriazione e della necessaria continuazione immediata della produzione, ma che, continuando ad esistere la società attuale, subirebbero l’influenza moderatrice ed accomodante di questa, ritiene i Consigli di fabbrica organi atti ad inquadrare, in vista della rivoluzione, tutti i produttori del braccio e del cervello sul luogo stesso del lavoro ed ai fini dei princìpi comunisti anarchici; assolutamente organi antistatali e possibili nuclei della futura gestione della produzione industriale e agricola. Si ritengono inoltre idonei a sviluppare nell’operaio salariato la coscienza del produttore ed utili ai fini della rivoluzione favorendo la trasformazione del malcontento delle classi operaie e contadine in una chiara volontà di espropriazione». La mozione si concludeva con un invito agli operai anarchici a partecipare al movimento dei Consigli di fabbrica, «combattendo ogni tendenza di deviazione collaborazionista e facendo in modo che alla loro formazione partecipino tutti i lavoratori di ciascuna fabbrica, organizzati o no».
Le posizioni di Mussolini, se di posizioni si può parlare in coloro che amano definirsi «antidottrinari, antipregiudizialisti, problemisti, dinamici» (non avverte il lettore quanto sia simile questa musica a quella diffusa da spregiudicati microfoni di emittenti nazionalsocialcomuniste e operaiste?), si compendia nella nota dichiarazione:
«Accetto questo famoso controllo delle fabbriche ed anche la gestione cooperativa sociale, ma chiedo che si abbia la capacità tecnica per mandare avanti le aziende; chiedo che queste aziende producano di più e, se ciò mi è garantito dalle maestranze operaie e non più padronali, non ho difficoltà a dire che gli ultimi (gli operai) devono sostituirsi ai primi».
Questi è il precursore politico degli Stalin, dei De Gaulle, e delle bande paradossalmente "antifasciste" odierne.
 

Il concretismo antimarxista dell’ordinovismo

Contrariamente alla mitologia opportunista, il vero "teorico" dei Consigli di fabbrica non fu Antonio Gramsci ma Angelo Tasca. Questi i punti salienti della sua mozione al Congresso della Camera del Lavoro di Torino del giugno 1920. Ne citiamo due che caratterizzano assai bene posizioni completamente fuori del marxismo e della dottrina dell’Internazionale Comunista:

«Il "Consiglio" è organo di potere proletario nella sede di lavoro; tende a dare al salariato coscienza di produttore e a portare quindi la lotta di classe dal piano della resistenza a quello della conquista. Tale trasformazione parte dalla sede di lavoro, ma deve investire tutta l’azione sindacale. Perciò il "consiglio" è l’elemento della trasformazione dell’organizzazione per mestiere e per categoria in quella per industria, che non rappresenta un semplice mutamento di forma, ma un vero e proprio mutamento di azione, per cui le organizzazioni sindacali prendono posizione per la Rivoluzione comunista e si preparano a diventare, dopo la vittoria, elementi costitutivi nella struttura del nuovo regime».
Così la parte finale:
«Il Congresso ritiene inopportuna e contraddittoria ogni lotta pel riconoscimento dei Consigli di fabbrica, perché il loro compito di controllo, per avere un significato, ha portata politica. Infatti il controllo della produzione non può che sboccare nella lotta per l’eliminazione del capitalista come classe, e cioè per la distruzione dello Stato borghese e l’instaurazione di quello comunista. La lotta quindi per il riconoscimento integrale dei consigli si farà, si deve fare, ma essa non può essere altro che la rivoluzione (...) Nessuna conquista – è nostro dovere non illuderci e non illudere – può essere fatta nella presunzione di strappare "lembi di potere" al capitalista; raccolga il consiglio di fabbrica tutto il potere dal fatto di essere l’espressione della volontà di una massa cosciente non dal riconoscimento, impossibile ed assurdo, del capitalista che non potrà suicidarsi».
Invero, le tesi esposte da Tasca contrastavano alquanto con quelle originali dell’ordinovismo, che postulavano una posizione parallela dei Consigli di fabbrica a quella dei Sindacati, e non una subordinazione di quelli a questi. Tasca rettificava le posizioni di partenza, secondo il costume tipico del centrismo che, in parole povere, significa "stare nel mezzo", cioè tra la Sinistra e la destra.

Per caratterizzare meglio i Consigli di fabbrica basta riferire quanto stabilì il C.E. della Fiat-Centro. Siccome – dice la deliberazione – «sono divenute necessarie forme di governo industriale democratiche, corrispondenti alla posizione storica che oggi occupa la classe operaia, il Consiglio d’officina è la forma di questo governo industriale democratico».

A riepilogare l’infatuazione caotica che paralizzava il proletariato italiano, riportiamo un passo di un articolo dell’Avanti!, edizione torinese, in occasione della decisione della Camera del Lavoro di Torino di effettuare uno sciopero generale provinciale il 13 marzo, nel quale è facilmente rilevabile l’influenza ordinovista, ma anche l’assoluta mancanza di una visione e di un programma adeguati allo scontro di classe:

«Proletario, non eri nulla, sei qualcosa, diventerai tutto! Proletario, hai una tua legge, hai un tuo ordine, hai un tuo potere! Proletario, hai un tuo governo! Proletario, questo governo tuo, tutto tuo, simbolo della tua libertà, simbolo della tua autonomia, è la Commissione Interna, è il Comitato Esecutivo del Consiglio dei Commissari di reparto! (...) Proletario, hai un tuo posto nell’officina, perché sei entrato in un sistema rappresentativo; perché sei cittadino di una nazione, della tua nazione, il mondo del lavoro, l’officina! Proletario, tu costruisci la tua società, costruisci il tuo Stato, costruisci la tua organizzazione storica, entro la quale troverai la soddisfazione dei tuoi bisogni».
Che differenza passa, tra queste proposizioni ordinoviste e quelle citate prima di anarcosindacalisti e massimalisti? Nessuna. Semmai, una discriminante esiste tra questi e la direzione del Partito Socialista, la quale rivendica che gli insegnamenti del partito imbevano i Consigli di fabbrica. Ma la direzione socialista, in preda al massimalismo inconcludente, che nell’autunno dell’anno prima aveva dirottato l’onda montante del radicalismo delle masse in un ennesimo confronto elettorale, chiusa tra l’aperta controrivoluzione delle caste burocratiche della Confederazione Generale del Lavoro e delle banda parlamentare socialista, in cerca di un posto nel nuovo ministero borghese, uccideva ogni germe della lotta soffocandolo tra le pieghe di una rete dispersiva di organismi di fabbrica, privi di indirizzo rivoluzionario.
 

Tutto perisce senza il Partito

Era la Sinistra contro i Consigli di fabbrica, contro l’occupazione delle fabbriche, contro lo sciopero generale, contro i Soviet? No! Le tesi della Sinistra testimoniano che essa possedeva – unica nel bailamme prodotto dalla disgregazione del vecchio partito socialista e del regime – ben saldo l’orientamento politico, l’indirizzo di battaglia e l’organamento di tutte le forme della lotta operaia. A tutti i vaneggiamenti sul "governo industriale operaio", sul "potere in fabbrica", a tutte le pretese ibride di costruzione di una nuova società sulla base di organismi corporativi o d’officina, la Sinistra pose in maniera drammatica la questione storica, essenziale, del partito politico di classe, del Partito Comunista.

Nell’articolo La costituzione del Consigli Operai» del 22 febbraio 1920, apparso ne Il Soviet, organo della frazione comunista del PSI, e citato prima, viene svolto l’argomento del partito non solo per quanto riguarda i Soviet, questione specifica, ma a maggior ragione per ogni altro organismo proletario:

«I Soviet, organi di Stato del proletariato vittorioso, possono essere organi di lotta rivoluzionaria del proletariato quando ancora il capitalismo impera nello Stato? Sì, nel senso però che essi possano costituire, ad un certo stadio, il terreno adatto per la lotta rivoluzionaria che il partito conduce. E in quel certo stadio il partito tende a formarsi un tale terreno, un tale inquadramento di forze. Siamo oggi in Italia in questo stadio della lotta? Noi pensiamo che adesso siamo molto prossimi, ma che vi è uno stadio precedente da superare. Il Partito Comunista, che il Soviet dovrebbe guidare ancora non esiste. Noi non diciamo che i Soviet, per sorgere, lo attenderanno: potrà darsi che gli avvenimenti si presentino altrimenti. Ma allora si delineerà questo grave pericolo: l’immaturità del partito lascerà cadere questi organismi nelle mani dei riformisti, dei complici della borghesia, dei siluratori o dei falsificatori della rivoluzione. Ed allora, noi pensiamo, è molto più urgente il problema di avere in Italia un vero partito comunista, che quello di creare i Soviet».
Ed ancora:
«La creazione in Italia di un movimento rivoluzionario sano ed efficiente non sarà mai data dal mettere in primo piano nuovi organismi anticipati sulle forme avvenire, come i Consigli di fabbrica o i Soviet, così come fu un’illusione quella di salvare dal riformismo lo spirito rivoluzionario trasportandolo nei sindacati visti come nucleo di una società avvenire. La selezione non la realizzeremo con una nuova ricetta, che non farà paura a nessuno, bensì con l’abbandono definitivo di vecchie "ricette", di metodi perniciosi e fatali. Noi – per le ragioni ben note – pensiamo che questo metodo da abbandonare, per far sì che insieme ad esso possano essere respinti i non comunisti dalle nostre file, sia il metodo elettorale – e non vediamo altra via per la nascita di un partito comunista degno di aderire a Mosca.
«Lavoriamo in questo senso cominciando dall’elaborare una coscienza, una cultura politica, nei capi, attraverso uno studio più serio dei problemi della rivoluzione, meno frastornato dalle spurie attività elettorale, parlamentari e minimaliste. Lavoriamo in tal senso – ossia facciamo già propaganda per la conquista del potere, per la coscienza di ciò che sarà la rivoluzione, di ciò che saranno i suoi organi, di come veramente agiranno i Soviet – e avremo veramente lavorato per costituire i consigli del proletariato e conquistare in essi la dittatura rivoluzionaria che aprirà le vie luminose del comunismo».
Ma ordinovisti prima, nel 1919, e massimalisti dopo, nel 1921, restarono sordi a questo appello, più volte lanciato dalla Sinistra, di cacciare dal partito socialista gli anticomunisti e di trasformarlo in Partito Comunista. Gli uni e gli altri si rifugiarono nell’argomento che non si dovesse infrangere l’unità del partito socialista, e che la via al comunismo sarebbe stata conquistata con le esercitazioni nei Consigli di fabbrica, nei Sindacati, nei fumosi e futuri Soviet. La storia, i fatti drammatici di quegli anni, dimostrarono che nulla si salvò delle farneticazioni del "concretismo" ordinovista e del manovrismo massimalista. Il Partito Comunista sorse come lo aveva predicato e predetto la Sinistra: col bisturi rivoluzionario, operando una selezione drastica dalle file socialiste dei non comunisti.

Nessuna traccia si trova, negli scritti dei fautori dei Consigli di fabbrica e dei Soviet, del partito politico, dell’esempio storico russo, degli insegnamenti della Rivoluzione d’Ottobre. Al contrario, il Partito viene messo fuori della storia, e quando appare, se appare, è in coda, come un riempitivo, una decorazione culturale, un’accademia di dotti in marxologia.

Ben altrimenti concepiranno il partito i "concretisti", quando, fatti saltare i fortilizi degli organismi proletari dalle squadracce fasciste e dal tradimento socialdemocratico, se ne serviranno come dell’unico ed ultimo supporto, peraltro tenuto in piedi dalla tenacia eroica della Sinistra, per salvare le loro singole carriere di politicanti fuori dai confini nazionali, entro i quali sarebbero ritornati dopo un ventennio a rimorchio di ricchi e potenti padroni internazionali.
 
 

[Il Programma Comunista, n. 20, 15 novembre 1969]
 
 

Il Partito era inteso come uno schieramento democratico-parlamentare nel quale il formarsi di "maggioranze" e "minoranze" avrebbe determinato il costituirsi del suo "governo" e della sua "opposizione"; "legittimi" l’uno e l’altra, e abilitati ad inglobare ogni "tendenza" proletaria, dagli anarchici ai riformisti, dai sindacalisti ai massimalisti, dai centristi ai sinistri. In tal modo il partito era concepito soltanto come una organizzazione, solo genericamente operaia e socialista, o comunista, a seconda della moda e dei tempi, ed il suo programma, trionfo di questa concezione, rifletteva lo spirito di accomodamento del partito alle circostanze, in ogni tempo e luogo. Partito, come corpo di princìpi e di azione unitari, diventa incomprensibile, diventa un "cenacolo" di fedelissimi, "escluso dalla storia", alla mercé delle condizioni oggettive, quindi sub-umano, e via di questo passo. Anche se non si diranno queste cose, le si faranno, e poi, al momento opportuno, le si codificheranno. In tal guisa Lenin diventa accomodante, tatticistico, senza schemi fissi e principi immutabili. Il "vero" partito comunista è soltanto quello che riesce a restare a galla, col bello e col cattivo tempo, proprio perché è... comunista.

Al "peccato originale" dei cristiani, che determina sin dalla nascita il destino dell’individuo e della specie umana, si fa corrispondere un "battesimo comunista", che renderebbe il partito dei proletari, qualunque "peccato" commetta, invulnerabile dalle insidie del nemico, solo che lo "voglia". Salvo poi a stramaledire la maggior forza del nemico, per giustificare le più cocenti sconfitte, altrimenti prevedibili e inevitabili. Si scordò che non solo è indispensabile un Partito, e Comunista, ma il Partito Comunista poggiante sul marxismo rivoluzionario. Questo insegnamento, derivante dalle "lezioni della controrivoluzione", è invece fatto proprio dalla Sinistra Comunista, e forma oggetto particolare di studio e di codificazione politica nelle celebri Tesi di Roma del 1922, dalle quali è imprescindibile il ricostituirsi del nuovo Partito mondiale comunista.
 

Breve storia degli organismi di classe

Pretende il cosiddetto "comunista" di oggi di attribuire un’etichetta di originalità al marxismo svincolandolo dalle vicende della storia passata e negandogli il possesso conoscitivo del domani. Ciò è falso: è una pretesa esistenzialistica. I fatti sono incaricati di confermare con tragica esattezza le precise anticipazioni della Sinistra Comunista e di rinsaldare la dottrina e la prassi comuniste rivoluzionarie.

A questo fine, assieme a citazioni di argomenti usati dai fautori dell’immediatismo, soprattutto in Italia, culla, se vogliamo, di filosofemi "nuovi", daremo una sintesi dell’evoluzione dei Consigli operai e di fabbrica.
 

- Le Commissioni Interne

Inizialmente, furono costituite da operai che godevano della fiducia delle maestranze della fabbrica con l’incarico di trasmettere alle direzioni aziendali i reclami dei lavoratori. Normalmente non erano stabili, e venivano nominate ogni volta che si presentava la necessità di trattare col padrone. I limiti di competenza di queste commissioni operaie erano circoscritti ai provvedimenti punitivi e di licenziamento presi dalle direzioni dell’officina. Dei salari e degli orari di lavoro si occupavano i sindacati.

La Commissione Interna venne riconosciuta per la prima volta in Italia in occasione della firma del contratto triennale di lavoro tra la fabbrica di automobili ITALA di Torino e la FIOM il 27 ottobre 1906. Nel testo si prevedeva che tutti i conflitti in ordine all’interpretazione del contratto fossero risolti d’accordo tra la C.I. e la direzione. Il contratto stabiliva anche che i membri della C.I. dovessero essere cinque, senza stabilire modalità di scelta, e che rimanessero in carico per tutta la durata del contratto. Man mano che si istituivano contratti di lavoro, si procedeva ai riconoscimenti, più o meno contrastati, delle C.I.

Anarchici e sindacalisti avversarono le C.I. ritenendole organi di pacificazione sociale, che impedivano quella "ginnastica rivoluzionaria" rappresentata dagli scioperi.

Con la soppressione durante la Prima Guerra mondiale del diritto di sciopero, a seguito della mobilitazione industriale per l’approvvigionamento all’esercito, alle C.I. fu riconosciuto soltanto il diritto di patrocinare le richieste operaie presso le aziende e i comitati di Mobilitazione Industriale. Da quanto i dirigenti della FIOM di allora riferivano, si desume il carattere riformistico delle C.I., sulla cui base sorgeranno poi non solo i Consigli di fabbrica, ma anche le teorizzazioni dell’ordinovismo.

Nel Congresso nazionale della FIOM, a Roma nel novembre 1918, Bruno Buozzi, segretario generale della Federazione Italiana Operai Metallurgici (FIOM), affermava che la

«pretesa che le organizzazioni accampano con sempre maggior vigore, in relazione all’aumento della loro forza di discutere direttamente o a mezzo delle C.I. di ogni cosa che nelle officine riguardi non solo i salari, ma la stessa distribuzione del lavoro, tende di per sé a far condividere tra le maestranze e gli industriali la direzione tecnica delle officine».
Emilio Colombino, segretario della FIOM, precisava:
«Per conquistare le fabbriche occorre che gli operai debbano imparare che cosa è l’industria, perché sarebbe inutile conquistarle per doverle poi perdere perché non le sappiamo amministrare. Bisogna quindi che noi pian piano prendiamo i migliori nostri compagni e li mettiamo in contatto con le necessità industriali e facciamo capire loro quali sono le difficoltà, quali i mezzi per sormontarle. Le Commissioni Interne devono essere in contatto con gli industriali e capire le loro malizie e imparare da loro, perché abbiamo nella testa molte teorie e dobbiamo ammettere che non sempre siamo infallibili. Conviene insistere per queste C.I., sempre tacciate di tradimento. Siamo persino arrivati a dubitare se era utile conservarle, perché quando si nominano, dopo quindici giorni gli operai le mandano a spasso, accusando tutti di tradimento (...)
«Quindi insistiamo per le C.I. È il primo passo per la conquista dello stabilimento (...) È la C.I. che deve analizzare l’andamento industriale, rendersene conto, controllarlo, sorvegliare l’attività degli industriali, per difendere gli interessi della collettività operaia. Veder cosa costa la produzione, cosa costa la materia prima, cosa viene a costare la produzione nei paesi di provenienza, cosa viene a costare nello stabilimento, qual’è il margine d’utile dell’industriale, quale il salario da corrispondere all’operaio. Questo è quello che domandiamo noi, molto meno della partecipazione proposta dagli industriali, e la domandiamo per creare gli organizzatori di domani, per gli industriali del campo operaio, coloro che dovranno gestire le fabbriche quando noi, come ci auguriamo, saremo presto padroni del mondo».
Nei primi mesi del 1919, la FIOM di Torino richiese il riconoscimento delle C.I. e il diritto di nominarne lei sola i membri, contrariamente alla vecchia consuetudine per cui i membri venivano eletti da tutte le maestranze. I padroni accettarono. La C.I. divenne organo sindacale e i disorganizzati furono esclusi dalle elezioni per i commissari interni.
 

- I consigli di fabbrica

Con le dimissioni della C.I. della Fiat-Centro di Torino, officina con diecimila operai, nell’agosto 1919 venne nominata una nuova C.I., la quale comunicava agli operai che occorreva eleggere dei commissari di reparto, questi a loro volta avrebbero dovuto scegliere i componenti delle C.I.

È interessante il commento dell’Avanti!, il quale sottolineava che in tal modo

«la lotta di classe si atteggia a forme nuove e complicate e rende necessario il sorgere di istituti operai agilmente articolati, capaci di aderire al processo di produzione industriale e di risolvere immediatamente gli innumerevoli conflitti, che nascono dalla molteplicità delle specializzazioni di lavoro».
L’Ordine Nuovo commentava l’evento della nascita dei primi rappresentanti di reparto con un indirizzo ai commissari eletti alla FIAT:
«Siamo giunti al punto in cui la classe lavoratrice, se non vuol venir meno al compito di ricostruzione che è nei suoi fati e nelle sue volontà, deve incominciare a ordinarsi in modo positivo e adeguato al fine da raggiungere. E se è vero che la società nuova sarà basata sul lavoro e sul coordinamento delle energie dei produttori, i luoghi dove si lavora, dove i produttori operano e vivono in comune, saranno domani i centri dell’organismo sociale e dovranno prendere il posto degli enti direttivi della società odierna».
L’Ordine Nuovo proseguiva auspicando che nella officina sorgessero scuole per l’istruzione tecnica professionale degli operai atte ad avviarli alla conoscenza delle tecniche produttive, ecc.

Dopo alcune settimane, il Congresso della Camera del Lavoro di Torino votava un ordine del giorno sulla base dell’indirizzo del centrismo massimalista del P.S.I., decretato al Congresso di Bologna del partito nell’agosto 1919. L’ordine del giorno, dopo aver accettato il deliberato del Congresso del partito a Bologna di «iniziare l’opera di preparazione per la gestione proletaria», aggiunge:

«In merito ai princìpi cui ci si deve uniformare per la costituzione dei Consigli, il Congresso ritiene: a) che i nuovi organismi (strumento che la classe operaia si foggia per conquistare tutto il potere sociale, partendo dalla fabbrica e allargandosi a tutti i rami della produzione) debbono strettamente aderire e addestrarsi al processo di produzione e di distribuzione della ricchezza sociale; b) che in essi la massa di tutti i produttori manuali e intellettuali deve trovare una forma organica e diventar esercito disciplinato e cosciente del suo scopo e dei mezzi adeguati a raggiungerlo; c) che questa creazione di nuovi organismi non tende a togliere valore e autorità alle organizzazioni esistenti, politiche ed economiche, del proletariato, ma ad integrare con esse il potere massimo di tutti i produttori, organizzando tutto il popolo nel sistema dei consigli dei lavoratori. In conformità con questi princìpi, il Congresso approva la costituzione del nuovo organismo, invitando le massime organizzazioni di classe del proletariato italiano sulle direttive del programma comunista, ad estendere, intensificare, facilitare e coordinare il movimento per la creazione della Repubblica Comunista, e dando mandato ai futuri rappresentanti delle organizzazioni di Torino e provincia al Congresso confederale di sostenere in esso il riconoscimento del nuovo organismo del Consiglio dei produttori, ed invitando la CGL a stabilire che in apposita settimana rossa venga intensificata la propaganda per la estensione dei Consigli dei produttori in tutti i paesi d’Italia».
I passi citati confermano quanto abbiamo già anticipato, cioè la confusione tra Consigli di fabbrica e Consigli operai o Soviet, condivisa sia dai massimalisti sia dagli ordinovisti, e mettono in evidenza una caratteristica che distingue ancor oggi i partiti opportunisti, il considerare cioè le "organizzazioni economiche e politiche del proletariato" sullo stesso piano, per modo che il potere consisterà nella loro integrazione. Il Partito, qui, non appare nemmeno come organo subalterno agli altri, ma alla pari con essi. Ogni organismo, di conseguenza, sarà autonomo e indipendente nella propria sfera. Marx e Lenin non hanno proprio nulla che vedere con questo sottoprodotto politico.
 

- Il programma dei commissari di fabbrica

Queste aberrazioni si ritrovano, più accentuate che altrove, nel cosiddetto Programma dei commissari di fabbrica, nelle cui «dichiarazioni di principio» si legge:

«1) I commissari di fabbrica sono i soli e veri rappresentanti sociali (economici e politici) della classe proletaria, perché eletti a suffragio universale da tutti i lavoratori sul posto stesso di lavoro».
Noi avevamo appreso dal marxismo rivoluzionario che il solo e vero rappresentante sociale, economico e politico, della classe proletaria è il Partito Comunista, e che gli organismi della lotta specifica, sindacati, consigli, ecc., ne sono gli organi d’azione rivoluzionaria. Avevamo appreso che il Partito Comunista è il solo e vero rappresentante della classe proletaria, non perché scelto a suffragio universale da tutti i lavoratori sul posto di lavoro, ma perché è dotato di continuità d’azione e di pensiero sulla base del marxismo; è l’avanguardia cosciente del proletariato. Secondo la definizione ordinovista del partito, quello bolscevico non sarebbe stato il rappresentante cosciente di tutta la classe proletaria, perché i suoi 5 membri non erano eletti a suffragio universale da tutti i lavoratori e perché non inquadrò mai, né prima né dopo la presa del potere, tutti i lavoratori, ma solo una parte, una minima parte, quella, precisamente, che ne aveva accettato il programma integrale.

Ancor meglio si precisa la tesi immediatista di questi falsi marxisti nel punto 3°, dove si trova questa affermazione:

«Le direttive del movimento operaio devono nascere direttamente dagli operai organizzati sui luoghi stessi di produzione ed esprimersi per mezzo dei Commissari di fabbrica», cosicché «i Consigli incarnano (...) il potere della classe lavoratrice organizzata per officina, in antitesi con l’autorità padronale che si esplica nell’officina stessa; socialmente incarnano l’azione di tutto il proletariato solidale nella lotta per la conquista del potere pubblico, per la soppressione della proprietà privata».
Al punto 7° la demagogia prende la mano agli estensori del Programma:
«L’Assemblea di tutti i commissari delle officine torinesi afferma con orgoglio e sicurezza che la loro elezione e il costituirsi del sistema dei Consigli rappresenta la prima affermazione concreta della Rivoluzione Comunista in Italia!»
Quindi, la direzione politica spetta agli «operai organizzati sui luoghi stessi di produzione», giusto come avevano affermato Bakunin in polemiche con Marx, i sindacalisti e gli spontaneisti oggetto della critica spietata di Lenin. Il partito, volente o nolente, ritornerebbe ad essere, come lo avrebbero desiderato gli immediatisti della Prima Internazionale, una pura e semplice "cassetta delle lettere", un registratore statistico dei fenomeni sociologici.

Anche allora, come oggi e come negli scontri tra il Consiglio Generale di Londra dell’Internazionale e Bakunin, ritornava la critica al partito politico sotto forma di critica al burocratismo, a causa del quale la direzione del partito stesso si trasformerebbe in direzione di una oligarchia di pretoriani. Il pericolo del funzionarismo nel partito non è un’ipotesi astratta, ma non si allontana né con un espediente organizzativo, né con un mutamento dei princìpi e del programma, né tanto meno con inversioni o diversioni tattiche, né, infine, e a maggior ragione, bestemmiando sopra il burocratismo medesimo.

D’altronde, questo pericolo è di gran lunga molto più vicino, e si concretizza assai più spesso, proprio in quegli organismi di base che, nelle intenzioni degli operaisti, dovrebbero esserne immunizzati per la loro composizione esclusivamente operaia.

Abbiamo riferito di proposito quel passo del capo sindacalista della FIOM Colombino, il quale dichiarava che i membri delle C.I. erano ritenuti dai proletari di fabbrica venduti al padrone. Ed è storia ormai purtroppo secolare che proprio nei sindacati operai sono sorte e si sono addestrate le schiere dei traditori della rivoluzione comunista. Infatti, non a caso, negli organismi immediati, così come nelle delegazioni parlamentari dei partiti operai, è sempre prevalsa la politica dell’accomodamento, dell’opportunismo e infine del tradimento aperto: negli organismi immediati, perché il continuo e stretto contatto dei loro dirigenti con la "realtà" capitalistica li ha portati e li porta a sopravalutare la contingenza sacrificando ad essa la preparazione, lunga e dura, dell’assalto rivoluzionario al potere statale della borghesia; nelle delegazioni parlamentari, perché i deputati socialisti hanno trovato nell’ambiente supercorrotto della democrazia rappresentativa tutte le condizioni per mettervi radici, quando avrebbero dovuto andare nei parlamenti per distruggerli.

Il sindacalismo rivoluzionario sorge come reazione alla spregevole prassi riformista dei capi operai, ma il risultato fu di ingannare ancora una volta la classe con l’indicazione dell’utilizzo di falsi strumenti e di false forme di lotta rivoluzionaria. Nulla cambiò, e il riformismo continuò a celebrare le sue orge di oscena collusione col potere statale del nemico di classe, col padronato.

I Consigli di fabbrica ebbero con l’occupazione delle fabbriche nell’autunno del 1920 la loro giornata di gloria, nella quale gestirono finalmente alcune aziende occupate dai rispettivi lavoratori. Quella stessa giornata fu il loro canto del cigno.
 

- I Consigli in Germania

La Germania annoverava non solo il più forte partito socialista, il Partito Socialista Democratico Tedesco (SPD), ma anche la più forte centrale sindacale nazionale. Vi avevano sede le federazioni sindacali internazionali più forti, l’edile, la metallurgica, ecc. La Centrale sindacale tedesca, come il SPD, aderirono alla "unione sacra" appoggiando la guerra imperialistica col pretesto che si dovevano salvare e difendere le "conquiste" straordinarie che il proletariato aveva raggiunto nel Reich.

Varando la legge sul servizio ausiliario il 31 dicembre 1917 vennero istituite per legge anche le Commissioni Interne permanenti o Consigli di fabbrica, eleggibili a suffragio universale e segreto, e sovvenzionate dalle direzioni aziendali anche per le ore di lavoro perdute dai Commissari di fabbrica.

Nel novembre del 1918 i sindacati strinsero un patto di "unione del lavoro" col padronato per la ricostruzione nazionale, anticipando le ignominie perpetrate nel secondo dopoguerra dal sindacalismo "moderno".

Nell’aprile del 1919, sotto la spinta dello sciopero generale, il governo di Berlino accettò di introdurre i Consigli operai nella costituzione, e nell’aprile stesso presentò un progetto in cui, tra l’altro, si dice: «Ai Consigli di operai e di amministrazione possono essere concesse facoltà di controllo e di amministrazione nei campi loro assegnati». Nello stesso mese, il Congresso dei Consigli accettava a maggioranza un programma di indole corporativa in cui si prevedeva «la costituzione di una Camera del Lavoro per la quale saranno autorizzati a votare tutti i tedeschi che posseggono il diritto di elettorato». È la "Costituente del Lavoro", caldeggiata dai socialisti italiani, ben vista dagli immediatisti e dai fascisti, i quali, infine, la realizzeranno con la Camera delle Corporazioni fasciste.

Inoltre il programma delibera: «Ogni mestiere elegge un consiglio di produzione al quale le varie categorie mandano i loro consiglieri. La agricoltura e le professioni libere eleggono adeguate rappresentanze». Il progetto prevede, inoltre, l’istituzione di due Camere, la Camera Generale del Popolo e la Camera del Lavoro, spettando alla prime il diritto di legiferare sul piano politico e culturale, e alla seconda su quello amministrativo. Si richiedono i Consigli di Produzione, in cui gli operai sono rappresentati dai loro Consigli, e le Unioni del lavoro, organi «di intesa tra leghe d’imprenditori e sindacati», per mantenere l’equilibrio nelle questioni di lavoro e di categoria. Il programma ne precisa così le finalità: «I Consigli di produzione sono i rappresentanti della produzione sostenuta in comune da operai e da imprenditori. Gli operai vi sono rappresentati dai loro Consigli. Il Consiglio di produzione è il fondamento della socializzazione».

Il fascismo troverà così forme e strumenti già confezionati per il suo successo, preparati a puntino proprio dall’opportunismo socialdemocratico, ovviamente pacifista, antifascista e controrivoluzionario.

La sostanza del progetto fu recepita nella legge del 4 febbraio 1920, nella quale erano canonizzati i compiti principali dei consigli di fabbrica, tra cui «a) la collaborazione con la direzione dell’impresa per promuovere l’efficienza produttiva e l’introduzione di nuovi metodi di lavoro; b) promuovere e mantenere la pace industriale, promuovendo il pronto intervento degli uffici di conciliazione o con altri mezzi atti a dirimere pacificamente le controversie che si verificassero», e tutta una serie di meccanismi legali, atti a scongiurare la rottura dell’equilibrio sociale.

D’altro canto, l’assemblea dei Consigli di Berlino il 26 giugno 1919, con la maggioranza di comunisti e indipendenti di sinistra, approva un programma in cui le funzioni politiche dei consigli trovano bensì un certo spazio, ma si avverte la grave deficienza di considerare la conquista del potere politico non come un processo diretto dal Partito politico della classe operaia, ma come volontà espressa democraticamente dal popolo lavoratore. Risaltano, cioè, le debolezze politiche degli spartachisti e le incertezze innate dei centristi, le stesse che impedirono in Germania la costituzione in tempo, rispetto agli eventi, di un omogeneo Partito Comunista. Tuttavia non si nota in questo programma dei Consigli nessuna tendenza né corporativa né pacifista, contrapponendosi in questo in maniera netta e di classe sia al progetto governativo sia a quello sindacale, cioè socialdemocratico.

Il governo socialdemocratico, che oggi definiremmo di "sinistra", trasformava in organi di Stato quei Consigli che negli intendimenti degli ingenui avrebbero dovuto costituire il "governo industriale operaio", il "potere" proletario sui mezzi di produzione. Le "profezie" della Sinistra Comunista si avveravano puntualmente. Lo Stato capitalista si impossesserà anche dei sindacati. Senza la direzione del partito politico proletario, il partito comunista, tutti gli organismi di classe perdono prima ogni reale capacità di lotta rivoluzionaria, poi vengono meno persino alla lotta di classe e infine vengono utilizzati dalle classi ricche.

A cinquant’anni di distanza, mentre il capitalismo si accinge a ripetere questo tentativo, usando gherminelle varie in combutta con le direzioni sindacali e con i partiti socialdemocratici di oggi, cioè gli ex partiti comunisti e socialisti, il proletariato sembra non aver capita la lezione e naviga in balìa della controrivoluzione più spietata.
 
 

[Il Programma Comunista, n. 21, 1 ottobre 1969]
 
 

- I Consigli negli altri Paesi

Il 4 e 5 maggio 1919 i delegati dei consigli operai diretti dai comunisti si riunirono a Vienna e formularono una dichiarazione che fa onore al proletariato rivoluzionario austriaco. Citiamo il passo essenziale:

«L’Assemblea nazionale, il Landtag e il Consiglio comunale, sono organi della società borghese. Il proletariato ha la consapevolezza che non potrà mai realizzare la sua piena emancipazione politica ed economica a mezzo degli organismi democratico-borghesi, sia esso negli stessi in minoranza o in maggioranza. La storia delle lotte di classe ci insegna che una classe dominante non ha mai rinunciato al potere per delibera di un parlamento, né tanto meno spontaneamente. Al contrario, la borghesia ha finora dimostrato di sapere garantire i propri interessi impiegando tutti i mezzi del potere della violenza fuori dai corpi legislativi».
La dichiarazione stabiliva, infine, che occorreva sostituire gli organi borghesi con organi puramente proletari.

Dieci giorni dopo, il 15 maggio 1919, era varata la legge istitutiva dei Consigli di fabbrica, sulla base di un progetto socialdemocratico del tutto simile quello della socialdemocrazia tedesca e di tutti gli altri paesi.

Il quotidiano socialista viennese Arbeiter Zeitung così commentava questo storico avvenimento:

«Con la legge sui consigli di fabbrica si è creato un nuovissimo diritto operaio; questa legge riconosce come istituzione legale quella dei fiduciari degli operai nelle aziende, ed accorda loro dei diritti esattamente definiti. È infranto così l’assolutismo del padrone (...) La legge che riconosce ai consiglieri d’azienda il diritto di conferire mensilmente col padrone sulla gestione dell’azienda ed ammette gli operai consiglieri d’azienda come consiglieri d’amministrazione nelle società per azioni, offre agli operai la possibilità di procacciarsi a poco a poco coll’esperienza utili nozioni tecniche ed amministrative, che li renderanno atti ad assumere più tardi la direzione d’azienda. Il capitalista potrà essere fatto sparire dalla fabbrica sol quando gli operai imporranno ad un gruppo di fiduciari esperti e idonei di assumere essi stessi la direzione dell’azienda. Questo è lo scopo della istituzione dei consiglieri d’azienda».
A completare queste affermazioni... ordinoviste, riportiamo un passo di due articoli scritti da E. Adler e pubblicati nel marzo e aprile 1927 sulla Revue Internationale du Travail:
«La speranza concepita dai lavoratori che essi (i consigli) sarebbero stati uno strumento di socializzazione economica, non si è realizzata. Delle due funzioni fondamentali loro assegnate dalla legge: la difesa degli interessi dei lavoratori e la partecipazione alla direzione delle imprese, la seconda è rimaste lettera morta o quasi. Gli avvenimenti hanno mostrato che i consigli di fabbrica non se ne occupavano né erano in grado di adempierla; ma che, al contrario, si erano dedicati con tanto maggior ardore al primo compito, che l’avevano svolto con un successo tanto maggiore e che, anche così limitata, la loro funzione nell’economia capitalistica rimaneva di una grande importanza.
«D’altra parte, il terrore allora manifestato dal padronato che l’istituzione dei consigli di fabbrica avesse un effetto rivoluzionario nei salariati e li mantenesse in uno stato di agitazione perpetua sfavorevole alla buona armonia fra datori di lavoro e lavoratori ed al buon funzionamento degli stabilimenti, si è dimostrato assolutamente ingiustificato. Al contrario, è apparso con chiarezza sempre maggiore che l’esistenza nelle grandi imprese di un organo intermediario fra la direzione e i salariati era indispensabile; che appunto in tempo di crisi i consigli avevano sulle masse un’azione chiarificatrice e moderatrice e che, se diveniva necessario adottare dei provvedimenti sfavorevoli ai lavoratori, questi li accettavano meglio allorché tali provvedimenti erano loro comunicati e spiegati dai consigli di fabbrica, che li avevano discussi con la direzione ed avevano fatto tutto il possibile per attenuarne il rigore».
Le tre citazioni rispecchiano bene le intenzioni generose dei comunisti austriaci, la demagogia socialdemocratica e centrista, e l’opportunismo aperto, collaborazionista e pacifista senza riserve.

In Inghilterra, i Consigli di fabbrica sorsero, e vivono ancora, come aperti organi di collaborazione, secondo le "raccomandazioni" fatte al capitalismo britannico dalla Commissione Whitley, la quale pubblicò cinque rapporti; l’8 marzo 1917, il Rapporto provvisorio sui consigli industriali misti; il 18 ottobre 1917, il Secondo rapporto sui consigli industriali misti, e il Rapporto supplementare sui consigli di fabbrica; il 31 gennaio 1918, il Rapporto sulla conciliazione e l’arbitrato», e infine, il 31 luglio 1918, il Rapporto finale. Il documento di base è il primo, dal quale discendono gli altri, e basta citarne le prime righe per averne un’idea esatta:

«Noi raccomandiamo al Governo di Sua Maestà di proporre senza indugio alle varie associazioni operaie e padronali la creazione, là dove non esistono, di consigli industriali misti, composti di rappresentanti dei lavoratori e dei datori di lavoro, tenendo conto delle diverse categorie dell’industria interessata e delle differenti classi di lavoratori che essa occupa».
Il documento elenca poi le funzioni che dovrebbero avere i "consigli misti", che vanno dal
«modo di ottenere una migliore utilizzazione delle conoscenze pratiche e dell’esperienza degli operai (...ai...) mezzi per assicurare ai lavoratori la maggior sicurezza possibile di impiego e di salario, senza apportare restrizioni illegittime al loro diritto di cambiare padrone o mestiere (...dai...) mezzi per assicurare ai lavoratori una parte maggiore nella regolamentazione delle condizioni di lavoro e di lasciare loro una più estesa responsabilità per ciò che concerne l’osservanza di questi regolamenti (...alla...) determinazione dei princìpi generali che regolano le condizioni di lavoro, ivi compresi i metodi di fissazione, di pagamento e di revisione dei salari».
Accanto a questi organismi, sorsero altri Consigli per ogni ramo d’industria, e soprattutto i Tribunali Industriali di Arbitrato, col compito di dirimere le vertenze sindacali.

È inutile dire che questi Joint Councils furono bene accolti dalle Trade Unions, che vi mandarono i loro rappresentanti. Nel 1942 le Trade Unions pubblicarono un opuscolo in cui stabilivano che lo spirito operaio nei confronti dell’azienda deve essere di "cooperazione aperta e pronta, non discordia interna", e il suo organo specifico sono appunto gli Whitley Councils.

Il Rapporto Whitley raccomandava, inoltre, che gli Workshops Committees, o Commissioni di fabbrica, dovessero trattare soltanto delle questioni quotidiane dei lavoratori nella fabbrica e che, per assicurarne il successo, non «potessero venire usati dagli industriali in alternativa all’organizzazione operaia».

È assai significativo il giudizio espresso da uno dei due famigerati coniugi Webb, peggio che socialdemocratici, alla penna dei quali è dovuto quel panegirico dello stalinismo che i falsi comunisti odierni citano come esempio di "storiografa socialista":

«Finché il workshop committee – commenta Sidney Webb – non sia realmente rappresentativo dei sentimenti e dei desideri di ciascuna parte dello stabilimento, non potrà funzionare in modo efficace. Né potrà funzionare bene se si intenderà servirsene per attraversare la strada all’organizzazione operaia o come un contraltare alla medesima, o se gli verranno assegnate funzioni che valgano a derogare o a evadere i concordati locali o nazionali tra le associazioni padronali e le organizzazioni operaie».
E conclude:
«Un manager che sa il fatto suo considererà un grosso sbaglio da parte della direzione promulgare qualsiasi innovazione nelle materie di cui sopra (cioè condizioni igieniche, di orario, di salario, ecc.), senza averne prima spiegato la portata al workshop committee, sollecitandone e prendendone in considerazione il parere in merito. Tutto ciò può sembrare a tutta prima che importi una maggiore perdita di tempo e maggiori noie per la direzione, in un sistema autocratico di governo della fabbrica. In realtà, però, secondo quanto dimostra l’esperienza, tali conversazioni comuni finiscono, a lungo andare, invariabilmente col risparmiare alla direzione tempo e noie e, spesso, anche delle spese non irrilevanti. Ma, ciò che più imporla, tali consultazioni reciproche, che spesso portano ad un effettivo perfezionamento delle proposte avanzate, assicurano alle medesime la consapevole adesione di tutto lo stabilimento, senza della quale è impossibile raggiungere la più alta efficienza produttiva».
Infine, contro i comitati "misti" e i comitati di officina, ambedue di intonazione chiaramente ed esplicitamente collaborazionista, sorsero i Commissari di reparto o Shops Stewards, come rappresentanti in fabbrica delle Trade Unions, quindi subordinati alla politica di pacifismo sociale dei sindacati inglesi. In particolare durante il primo conflitto mondiale, le Trade Unions contrattarono un accordo col governo capitalista d’Inghilterra per la prevenzione dei conflitti sociali nelle fabbriche e per collaborare con le direzioni aziendali.

L’organizzazione degli Shops Stewards sorse però anche come esigenza di inquadramento dei lavoratori non qualificati che affluivano numerosissimi durante il conflitto nell’industria inglese, in quanto le Trade Unions, per tradizione, organizzavano soltanto i lavoratori qualificati. Furono proprio queste masse dequalificate a portare un vento di lotta anti-istituzionale contro il carovita, le condizioni di lavoro, ecc., che ebbe il battesimo del fuoco nello sciopero, il primo sciopero non autorizzato nella storia tredunionista, dei meccanici della Clyde, che vide alla testa gli Shops Stewards anziché i sindacati che si erano rifiutati di dirigerlo.

La struttura organizzativa dei commissari di reparto si fonda esclusivamente sulla singola officina e non ha un impianto nazionale. Nell’officina si eleggono i commissari senza tener conto della Trade Union a cui sono iscritti, e il loro potere non è esecutivo, ma è demandato all’assemblea di tutti gli operai. Nati spontaneisti, anche se antiriformisti, gli Shops Stewards hanno così vissuto sinora senza pretese di costruire un vero e proprio movimento.
 

Gli insegnamenti dell’Ottobre

Da quanto precede abbiamo appreso che l’elemento determinante nella lotta di classe, sia nelle sue forme più elementari di scontri sociali per difendere il salario dalla dittatura economica del capitalismo, sia in quelle più complesse di violenti urti di masse lavoratrici contro la esistente struttura economica ed anche, in certi casi, politica, non è mai stato un particolare organismo di battaglia, come i Consigli di fabbrica, gli stessi Sindacati, i Comitati di controllo, ed altri del genere. Abbiamo appreso altresì che tutti questi organi, pur sorti nel fuoco della lotta, nella lotta stessa si sono bruciati in mancanza della direzione del partito politico della classe operaia. Di riflesso, la borghesia capitalistica ha capito, in generale, che non sono incompatibili col suo dominio di classe sulla società e se ne è impossessata, adattandoli alle esigenze difformi, ma sostanzialmente uguali, di difesa del suo potere politico. Di proposito abbiamo sciorinato citazioni, cronologie e programmi, per documentare il lettore che le posizioni della Sinistra Comunista, definite dai soliti concretisti "aprioristiche", trovavano fondamento nella dottrina e conforto nei fatti passati, presenti e futuri.

È indispensabile, tuttavia, chiamare in causa l’indiscutibile autorità della Rivoluzione d’Ottobre, dopo che gli insegnamenti della controrivoluzione hanno mostrato, dialetticamente, il primato del partito politico.

A chiudere con ogni funambolismo, eccezioni e sottili distinzioni proprie degli uomini "pratici", potremmo chiudere tutte le questioni sollevate con una semplice constatazione: l’artefice della rivoluzione bolscevica in Russia è stato il Partito Comunista. L’autorità indiscussa del Partito sull’azione delle masse ha preso la forma sovietica, a significare che non solo i comunisti, in condizioni di maturità rivoluzionaria, erano materialmente pronti per le conquista del potere, ma anche gli determinanti strati della classe sensibilizzati dalla direzione politica e storica del partito.

In Russia, i Soviet sono sorti alla vigilia delle due rivoluzioni, quella del 1905 e quella del 1917. I bolscevichi li hanno diretti soltanto il giorno prima della insurrezione vittoriosa, dopo essere stati in nettissima minoranza. I Soviet, fino a quel momento, agivano come organi della controrivoluzione, guidati dall’opportunismo socialrivoluzionario. Ciò non significava che non fossero "maturi", ma che il livello della lotta politica non aveva ancora investito la classe, che lo sfacelo del regime borghese non era giunto a completo esaurimento.

Diversamente andavano le cose nei Sindacati e nei Consigli di fabbrica. I Sindacati, che alla vigilia della rivoluzione di febbraio erano appena tre con 1.500 iscritti, dopo la caduta dello zar organizzarono in brevissimo tempo tre milioni e mezzo di operai.

Contemporaneamente si sviluppavano i Consigli di fabbrica. John Reed narra che i primi Consigli di fabbrica e di reparto nacquero nelle officine governative, le quali, essendo state abbandonate all’inizio della rivoluzione di febbraio dai loro dirigenti, funzionari militari, furono tenute in vita proprio dai lavoratori organizzati nei Consigli aziendali. D’un lampo le Commissioni operaie si estesero a tutti gli stabilimenti statali, poi a quelli privati che lavoravano per il governo. Prima a Pietrogrado e poi in tutte le principali città della Russia sorsero i Consigli di fabbrica, che poco prima dell’Ottobre tennero il loro primo Primo Congresso. In questo periodo, dal febbraio all’ottobre, i Consigli di fabbrica svolsero un’attività formidabile, non solo rivolta alla difesa delle condizioni degli operai, ma sempre più spesso impegnati nella gestione diretta delle aziende sabotate e chiuse dai padroni.

Era il periodo in cui, sull’onda della lotta rivoluzionaria, si andava contrapponendo al potere del governo borghese il potere Sovietico.

Già in giugno nel convegno dei Consigli a Pietrogrado emerse un conflitto di indirizzo politico tra i Consigli di fabbrica e i Sindacati, riuniti anch’essi contemporaneamente in congresso. I Consigli sostenevano che i Sindacati non dovessero dar tregua alla lotta anticapitalista, e ne accusavano i capi, menscevichi e socialisti rivoluzionari, di collaborazione coi padroni e col governo di Kerensky.

Quando fu chiaro che ormai lo sciopero era un’arma insufficiente e, in alcuni casi, anche controproducente, i Sindacati furono costretti ad affrontare la questione essenziale, quella del potere. Nei Sindacati si fece strada la direzione bolscevica, come pure avvenne nei Consigli di fabbrica, che fornirono i quadri della lotta rivoluzionaria al partito.

Dopo la vittoria d’Ottobre, Sindacati e Consigli di fabbrica svolsero un lavoro importante nella ricostruzione e nella trasformazione economica. Ma, soprattutto nei Consigli di fabbrica, si manifestarono tendenze corporative. Gli operai di alcune officine credevano che con la rivoluzione il potere sulla fabbrica fosse passato direttamente a loro e che, in base a questo potere, potessero liberamente disporre dei mezzi di produzione e dei prodotti. Questa tendenza, di natura schiettamente anarchica, fu debellata mediante una forte centralizzazione dell’economia. Al Nono Congresso del Partito nell’aprile del 1920, che approvò il progetto di militarizzazione del lavoro, Trotzki dichiarò:

«Ciascun operaio deve diventare un soldato del lavoro che non potrà disporre liberamente di se stesso. Se gli è dato l’ordine di cambiare posto, deve ubbidire. Se disubbidisce, è considerato disertore e punito. L’operaio deve imparare a sottomettersi alle necessità di un piano economico unico. Tutto il compito del regime Sovietico consiste nel fare in modo che la costrizione esercitata sull’operaio sia esercitata dall’interno, e non dall’esterno».
La lotta contro l’ "abitudine", in Russia, significava appunto lotta per il consolidamento del potere dittatoriale del proletariato, che non esitava ad estirpare anche la mentalità instillata nell’operaio dall’educazione pratica borghese.

Il governo bolscevico considerava l’iscrizione al sindacato «un obbligo statale per tutti gli operai», e un «delitto» contro il potere socialista lo sciopero e qualsiasi atto di sabotaggio della produzione. In regime socialista la consegna è di adempiere agli obblighi produttivi e difendere anche con la vita il potere proletario.
 

La suggestione delle forme di organizzazione

Il Soviet di Russia sembrò la formula magica ai partiti di Occidente i quali, in assenza delle condizioni storiche per trapiantarli, si accontentarono del loro surrogato, i Consigli di fabbrica, i Commissari di reparto.

La stessa sorte toccò più tardi, ma nel solito spirito, all’organizzazione del partito, che i fedelissimi alla moda dei tempi vollero ricalcare su quella russa e trasformarono l’organizzazione del partito per sezioni territoriali in organizzazione per cellule, con la ovvia conseguenza che, in pratica, la base del partito fu ripartita in cellule professionali, ripetendosi la divisione corporativa sindacale. Invece la sezione territoriale affasciava militanti di ogni provenienza professionale ed anche sociale, i quali perciò avevano una visione generale dei problemi ed erano portati a non sopravvalutare le questioni "private" di categoria, mestiere, fabbrica. I tradizionali Gruppi Comunisti di fabbrica, che avevano dato prova di essere ottimi insostituibili strumenti politici sui posti di lavoro alle dipendenze dirette del Partito, nel trasformarsi in Cellule d’officina diventavano, si disse, la "base" del Partito, e non organi ad esso subordinati. Nella pratica, poi, le cellule non influenzavano le decisioni del Partito, ma le subivano come emanazione dei vertici locali e nazionali, dando vita alla falsa gerarchia del centralismo democratico nella versione stalinista.

La rinnovata forma organizzativa corrispondeva alle nuove deviazioni programmatiche. È noto lo scontro tra la Sinistra, il centrismo e la destra, che si stavano riproducendo di fatto all’interno del Partito e della stessa Internazionale: la Sinistra Comunista ravvisava nella cosiddetta "bolscevizzazione" uno strumento per schiantare la sana compagine del Partito, disorientare la classe, e insinuare che l’avanzare o l’arretrare della rivoluzione dipendesse da forme di organizzazione e non dal corretto indirizzo comunista. Mille esempi si potrebbero portare per illustrare quanto il tipo di organizzazione disorienti le stesse masse proletarie, allo stesso modo che le suggestiona il grande uomo, l’eroe, il simbolo estetico, pur assegnando a questi il posto che il marxismo relega nel romanticismo rivoluzionario.

Ciò non significa che l’organizzazione non debba esistere, tesi anarchica, ma che le forme organizzative devono scaturire dal processo reale volto agli interessi generali di classe. Il Partito non inventa delle forme. Il Partito le seleziona e le riempie col suo programma storico, con i compiti e gli scopi della lotta rivoluzionaria. È falso il contrario, che il Partito si subordini la sua azione storica e politica a precostruzioni formali, a cui riduca il suo programma.

Esiste una necessaria gerarchia di funzioni, cui corrisponde una gerarchia di forme: al primo posto sta il Partito politico, poi viene il Soviet, e infine il Sindacato. Le deviazioni del diverso combinarsi degli elementi di questa gerarchia le abbiamo analizzate all’inizio di questo studio. Resta da vedere, su questa base, come questa gerarchia si costituisce, fermo restando il primato del Partito, che per noi costituisce tesi assoluta e indiscutibile.
 
 

[Il Programma Comunista, n. 22, 15 dicembre 1969]
 
 

Gerarchia di funzioni

Che quella del partito politico sia la funzione e la forma primaria lo asseriscono solo i comunisti rivoluzionari. Per tutti gli altri, stalinisti e maoisti compresi, il Partito viene dopo lo Stato proletario. Cade la costruzione marxista anche trasferendo la supremazia dal partito ad uno Stato seppure di forma Sovietica.

Stalin, come si sa, svilì a tal punto la funzione del partito da affidare la soluzione rivoluzionaria al rapporto tra lo Stato Sovietico e gli altri Stati. Ne scaturiva la orripilante conseguenza che gli interessi della Rivoluzione mondiale del proletariato dovevano necessariamente subordinarsi a quelli dello Stato russo. Era ed è vero il contrario. Sono gli interessi dello Stato russo e di qualsiasi Stato proletario che dovevano piegarsi a quelli della Rivoluzione internazionale comunista. Oggi il problema non si pone, in quanto non esiste alcuno Stato proletario; resta la lezione per l’avvenire.

La questione, dal punto di vista del potere politico, si imposta in questi termini: il potere politico è diretto dal Partito Comunista, unico rappresentante della classe operaia. Quando, come nel caso del suo scioglimento in Cina, il Partito si dissolve in un altro, cioè nel Kuomintang; oppure, come nel caso del fronte unico politico, si affianca ad altri partiti seppure con etichetta operaia, quando questo avviene il partito si subordina all’esistente potere politico, non lo conquista, né tende a conquistarlo. In questo caso il partito muore e il potere politico resta nelle mani del nemico.

La consegna del fronte unico, l’alleanza con i partiti socialdemocratici, arrivò a prospettare persino un fronte unico militare, accusando di sindacalismo la Sinistra, che realizzava invece il fronte unico nel campo della lotta sindacale e di difesa economica. La conseguenza fu che, mentre da un lato si proclamava solennemente la priorità del Partito sugli altri organismi operai, dall’altro si agiva in maniera tale da degradare il Partito a uno dei tanti partiti operai lottanti tutti per il medesimo obiettivo, considerato immediato, invertendo la ferrea gerarchia di funzioni scoperta dal marxismo.

Perché fronte unico, sindacati, consigli di fabbrica, consigli operai o Soviet, possono essere catturati dall’avversario, come lo sono stati. Anche lo stesso Partito, come compagine organizzata, può passare al nemico, una volta che abbia abbandonato il suo programma comunista. Ma il Partito, pur ridotto nei suoi effettivi, ma che non si sia mai allontanato dai princìpi, resta sul fronte della battaglia rivoluzionaria pronto, in condizioni favorevoli, a riprendere la direzione della lotta di classe. Il Partito politico, allora, torna al primo posto non per feticismo della forma-partito, ma per la sua funzione primaria di possessore del programma, insieme di princìpi e di scopi.

Una frazione dello stesso partito bolscevico ipotizzava, prima della vittoria rivoluzionaria, e propose dopo l’Ottobre, che, una volta conquistato il potere con l’abbattimento violento dello Stato borghese, il partito dovesse cedere il governo dello Stato proletario ai Soviet e alle loro maggioranze disciplinarsi. In apparenza la controrivoluzione staliniana ha realizzato questa visione sovietista, subordinando il Partito, cioè la classe operaia, allo Stato nella forma Sovietica. Così si sottomisero gli interessi dei proletari russi e della rivoluzione comunista mondiale ad uno Stato che la controrivoluzione in atto stava degenerando in Stato del capitale russo, al di là dei nomi e delle formule.

Per altro le leggi del meccanismo statale, anche quello della dittatura proletaria, sono diverse da quelle del Partito.
 

Gli insegnamenti della sinistra comunista

L’ordine di importanza degli organismi proletari non è sempre lo stesso. Prima che sorgessero i Soviet, l’ordine era: Partito, Sindacato, Cooperative. Adesso che i Soviet non esistono, in assenza delle condizioni rivoluzionarie che li potranno esprimere, l’ordine cambia: Partito, Sindacati, essendo ormai le cooperative inserite completamente nel mercato capitalistico.

Il partito tende a trasformare i Consigli di fabbrica ed ogni organo aziendale, che organizzino pur sempre ed esclusivamente operai, in organi periferici o, se si vuole, di esecuzione di consegne che partono dall’esterno della fabbrica; per questo né le tesi dell’Internazionale né quelle della Sinistra li contemplano nella gerarchia delle funzioni essenziali per la lotta rivoluzionaria. La fabbrica è la cellula della economia capitalista, non quella del potere proletario e nemmeno del potere capitalistico.

La borghese direzione aziendale non abdicherà volontariamente alle sue funzioni di meccanismo per la estorsione del plusvalore. Ma da quanto precede si è visto – a parte questioni di dottrina di indiscussa autorità – che anche quando la direzione della fabbrica e dell’insieme delle fabbriche passasse nelle mani dei sindacati o dei consigli e sparisse la figura del padrone e di ogni anonima sua direzione, non per questo muterebbero le condizioni della produzione, cioè la forma di capitale dei mezzi di produzione e dei prodotti, la forma salariale del lavoro, la forma mercantile e monetaria dello scambio. Non solo, ma la fabbrica resterebbe un compartimento chiuso nel quale soffoca una visione generale delle condizioni sociali e politiche. Abbiamo visto che a questa condizione non sfugge nemmeno il partito se si azzarda a trasferire la sua base nell’officina come accadde con la "bolscevizzazione".

Questo problema ha una grande importanza proprio in questo periodo storico di rigoglio di gruppetti e di riesumazione di antiche e già fallite formule di natura piccolo-borghese, anarcoide, idealistica, dovuto al combinarsi dello sfaldamento del regime capitalistico e dell’impotenza dei vecchi partiti comunsocialisti, assieme alle direzioni sindacali da questi ispirate. Queste formule "rinnovate" vorrebbero affidare ai Consigli di fabbrica, più o meno diversamente denominati, la ripresa della lotta rivoluzionaria di classe, e in alcuni casi si vorrebbe far dipendere la ricostituzione del Partito politico dal movimento di questi consigli o comitati aziendali. Dinnanzi all’orgia riformistica nella quale partiti e direzioni sindacali stanno inesorabilmente affogando, si pensa di far girare in senso rivoluzionario la ruota della lotta di classe, abbandonando per sempre la forma-partito e quella del sindacato, ormai ritenute corrotte o come si preferisce oggi, "integrate nel sistema".

Lo stesso velleitario disegno ebbero i sindacalisti rivoluzionari che si staccarono dalla CGL per organizzarsi in un nuovo sindacato anarchico, l’USI, a causa del disgusto che quei proletari provavano verso la direzione del Partito Socialista, precursore degli attuali partiti opportunisti ma di gran lunga meno corrotto e sbracato dell’attuale Partito Comunista ufficiale. La storia ha confermato puntualmente che, se una funzione hanno avuto queste sollevazioni, è stata quella di indebolire il fronte rivoluzionario di attacco alla politica riformistica e opportunistica dei falsi partiti operai e dei sindacati.

La direzione del moto di ripresa rivoluzionario è, invece, esattamente l’opposto da quello propugnato da certe consegne immediatiste: sulla base della lotta operaia in difesa delle sue condizioni immediate si deve innestare l’indirizzo politico del Partito comunista rivoluzionario. Il ripristino della dottrina, in uno con l’introduzione nella classe del programma comunista, è la condizione essenziale. Ambedue le funzioni comportano la lotta teorica contro i negatori dei princìpi del marxismo rivoluzionario, e la lotta politica contro tutte le formazioni politiche opportuniste, capitalistiche, e lo Stato.

Il Partito crea i suoi organi in fabbrica, nei posti di lavoro: i gruppi comunisti; li organizza nei sindacati di classe. Il compito di questi gruppi, che, ripetiamo, sono subordinati al partito, esterno al posto di lavoro, è di influenzare i proletari in fabbrica e di dirigerne gli organismi di classe, come è di affasciare il massimo delle forze proletarie nei sindacati per conquistarne la direzione.

Quando gli organismi di lotta immediata, economica e politica, risorgeranno, il Partito non sarà affatto indifferente né li saboterà. Al contrario, si prodigherà per conquistarne la testa. Ma se dovessimo far dipendere la ricostituzione del Partito dalla nascita di questi organi aziendali, commetteremmo noi l’errore ordinovista, falsando i risultati e il processo storico. Il partito, come nucleo centrale, si è già ricostituito sulla base del marxismo rivoluzionario, non attendendo questa eventualità.

Il processo storico è complesso e contraddittorio e non possiamo certo, oggi, indirizzarlo secondo la nostra volontà di militi della rivoluzione. Ma ciò non vuol dire che dobbiamo piegare il nostro programma storico e di battaglia all’evenienza, al caso, alla cosiddetta "situazione". Una delle caratteristiche che ci distinguono da tutti gli altri è che il Partito sa dove andare e come marciare, perché conosce il domani, nel senso che sa fin da ora come affrontare i problemi e le difficoltà che si ergeranno dinanzi alla marcia inarrestabile della rivoluzione proletaria comunista. Questa consapevolezza gli deriva dal saldo possesso della dottrina, dal corretto orientamento che ha sempre tenuto, dal non essersi mai fatto distogliere dal fatto immediato, dall’oggi miserevole e controrivoluzionario.

Il "parere delle masse" in una situazione controrivoluzionaria, come quella che stiamo vivendo oggi e che perdura da mezzo secolo, è sempre viziato dall’influsso della ideologia che il nemico inocula nelle file operaie per mezzo dei falsi partiti operai e dei dirigenti ufficiali dei sindacati. E, secondo le cosiddette "nuove" formule operaiste, dovremmo affidare la ripresa di classe, che esiste solo quando esiste un forte partito di classe, a quel "parere", sondato con meccanismi democratici, espressione dell’ideologia borghese, col quale si è finora fondato il suicidio del proletariato stesso? Le "masse" solo potranno esprimere l’inconscia e sacrosanta ribellione al regime capitalistico, però senza sapere darsi una direzione consapevole. Anche gli spartachisti pensavano che non si dovesse conquistare il potere politico senza il consenso democratico delle masse, e commisero il fatale duplice errore di adeguarsi a quel "consenso" sia per separarsi troppo tardi dal fradicio Partito Socialdemocratico tedesco sia per irretirsi nell’ancora più pericoloso Partito Socialista Indipendente.

La classe potrà esprimere tutti i suoi organismi rappresentativi e di lotta, ma non potrà mai operare come classe nella storia senza il suo Partito. È una constatazione dura, ma va fatta.

La guerra di classe stessa, invece, esprime il bisogno irrinunciabile del Partito politico quando diviene chiaro che le lotte economiche e politiche del proletariato, combattute sotto la direzione opportunista, non fanno avanzare di un sol passo la marcia del proletariato verso la sua emancipazione. Diviene allora intollerabile la tutela opportunista sugli organismi di classe, il monopolio dei falsi partiti operai sui sindacati, sul movimento operaio organizzato: le masse tendono a scrollarsi di dosso questa cappa di piombo e seguono l’indirizzo comunista rivoluzionario, il solo che possa condurle alla vittoria.

Come la rivoluzione non è un fatto ma un processo (Lenin), così la rinascita del Partito di classe non è un incidente, il prodotto di una volontà superiore o di un decreto. Il Partito, prodotto del secolare scontro storico del proletariato, deve preesistere alla presa del potere politico, alla fase direttamente rivoluzionaria delle masse. Se questa condizione non si verifica, l’urto delle masse fallirà.

Questi gli insegnamenti della storia, condensati nella dottrina, nel programma e nell’organizzazione politica del Partito Comunista, e domani nell’azione rivoluzionaria della classe.