Partito Comunista Internazionale Stampa in lingua italiana

 

La Rivoluzione d’Ottobre e i compiti militari del partito

(Sintesi del rapporto pubblicato in Il Partito Comunista, n. 43-48, 1978)



 
 

     «Nella storia degli aggregati sociali si riconosce l’impiego in forma manifesta della forza materiale e della violenza quando tra individui ed individui, tra gruppi e gruppi si constatano urti e scontri che in mille forme si risolvono con la materiale lesione e distruzione degli individui fisici» (Forza, violenza, dittatura nella lotta di classe, 1946)
La questione della violenza esula dunque da qualsiasi moralismo ed è posta esclusivamente sul piano materialistico: se ne constata l’esistenza e la necessità. Da ciò deriva la "questione militare". Se ne possono individuare alcuni aspetti fondamentali, che possono essere così sintetizzati:
 1) Uso della violenza in generale, questione di teoria e di dottrina.
 2) L’insurrezione per la conquista del potere, questione tattica di primaria importanza.
 3) Organizzazione della guerra civile dopo la conquista del potere: riguarda da un particolare punto di vista il funzionamento del nuovo Stato proletario.
 4) Atteggiamento nei confronti della guerra tra Stati: questione del disfattismo rivoluzionario e sua delimitazione geostorica.
 5) Rapporti militari e diplomatici tra gli Stati.
 
 
 
 

PRIMA DELLA PRESA DEL POTERE
 

I principi della tattica diretta sono stati più volte codificati nei testi e nelle tesi di partito. Ad esempio si possono ricordare i punti 40 e seguenti delle Tesi di Roma, in cui si mette in evidenza la questione centrale e cioè il fatto che

     «il partito per poter intraprendere una simile azione deve disporre di una solida organizzazione interna, deve poter contare su una disciplina delle forze sindacali da esso dirette ed ha bisogno di un inquadramento di tipo militare di una certa efficienza».
Nemmeno in questo campo c’è alcunché da scoprire o da inventare; c’è solo da ribadire i postulati dell’azione diretta quando la situazione sarà matura e, se mai, di precisarli sempre meglio di fronte a nuovi fatti. I principi generali dell’azione del partito debbono essere continuamente verificati, per essere confermati e meglio definiti alla luce dei risultati dell’azione pratica del partito stesso.

Quella dell’insurrezione armata per la conquista del potere è una delle più importanti nel campo delle questioni tattiche. Infatti, in uno spazio di tempo brevissimo si può giocare il risultato di un lunghissimo lavoro di preparazione. Fino ad oggi, la storia delle numerose sconfitte e delle purtroppo poche vittorie del movimento proletario ci mostra come la questione dell’atteggiamento del partito nella soluzione dei compiti che si presentano acutissimi soprattutto in epoche rivoluzionarie sia stata una delle più difficili da risolvere in senso rivoluzionario e che l’unica garanzia di tale soluzione non possa essere costituita da niente altro che dalla giusta politica rivoluzionaria seguita dal centro dirigente del Partito.

Se nelle epoche decisive il centro dirigente del Partito salta, come rischiò di saltare lo stesso Comitato Centrale del partito bolscevico alla vigilia di Ottobre, le possibilità di vittoria della rivoluzione proletaria diventano infinitamente aleatorie. Tale insegnamento risalta nello svolgimento della rivoluzione russa dal Febbraio all’Ottobre 1917, dove uno dei fattori principali della soluzione vittoriosa di Ottobre fu costituito dalla direzione del movimento sul sicuro binario della giusta politica rivoluzionaria da parte del Partito Bolscevico, il cui grande merito fu quello di saper riconoscere come propria tradizione e corretta linea politica tattica quella allora difesa nel partito da Lenin.

Riviviamo dunque le questioni fondamentali che si posero al partito bolscevico dal Febbraio all’Ottobre del 1917, con lo scopo di riapprenderne le lezioni storiche permanenti.

Prima di seguire le difficoltà che il partito bolscevico dovette affrontare, qualche volta superate anche a stento, è utile ricordare le differenti posizioni esistenti nella socialdemocrazia russa riguardo al comportamento da tenere nella rivoluzione da parte del proletariato.

I menscevichi. Sostenevano la tesi secondo la quale il proletariato avrebbe dovuto disinteressarsi della gestione del potere in un’eventuale rivoluzione russa che non poteva essere che di segno borghese, in quanto il proletariato, una volta conquistato il potere, non lo avrebbe dovuto esercitare che per fini socialisti.

I bolscevichi. Il partito del proletariato avrebbe partecipato anche in minoranza alla gestione del potere in un’eventuale rivoluzione anche di segno borghese, purché si trattasse di un vero potere rivoluzionario: la dittatura democratica rivoluzionaria degli operai e dei contadini.

Trotzki. Sosteneva la necessità che il proletariato con il suo partito partecipasse alla gestione del potere, ma sosteneva che lo stesso proletariato, dopo la conquista del potere, non lo avrebbe potuto esercitare che per fini socialisti, secondo la formula della rivoluzione permanente.

I menscevichi, teorizzando il disinteresse del proletariato per l’eventuale gestione del potere, sotto il manto di ortodossia teorica mascheravano il loro opportunismo, poi mille volte dimostrato praticamente dal Febbraio all’Ottobre del 1917 ed oltre.

La posizione di Trotzki, come poi praticamente avvenne, confluiva naturalmente con quella di Lenin e del partito bolscevico ma eludeva la questione del che cosa fare (partecipare o non partecipare al governo) nell’eventualità di una vittoria dell’ala più radicale della piccola borghesia contadina che si esprimesse attraverso un suo governo. In definitiva dava per scontata (come poi di fatto avvenne in Ottobre) la vittoria e la conquista del potere da parte del solo partito del proletariato.

La posizione di Lenin e del partito bolscevico fin dal 1905 (Due tattiche) era chiara anche su questo punto: il partito del proletariato avrebbe partecipato anche in minoranza al governo in una rivoluzione democratico-borghese, purché avvenisse attraverso un potere veramente rivoluzionario.

Naturalmente tale posizione era strettamente legata alla questione, di carattere internazionale, della reazione che avrebbe provocato in Europa una vittoria della rivoluzione democratica in Russia: avrebbe sicuramente messo in movimento il proletariato europeo ed innescato la reazione a catena della rivoluzione socialista europea.

Quando Stalin dirà che le rivoluzioni in Russia erano state due: una di carattere democratico-borghese (Febbraio) e l’altra di carattere socialista (Ottobre) e che dopo l’Ottobre, con il potere conquistato, il proletariato Russo si era messo a "costruire il socialismo" nella sola Russia, non farà che riprendere la vecchia tesi menscevica ed evidentemente non fu un caso se molti capi menscevichi confluirono nell’ex partito bolscevico con la famosa e famigerata "leva leninista" del 1924, che precedette l’altrettanto famigerato periodo della "bolscevizzazione", inizio della completa degenerazione dell’Internazionale Comunista.

In realtà le rivoluzioni in Russia non furono né una ininterrotta, né tantomeno due autonome politicamente e socialmente. Esse furono tre: borghese aristocratica, democratica radicale, socialista. La prima fu condotta dalla borghesia con alleati i partiti opportunisti della piccola borghesia; la seconda fu condotta dal proletariato con alleati i contadini poveri sotto la guida del partito bolscevico; la terza coincise – soprattutto avrebbe dovuto coincidere – con la rivoluzione socialista europea. Di questa terza rivoluzione ci è rimasto solo l’Ottobre e l’esperienza della vittoria, esperienza peraltro importantissima.
 
 
 

RIMESSA IN RIGA
 

Fin dal 4 marzo 1917 Lenin, commentando le scarse notizie giunte in Svizzera sugli avvenimenti di Febbraio, afferma che il Governo Provvisorio non sarà mai in grado di soddisfare realmente le esigenze delle classi popolari (proletari e piccoli contadini poveri) poiché è legato agli interessi dell’imperialismo anglo-francese attraverso gli impegni assunti dal precedente governo zarista, che il nuovo governo ha confermato. Se ne deve dedurre che il Governo Provvisorio del principe L’vov non è il Governo Provvisorio rivoluzionario previsto fin dal 1905, e dunque il Partito non dovrà partecipare ad alcun blocco con tale governo, poiché ciò «porterebbe la menzogna nella coscienza delle masse» (Lenin, Opere, XIII, pag. 292).

È questione importantissima la chiarezza degli atteggiamenti e delle parole d’ordine del Partito, sia per i riflessi organizzativi interni – la mancanza di chiarezza è sempre fonte di disorganizzazione – sia per gli effetti che tali atteggiamenti possono produrre sulle masse.

Gli spostamenti dei rapporti di forza tra le classi, soprattutto nei periodi rivoluzionari – e reali spostamenti dei rapporti di forza tra le classi avvengono solo in periodi rivoluzionari – in quanto presuppongono reali influenzamenti di masse notevoli di uomini, avvengono non in base alle giustificazioni contorte della politica svolta dai vari partiti e che i capi di tali partiti danno periodicamente in pasto alle masse stesse, ma secondo reazioni istintive determinabili esclusivamente attraverso indicazioni chiare e nette.

È la questione che si pone Lenin nelle Lettere da lontano, dove cerca prima di tutto di spiegarsi il "miracolo" del fatto che lo zarismo, che era rimasto saldamente al potere nonostante poderose lotte di massa di alcuni decenni, sia caduto definitivamente in soli otto giorni. Tale miracolo era spiegabile solo con il fatto che lo zarismo aveva perduto tutti i suoi alleati, escluso i proprietari fondiari feudali. Aveva contro non solo i Soviet degli operai, dei contadini e dei soldati, ma tutta la borghesia capitalista e finanziaria e perfino l’imperialismo anglo-francese, dal momento che lo Zar, in seguito all’andamento sfavorevole delle operazioni militari, stava per ritirarsi unilateralmente dalla guerra temendo una vera e propria insurrezione popolare. Tutto ciò non doveva lasciare dubbi sulla valutazione del Governo Provvisorio: esso non era altro che il comitato d’affari dell’imperialismo anglo-francese che aveva diretto il complotto contro lo zarismo.

Ma la situazione sociale e politica russa non era ancora stabilizzata: accanto al governo ufficiale era sorto un governo operaio, il Soviet, ancora embrionale e debole, ma l’unico a rappresentare gli interessi del proletariato e di tutta la popolazione più povera delle città e delle campagne. Da tali premesse dovevano risultare chiari i compiti del Partito Bolscevico:

     «La nostra è una rivoluzione borghese, diciamo noi marxisti, e quindi gli operai devono aprire gli occhi al popolo dinanzi alla mistificazione dei politicanti borghesi, insegnargli a non credere alle parole, a contare solo sulle proprie forze, sulla propria organizzazione, sulla propria unità, sul proprio armamento» (Lenin, XXIII, pag. 306).

 
 

L’ARMAMENTO DEL POPOLO
 

Quando Lenin conobbe gli accordi che erano intercorsi tra il Soviet di Pietrogrado e il Governo Provvisorio – consistenti nella decisione del Soviet di lasciare il potere dello Stato al Governo Provvisorio e nella contestuale istituzione di un "Comitato di sorveglianza" del Soviet nei confronti del Governo Provvisorio con il compito di indire le elezioni per l’Assemblea Costituente nel più breve tempo possibile – definisce tali accordi un tradimento della stessa causa della rivoluzione democratico-borghese. La parola d’ordine immediata deve al contrario essere: nessun accordo tra il Soviet e il Governo Provvisorio ma organizzazione ed armamento del popolo sotto la direzione degli operai.

I menscevichi, che avevano sempre sostenuto la necessità del loro disinteresse, lasciando il potere alla borghesia, trattandosi di una rivoluzione solamente borghese, si smascherano apertamente partecipando al Governo Provvisorio, in nome della difesa degli interessi degli operai, dimostrando una costante storica dell’opportunismo: quella di non essere mai in grado di agire come previsto teoricamente, che è il risultato pratico di una concezione generale dell’attività del partito che considera la teoria scissa dalla pratica.

Secondo Lenin la posizione dei menscevichi, che pretende di difendere gli interessi dei proletari partecipando al Governo Provvisorio, è un’evidente assurdità teorica e pratica, in quanto non si può conciliare l’esigenza di continuare la guerra con quella di aprire immediatamente le trattative per la pace; perciò se si vogliono veramente difendere le esigenze materiali ed immediate dei proletari, il che presuppone l’immediata apertura di trattative di pace, bisogna avere la forza di rovesciare immediatamente il Governo Provvisorio. Il tempo prezioso a disposizione va impiegato non nelle trattative con il Governo Provvisorio, che non potrà – nemmeno se lo volesse – dare al popolo russo la pace, ma nella creazione della milizia popolare, che sia in grado di ispirare la massima fiducia alle masse e di far materialmente progredire la rivoluzione verso un’effettiva rivoluzione proletaria e contadina.

Le possibilità rivoluzionarie si aprono quando di fronte alle masse appaiono chiaramente due soluzioni, tra di loro inconciliabili, dei loro problemi immediati, come era il caso nella Russia del Febbraio di fronte alla questione di continuare la guerra o aprire immediatamente trattative di pace, e sono disposte a battersi ed hanno gli strumenti organizzativi per farlo con un certo successo. In questi momenti chi non sta da una parte inevitabilmente sta dall’altra e proprio in tale polarizzazione delle forze sociali consiste l’aspetto caratteristico di una situazione rivoluzionaria.

Lenin dunque, fin dalle sue Lettere da lontano, dice che la parola d’ordine da agitare immediatamente senza perdere tempo è quella del rovesciamento del Governo Provvisorio, e per ottenere tale risultato è necessario che le masse abbiano la loro organizzazione militare: la milizia popolare. È necessario che gli organizzatori e gli agitatori del partito bolscevico facciano comprendere alle masse russe che, mentre la borghesia ha sempre avuto bisogno di uno Stato in cui gli organi del potere (polizia, esercito, burocrazia) siano staccati dal resto del popolo, e tutte le rivoluzioni borghesi hanno finora perfezionato questa macchina repressiva, il proletariato e i contadini poveri hanno bisogno di fondere gli organi del potere statale con tutto il popolo in armi. Sarà la stessa necessità che avrà il proletariato, ovviamente da solo, nella sua rivoluzione diretta contro il Capitale. Di qui l’importanza primaria della milizia, che sia al tempo stesso organo della lotta contro il Governo Provvisorio ed organo del nuovo Stato che si formerà dopo l’abbattimento del vecchio.

Lenin si chiede anche come organizzare la milizia popolare ed è utile ricordarne i passi significativi, perché, messo il solo proletariato al posto delle "classi popolari", le necessità che Lenin indica alle masse russe saranno le stesse che si porranno al proletariato rivoluzionario:

     «Abbiamo bisogno di una milizia che sia popolare nei fatti e non solo a parole! È questa la strada che dobbiamo percorrere perché sia impossibile ricostruire una polizia e un esercito separato dal popolo. Questa milizia sarebbe composta, per il novantacinque per cento, di operai e di contadini ed esprimerebbe realmente la ragione e la volontà, la forza e il potere della stragrande maggioranza della popolazione. Questa milizia armerebbe realmente e addestrerebbe nell’arte militare tutto il popolo, garantendosi così, non alla maniera di Guchov e di Miliukov, contro ogni tentativo di restaurazione monarchica e reazionaria, contro ogni intrigo di agenti zaristi. Questa milizia sarebbe l’organo esecutivo dei Soviet dei deputati operai e dei soldati, godrebbe della fiducia e del rispetto assoluti della popolazione, perché sarebbe essa stessa l’organizzazione di tutto il popolo. Questa milizia trasformerebbe la democrazia da una bella insegna dietro la quale si maschera l’asservimento del popolo ai capitalisti e l’irrisione dei capitalisti nei confronti del popolo, in una vera scuola per le masse, che verrebbero educate a partecipare a tutti gli affari pubblici. Questa milizia introdurrebbe i giovani alla vita politica, educandoli non solo con la parola, ma anche con l’azione, con il lavoro.
     «Questa milizia svilupperebbe quelle funzioni che, per dirla con un linguaggio erudito, riguardano la "polizia del benessere", l’igiene pubblica, etc. impegnando in queste attività tutte le donne adulte. E non è possibile garantire la vera libertà, non è possibile costruire nemmeno la democrazia, per non dire il socialismo, se le donne non partecipano al servizio civile, alla milizia, alla vita politica, se non vengono strappate all’ambiente della casa e della cucina che le abbruttisce» (Lenin, XXIII, pag.328).


Ma i più pedanti e i "praticoni" si domanderanno: ma possibile che Lenin non dia anche delle indicazioni pratiche e minuziose di come realizzare "nella pratica" tale milizia popolare? Certo che le dà, ma dà anche una risposta a tale questione che vale ceffoni per chi attualmente – in una situazione di totale assenza di scontri effettivi tra le classi – si dedica a fare piani di "contropotere":

     «Non occorre dire che sarebbe assurda l’idea di redigere un "piano" per la milizia proletaria: quando gli operai e tutta la massa del popolo si metteranno al lavoro sul piano pratico sapranno elaborarlo e realizzarlo cento volte meglio di qualsiasi teorico» (Lenin, XXIII, pag. 327).
Nessuna soggezione alla spontaneità del movimento operaio o fatalismo. La posizione dialettica dimostra i principi ispiratori dell’attività del partito: l’armamento, determinante lo sviluppo della rivoluzione, dovrà essere espressione del movimento di tutto il popolo, ma il partito deve saper intervenire in questo movimento per svolgerne la funzione dirigente.

Purtroppo, come è noto, non furono solo i menscevichi a compiere gravi errori di valutazione del Governo Provvisorio e a tenere in pratica un comportamento non rivoluzionario. Anche i bolscevichi, prima dell’arrivo di Lenin, e soprattutto dopo il passaggio della Pravda nelle mani di Stalin e di Kamenev, presero delle posizioni molto simili a quelle dei menscevichi, perfino nella questione della difesa della patria.

Tali errori di valutazione delle forze in campo, e di conseguenza il comportamento non rivoluzionario del partito bolscevico – che addirittura tendeva a fondersi con quello menscevico – sono stati considerati molto severamente dal Partito:

     «Purtroppo si fu molto lontani dalla scelta sicura. Ma, prima ancora della questione della guerra, il periodo di euforia, nel quale ad esempio si incontrarono i reduci della deportazione in Siberia, come il taciturno Stalin, l’eloquentissimo Sverdlov, e tanti altri, e di fraternizzazione retorica tra populisti, trudovichi, socialrivoluzionari, menscevichi, bolscevichi, mostra come l’evoluzione teoretica del movimento non era all’altezza dei poderosi tracciati dell’opera leniniana e delle battaglie dei congressi (...) Orbene, nel momento che i menscevichi si smascherano da sé, e pur dichiarando che si tratta solo di libertà, di democrazia e di guerra democratica, non mai di socialismo immediato, entrano nel governo borghese, ogni animale di sangue bolscevico avrebbe dovuto saltare loro alla strozza e dichiarare guerra senza quartiere. Non fecero questo né Kamenev né Sverdlov né Stalin né altri. Indipendentemente dal quesito della guerra – che da due anni e più sapevano già risolto da Lenin e dal marxismo incorrotto – essi mancarono al loro dovere verso un partito che così scultoreamente aveva disegnato i suoi compiti per le ore che sul quadrante storico erano gloriosamente suonate. Deficienza dunque di quel gruppo, che pure aveva benemerenze incredibili di lotta insurrezionale, di fronte al problema del rapporto tra le classi sociali e i partiti politici della Russia. Grave che un partito manchi all’azione, quando ha così brillantemente enucleata la dottrina storica (...) Ci voleva dunque tanto, si doveva proprio aprire il testo di Lenin, o sentire riecheggiare nella testa l’eco dei suoi duri scabrosi discorsi in dieci congressi e conferenze, per trovare la strada, anche senza aver letto le tesi, gli articoli, gli opuscoli dettati dopo il vergognoso 1914 della II internazionale? (...) Esitare su questo voleva dire essere soggetti a ideologia puramente borghese e nazionalista (...) Questi dunque i ferratissimi bolscevichi, fedelissimi al partito, insanguinati nelle vene del suo rosso sangue rivoluzionario? Evvia!» (Struttura economica e sociale della Russia oggi, 1955).
Tali smarrimenti di rotta, anche in partiti solidamente e saldamente organizzati, come fu senza dubbio il partito bolscevico, ci dimostrano come la questione dell’atteggiamento del Partito nella soluzione di problemi pratici, soprattutto in epoche rivoluzionarie, sia stata e resti una delle questioni più difficili da sciogliere in senso rivoluzionario e che la storia non conosce alcuna garanzia formale di tale auspicabile scioglimento.

Perché il Partito possa svolgere domani la sua funzione di organo direttivo della rivoluzione proletaria è necessaria la trasmissione continua ed in ogni sua parte della dottrina e della tradizione storica, attraverso un’abitudine al lavoro teorico e pratico che accomuni tutti i suoi militanti. Si tratta di un sistema di vita interna di Partito che più volte è stata sintetizzata nella formula del "centralismo organico".

La rivoluzione non sarà il risultato di una serie di giochi d’astuzia con i quali un gruppi di uomini audaci ed intelligenti riuscirà ad imporsi di fronte ad un mondo riluttante, ma il risultato necessario della stessa evoluzione storica, che proprio perciò richiede la direzione di un organo cosciente, di un partito cioè che, per poter svolgere tale ruolo, dovrà essere in grado di svelare alle masse che dovranno seguirlo, senza misteri, le necessità della vittoria della rivoluzione; e potrà e dovrà abilitarsi a svolgere questo ruolo fin da oggi nella soluzione dei piccoli problemi e dei grandi.

Tuttavia, perché non resti alcun equivoco sui meriti grandiosi del partito bolscevico prima durante e dopo la rivoluzione d’Ottobre, è bene ricordare che esso ritrovò, sotto i colpi poderosi del "meccanico" Lenin e delle tesi di Aprile, la vecchia ed immutabile via molto velocemente. Lo facciamo ancora con le suggestive parole della Struttura economica e sociale della Russia d’oggi:

     «Tutto quello che Lenin grida ed incide sulla carta di quelle storiche Tesi è terribilmente contro quello che in Russia facevano, oltre ai partiti borghesi e piccolo-borghesi, anche quelli operai e lo stesso suo partito. Ma nello stesso tempo è ferocemente conforme a tutto quello che stava scritto, alla rotta data da Marx ed Engels nel 1848 e in cento svolti ribadita, e alla rotta tracciata da Lenin stesso dal 1900 in poi circa la Russia. I frettolosi che basiscono ogni volta che sentono parlare di una nuova, moderna direttiva, devono capire solo questo: noi difendiamo la immutabilità della rotta, ma non la sua rettilineità. Essa è piena di difficili svolti. Ma non nascono nella testa dei capi (...) Perciò appare che Lenin giunga come quegli che dissolve e fracassa tutto. Distruggere è il mezzo solo marxista di condurre e di costruire. Per la melma borghese e piccolo-borghese, come per tutte le classi che defungono, la sapienza è follia, la verità rivoluzionaria si tratta con la cicuta. Una volta almeno, agli scandalizzati benpensanti fu fatto ingozzare il contenuto del bicchiere. Sceso dalla macchina ferma, il meccanico rimosse l’ostacolo opportunista con pochi e tremendi colpi di scure. Il convoglio della storia proseguì inesorabile. Quella era la sola strada su cui poteva e doveva passare».

 
 

LA CONQUISTA DEL PROLETARIATO AL PARTITO
 

Con le Tesi di Aprile Lenin valuta la situazione russa d’Ottobre come ponte di passaggio dalla prima alla seconda fase della rivoluzione borghese, dalla rivoluzione borghese-aristocratica alla rivoluzione borghese-democratica. In tale situazione il potere può realmente passare dal Governo Provvisorio alle masse proletarie e contadine.

Sono aperte due possibilità: o continua la situazione eccezionale di assenza dell’uso aperto della violenza contro le masse, e allora sarà necessario lottare pacificamente per la conquista della maggioranza nei Soviet, oppure il Governo Provvisorio sarà costretto ad usare la violenza, ed allora sarà necessario opporre alla violenza organizzata del governo la violenza organizzata delle masse rivoluzionarie, ed è proprio perciò che è necessario che fin da ora il popolo si organizzi sulla base delle sue sole forze ed impari ad avere fiducia solo in se stesso. Sta proprio in questa alternativa il carattere specifico dell’atteggiamento che il partito deve tenere di fronte ad una doppia rivoluzione: nella rivoluzione diretta si tratterà di abbattere il potere stabile della borghesia da parte del proletariato che dovrà lottare contro tutte le altre classi.

     «Qui (in Russia) – non dimenticarlo mai – la storia cerca ancora le forme del potere proletario nella tardiva rivoluzione democratica» (Struttura).
I punti fondamentali delle Tesi di Aprile, che riguardano in particolare il tema che andiamo svolgendo, cioè quello delle questioni tattiche collegate all’organizzazione dell’insurrezione per la conquista del potere, possono essere così sintetizzati:

     - Pieno riconoscimento del carattere imperialistico, ed in particolare asservito agli interessi dell’imperialismo Anglo-Francese, dell’attuale Governo Provvisorio.

     - Il partito bolscevico è l’unico a sostenere nei fatti e non solo a parole lo sviluppo della rivoluzione, ma è purtroppo una piccola minoranza. In tale situazione, in cui le masse esprimono liberamente la loro opinione apertamente favorevole ai partiti che sostengono il compromesso con il Governo Provvisorio, il compito del Partito non può che essere quello di spiegare alle masse popolari che l’unica forma possibile di governo che sia in grado di soddisfare le loro esigenze è un governo che fondi il suo potere solo sui Soviet.

     - Riconoscimento dell’esistenza eccezionale di un dualismo di potere. Ciò significa che l’unico potere veramente rivoluzionario, sempre in senso democratico-borghese, è quello fondato sui Soviet, che però delegano volontariamente il loro potere ai rappresentanti dell’oligarchia capitalista del Governo Provvisorio.
     La causa di questa delega volontaria non sta né nell’assenza di combattività delle masse, né nell’uso sistematico della violenza da parte del Governo Provvisorio, che non potrebbe assolutamente mantenere il suo potere contro la volontà del Soviet, in quanto il vecchio apparato dello Stato zarista si è disgregato. Essa è da ricercarsi prevalentemente nell’insufficiente grado di coscienza e di organizzazione delle masse popolari. Da ciò derivano i compiti immediati del partito: smascheramento dei capi dei partiti piccolo-borghesi che sostengono il Soviet. Sarà un lavoro di propaganda indispensabile per fare avanzare la rivoluzione che si è inceppata proprio a causa della fraseologia rivoluzionaria dei partiti della piccola borghesia, che così vogliono coprire la loro alleanza controrivoluzionaria con la oligarchia borghese.
     Sono proprio le chiacchiere sulla rivoluzione che caratterizzano lo stallo in cui si trova la rivoluzione stessa, e tali chiacchiere vanno stroncate nella maniera più energica possibile. Consistevano soprattutto nella attesa della convocazione della Assemblea Costituente, che il governo provvisorio aveva promesso ma che continuamente rimandava, avendo prima di tutto da organizzare la ripresa dell’offensiva militare al fronte. Bastava alle masse russe tale promessa e tale attesa per essere convinte di avere un governo rivoluzionario: il peso storico della democrazia parlamentare stava giocando un ruolo controrivoluzionario perfino nella stessa Russia non ancora infettata da tale morbo. Per combattere tale pericolo è necessario

     «versare un po’ di aceto e di fiele nell’acqua inzuccherata delle frasi democratiche rivoluzionarie; (è necessaria) la disintossicazione del proletariato dalla generale contaminazione piccolo-borghese» (Lenin, XXIV, pag. 56).
     - Riconoscimento dell’impossibilità di rovesciare immediatamente con la forza il Governo Provvisorio. Dunque fino a quando le masse daranno volontariamente la loro fiducia ai partiti che sostengono il Governo Provvisorio non ci sarà altro modo di giungere al potere che attraverso l’opera di convincimento pacifico della maggioranza delle masse, altrimenti il partito scivolerebbe nel blanquismo. La stessa propaganda contro l’orgia delle frasi rivoluzionarie della piccola borghesia deve essere fatta con la persuasione fraterna, se vogliamo avere dei risultati:
     «solo combattendo questa credula inconsapevolezza (la fiducia nel Governo Provvisorio) contro la quale si può e si deve lottare soltanto sul terreno delle idee con la persuasione fraterna, richiamandosi all’esperienza vissuta, potremo liberarci dalla trionfante orgia di frasi rivoluzionarie e dare impulso reale sia alla coscienza proletaria sia alla coscienza delle masse, alla loro iniziativa, audace e risoluta, in ogni località, alla realizzazione autonoma, allo sviluppo e al consolidamento delle libertà, della democrazia, del principio della proprietà di tutte le terre da parte del popolo» (Lenin, XXIV, pag. 57).
È di una estrema importanza la questione della conquista pacifica di una reale influenza del partito tra le masse: non si tratta evidentemente di soggezione al principio della non-violenza, ma, da un lato, della esatta individuazione dell’unica possibilità di incrementare la propria influenza tra le masse nel momento in cui queste non sono soggette alla sistematica violenza avversaria; dall’altro, di non lasciarsi andare ad alcun avventurismo. Tale atteggiamento del resto deve essere una costante nel rapporto partito-classe, perché avventurismo significa sconfitta e le sconfitte, soprattutto nell’Occidente capitalistico, sono state ormai troppe.

É utile ed importante soffermarci su questo punto. Nell’articolo Sul dualismo di potere Lenin si domanda quale sia stata la causa che ha fatto inceppare la rivoluzione russa, e come gli operai possono superarla. Ecco la risposta:

     «La causa sta nel grado insufficiente di coscienza e di organizzazione dei proletari e dei contadini. L’errore dei capi menzionati più sopra (Menscevichi ed SR) sta nella loro posizione piccolo-borghese, nel fatto che essi offuscano la coscienza degli operai invece di illuminarla, inculcano illusioni piccolo-borghesi invece di confutarle, consolidano l’influenza della borghesia sulle masse invece di sottrarre le masse a tale influenza (...) Per conquistare il potere, gli operai coscienti devono conquistare la maggioranza: fino a quando non ci sarà violenza contro le masse, non c’è altro modo di giungere al potere. Noi non siamo dei blanquisti, non vogliamo la conquista del potere da parte di una minoranza. Siamo dei marxisti e sosteniamo la lotta di classe proletaria contro l’intossicazione piccolo-borghese, contro lo sciovinismo e il difesismo, contro le frasi vuote, contro la soggezione alla borghesia (...) Gli operai coscienti sono per il potere unico dei Soviet dei deputati operai dei salariati agricoli, dei contadini e dei soldati, sono per un potere unico preparato non con le avventure ma con un lavoro diretto ad illuminare la coscienza proletaria e a liberarla dalla influenza della borghesia» (Lenin, XXLV, pag. 30-31).
Su tale questione fu persino necessario prendere delle risoluzioni ufficiali del Comitato Centrale, in quanto nel partito bolscevico vi erano nell’aprile degli impazienti, che accusavano Lenin e la maggioranza del Comitato Centrale di indecisione. Il 21 aprile il Comitato Centrale del partito prende la seguente drastica risoluzione:
     «Gli agitatori e gli oratori del partito devono respingere la odiosa menzogna, diffusa dai giornali dei capitalisti e dai giornali che appoggiano i capitalisti, secondo la quale noi minacceremmo di scatenare la guerra civile. É questa un’odiosa menzogna, perché in questo momento, mentre i capitalisti ed il loro governo non possono e non osano usare la violenza contro le masse, e la massa dei soldati e degli operai esprime liberamente la sua volontà, elegge liberamente e destituisce tutte le autorità, in questo momento è ingenua assurda e grottesca ogni idea di guerra civile, in questo momento ciò che occorre è la subordinazione alla volontà della maggioranza della popolazione e la libera critica di questa volontà da parte della minoranza insoddisfatta. Se si giungerà alla violenza, la responsabilità ricadrà sul governo e sui suoi sostenitori» (Lenin, XXIV, pag. 200).
E ancora in una risoluzione del giorno seguente:
     «Le parole d’ordine del momento sono: 1) spiegazione della linea e della soluzione proletaria per mettere fine alla guerra; 2) critica della politica piccolo-borghese di fiducia e accordo con il governo dei capitalisti; 3) propaganda e agitazione di gruppo in ogni reggimento, in ogni fabbrica, soprattutto tra le masse più arretrate, domestici, manovali, etc.; 4) organizzazione, organizzazione e ancora organizzazione dei proletari in ogni fabbrica, in ogni rione, in ogni quartiere» (Lenin, XXIV, pag. 210).
Il fatto che nel febbraio-marzo si corra il rischio di confondersi con i menscevichi sulla questione fondamentale della difesa della patria e della partecipazione al governo, e nell’aprile molti bolscevichi non comprendano la necessità di conquistare pacificamente un’influenza decisiva tra le masse ed accusino la maggioranza del Comitato Centrale e Lenin di indecisione, dimostra come il partito bolscevico avesse bisogno di un periodo di riarmo. La prima Conferenza panrussa del partito bolscevico, che si riunì a Pietrogrado dal 24 al 29 aprile, servì senza dubbio a tale scopo. In essa Lenin chiarì come l’attuale posizione del partito tendente a conquistare pacificamente una decisiva influenza tra le masse non contraddicesse per nulla la vecchia posizione di principio di "trasformazione della guerra imperialista in guerra civile". La posizione era solo provvisoria, ma altrettanto necessaria:
     «Se parlassimo della guerra civile prima che le masse abbiano preso coscienza della sua necessità cadremmo senza dubbio nel blanquismo. Noi siamo favorevoli alla guerra civile, ma solo quando essa sia condotta da una classe cosciente. Si può rovesciare soltanto chi sia considerato dal popolo un oppressore (...) Per il momento, ma solo per questo momento, rinunciamo a questa parola d’ordine (...) Per il governo sarebbe utile che il primo passo imprudente verso l’offensiva fosse fatto da noi» (Lenin, XXIV, pag. 236).
In aprile si ha la prima crisi del Governo Provvisorio, dopo la diffusione di una nota ufficiale secondo la quale il Governo avrebbe dato esecuzione agli impegni presi con gli Stati democratici di riprendere l’offensiva al fronte contro l’esercito tedesco. Tale nota provoca reazioni e manifestazioni spontanee tra popolazione e soldati, che obbligano il governo a dimettersi. Verrà formato un governo di coalizione con i capi socialisti del Soviet. Di fronte a tale soluzione della crisi Lenin afferma che la sostanza di classe del governo non è mutata, che perciò i bolscevichi, continueranno a rinunciare ad organizzare la guerra civile per le stesse ragioni di prima, ma non rinunceranno mai alla loro attività di denuncia spietata della reale funzione di classe – la difesa degli interessi capitalistici ed imperialistici – svolta anche dal nuovo Governo Provvisorio. Prima di cambiare opinione sulla reale funzione svolta dal governo – dice Lenin – «preferiremmo diventare un partito illegale ufficialmente perseguitato».
 
 
 

LE MANIFESTAZIONI DEL GIUGNO-LUGLIO
 

Il partito bolscevico aveva indetto una manifestazione pubblica per il 10 giugno. Il Soviet – si era intanto riunito il 1° Congresso panrusso dei Soviet – proibisce tale manifestazione con la giustificazione che si avevano notizie di agenti provocatori che avrebbero approfittato di tale manifestazione per agire in senso controrivoluzionario. Il Comitato Centrale del partito bolscevico discute se obbedire o no al divieto del Soviet. Lenin si pronuncia per la revoca della manifestazione e ciò suscita proteste da parte di alcuni bolscevichi.

La giustificazione che dà Lenin è la seguente, ed è un bellissimo insegnamento di come ogni avvenimento, anche apparentemente insignificante, debba essere valutato attentamente ed inquadrato negli sviluppi successivi della situazione generale.

Il fatto che il Governo Provvisorio tramite la presidenza del Soviet proibisca la manifestazione, ma sia costretto ad inventare la questione degli agenti provocatori, è la dimostrazione più evidente che il Governo Provvisorio e la maggioranza del Soviet cominciano a non tollerare più nemmeno la propaganda pacifica svolta dai bolscevichi, ed è la dimostrazione più evidente dell’efficacia di tale propaganda. Il Governo Provvisorio non arriva però ancora ad usare la violenza contro le masse. Sarebbe quindi un errore confermare la manifestazione, avrebbe il chiaro significato di provocare la reazione violenta del governo contro i promotori della manifestazione; tale reazione sembrerebbe alle masse giustificata, e quindi, in quel momento, non contribuirebbe a spostare forze verso il partito bolscevico, semmai a mantenerle sotto l’influenza dei partiti opportunisti. Bisogna ancora saper attendere ed insistere nella politica di denuncia dell’operato del Governo Provvisorio e dei partiti opportunisti, senza la minima concessione. Bisognerà rispondere con la violenza solo dopo che il Governo Provvisorio sarà costretto ad usarla per primo: solo così le masse capiranno e si sposteranno a favore del partito bolscevico. Non c’è ovviamente alcunché di moralistico in tale posizione.

Il reale motivo del divieto alla manifestazione era evidentemente un altro: il governo di coalizione con i capi socialisti stava concretamente studiando il modo di dare esecuzione agli impegni che aveva preso fin dal febbraio con la Francia e l’Inghilterra: l’inizio di una nuova offensiva sul fronte russo-tedesco. Ciò che non era riuscito al precedente governo formato solo di cadetti riuscirà al nuovo governo con i capi socialisti, ingaggiati proprio allo scopo di realizzare quegli impegni.

Era stato deciso infatti di far coincidere una manifestazione pubblica, ma sotto il controllo dei partiti maggioritari del Soviet, con la dichiarazione dell’inizio dell’offensiva al fronte, naturalmente allo scopo di raggiungere nel più breve tempo la pace: è evidente che per far credere queste balle alle masse c’era bisogno proprio dei capi socialisti al governo. Il 18 giugno fu fatta realmente tale manifestazione e i bolscevichi vi parteciparono contribuendo a mantenerla nei limiti di una manifestazione pacifica. Nonostante tale impegno però, soprattutto a Pietrogrado, vi furono manifestazioni apertamente ostili al Governo Provvisorio, con parole d’ordine come "Tutto il potere ai Soviet", "Controllo operaio", "Abbasso i dieci ministri capitalisti". Ciò dimostrava chiaramente come i fatti determinavano un notevole aumento di forza del partito bolscevico. Quali fatti? L’esigenza irrinunciabile ed immediata delle masse di concludere la pace, la volontà del governo di continuare la guerra e, soprattutto, il fatto che l’unico partito che affermava pubblicamente che mai il Governo Provvisorio avrebbe concluso veramente la pace era il Partito Bolscevico.

Già il 3 luglio si erano svolte sempre a Pietrogrado manifestazioni spontanee di operai e di soldati contro il Governo Provvisorio. I bolscevichi avevano stabilito di non partecipare alla manifestazione del giorno seguente, che minacciava di trasformarsi in aperta insurrezione, ma, poiché non era più scongiurabile, nella notte del 3 decisero di parteciparvi per mantenerla il più possibile nei limiti di una manifestazione pacifica.

Tuttavia il Governo Provvisorio stava già preparando un’aperta provocazione nei confronti del Partito Bolscevico, di cui non sopportava più nemmeno la semplice propaganda, mentre contro la figura di Lenin aveva inventato l’accusa di essere una spia tedesca. Le truppe governative approfittarono della dimostrazione del 4 luglio e, pur trattandosi di una dimostrazione pacifica, spararono sulla folla tentando di addossarne la responsabilità ai bolscevichi. Ma fu chiaro per le masse che partecipavano alla manifestazione che si trattava di una provocazione del governo. Di conseguenza, dopo luglio, l’influenza del partito bolscevico aumentò. La notte del 4 i bolscevichi riuscirono a far cessare la manifestazione, tuttavia furono richiamate appositamente dal fronte delle truppe controrivoluzionarie per scatenare una repressione generale contro l’organizzazione del partito bolscevico: furono chiusi i giornali bolscevichi, arrestati i dirigenti, Lenin fu costretto a fuggire in Finlandia.

Nel frattempo si era riunito, come abbiamo visto, il 1° Congresso panrusso dei Soviet. Vi parteciparono 822 delegati in stragrande maggioranza SR e menscevichi, che decisero di continuare ad appoggiare il Governo Provvisorio in attesa della possibilità di convocare l’Assemblea Costituente. I 105 delegati bolscevichi non si posero nemmeno per un istante il problema della ricerca di formule di aritmetica parlamentare per partecipare ad una eventuale maggioranza, ma si proposero esclusivamente di propagandare nella sua integrità il programma rivoluzionario dell’aprile secondo le direttive di Lenin.

Nemmeno di fronte ai gravissimi fatti di repressione che avvennero quando ancora il Congresso era riunito, la maggioranza del Congresso stesso espresse una qualche parola di condanna del Governo Provvisorio. Era quindi chiaro che il silenzio del Soviet di fronte all’attacco aperto del Governo alle masse rivoluzionarie dimostrava che il Soviet stesso era diventato un’appendice ipocrita del governo. Era perciò necessario trarre le lezioni dal bilancio dei fatti e gettare le basi dell’azione futura del partito. La velocità con cui le situazioni si evolvono, nella Russia rivoluzionaria e in genere in ogni ambiente rivoluzionario, non lasciano ai partiti molto tempo a disposizione per le necessarie riflessioni, ed anche ciò dimostra come sia estremamente importante che il Partito possa aver chiaro da prima il senso dell’evoluzione dei fatti. Tale bilancio è tratto immediatamente da Lenin soprattutto nei due articoli: Tre crisi, del 7 luglio, e La situazione politica, del 10.

In essi Lenin trae i seguenti insegnamenti:

1) I movimenti popolari verificatisi in aprile, giugno, luglio non sono stati provocati da nessuno, bolscevichi compresi; la loro intensità dimostra che sono determinati da impellenti necessità materiali del popolo. Sono la conferma della giustezza delle posizioni del Partito il quale ha sempre sostenuto che l’attuale Governo Provvisorio sarebbe rimasto inevitabilmente prigioniero degli interessi imperialistici e non avrebbe mai soddisfatto le minime esigenze popolari.

2) In tali momenti limitarsi ai lamenti sulla legalità calpestata è tipico della piccola-borghesia che vorrebbe veder sparire la lotta di classe.

3) In tutto il periodo aprile-luglio le masse sono state in movimento e pronte alla lotta definitiva, ma non si è mai presentata la situazione favorevole alla vittoria, soprattutto a causa dell’illusione piccolo borghese di poter contare sulla vocazione rivoluzionaria del Governo Provvisorio.

4) Dopo i fatti di luglio ogni illusione di uno sviluppo pacifico della rivoluzione è finita, perciò è necessario che il Partito valuti bene i rapporti di forza tra le classi perché, di fronte a nuovi movimenti popolari, che necessariamente si riproporranno essendo determinati da insopprimibili esigenze materiali, questa volta si porrà la questione di indirizzare tali movimenti verso l’abbattimento violento del Governo Provvisorio e la conquista violenta del potere.

5) Il potere è attualmente in mano ad una dittatura militare. Il Soviet è solo la sua appendice ipocrita. Perciò la parola d’ordine "Tutto il potere ai Soviet" deve essere abbandonata, in quanto ha perso il suo carattere rivoluzionario.

Come si vede, niente di più falso della tesi, di stampo stalinista, secondo la quale il partito bolscevico avrebbe posseduto la chiave miracolosa per svegliare alla lotta di classe le masse anche se addormentate. Si trattò al contrario della eccezionale capacità, che deve essere propria del Partito, di valutare l’accelerato evolversi delle situazioni, da esso abbondantemente previste.

In Tre crisi dice Lenin:

     «Non è forse caratteristico? Gli elementi intermedi accusano i cadetti di facilitare il lavoro ai bolscevichi, e i bolscevichi di facilitare il lavoro ai cadetti! È forse difficile comprendere che bisogna sostituire alle denominazioni politiche quelle di classe, e allora ci apparirà l’illusione della piccola borghesia sull’estinzione della lotta di classe tra proletariato e borghesia? Ma è dunque difficile capire che nessun bolscevico al mondo sarebbe in grado di "suscitare" non dico tre, ma neppure un solo "movimento popolare" se profondissime ragioni economiche e politiche non spingessero il proletariato ad agire? E che i cadetti e i monarchici insieme non sarebbero in grado di suscitare nessun movimento "di destra", se cause altrettanto profonde non spingessero alla controrivoluzione la borghesia come classe?» (Lenin, XXV, pag. 163).

     «Non in ogni tempo – commenta la nostra Struttura – è dato andare alle grandi masse, ma solo in quello in cui esse sono in moto verso la rivoluzione: tempo che si capisce, non si provoca».


 
 

IL RAFFORZAMENTO DEL PARTITO
 

Con i fatti di luglio dunque si verifica in Russia una brusca evoluzione di tutta la situazione. Il potere viene completamente assunto da una dittatura militare, necessaria per poter continuare la guerra: infatti al fronte si fa nuovamente uso delle armi contro le truppe rivoluzionarie che non vogliono combattere e a Pietrogrado e a Mosca si disarmano gli operai rivoluzionari e si arrestano senza processo i dirigenti bolscevichi.

Anche nei confronti di Lenin viene emesso un ordine di cattura con l’accusa di essere una spia tedesca. Vi furono perfino delle discussioni nel partito bolscevico se Lenin dovesse o no presentarsi al tribunale, che secondo alcuni bolscevichi era pur sempre un tribunale rivoluzionario, per smontare l’accusa ed utilizzarla a fini di propaganda per il partito. Lenin, con un articolo: I dirigenti bolscevichi devono comparire in giudizio? dell’8 luglio riesce a convincerli che non si tratta di un processo, ma di un episodio della guerra civile, che non di un processo hanno bisogno Kerensky e soci, ma della persecuzione degli internazionalisti e che, di conseguenza, i dirigenti bolscevichi non debbono presentarsi in tribunale ma mettersi in salvo. Fortunatamente così avvenne, perché gli ufficiali incaricati di tradurre Lenin in tribunale avevano avuto anche l’ordine di ucciderlo lungo la strada con una scusa qualunque! Mai dunque fidarsi del nemico di classe, meno che mai se si nasconde sotto apparenti illusioni costituzionali! Ed anche questa è una magnifica lezione storica da non dimenticare.

L’offensiva russa ebbe alcuni successi iniziali, ma il 6 luglio la contro-offensiva tedesca fu definitiva e segnò la dissoluzione totale dell’esercito russo. I soldati non volevano più combattere e passavano in massa sotto l’influenza degli agitatori bolscevichi, alle posizioni del partito che, nonostante la sconfitta di luglio, è in grado di rafforzarsi notevolmente.

Riesce a tenere il Congresso alla metà di luglio, anche se semiclandestino, al quale parteciparono 157 delegati in rappresentanza di 240 mila iscritti, mentre alla precedente Conferenza di Aprile gli iscritti erano solo 50-60 mila. Non mancarono discussioni su cosa si dovesse fare nel caso in cui il proletariato avesse conquistato il potere in Russia, ma non si fosse mosso il proletariato europeo. Erano discussioni che riecheggiavano addirittura le vecchie discussioni con i menscevichi. Lenin, nelle sue lettere, risponde decisamente che non aveva senso starsi a domandare se il proletariato europeo avrebbe o no portato a buon fine la propria missione rivoluzionaria: compito del proletariato russo era di fare ogni sforzo, in tempi brevi, per abbattere il Governo Provvisorio e conquistare il potere in Russia; di conseguenza la rivoluzione socialista europea avrebbe fatto un considerevole passo in avanti. Così avessero ragionato i capi socialisti europei negli anni 1919-1920, invece di promuovere innocue manifestazioni al grido di "Giù le mani dalla Russia"!

Intanto i fatti previsti non tardarono a verificarsi. Le esigenze materiali spingevano le masse popolari a porsi contro il Governo Provvisorio. Il 12 agosto a Mosca ci fu uno sciopero ancora spontaneo.

Sul giornale menscevico Novaia Gizn del 17 agosto appariva una notizia secondo la quale il 14 a Mosca sarebbero circolate delle voci di preparazione di un complotto reazionario contro il quale sarebbero stati presi accordi tra tutti i partiti "rivoluzionari", bolscevichi compresi. Dopo quello che era successo dal luglio in poi, nonostante il clima di persecuzione e di caccia al bolscevico, da parte di alcuni dirigenti bolscevichi si dava ancora fiducia agli altri partiti "rivoluzionari"!

Su questa questione Lenin scrive un articolo il 18-19 agosto in cui prende nettamente posizione contro eventuali accordi con altri partiti ed esprime la necessità che il Partito si ponga concretamente il problema di dirigere un eventuale altro movimento come quello del 3-4 luglio, verso l’abbattimento violento del Governo Provvisorio e la conquista del potere in nome della pace subito, della terra ai contadini, della immediata convocazione dell’Assemblea Costituente. Un movimento del genere potrebbe riuscire alla sola condizione che venga diretto da chi non si è mischiato con altri partiti: è necessario sconfiggere tutti i partiti opportunisti. Lenin raccomanda di allontanare dalle cariche direttive i bolscevichi che hanno realizzato dei blocchi con altri partiti in quanto il movimento avrà bisogno di una guida sicura e decisa che abbia ben compreso la necessità di cambiare parola d’ordine dopo i fatti di luglio: non ha compreso proprio ciò, cioè l’essenziale, chi cerca blocchi con altri partiti (Voci di complotto, XXV).

Invece la rivolta di Kornilov – dice Lenin – è improvvisa ed imprevedibile. Con essa si è verificato un nuovo mutamento repentino ed inaspettato della situazione al quale è necessario reagire con un cambiamento della tattica del partito: le voci di complotto potevano essere artatamente diffuse dal governo, una vera e propria rivolta reazionaria e zarista è un’altra cosa. È dunque necessario che il partito cambi la sua tattica, ma è altrettanto necessario che non dimentichi di non venir meno ai principi, pericolo massimo quando un mutamento repentino della situazione impone al partito un cambiamento dei termini della sua azione.

In che cosa consiste il cambiamento della tattica auspicato da Lenin? Lenin dice che di fronte alla rivolta di Kornilov dobbiamo offrire un compromesso ai partiti maggioritari nei Soviet. Si tratta della possibilità di ritornare alla situazione pre-luglio. È possibile ed auspicabile un compromesso con il quale si offra un’alleanza ai partiti maggioritari del Soviet purché questi permettano nuovamente ai bolscevichi libertà assoluta di parola e di organizzazione e rompano definitivamente non solo con la reazione zarista, ma anche con la reazione borghese, cioè soprattutto con il partito cadetto, in quanto Kornilov è il frutto dell’alleanza Kerensky-cadetti. L’essenziale per i bolscevichi è di dimostrare alle masse la loro reale volontà di difendere le conquiste già ottenute contro la reazione zarista non solo attraverso il loro diretto impegno nell’organizzare la resistenza a Kornilov sul terreno militare, ma anche attraverso l’offerta di una tregua ai partiti maggioritari.

L’obbiettivo che si intende raggiungere però non sarà quello di confondere le acque bolsceviche con altre impure. Si deve continuare a non avere la minima fiducia negli altri partiti, tutti corresponsabili della rivolta di Kornilov. Perciò il compromesso deve avere per oggetto questioni ben definite e concrete, e mai di alleanza politica generale. L’atteggiamento da tenere deve essere improntato a questo criterio: non si deve dare il minimo credito alle altre correnti politiche, ma non si deve rinunciare, anzi si deve auspicare, l’unione delle forze che agiscono nella stessa direzione per ottenere obbiettivi che stanno sulla linea di tendenza della rivoluzione.

Nelle aree a doppia rivoluzione tali obbiettivi concreti e definiti possono essere anche di natura politica. Nelle aree a rivoluzione diretta questi obbiettivi immediati potranno essere relativi solo alla difesa economica del proletariato, e del solo proletariato, e il terreno non potrà che essere quello sindacale ove potrà verificarsi la necessità di fare fronti con altre tendenze politiche che abbiano influenza sul proletariato. Di qui la posizione tipica della Sinistra sul fronte unico, concepibile solo come fronte unico sindacale, nelle aree a rivoluzione diretta, dove non saranno più possibili "compromessi alla Lenin":

     «Il compromesso "alla Lenin" è plausibile quando si tratta di sbrogliare la successione storica di una rivoluzione borghese. Il suo tempo si chiude nei campi storici in cui si tratta solo di svolgere la rivoluzione anti-borghese, come nell’Europa dell’ovest. Ivi si tratta lo stesso di stritolare i partiti piccolo-borghesi opportunisti, più pericolosi di quelli grandi-borghesi e fascisti; solo che la via dell’offerta (o subita) alleanza con essi, mancando del tutto di motivi economico-sociali, non conduce a sterminarli ma ad essere, noi comunisti, sterminati da loro, ovvero a degenerare, come dopo Lenin è avvenuto, fino alla loro spregevole funzione» (Struttura economica e sociale della Russia d’oggi).
Evidentemente, prendere o lasciare!

Non si tratta però di proclamare la vuota ed assoluta impossibilità di effettuare in nessuna occasione dei compromessi con altre forze politiche! Lenin dice e resta vero in generale:

     «Il compito di un partito veramente rivoluzionario non consiste nel proclamare un’impossibile rinunzia a qualsiasi compromesso, ma nel saper conservare, attraverso tutti i compromessi inevitabili, la fedeltà ai principi, alla propria classe, al proprio compito rivoluzionario, alla preparazione della rivoluzione e all’educazione delle masse popolari per la vittoria della rivoluzione» (Lenin, XXV, pag. 291).
Si tratta di capire che, nell’occidente capitalistico, "la fedeltà alla propria classe ed al proprio compito rivoluzionario" consiste nel non uscire mai dal terreno della difesa economica quando si ha a che fare con altre forze politiche seguite da proletari. Ci deve essere un fattore socio-economico alla base di ogni compromesso: questo, nelle aree a rivoluzione diretta, non può consistere che nella difesa delle condizioni di vita e di lavoro dei proletari.
 
 
 

LA VITTORIA DI OTTOBRE
 

Lenin aveva scritto il 1° settembre:

     «Soltanto eccezionalmente, soltanto in considerazione di una situazione particolare, che sarà indubbiamente di brevissima durata, possiamo proporre un compromesso a questi partiti (menscevico ed SR) (...) Oggi e soltanto oggi – e forse solo per qualche giorno o per una o due settimane – un governo simile potrebbe formarsi ed insediarsi pacificamente. Esso potrebbe garantire con immense probabilità di successo il progresso pacifico di tutta la rivoluzione russa e possibilità straordinariamente grandi di notevoli progressi del movimento mondiale verso la pace e la vittoria del socialismo. Soltanto per questo sviluppo pacifico della rivoluzione – possibilità eccezionalmente rara nella storia ed estremamente preziosa – soltanto per questa possibilità i bolscevichi, fautori della rivoluzione mondiale, fautori dei metodi rivoluzionari, possono e devono addivenire, secondo la mia opinione, a tale compromesso» (Lenin, XXV, pag. 292).
La risposta dei partiti menscevico ed SR non si fa attendere e consiste nel rimettere in libertà Kornilov. Da questo momento diventa necessario preparare materialmente l’insurrezione.

Cominciano infatti fin dai primi di settembre le lettere di Lenin al Comitato Centrale del Partito che indicano la necessità di "considerare l’insurrezione come un’arte". Il non avventurismo dell’aprile diventa il non tentennamento dell’ottobre.

Gli avvenimenti che porteranno alla vittoria di Ottobre saranno segnati da ulteriori gravi problemi all’interno del partito bolscevico, che nel frattempo si è ulteriormente rafforzato. La tendenza ad estendere la sua influenza tra le masse degli operai, dei contadini e dei soldati era già cominciata prima dell’avventura di Kornilov, come abbiamo visto. Nelle elezioni alle Dume di quartiere di Pietrogrado i bolscevichi erano passati dal 20% dei voti delle elezioni del 27 maggio al 33% delle elezioni di agosto. Dopo Kornilov, il 12 settembre i bolscevichi risultano in maggioranza in importanti votazioni al Soviet di Pietrogrado e di Mosca. Trotzki, nel frattempo confluito nel partito bolscevico, liberato il 3 settembre, diventa presidente del Soviet di Pietrogrado al posto del menscevico Cheidze.

Nelle elezioni di Mosca dei primi di settembre 14.000 soldati su 17.000 votano per i rappresentanti bolscevichi e la popolazione contadina della periferia vota per i bolscevichi nella misura del 47%. Anche se nel resto della Russia la maggiorana dei Soviet è ancora saldamente in mano ai menscevichi ed SR, questi dati sono sufficienti per dimostrare la necessità di non perdere altro tempo e di preparare tecnicamente e materialmente l’insurrezione per la presa del potere. Si doveva evitare di perdere altro tempo sia perché una situazione così favorevole ai bolscevichi nelle due capitali non poteva durare a lungo, sia perché un’eventuale resa di Pietrogrado ai tedeschi avrebbe complicato notevolmente le cose.

Nell’articolo Il marxismo e l’insurrezione scritto il 13 settembre Lenin sostiene che sempre gli opportunisti hanno accusato di blanquismo i marxisti (Bernstein). La verità è che i marxisti, a differenza sia degli opportunisti social-democratici sia dei blanquisti, si sono sempre posti la questione dell’insurrezione armata, trattandola sì come un’arte, ma legandola strettamente alla situazione immediata della lotta di classe. È dovere elementare del marxismo organizzare l’insurrezione, non sempre ma date certe condizioni. Tali condizioni necessarie per ’insurrezione sono così schematizzate da Lenin sulla base di quanto Marx ed Engels avevano precedentemente affermato:
- L’insurrezione deve fondarsi sulla classe di avanguardia, cioè il proletariato;
- L’insurrezione deve fondarsi sullo slancio rivoluzionario di tutto il popolo (tale condizione ha evidentemente valore per le aree a doppia rivoluzione);
- L’insurrezione deve saper cogliere quel punto critico in cui l’attività delle schiere più avanzate della rivoluzione è massima e in cui più forti sono le esitazioni nelle file dei nemici.

Tali condizioni erano tutte presenti nella Russia da settembre in poi, per cui rifiutarsi ancora di considerare l’insurrezione come un’arte significava tradire il marxismo e la rivoluzione.

Prima ancora dell’affare Kornilov, il Governo Provvisorio, preoccupato del continuo aumento dell’influenza dei bolscevichi nei Soviet, aveva convocato il così detto Preparlamento o Conferenza Democratica composta da circa 2.000 membri eletti in rappresentanza di tutti gli organismi pubblici e non solo dei Soviet. Lo scopo era chiaro: da un lato annullare la crescente influenza dei bolscevichi nei Soviet, dall’altro quello di continuare ad illudere le masse sulla vocazione "democratica" del Governo, che in qualche modo doveva giustificare il continuo rinvio delle elezioni per l’Assemblea Costituente, temendo, forse a torto, che avrebbe precipitato gli avvenimenti in senso rivoluzionario. Comunque – e questo era il risultato più importante per il Governo Provvisorio – le interminabili discussioni al Preparlamento bloccavano per il momento la possibilità di organizzare materialmente l’insurrezione, in quanto gli stessi bolscevichi vi dedicavano molto del loro tempo.

Lenin sostiene immediatamente il boicottaggio del Preparlamento proponendo ai delegati bolscevichi il seguente comportamento, sostenuto, nel Comitato Centrale, dal solo Trotzki: i bolscevichi dovevano
- fare in tale assemblea una dichiarazione "breve, netta e precisa" sull’assoluta necessità di rompere con la borghesia;
- proclamare la destituzione dell’attuale Governo complice di Kornilov;
- proclamare il passaggio immediato di tutto il potere ai Soviet;
- pretendere la pace immediata senza annessioni.

Dopo aver fatto tale breve dichiarazione i componenti del gruppo bolscevico sarebbero dovuti andare tra gli operai ed i soldati a propagandare o l’accettazione immediata da parte della Conferenza Democratica di quei punti o l’immediata insurrezione armata contro il Governo, sempre per l’immediata realizzazione quei punti.

     «Posta così la questione, concentrato tutto il gruppo bolscevico nelle officine e nelle caserme, sceglieremo il momento opportuno per l’insurrezione» (Lenin, XXVI, pag. 17).
Lenin è dunque immediatamente contro la partecipazione dei bolscevichi al Preparlamento e ribadisce la necessità di preparare materialmente l’insurrezione. Solo il 24 settembre il Comitato Centrale si adeguerà alle indicazioni di Lenin uscendo dal Preparlamento ed agitando nuovamente la parola d’ordine: tutto il potere ai Soviet. Anche le vicende di questa parola d’ordine, soprattutto nella Russia dove il proletariato vinse proprio sotto quella bandiera, ci dimostrano come lo scioglimento rivoluzionario di una situazione non dipende dalle forme organizzative ma dai reali rapporti di forza. Nell’Italia del 1919-20 il massimalismo trionfante stava ad inventare cervelloticamente il modo con cui far nascere i Soviet, perché – si diceva – fino a che tali organismi non fossero esistiti non si poteva fare la rivoluzione, il che voleva dire sottrarsi ai compiti di direzione rivoluzionaria e contribuendo, viceversa, alla totale disorganizzazione delle forze rivoluzionarie.

Nella stessa Russia la parola d’ordine tutto il potere ai Soviet ebbe diversissimi significati:
     - dall’aprile fino al 3-4 luglio: tutto il potere ai Soviet significa governo dei partiti che avevano la maggioranza, menscevichi ed SR. I bolscevichi agitavano tale parola d’ordine poiché non si sarebbero opposti con la forza a tale governo ed avrebbero lavorato per ottenere pacificamente la maggioranza nei Soviet;
    - dopo il 3-4 luglio e fino a Kornilov: la parola d’ordine tutto il potere ai Soviet viene abbandonata perché significava ancora governo dei partiti menscevico ed SR, ma ormai si trattava di un governo e di partiti che erano direttamente responsabili della contro-rivoluzione aperta e dell’uso della violenza contro le masse degli operai, dei soldati e dei contadini;
     - affare Kornilov: solo per alcuni giorni è possibile il ritorno alla parola d’ordine tutto il potere ai Soviet con il significato che aveva prima del 3-4 luglio: ciò presupponeva il taglio netto dei partiti menscevico ed SR con la contro-rivoluzione borghese rappresentata dai cadetti e, per loro tramite, zarista;
     - dopo Kornilov: le masse potranno essere nuovamente dirette con la parola d’ordine tutto i potere ai Soviet, ma la sostanza di tale parola d’ordine sarà completamente diversa dai periodi precedenti. Infatti non sarà più possibile un governo dei partiti che allora avevano la maggioranza nei Soviet di tutta la Russia e nei Soviet determinanti di Pietrogrado e di Mosca. Dopo Kornilov, probabilmente, quei partiti potevano ancora avere la maggioranza nei Soviet di tutta la Russia, ma non più nei Soviet delle capitali. Allora "tutto il potere ai Soviet" significa governo dei bolscevichi, che potranno mantenerlo, all’immediato, perché sono appoggiati alla maggioranza di quei due Soviet, e, nel futuro, perché sapranno conquistarsi l’appoggio di tutta la popolazione, in quanto tale governo saprà fare quello che gli altri governi non hanno saputo, né potuto, fare: concludere la pace subito, favorire il passaggio della terra ai contadini, garantire il pane e la libertà alle classi più povere.

Come nell’aprile, così alla vigilia di ottobre, la maggioranza del Comitato Centrale del partito bolscevico non era allineata sulle posizioni di Lenin, il che può costituire un grave pericolo per la vittoria della rivoluzione. Il 23 settembre scrive:

     «È incontestabile che nelle "sfere superiori" del nostro partito si manifestano delle esitazioni che possono diventare funeste ora che la lotta si sviluppa, e, in certe condizioni, in certi momenti, le esitazioni possono rovinare la nostra causa. Prima che sia troppo tardi bisogna raccogliere tutte le forze per la lotta e difendere la linea del partito del proletariato rivoluzionario. Non tutto è in regola nelle nostre sfere superiori "parlamentari"; rivolgiamo loro una maggiore attenzione; gli operai le controllino meglio; delimitiamo più rigorosamente la competenza dei gruppi parlamentari. L’errore del nostro partito è evidente. Il partito combattente della classe d’avanguardia non si spaventa degli errori. Pericoloso sarebbe il perseverare nell’errore e vergognarsi di riconoscerlo e di correggerlo» (Lenin, XXVI, pag. 47).
Per tutto il periodo settembre - metà ottobre la maggioranza del Comitato Centrale del partito bolscevico prese in scarsa considerazione la necessità, continuamente sostenuta da Lenin, di preparare materialmente l’insurrezione. Poiché, secondo Lenin, questa era la questione decisiva, si doveva fare il possibile per superare anche le eventuali resistenze del Comitato Centrale. Il 27 settembre scrive una lettera al Presidente del Comitato Regionale dell’esercito, della flotta e degli operai di Finlandia (molto probabilmente simpatizzante, se non membro del partito, in quanto gli dà del voi; e, magari, con i gradi di generale) cercando di convincerlo a fare ogni sforzo per preparare l’insurrezione in attesa che la maggioranza del Comitato Centrale si convinca della sua necessità. È utile riportare alcuni passi centrali di tale lettera perché, se da un lato ribadisce la necessità del Partito, dicendo che bisognerà fare maggiore propaganda nella sua base in favore dell’insurrezione subito, dall’altra dimostra che Lenin è disposto a passare anche al di sopra del Comitato Centrale, pur di preparare effettivamente l’insurrezione in un momento che ritiene decisivo. La questione non è solamente storiografica, in quanto dimostra che la funzione di dirigente della rivoluzione propria del Partito Comunista non si esaurisce nel Comitato Centrale o nel centro dirigente, per quanto importante e vitale sia: di qui la necessità che organi centrali e base del partito siano organicamente legati.
     «La situazione politica generale suscita in me una grande inquietudine. Il Soviet di Pietrogrado e i bolscevichi hanno dichiarato guerra al governo. Ma il governo ha le sue truppe e si prepara sistematicamente (...) E noi che facciamo? Ci limitiamo ad approvare risoluzioni? Perdiamo tempo, fissiamo delle scadenze (...) I bolscevichi non svolgono un lavoro sistematico per preparare le proprie forze militari al rovesciamento di Kerensky. Gli avvenimenti hanno pienamente confermato la giustezza della proposta da me avanzata durante la "conferenza democratica" e cioè che il partito deve mettere all’ordine del giorno l’insurrezione armata. Gli avvenimenti ci costringono a farlo. La storia ha fatto ora della questione militare la questione politica essenziale. Io temo che i bolscevichi lo dimentichino, distratti come sono dal "lavoro giornaliero", dalle piccole questioni correnti e perché "sperano" che "un’ondata travolga Kerensky". Una tale speranza è ingenua, è la stessa cosa che fidare sulla fortuna. Da parte del partito del proletariato, ciò può divenire un crimine. Secondo me, bisogna far propaganda nel Partito perché si consideri seriamente l’idea dell’insurrezione armata (...)
     «Ed ora per quel che riguarda la vostra funzione. Sembra che la sola cosa che noi possiamo avere completamente nelle nostre mani e che ha una seria importanza militare, sono le truppe Finlandesi e la flotta del Baltico. Io penso che voi dovete sfruttare la vostra elevata posizione, liberarvi di tutto il lavoro minuto corrente affidandolo ai vostri aiutanti e segretari, non perdere tempo in "risoluzioni" e dedicare tutta l’attenzione alla preparazione militare delle truppe Finlandesi più la flotta per l’imminente rovesciamento di Kerensky (...) Noi possiamo trovarci a far la parte di ridicoli imbecilli se non facciamo tutto questo: con ottime risoluzioni e con i Soviet, ma senza potere!» (Lenin, XXVI, pagg. 58-59).
Kamenev e Zinoviev invece (la loro opinione era prevalente nel Comitato Centrale) volevano attendere il Secondo Congresso panrusso dei Soviet – che intanto il Governo Provvisorio aveva rinviato al 20 ottobre – per decidere un’eventuale insurrezione militare contro Kerensky. Tale opinione è talmente maggioritaria, in questo momento, nel Comitato Centrale del partito bolscevico che si arriva perfino a censurare gli articoli di Lenin favorevoli alla preparazione immediata dell’insurrezione. Per questa ragione Lenin dà le dimissioni dal Comitato Centrale:
     «Visto che il C.C. ha perfino lasciato senza risposta le mie richieste insistenti in questo senso (la preparazione immediata dell’insurrezione) dopo l’inizio della conferenza democratica, e che l’organo centrale del partito sopprime nei miei articoli i brani che rilevano questi stridenti errori dei bolscevichi, come la decisione disonorevole di partecipare al Preparlamento, la concessione di un posto ai menscevichi nel presidium del Soviet, etc. etc., io devo considerare questi fatti come una manifestazione sottile del desiderio del C.C. di non discutere neppure la questione, un discreto accenno a chiudermi la bocca e un invito a ritirarmi. Sono perciò costretto a chiedere di uscire dal C.C., cosa che faccio riservandomi libertà di agitazione nella base del partito e nel congresso del partito. Perché è mia convinzione profonda che se noi "attendiamo" il congresso dei Soviet e lasciamo passare il momento attuale, noi perdiamo la rivoluzione» (Lenin, XXVI, pag. 71).
Lenin scrive questa lettera il 29 settembre e l’eventualità delle sue dimissioni è scongiurata dal fatto che il 10 ottobre ha la possibilità, con un falso lasciapassare rilasciato dal Presidente del Soviet di Finlandia, di partecipare alla seduta del C.C. a Pietrogrado. Nuovamente la presenza fisica del "meccanico" è indispensabile, per far proseguire il convoglio della rivoluzione. La questione dell’insurrezione viene messa all’ordine del giorno e approvata con 2 voti contrari e 10 favorevoli e riconfermata il 16 in un’altra importante riunione sempre di Pietrogrado del C.C. allargata alle organizzazioni locali del partito.

Lenin è costretto a rientrare successivamente in Finlandia. L’opposizione aperta di Kamenev e Zinoviev, anche dopo le due riunioni suddette, lo costringe a scrivere una "Lettera ai compagni" con lo scopo di dimostrare gli errori commessi dai due dirigenti e, possibilmente di convincerli, per evitare il più possibile ogni turbamento nel partito alla vigilia di così importanti avvenimenti.

Le argomentazioni dei due dirigenti bolscevichi contro l’insurrezione vengono così analizzate e dimostrate false:
      - Non abbiamo ancora la maggioranza del popolo in tutta la Russia. Ciò significa – risponde Lenin – esclusivamente mascherare la propria fuga dinanzi alla realtà, in quanto mai potremo avere la garanzia di avere con noi l’esatta maggioranza più uno di tutto il popolo.
     - Non siamo ancora abbastanza forti per far fallire l’Assemblea Costituente, mentre la borghesia lo è sufficientemente; in tale situazione i Soviet dovrebbero essere una pistola puntata alla tempia del governo per forzarlo a convocare l’Assemblea Costituente ma niente più, perché altrimenti si cadrebbe nell’avventurismo. «Una pistola scarica?», è il commento di Lenin. Non solo: non bisogna cadere nell’atteggiamento tipico dell’opportunismo, che sempre svaluta le forze rivoluzionarie e sopravvaluta quelle della controrivoluzione.
     - La borghesia non potrebbe, nemmeno se lo volesse, consegnare Pietrogrado ai Tedeschi, perché a difendere Pietrogrado ci sono i gloriosi marinai rivoluzionari. E ciò equivale il passaggio aperto al difesismo borghese.
     - Noi ci rafforziamo ogni giorno e potremo entrare nell’Assemblea Costituente come potente opposizione e lavoreremo aspettando la rivoluzione europea. Sostenere tale argomento – dice Lenin – significa passare apertamente al menscevismo.
     - Infine l’obiezione più importante era questa: un partito marxista non può ridurre la questione dell’insurrezione militare ad una congiura contro il governo.

La risposta di Lenin a tale argomento è molto importante e la riportiamo per intero. In sintesi Lenin dice che ridurre la questione dell’insurrezione militare ad una congiura è blanquismo se non ricorrono alcune condizioni, che elenca dettagliatamente. Non esiste dunque un codice da consultare che ci possa dire esattamente, in positivo, quando l’insurrezione deve necessariamente assumere la forma di una congiura contro il governo. È il partito che deve valutare questo momento e che deve sapere quando spingere all’azione risolutiva è avventurismo e quando esitare è solo opportunismo: in ciò consiste la sua specifica funzione dirigente che si esplica nel guidare le masse rivoluzionarie verso la vittoria e non verso la sconfitta.

     «Il marxismo è una dottrina estremamente profonda e complessa. Non è strano perciò che si possano incontrare frammenti di citazioni di Marx – soprattutto se fatte a sproposito – tra gli argomenti di coloro che si staccano dal marxismo. Una congiura militare è blanquismo se essa non è organizzata dal partito di una classe determinata; se coloro che l’organizzano non hanno valutato giustamente il momento politico in generale e la situazione internazionale in particolare; se il partito non ha la simpatia, dimostrata concretamente, della maggioranza del popolo; se lo sviluppo degli avvenimenti rivoluzionari non ha condotto alla distruzione pratica delle illusioni conciliatrici della piccola borghesia; se non si è conquistata la maggioranza degli organi – del genere dei Soviet – riconosciuti "muniti di pieni poteri" o diversamente considerati tali per la lotta rivoluzionaria; se non vi è nell’esercito (nel caso che gli avvenimenti si svolgano in tempo di guerra) uno stato d’animo completamente maturo di ostilità contro un governo che prolunga una guerra ingiusta, contro la volontà del popolo; se le parole d’ordine dell’insurrezione (come "tutto il potere ai Soviet", "la terra ai contadini", "proposta immediata di una pace democratica a tutti i popoli belligeranti", "annullamento immediato di tutti i trattati segreti", "abolizione della diplomazia segreta", etc.) non hanno la più larga diffusione e la massima popolarità; se gli operai avanzati non sono convinti della situazione disperata delle masse e sicuri dell’appoggio delle campagne, appoggio dimostrato da un importante movimento contadino o da un’insurrezione contro i grandi proprietari fondiari e contro il governo che li difende; se la situazione economica del paese permette seriamente di sperare in una soluzione favorevole della crisi con i mezzi pacifici e parlamentari.
     «Non vi pare che basti?
     «Nel mio opuscolo "I bolscevichi conserveranno il potere statale?" (che uscirà, spero, in questi giorni) ho citato un brano di Marx che si riferisce effettivamente alla questione dell’insurrezione e stabilisce norme dell’insurrezione considerata come un’arte.
     «Sono pronto a scommettere che se s’invitano i chiacchieroni, che oggi gridano contro la congiura militare, ad aprire la bocca per spiegare la differenza tra "l’arte" dell’insurrezione armata e una condannabile congiura militare, o ripeteranno ciò che si è detto sopra o si copriranno di vergogna e faranno ridere tutti gli operai. Provateci un po’, carissimi pseudo-marxisti! Cantateci una canzonetta contro la congiura militare» (Lenin, XXVI, pagg. 197-198).
Nello stesso giorno della stesura di questa lettera Lenin viene a conoscenza del gravissimo atto compiuto da Kamenev e da Zinoviev. Questi sono talmente convinti dell’errore che il partito sta per compiere che arrivano a compiere un atto di pura e semplice delazione. Fanno pubblicare infatti da un giornale di tendenza menscevica, Novaia Gizn, un loro documento contro la preparazione immediata dell’insurrezione militare, dove si accusa la maggioranza del C.C. del partito bolscevico di aver già deciso la data dell’insurrezione senza aspettare la riunione del Congresso dei Soviet.

Il giorno dopo, il 18 ottobre, Lenin scrive ancora al C.C. chiedendo con decisione l’espulsione dal partito dei due "crumiri". La situazione è così commentata: "Momento difficile. Compito arduo. Tradimento grave". L’indomani Lenin scrive ancora una lettera al C.C. dicendo che, anche se ormai l’insurrezione è rimandata di parecchio tempo a causa dei due "crumiri", non si deve rinunciare alla preparazione pratica e tecnica perché "il proletariato deve vincere". Nel frattempo, "anche se non mi è facile scrivere questo per compagni che mi furono molto vicini", è necessario espellere i "due crumiri" dal Partito, per rimediare, nel migliore dei modi, al danno che hanno causato soprattutto nella coscienza delle masse. Tali lettere, secondo quanto indicato da Lenin stesso, non dovevano essere pubblicate e non fu evidentemente un caso se lo furono solo nel 1927, in piena offensiva stalinista. La questione dell’espulsione di Kamenev e di Zinoviev, che mai il C.C. aveva accettato, si sbloccherà con le possibilità di vittoria che si apriranno la settimana successiva: durante le operazioni militari contro il governo i due "crumiri" faranno pienamente il loro dovere.

Lenin scrive una nuova lettera al C.C. il 24 ottobre e la stessa sera del 24 giunge allo Smolny, quartier generale del Partito, per partecipare direttamente alle operazioni militari, ormai decise, e che si svolgono molto più facilmente del previsto. Ancora una volta, nella lettera, Lenin pone la questione formale di "chi deve prendere il potere?". È indifferente: lo prenda pure il Comitato Rivoluzionario, organo del Soviet di Pietrogrado, che dichiari di essere disposto a consegnarlo "ai veri rappresentanti degli interessi del popolo".

Non è un caso però che Lenin non dica "ai delegati del secondo Congresso Panrusso dei Soviet" che doveva riunirsi il giorno dopo. Infatti i veri rappresentanti degli interessi del popolo potevano essere i delegati al secondo congresso dei Soviet, come poi fu, ma potevano anche non esserlo; e lo furono solo perché nella loro maggioranza accettarono un governo formato di soli bolscevichi. È l’anticipazione della dispersione dell’Assemblea Costituente.

Il significato di questi avvenimenti è tutto di segno socialista e

     «consacra il nome di socialista e di comunista alla rivoluzione di Ottobre e allo Stato dei Soviet diretti dal partito bolscevico» (Struttura),
anche se lo Stato che si dovette fondare – e non poteva essere diversamente – si basava su due classi, la classe proletaria e la classe contadina, come ampiamente previsto dalla dottrina. Non vi é contraddizione in ciò, poiché il passo oltre la dittatura democratica rivoluzionaria degli operai e dei contadini, la "generosa Russia", lo poteva fare solo in concomitanza con la rivoluzione socialista europea. Fu questa che mancò e che permise il successivo imbastardimento dei postulati di Ottobre. Si potrebbe portare il quesito del perché quest’ultima mancò e niente abbiamo da aggiungere a quanto detto vent’anni fa:
     «Vogliamo notare che, anche se non mancarono alcuni episodi di internazionalismo proletario che fermarono o ritardarono non poche delle imprese dell’intervento borghese e straniero nella socialista Russia, troppa sproporzione corse tra la parte del carico che ricadde sull’esercito interno della rivoluzione e quello che fu l’aiuto dei proletari esteri e la lotta di: giù le mani dalla Russia!, che meglio sarebbe stata al grido: giù la borghesia dal potere, fuori dalla Russia! Non poco questo enorme consumo di forze in una lotta feroce per la vita o per la morte, ove ad ogni atto tutta la posta era in gioco, si ripercosse sulle debolezze della strategia esterna dei partiti, sulla non facilmente spiegabile fragilità con la quale il bolscevismo, forte di una tradizione di fermezza senza pari, lasciò poi, e sia pure dopo l’immolazione di una parte notevolissima della sua grande milizia, imbastardire i cardini programmatici del marxismo e della rivoluzione, bassamente barare sul valore delle forme sociali, e finalmente imperversare la degenerazione paurosa che si svolse sulla parola insensata della costruzione del Socialismo della sola Russia.
     «Tutto quello che il proletariato russo e il partito russo potevano fare da soli, alla data della vittoria civile nel 1920-21 era fatto. E tutto quanto dare si poteva era stato dato. L’avvento del socialismo esigeva la scesa in campo del proletariato internazionale. A questo non fu data la consegna, che si seppe dare all’Esercito Rosso, fin dalla difficilissima e tormentata fase della sua formazione. Andare allo stesso titolo contro tutti i nemici, e tutti tentare senza discriminazioni ruffiane di trafiggere al cuore.
     «Come questa doppia posizione si spiega? Imbroccata sul terreno militare, e sbaglio di manovra su quello politico ed estero? Sarebbe cosa banale. Non sono capi, dirigenti, governi e partiti che hanno nelle mani simili scelte. È la forza della storia stessa che li determina a prendere le posizioni che sorgono dai rapporti fisici della sottostruttura. In Russia la fase rivoluzionaria era matura per urgere in breve ciclo di forze nuove e disgregarsi di morte forme; fuori in Europa la situazione era falsamente rivoluzionaria e lo schieramento non fu decisivo, l’incertezza e mutevolezza di atteggiamento fu effetto e non causa della deflessione della storica curva del potenziale di classe.
     «Se errore vi fu e se di errore di uomini e di politici è sensato discorrere, esso non consistette nell’aver perduto autobus storici che si potevano agguantare, bensì nell’aver colto, nella lotta in Russia, la presenza della situazione suprema, nell’aver creduto in Europa di poterle sostituire l’effetto di illusionisti soggettivi abilismi, nel non aver avuto, da parte del movimento, la forza di dire che l’autobus del potere proletario in occidente non era passato e quindi era menzogna segnalare in arrivo quello dell’economia socialista in Russia. La storia per noi non la fanno gli Eroi, ma i Traditori nemmeno (...)
     «La storia non si fa, una volta ancora, ed è già saltuaria fortuna decifrarla; lasciamo che ogni giorno aumentino di una unità i fessi che ciò non intendono, e scussi scussi si mettano a farla loro, a colpi di solitario pollice. Anzi non se ne decifra nemmeno la via sicura, il che potrebbe concludere al fatalismo, che inorridisce l’impotente nato: se ne stabiliscono solo alcuni legami tra date condizioni e corrispondenti sviluppi. Non si era in un periodo analogo di fremiti storici nell’Europa centro-occidentale in quegli anni e nei successivi: si andò a tentoni, si sbandò più volte e alla fine, come l’organismo di Lenin cedette dopo aver dato tutto (il confronto è solo di valore didattico), cedette quello del partito Russo, e il comunismo internazionale andò alla deriva.
     «Per chiarire il concetto sul divario tra i due ambienti (aree dicemmo talvolta) e i due tempi, o fasi, ci consentiremo di ricorrere ad un’immagine fisica, e diremo che nella Russia del periodo di guerra civile non si sbagliò la direzione di puntamento delle artiglierie perché nei periodi vitali per la rivoluzione l’atmosfera storica è ionizzata. Ogni umana molecola si orienta necessariamente, automaticamente, non deve faticare a scegliere posizioni (...) La rivoluzione comunista può solo vincere quando, polarizzata da forze nuove questa morta atmosfera che oggi ci soffoca, dispersa la bestemmia scientifica dell’indifferente vile coesistere tra poli nemici, tutto il mondo capitalista sarà ionizzato nella fase rivoluzionaria futura, e due soli scioglimenti si porranno davanti alla lotta suprema» (Struttura).

 
 
 
 

DOPO LA PRESA DEL POTERE
 

Nel rapporto precedente si sono viste le questioni tattiche più rilevanti collegate all’insurrezione per la conquista del potere, ora vedremo le questioni immediate che il Partito deve risolvere all’indomani della vittoria ai fini della difesa e del consolidamento del potere dello Stato proletario. Anche a questo proposito ci varremo dell’esperienza vissuta dal Partito Bolscevico all’indomani dell’Ottobre, non per fare della storiografia ma perché rappresenta un punto di riferimento fondamentale. I gravosi compiti che seppe affrontare, al di là di alcuni aspetti della situazione specifica Russa, ridefiniscono i compiti permanenti del Partito in tale delicata materia, presupposto anche per una precisazione sempre più approssimata dei suoi compiti attuali, sì quantitativamente ridotti rispetto a quelli futuri ma non ad essi contraddittori.

Proprio dai compiti che si porranno al Partito all’indomani della conquista del potere risalta in tutta la sua importanza la nostra tesi che l’attività del Partito stesso non è mai limitata ad un solo aspetto della sua molteplice funzione. Non ci sono compartimenti stagni nello sforzo per la riconquista di un legame duraturo ed organico con la classe, anche se ogni aspetto dell’attività del Partito – teoria, propaganda, agitazione, proselitismo, partecipazione alle lotte economiche ed organizzazione degli operai – ha i suoi tempi, le sue modalità, le sue gradazioni d’intensità. Non in ogni situazione è ugualmente possibile svolgere un lavoro di organizzazione della lotta e, ad esempio, di propaganda teorica e di proselitismo: ci sono situazioni in cui si può fare l’una ovvero l’altra cosa al 90%, ma l’importante è non dimenticare che in principio tutti questi sono aspetti dell’univoca funzione del Partito. Tale unicità vale in ogni situazione, anche nella situazione odierna, proprio per collegare il piccolo lavoro di oggi ai grandi compiti di domani. Questi imporranno al partito di guidare talvolta la classe in direzioni apparentemente contraddittorie in tempi forse brevissimi. L’apparenza della contraddittorietà e la realtà della consequenzialità deve essere ben chiara a parti notevoli del proletariato e lo sarà nella misura del suo legame con il partito.

Il partito dovrà guidare le masse proletarie alla conquista del potere sulla base di una piattaforma di rivendicazioni economiche, che lo Stato borghese mai potrebbe soddisfare, ma che, una volta conquistato il potere, nemmeno lo Stato proletario è detto che possa essere in grado di fare. Ogni autentico processo rivoluzionario deve coinvolgere decine di milioni di uomini che, in ultima analisi, lo sono per un interesse immediato; ma il problema centrale, dopo la conquista del potere, diventa prevalentemente politico, cioè di difesa e di rafforzamento del potere conquistato.

Come è noto, il governo bolscevico non riuscì ad ottenere immediatamente nemmeno la pace, rivendicazione fondamentale che aveva permesso al Partito bolscevico di acquistare quella profonda influenza tra le masse russe che abbiamo visto. Infatti il governo era sì deciso a firmare ad ogni costo la pace con i tedeschi, anche contro l’opinione dei sinistri favorevoli alla “guerra rivoluzionaria”, in quanto il disfattismo contro la guerra imperialista era a fondamento del programma del partito e la promessa della pace subito era stata una discriminante nella lotta anti-Kerensky. Ma ciò che neanche il Partito bolscevico poteva prevedere prima della conquista del potere era la resistenza dei tedeschi alla firma della pace. Perciò e solo per questo motivo il governo sovietico fu costretto a dichiarare che "la patria socialista è in pericolo" e a prendere delle misure radicali adatte alla sua difesa.

Prima della presa del potere il Partito agitava la parola "nessun sacrificio per la nazione, pace immediata"; dopo la conquista del potere si dovette diventare "difesisti" e fare quegli stessi sacrifici e magari anche di più di quelli prima negati. Questo è un indicativo esempio delle difficoltà che dovrà affrontare la Rivoluzione e, certamente, non si può pensare di superarla facilmente senza un legame veramente profondo, politico, del Partito con la classe rivoluzionaria.

     «Ogni vera rivoluzione – dice Lenin – è il processo incredibilmente complicato e doloroso dell’agonia del vecchio regime e della nascita di un nuovo ordine sociale nel quale si organizza la vita di decine di milioni di uomini» (Op., XXVI, pag.104).
Di fronte alla complessità di tali compiti non è pensabile dunque che il rapporto partito-classe sia basato esclusivamente sulle necessità economiche della classe rivoluzionaria; la direzione del Partito, e solamente del Partito, sulla classe è indispensabile per assicurare la vittoria definitiva. Già prima della vittoria di Ottobre Lenin aveva risposto con l’opuscolo I bolscevichi conserveranno il potere statale? alla polemica di chi riteneva inadeguato il Partito e solo il Partito alla complessità dei compiti di organizzazione successivi alla conquista del potere. Ed anche oggi tale polemica è argomento principe di ogni avversario del Comunismo, che tende addirittura a sfottere chi continua a ritenere il mostro dello Stato capitalistico suscettibile di essere sconfitto e distrutto. Si portano a sostegno delle tesi sulle "novità" che caratterizzerebbero lo Stato attuale nei confronti dello Stato ottocentesco, "i grandi passi in avanti" fatti dalla scienza e dalla tecnica: oggi il vecchio assunto dell’opposizione di classe borghesia-proletariato sarebbe appunto antiquato ed andrebbe riveduto secondo le mille salse in circolazione. Noi, "talmudici" come sempre, lasciamo parlare Lenin:
     «Il proletariato "non potrà impadronirsi tecnicamente dell’apparato statale". Questo è indubbiamente l’argomento più diffuso, più abituale. E appunto per questo, ed anche perché si riferisce ad uno dei compiti più seri, più difficili che il proletariato vittorioso dovrà affrontare, esso merita le massima attenzione. Questi compiti sono incontestabilmente molto difficili, ma se noi, mentre ci diciamo socialisti, ne segnaliamo la difficoltà soltanto per sottrarci al loro adempimento, in pratica non ci differenziamo affatto dai servi della borghesia. La difficoltà dei compiti della rivoluzione proletaria deve incitare i sostenitori del proletariato a uno studio ancora più meticoloso, ancora più concreto dei mezzi per adempirli.
     «Per apparato statale si intende innanzi tutto l’esercito permanente, la polizia, la burocrazia. Dicendo che il proletariato non sarà in grado, tecnicamente, di impadronirsi di questo apparato, gli scrittori della Novaia Gizn manifestano la più crassa ignoranza [e gli "intellettuali" moderni non sono certamente da meno!] e il proposito di non tenere conto né dei fatti della vita né delle pubblicazioni bolsceviche (...)
     «Il proletariato, si dice, non è in grado di "impadronirsi" dell’apparato statale, né di metterlo "in movimento". Ma esso può spezzare tutto ciò che vi è di oppressivo, di consuetudinario, di irrimediabilmente borghese nel vecchio apparato statale e sostituirlo con un proprio nuovo apparato (...)
     «Passiamo a un altro aspetto della questione dell’apparato statale. Oltre all’apparato essenzialmente oppressivo, che consiste nell’esercito permanente, nella polizia, nella burocrazia, esiste nello Stato moderno un apparato, legato in modo particolarmente saldo alle banche e ai trust, che svolge, se così si può dire, un vasto lavoro di statistica e di registrazione. Non è necessario spezzare quest’apparato e non si deve spezzarlo. Bisogna strapparlo al dominio dei capitalisti, bisogna staccare, tagliare, strappare da esso i capitalisti e i fili della loro influenza, bisogna subordinarlo ai Soviet proletari, estenderlo, svilupparlo, farne una cosa di tutto il popolo. E si può giungere a questo basandosi sulle conquiste già compiute dal grande capitalismo (...) Il capitalismo ha creato apparati di controllo come le banche, i cartelli, la posta, le cooperative di consumo, le associazioni di impiegati. Senza le grandi banche il socialismo sarebbe irrealizzabile (...)
     «Sesto ed ultimo argomento: il proletariato non potrà resistere a tutta la pressione delle forze avversarie, le quali spazzeranno via, non soltanto la dittatura del proletariato, ma per giunta anche tutta la rivoluzione.
     «Non ci impaurite, signori, non ci spaventate (...) Quando anche l’ultimo dei manovali, qualunque disoccupato, qualunque cuoca, qualunque contadino rovinato, vedrà non attraverso i giornali, ma con i propri occhi, che il potere proletario non si inchina dinanzi alla ricchezza ma si occupa esclusivamente di aiutare i poveri, non indietreggia dinanzi alle misure rivoluzionarie, toglie ai parassiti i prodotti superflui per darli agli affamati, introduce con forza i senza tetto negli appartamenti dei ricchi, obbliga i ricchi a pagare il latte ma non ne dà loro una goccia prima che i fanciulli di tutte le famiglie povere ne siano provvisti a sufficienza, dà la terra ai lavoratori, mette le fabbriche e le banche sotto il controllo degli operai, punisce immediatamente e severamente i milionari che nascondono le loro ricchezze, quando i poveri vedranno e sentiranno tutto questo, nessuna forza dei capitalisti e dei kulak, nessuna potenza del capitale finanziario mondiale con le sue centinaia di miliardi potrà vincere la rivoluzione mondiale. Al contrario, essa vincerà il mondo intero perché in tutti i paesi matura la rivoluzione socialista» (Lenin, XXVI, pag. 87-112).
Anche Trotzki è costretto a rispondere alla stessa polemica:
     «Alcuni ci dicono: "a che vi serve il potere se non avete imparato a servirvene?". Impareremo è la risposta lapidaria e laconica; e, nel frattempo, sarà necessario che i lavoratori caccino dalle loro organizzazioni coloro che sostengono che i lavoratori non debbono conquistare il potere perché non avrebbero le capacità necessarie per gestirlo: costoro sono agenti della borghesia.
     «Alcuni ci dicono: "a che vi serve il potere se prima non avete imparato a servirvene?" Noi rispondiamo a questi ingenui: come avremmo potuto imparare il mestiere di falegname, senza aver mai avuto in mano un utensile di falegnameria? Per imparare a dirigere un paese bisogna prenderne in mano la direzione, bisogna avere il potere di Stato (...)
     «Non è evidente che le persone che dicono: "non si deve prendere il potere", sono in fondo, i difensori degli interessi della borghesia? Predicano: "la classe operaia non deve prendere il potere; è il diritto sacro ed ereditario della classe borghese ed istruita; hanno il capitale, le università, hanno la scienza, le biblioteche – ed hanno anche il potere di Stato; e i lavoratori, le masse operaie devono prima istruirsi". Ma istruirsi dove? Nell’officina, nella fabbrica, durante i lavori forzati quotidiani? No signori, scusatemi! La galera delle officine e delle fabbriche ci hanno appunto insegnato che eravamo obbligati a prendere in mano il potere. È là che l’abbiamo imparato, e con convinzione. E questa è una conoscenza molto preziosa. È la scienza più preziosa!» (Trotzki, I compiti interni ed esteri del potere sovietico, conferenza tenuta a Mosca il 21 aprile 1918 pubblicata in Scritti militari).
Anche nelle lotte che oggi il Partito può condurre è importante la polemica contro chi (e sono in molti, direttamente o indirettamente) lascia intendere che gli operai da soli non sarebbero capaci di mandare avanti la macchina sociale ed economica. Se ancora non possiamo rispondere come Trotzki, dobbiamo però decisamente affermare che si deve avere la massima fiducia nella capacità della classe operaia di organizzare una vita sicuramente migliore dell’attuale – per i proletari beninteso – perché certamente la spinta essenziale che muoverà le masse operaie a combattere sarà la convinzione profonda, generata da necessità economiche impellenti ed irrinunciabili, che in nessun modo lo Stato capitalistico potrebbe assicurare il minimo indispensabile per sopravvivere.
 
 
 

LE MISURE IMMEDIATE DEL GOVERNO SOVIETICO
 

Ci occuperemo naturalmente di quelle misure che interessano in particolar modo le questioni che andiamo trattando, cioè quelle che hanno un riferimento militare dello Stato della dittatura proletaria.

La Rivoluzione si era conclusa in maniera incruenta. Ma dopo la vittoria dell’insurrezione del 25 Ottobre Kerensky non aveva rinunciato ad organizzare la resistenza militare al nuovo governo, alleandosi con tutta naturalezza con Kornilov. Così fin dai primi giorni successivi all’Ottobre di primaria importanza è la questione militare, come certamente lo sarà in ogni rivoluzione proletaria: il compito primario ed immediato sarà quello di difendere il potere conquistato contro nemici interni ed esterni ed a tale scopo andranno subordinate tutte le risorse. Di fronte ai primi problemi che in questo senso deve affrontare il nuovo governo, a più riprese Lenin afferma che il compito da non dimenticare nemmeno un istante è l’armamento generale del popolo e la soppressione dell’esercito permanente, che era stato uno dei punti essenziali dell’agitazione precedente e che la necessità immediata di resistenza agli eserciti interni ed esterni imporrà di integrare con la creazione dell’Armata Rossa.

Altre misure urgenti ed importanti furono prese con un decreto redatto da Lenin stesso tra l’8 e il 13 novembre: innanzi tutto l’istituzione del controllo operaio. Qui si chiariscono abbastanza bene i rapporti tra il potere centrale dello Stato proletario e gli organismi operai di gestione delle aziende: si stabilisce infatti che (naturalmente per quelle aziende di importanza nazionale) per eventuali disordini e per eventuali ammanchi fossero considerati responsabili allo stesso titolo sia i proprietari, che potranno continuare a svolgere funzioni tecniche e consultive, sia i rappresentanti degli operai, che possono essere condannati perfino a 5 anni di reclusione! Altro che preminenza degli organismi di base! È vero che il potere proletario darà la possibilità agli organismi operai di fabbrica di esautorare totalmente il potere del proprietario, ma con un rapporto con lo Stato centrale di totale subordinazione.

Le altre misure economiche più importanti prese all’indomani della vittoria dell’insurrezione dovevano evidentemente tener conto della struttura economica arretrata: per esempio il decreto sulla nazionalizzazione delle banche e delle società per azioni del dicembre 1917 continuava a garantire gli interessi dei piccoli possessori di azioni e di obbligazioni, anche se obbligava i Consigli di amministrazione a presentare ai Soviet addirittura settimanalmente i rendiconti delle loro attività. Infine, oltre alla nazionalizzazione delle banche e della terra, furono confiscate le fabbriche di importanza nazionale, fu istituito il Consiglio Supremo dell’Economia Nazionale con lo scopo di centralizzare al massimo ogni attività e decisione.

In definitiva lo Stato proletario diretto dal partito lavorò nel periodo immediatamente successivo alla conquista del potere in due direzioni: 1) Instaurazione della più ferrea disciplina del lavoro; 2) Creazione dei quadri dirigenti dell’Armata Rossa. Per quanto riguarda questo secondo compito, di importanza assolutamente primaria, non vanno confuse due questioni, connesse ma distinte:
     - Un conto è la creazione del nucleo direttivo dell’Armata Rossa, che conosca tutte le tecniche militari, che sia in grado di opporsi ad ogni esercito straniero od interno, ed a questo scopo possono essere utilizzati anche gli ufficiali dell’esercito contro il quale la Rivoluzione ha combattuto e vinto, come furono utilizzati gli ufficiali ex-zaristi in Russia;
     - Un altro conto è la garanzia militare del potere rivoluzionario, che è affidata esclusivamente all’intero popolo lavoratore armato (in condizione di rivoluzione non doppia, ma diretta, sarà affidata all’intero proletariato armato): dunque l’Armata Rossa non si sovrappone al popolo (o al proletariato) armato, ma è un suo organo che svolge una precisa e specifica funzione: quella della difesa militare. È il problema affrontato dopo l’Ottobre in particolar modo da Trotzki:

     «Nello stesso tempo stiamo formando i quadri dell’Armata Rossa. Questi quadri non sono numerosi, sono, per così dire, l’ossatura dell’Armata Rossa. Ma l’armata, oggi, non è costituita dalle decine di migliaia di soldati dell’Armata Rossa che sono sotto le armi e hanno bisogno di disciplina e di istruzione. L’Armata è l’intero popolo lavoratore, sono le immense riserve di operai nelle città e nelle officine, dei contadini nei villaggi, che si stanno preparando. E quando un nuovo pericolo controrivoluzionario o un attacco imperialista ci minaccerà, l’ossatura dei quadri si dovrà di colpo coprire con la carne delle masse, vale a dire con le riserve di operai e contadini esercitati nell’arte militare. Perciò da una parte creiamo l’Armata Rossa e dall’altra stabiliamo l’istruzione militare per tutti gli operai e contadini che non sfruttano il lavoro altrui. Siamo costretti a fare una restrizione. Non daremo fucili ai borghesi».
Nella prefazione agli Scritti militari Trotzki mette in evidenza come la logica inerente alla creazione dell’Armata Rossa, in una condizione di assoluta necessità di far presto, con l’esercito tedesco a due passi e che non voleva firmare la pace, fosse stata la "mancanza di esitazione" e come questa logica fosse stata insieme la forza e la debolezza dell’organismo creato: la forza in quanto solo così fu possibile superare le innumerevoli difficoltà, la debolezza in quanto molte decisioni furono certamente prese affrettatamente e si fecero degli errori. «Niente si fa senza errori, e soprattutto una rivoluzione. Tuttavia è bene cercare di ridurli al minimo».

La guerra e la disfatta dell’esercito zarista russo erano stati fattori determinanti della vittoria della rivoluzione, ma ora urgeva ricostruire un esercito: all’epoca di Brest-Litovsk l’esercito russo era veramente inesistente. All’inizio si ricorse al volontariato, ma si ebbero risultati poco soddisfacenti. Fu l’offensiva tedesca a convincere anche molti contadini, che magari poco tempo prima avevano abbandonato l’esercito zarista per tornare alle loro terre, della necessità di ricostruire un apparato difensivo efficiente. Fu fin dal quel momento che si verificò nella struttura del potere sovietico questa ambivalenza: per i contadini (medi, piccoli, poveri) – la maggioranza della popolazione russa con caratteristiche di classe borghesi o comunque piccolo-borghesi – si trattava di difendere la patria, cioè i loro piccoli o meno piccoli appezzamenti di terreno, e poco importava se era la patria di Kerensky o di Lenin (magari verso la patria di Lenin soprattutto i contadini poveri erano più riconoscenti in quanto aveva attuato quelle misure che Kerensky aveva solo promesso); per il potere bolscevico si trattava di difendere il potere politico del proletariato russo e si doveva utilizzare anche l’alleato contadino in attesa della vittoria proletaria in Europa.

È facile capire che la sostanza sociale e di classe dello stalinismo consisterà semplicemente nello sviluppare il primo processo, dovendo per necessità di cose barare con fraseologia socialista, trasformando così quello che era stato il punto più avanzato (rispetto alla stessa Europa) dello schieramento rivoluzionario – la conquista dello Stato dei Soviet – nell’aspetto peculiare che assumerà la controrivoluzione, sempre alla scala europea e mondiale. Ecco perché lo stalinismo non fu, come non è, semplicemente la nuova e magari più fetente forma di opportunismo in campo operaio, ma fu ed è anche il boia internazionale del proletariato e del comunismo.

Nella difficilissima opera di creazione dell’Armata Rossa, come del resto anche per ogni questione di organizzazione della società e dell’economia, si dovette lottare soprattutto contro gli elementi anarchici piccolo-borghesi che erano contro ogni centralizzazione, contro l’ordine e la disciplina, per la guerriglia partigiana e per il federalismo. In diverse occasioni tali posizioni anticomuniste affiorarono anche all’interno del Partito Bolscevico. I metodi anarchici erano possibili alleati nell’epoca disfattista, ma erano nefasti nell’epoca in cui si doveva costruire un esercito efficiente.

     «L’armata rossa si creava dall’alto, secondo i principi della Dittatura Proletaria. Il personale di comando era scelto e controllato dagli organi del potere sovietico e del Partito Comunista» (Trotzki).
Ebbe una importanza determinante l’istituzione dei Commissari Politici. Essi dovevano affiancare il comandante (molte volte un ex-ufficiale zarista) nella direzione militare. I commissari politici erano direttamente rappresentanti del potere sovietico e – senza impedire l’istruzione tecnica affidata al comandante – dovevano sorvegliare e garantire che non si agisse mai contro gli interessi generali della Rivoluzione. Tali Commissari Politici furono reclutati soprattutto tra gli operai rivoluzionari e bolscevichi di Pietroburgo e di Mosca: moltissimi morirono al loro posto (e questo spiega anche la facilità con cui lo stalinismo poté avere ragione del solido partito bolscevico) ma resero possibile il consolidamento dell’Armata Rossa, artefice prima della vittoria del Potere Sovietico durante gli anni difficili della guerra civile ed esterna.
 
 
 

INSOSTITUIBILE FUNZIONE DEL PARTITO
 

Lo Stato della Dittatura Proletaria dovrà essere caratterizzato dunque dalla esclusione dei non-proletari da ogni partecipazione all’attività politica: è questa la discriminante. Nemmeno il Sindacato, anche se importantissimo strumento di lotta rivoluzionaria, può considerarsi vero e proprio organo di classe: dipende infatti dalla sua direzione politica se sarà al servizio degli interessi proletari o no. L’unico organo della classe proletaria è il partito. L’argomento è stato affrontato più volte dalla Sinistra. È estremamente significativo un articolo del Soviet, giugno 1919, nel periodo quindi di maggiore energia rivoluzionaria della classe operaia italiana:

«Un fascio delle forze sindacali del proletariato al di fuori dei dissensi politici sarebbe un fattore di nessuna efficacia rivoluzionaria, perché la dinamica della rivoluzione sociale esorbita dai limiti del sindacato professionale (...). Specie nei momenti di convulsione sociale, l’uomo fa valere con la sua azione politica i suoi interessi non quale membro di una categoria di produttori, ma di una classe sociale (...) Non le confederazioni di organizzazioni di mestiere, ma i partiti socialisti comprendono dunque e rappresentano l’insieme di interessi e di tendenze storiche della classe lavoratrice (...) Il proletario non è il produttore che esercita dati mestieri, ma è l’individuo contraddistinto dal nessun possesso degli strumenti di produzione e dalla necessità di vendere per vivere l’opera propria. Potremmo anche avere un operaio regolarmente organizzato nella sua categoria, che sia contemporaneamente un piccolo proprietario agrario o capitalista; e questi non sarebbe più un membro della classe proletaria». ("L’errore dell’unità proletaria", Il Soviet, 1 giugno 1919).
Da ciò si deve dedurre non che il partito debba estraniarsi dalle organizzazioni sindacali, ma la conferma che debba essere esso partito di classe alla guida delle organizzazioni economiche perché queste possano acquistare la caratteristica di effettivi strumenti rivoluzionari. Abbiamo sempre affermato infatti che mai i sindacati potranno svolgere una funzione rivoluzionaria di per sé, ma diverranno dei potenti strumenti rivoluzionari quando saranno assoggettati alla guida politica del partito. Se da un lato l’unica organizzazione di classe e per la classe è il Partito, non se ne deve concludere che oggi non abbia senso che il Partito sia impegnato con tutte le sue forze a far rinascere un’organizzazione economica di classe.

Non dobbiamo dimenticare nessuna delle due tesi di Partito: 1) nemmeno le più estese lotte di classe, condotte perfino da sindacati classisti ma senza la direzione del partito, potranno mai assicurare la vittoria rivoluzionaria del proletariato – e la storia è costellata di tali esempi; 2) è altrettanto vero che l’esistenza di un proletariato inquadrato in organizzazioni economiche di classe è premessa indispensabile perché il partito possa svolgere la sua funzione di direzione rivoluzionaria. Oggi, nell’assenza perfino di organizzazioni economiche di classe, la principale attività del Partito deve essere volta a favorirne la rinascita nella consapevolezza che, da un lato, ciò costituisce un minimo dal punto di vista della lotta finale rivoluzionaria, ma, dall’altro, costituisce un massimo per le condizioni generali di classe attuali.

Un’epoca di rivoluzione sociale si verifica quando in seno alla vecchia società si sprigiona un incontenibile antagonismo tra i produttori e i rapporti di produzione esistenti ed esiste una tendenza socialmente organizzata alla sistemazione in maniera radicalmente diversa di questi rapporti. La necessità della distruzione del vecchio Stato – indispensabile perché la rivoluzione possa avere esito positivo – verrà compresa proprio in relazione a questo scopo. Le forze economiche, compresse dai rapporti di proprietà e di produzione precedenti, si sprigioneranno dopo la vittoria della rivoluzione. Ma il compito fondamentale che si porrà al Partito ed al proletariato dopo la vittoria dovrà consistere nella organizzazione della lotta politica contro la resistenza borghese interna ed internazionale, se necessario anche a scapito anche dell’immediato sprigionarsi delle nuove forze economiche: compito particolarmente difficile dopo l’Ottobre, come abbiamo già visto.

Il carattere dello Stato che uscirà dalla vittoria della rivoluzione proletaria muterà radicalmente. Lo Stato proletario avrà, per primo nella storia, la coscienza delle leggi economiche e della storia perché la sua funzione sarà sì quella di spezzare le catene della dominazione capitalistica, non per creare qualche altra classe dominata ma per eliminare la necessità stessa dello Stato politico: avrà dunque una doppia configurazione, come dice la stessa espressione usata da Engels. Con la Rivoluzione comunista ogni precedente struttura burocratica e militare eretta in opposizione alla classe proletaria dovrà cadere per lasciare il posto ad una struttura ancora repressiva, verso la borghesia, ma che non si sovrapporrà alla stessa classe fisica proletaria, anche se ne dovrà combattere alcuni membri e non importa quanto grande ne sia il numero. È perciò che il pericolo maggiore, nel periodo immediatamente precedente l’insurrezione, consiste nella "confusione rivoluzionaria" che offusca agli occhi del proletariato il carattere esclusivo dello Stato Proletario, che viceversa deve apparire ben chiaro alla massa dei proletari nell’imminenza dell’azione rivoluzionaria. La confusione di programmi e di partiti "rivoluzionari" non può che giocare un ruolo controrivoluzionario. È quello che accadde nell’Italia del 1920 e solo la Sinistra ammonì il proletariato contro tale pericolo:

     «La rivoluzione in Italia si vuol farla in troppi. Si pretende di condurre a convergere su di un programma rivoluzionario, o piuttosto soltanto di azione insurrezionale, movimenti così disparati come sono gli anarchici, i sindacalisti, i massimalisti del Partito, i riformisti confederali e parlamentari (...) È la rivoluzione da operetta a base di personaggi e gesti sensazionali, adatti a soddisfare il senso retorico e melodrammatico degli italiani. Noi (...) ripetiamo cosa già molte volte detta affermando che le condizioni di successo rivoluzionario sono riposte non già negli affasciamenti e nella confusione, ma nella precisa delineazione e differenziazione dei partiti, dei programmi e dei metodi tattici» (Da "Vecchia Storia", Il Soviet, 1 febbraio 1920).
Il potere proletario avrà sia una sentita ed organica autorità tra le masse proletarie, attraverso la fiducia che il Partito avrà saputo conquistarsi con la sua totale coerenza di atteggiamenti in tutte le situazioni, sia un’adeguata efficienza per imporre il suo potere sulle altre classi, ed anche su quegli strati proletari che all’inizio della dittatura non intendessero la necessità di difendere e consolidare il potere proletario. Il carattere della milizia proletaria e della guerra civile condotta dal partito devono rispondere a queste complementari necessità.

La milizia proletaria si baserà su tutto il proletariato, tutto inteso non nel senso della sua maggioranza numerica, bensì nel senso di tutto il proletariato socialmente determinante, unificazione che solo un organo quale il partito comunista sarà in grado di compiere. Il partito comunista, ed anche la sua organizzazione militare, dovranno perciò conservare la loro specifica fisionomia ed autonomia, allo scopo di svolgere la funzione dirigente del proletariato e delle sue organizzazioni anche militari, il che non sarebbe possibile se l’organizzazione comunista fosse diluita in quelle economiche e militari della classe.

Tutto ciò è confermato anche dall’esperienza dell’Ottobre bolscevico. Dopo la vittoria dell’insurrezione infatti le maggiori difficoltà che si dovettero superare riguardarono il modo repentino con cui si dovette passare da un atteggiamento distruttivo del vecchio Stato ad uno costruttivo del nuovo.

I compiti da affrontare nell’imminenza della Rivoluzione e all’indomani della vittoria saranno immensi e potranno essere portati al successo solo da una classe proletaria sufficientemente numerosa ed organizzata, impiegata nei gangli vitali della produzione della ricchezza sociale, e diretta da un saldo partito comunista.
 
 
 

IL PERICOLO ANARCHICO
 

L’elemento anarchico dopo la conquista del potere diventa il più temibile nemico dello Stato proletario proprio perché è espressione di quei pregiudizi piccolo-borghesi che saranno i più difficili da sradicare anche dalla classe proletaria. I vari movimenti politici, anche sedicenti proletari, che stanno nel campo della piccola borghesia non hanno nessuna possibilità di identificare le loro aspirazioni con quelle del proletariato. Se tale divisione totale di prospettive si è potuta verificare già durante la rivoluzione russa, evidentemente a maggior ragione si dovrà verificare nell’occidente capitalistico.

È indicativa a tale proposito la situazione in Russia dopo la ripresa dell’offensiva tedesca a proposito della cosiddetta "guerra rivoluzionaria" sostenuta dalla piccola borghesia radicale, ma affiorante anche all’interno del Partito Bolscevico. Lenin dimostrò ampiamente che tale parola d’ordine era completamente divergente con quella della ritirata ordinata delle forze rivoluzionarie e che solo quest’ultima rappresentava le vere esigenze della Rivoluzione non solo russa, ma internazionale.

Nella Russia rivoluzionaria si dovette lottare, sul terreno ideologico ma soprattutto sul quello pratico, contro il pregiudizio anarchico della "introduzione del socialismo". La lotta contro tale pregiudizio non fu solo teorica, sugli organi di stampa, e dovette essere anche effettiva come a Kronstadt. Tuttavia, com’è costume dei comunisti, soprattutto se si tratta di forti componenti proletarie che sbagliano, come allora si trattava, Lenin scrisse un opuscolo il 7 gennaio 1918: Chi è spaventato del crollo del vecchio e chi lotta per il nuovo?, cercando di dimostrare la giustezza delle tesi di Partito. Tale opuscolo è rivolto infatti contro chi già allora rimproverava ai bolscevichi che, pur avendo preso il potere, non avevano ancora "introdotto il socialismo"!

     «È dalla lotta che germoglia il Socialismo – risponde Lenin – e la conquista del potere non è che uno degli strumenti – anche se essenziale – con cui, attraverso l’uso sistematico della violenza contro le classi sfruttatrici che continuano a sopravvivere per un lungo periodo di tempo, potrà svilupparsi un nuovo ordine sociale, il socialismo:
     «In sostanza, tutti questi borghesi atterriti, assordati, spaventati, insieme coi piccolo-borghesi e i servitori della borghesia, sono guidati, spesso senza averne coscienza, dalla vecchia idea sciocca, sentimentale, pseudointelletuale, della introduzione del socialismo, che essi hanno acquisito "per sentito dire", afferrando qua e là brandelli di dottrina socialista, ripetendo le deformazioni di questa dottrina compiute da ignoranti e pseudoscienziati, e attribuendo a noi marxisti, l’idea e perfino il piano di "introdurre" il socialismo.
     «A noi marxisti idee siffatte, per non parlare di piani, sono completamente estranee. Noi abbiamo sempre saputo, detto e ripetuto, che non si può introdurre il socialismo, che esso germoglia nel corso della lotta di classe e della guerra civile più intensa, più acuta, feroce e disperata, che tra il capitalismo e il socialismo c’è un lungo periodo di "doglie del parto", che la violenza è sempre la levatrice della vecchia società, che al periodo di transizione dalla società borghese alla società socialista corrisponde uno Stato particolare (cioè un sistema particolare di violenza organizzata verso una certa classe), e precisamente: la dittatura del proletariato (...).
     «In sostanza tutti questi clamori di intellettuali sulla repressione della resistenza dei capitalisti, non sono altro che un residuo del vecchio "conciliatorismo", per parlare "educatamente". Ma se vogliamo parlare con franchezza proletaria, bisognerà dire: continua il servilismo davanti al sacco di denari, ecco la sostanza dei clamori contro l’attuale violenza operaia impiegata (purtroppo ancora troppo debolmente e senza energia) contro la borghesia, contro i sabotatori e i controrivoluzionari (...)
     «Essi sarebbero pronti a riconoscere il socialismo se l’umanità saltasse fino ad esso subito, con un sol balzo di effetto, senza conflitti, senza lotta, senza strider di denti da parte degli sfruttatori, senza che questi compiano molteplici tentativi di salvare il vecchio regime o di restaurarlo surrettiziamente, in sordina, senza reiterate "risposte" della violenza proletaria rivoluzionaria a tali tentativi» (Lenin, XXVI, pag. 383-384).
Anche qui non si tratta di fatalismo o di soggezione alla spontaneità, ma di rigido materialismo deterministico: il socialismo non "si introduce" con un piano ma si sviluppa dopo la distruzione del potere borghese attraverso l’uso della violenza proletaria, violenza che può anche imporre un rigido piano per l’utilizzazione delle risorse economiche disponibili.

Il Partito dovrà affrontare i compiti più difficili dopo la conquista del potere, anche se quelli di oggi ci appaiono molte volte i più inestricabili a causa dell’inesistenza del minimo segno della ripresa della lotta di classe. Nell’Occidente europeo questo resta vero in generale, anche se qui sarà più difficile cominciare la lotta rivoluzionaria e più facile mantenere il potere, come più volte fatto osservare da Lenin e Trotzki: sarà così infatti rispetto alla Russia, ma non in assoluto.

Una delle maggiori difficoltà che dovrà affrontare il proletariato guidato dal Partito dopo la conquista del potere ha a che vedere con una sorta di mentalità indulgente e tendente a dimenticare i torti subiti, in genere caratteristica della classe proletaria. È vero che molte illusioni sulla facilità della trasformazione socialista della società capitalista il proletariato se le toglierà durante la lotta rivoluzionaria per la conquista del potere, destinata in occidente a durare più a lungo che in Russia. Il momento più pericoloso della rilassatezza, della tendenza al generale perdono si presenterà subito dopo la conquista del potere, quando a molti sembrerà di aver fatto il più, di aver già messo se non tutti e due i piedi, almeno uno e mezzo, nel socialismo, ricadendo così in una sorta di concezione anarchica del passaggio al socialismo. Già Marx ed Engels avevano ricordato (vedi L’ideologia tedesca) che la necessità dell’uso della violenza da parte dei proletari deriva sì dall’utilizzazione in senso inverso della violenza di parte borghese, ma anche dalla esigenza che avranno i proletari di levarsi di dosso tutti i luoghi comuni e tutte le inerzie accumulate durante il predominio secolare borghese.

Trotzki e Lenin lo sperimentarono nel vivo della Rivoluzione russa:

     «Certo, chi crede che abbiamo ottenuto tutto con la sola conquista del potere, non ha nessuna idea dei nostri compiti e delle strade da prendere per portarli a compimento. La storia non è una madre tenera e indulgente che protegge la classe operaia; è una matrigna cattiva che attraverso una esperienza sanguinosa insegna agli operai come raggiungere i loro scopi. Il mondo operaio è poco vendicativo, dimentica presto; non appena la lotta diventa un po’ più facile, non appena avanza di un passo, ha la sensazione che il più sia fatto; e diventa propenso alla generosità, alla passività, a voler interrompere il combattimento. Questa è la disgrazia dei lavoratori! (...) Non è del perdono generale predicato da Tolstoi che ha bisogno la classe operaia, ma di forgiarsi una volontà intransigente, di convincersi profondamente che senza una lotta per ogni passo, per ogni centimetro di strada che la condurrà verso un destino migliore, senza questa lotta continua, spietata, crudele, e senza l’organizzazione di questa lotta, non vi potrà essere né salvezza, né libertà». (Trotzki, I compiti interni ed esteri del potere sovietico, conferenza tenuta a Mosca il 21 aprile 1918).
Lenin è addirittura categorico nei confronti degli stessi compagni di partito:
    «Vi prego di porre all’ordine del giorno l’espulsione dal Partito di quei membri che, dovendo giudicare l’affare (2 maggio 1918) dei concussionari, convinti e confessi del loro crimine, si sono limitati ad infliggere una condanna di sei mesi di prigione. Infliggere ai concussionari condanne di una mitezza irrisoria, invece di fucilarli, è un atto vergognoso per un comunista e un rivoluzionario. Compagni di questa fatta debbono essere perseguiti dal tribunale dell’opinione pubblica ed espulsi dal Partito, perché il loro posto è accanto ai Kerensky e ai Martov, e non a fianco dei rivoluzionari comunisti» (Lenin, XXVII, pag. 291).
Il grosso rischio che corre la dittatura proletaria all’indomani della vittoria rivoluzionaria è quello di permettere alle forze borghesi di riorganizzarsi, giocando magari sul fatto che lo Stato proletario sarà costretto a chiedere ai proletari stessi enormi sacrifici. In tale situazione non è sufficiente votare delle buone risoluzioni, se ci si dimentica che per applicarle sono necessarie costrizione e dittatura.

Pensar di poterne farne a meno «è grossissima sciocchezza e ridicolissimo utopismo», secondo l’espressione di Lenin. La dittatura in ogni rivoluzione, e a maggior ragione nella rivoluzione socialista, è necessaria per due motivi:
     1) per schiacciare la resistenza degli sfruttatori che tenteranno di riconquistare il potere;
     2) perché, anche in assenza di una situazione di guerra tra Stati, la rivoluzione socialista è inconcepibile senza guerra civile. La borghesia troverà fertile appoggio tra i criminali comuni, che aumenteranno notevolmente in conseguenza della gravissima crisi che colpirà soprattutto la piccola-borghesia che nella sua resistenza allo Stato proletario troverà nell’ideologia anarchica la sua giustificazione:

     «È naturale che in una rivoluzione così profonda (quella socialista) tutti gli elementi di disgregazione della vecchia società inevitabilmente numerosi e collegati soprattutto alla piccola borghesia (...) non possono non manifestarsi. E questi elementi disgregatori non possono "manifestarsi" altrimenti che moltiplicando i delitti, gli atti di teppismo, la corruzione, la speculazione e altre malefatte di ogni genere. Per fare fronte a tutto questo ci vuole tempo e ci vuole un pugno di ferro. [Non si può non notare polemicamente ed ironicamente che oggi c’è chi pensa ad organizzare i criminali comuni come surrogato del proletariato addirittura nella lotta contro lo Stato capitalistico!]. Quanto più ci avviciniamo alla totale repressione armata della borghesia, tanto più pericoloso diviene per noi l’elemento anarchico piccolo-borghese. È la lotta contro questo elemento non va condotta solamente con la propaganda e l’agitazione, soltanto organizzando l’emulazione, soltanto con la selezione degli organizzatori: la lotta va condotta anche con la costrizione» (Lenin, XXVII, pag. 236-237).
Lenin in questo stesso cruciale periodo ribadisce che la previsione che la lotta contro gli sfruttatori non cesserà nemmeno dopo la conquista del potere è una delle differenze più importanti tra il socialismo scientifico e socialismo utopistico. Il socialismo non si instaura con la rivoluzione: «il mondo non è così bello».
 
 
 

NATURA DELLA DITTATURA PROLETARIA
 

Non sono tutti risolvibili a tavolino i problemi posti dalla trasformazione economica e sociale della società che inizia dopo la conquista del potere da parte del proletariato. "Tutto, dopo, sarà perfettamente organizzato e programmato". Non è vero. È necessario viceversa un periodo di tempo in cui le masse proletarie dovranno fare le loro esperienze e qualche volta anche i loro errori. La pianificazione delle attività umane, compresa la riproduzione della specie, senza la quale non si programma un bel nulla, sarà un punto di arrivo e non di partenza della lotta per il socialismo. Tale necessità non potrà essere semplicemente imposta alle masse proletarie; esse stesse dovranno comprenderla, come avranno dovuto comprendere dai fatti materiali la necessità dell’abbattimento violento dello Stato capitalistico. Il tempo necessario ai fini di tale acquisizione  – e naturalmente sarà determinante l’attività del Partito e dello Stato proletario – varia secondo l’ambiente socio-economico in cui il proletariato sarà pervenuto alla conquista del potere politico, ma non si deve credere che nemmeno nell’occidente supersviluppato tutte le attività economiche saranno perfettamente inquadrate e coordinate dal giorno successivo alla conquista del potere.

L’organizzazione armata del proletariato guidata dal Partito servirà alla conquista del potere politico, potere che da quel momento cambierà di segno. Mentre il potere politico in mano alla borghesia serve alle classi privilegiate a mantenere i loro privilegi e ad impedire ogni cambiamento in favore della classe proletaria, il potere politico proletario appoggerà decisamente ogni iniziativa tendente a demolire i rapporti capitalistici. Ma non potrà surrogare tali iniziative che dovranno partire dalla classe stessa.

Sarà così che anche i più umili rappresentanti della classe oppressa prenderanno coraggio quando constateranno che lo Stato è loro favorevole invece che contrario. È sarà allora che si sprigionerà quell’immensa forza che sarà indispensabile per poter trasformare radicalmente i rapporti sociali. Ce ne sarà bisogno per poter definitivamente spezzare la routine e l’altrettanto immensa forza d’inerzia che perpetua i rapporti umani che riproducono costantemente oppressi ed oppressori. Lo Stato della Dittatura proletaria dovrà fare ogni sforzo per favorire la partecipazione dell’attività politica delle masse proletarie anche più umili e favorire il loro coordinamento ai fini superiori del comunismo.
 
 
 

INSEGNAMENTI DELL’OTTOBRE
 

La Rivoluzione d’Ottobre, all’indomani della vittoria, aveva acquisito con successo due risultati: 1) quello dell’unione delle forze proletarie e contadine indispensabile per il rovesciamento del potere degli sfruttatori; 2) quello di risvegliare alla vita politica e sociale le masse più umili per il tramite dell’organizzazione sovietica.

Lenin insiste sulla necessità di lì in avanti di conquistare una terza tappa: quella del consolidamento dei risultati già acquisiti attraverso forme stabili di quotidiana disciplina del lavoro. Altro che "rifiuto del lavoro", come vanno cianciando i moderni movimenti di "fricchettoni", "indiani metropolitani" ed anche della cosiddetta area della "autonomia operaia"! Dopo la conquista del potere (ed in particolar modo immediatamente dopo la conquista del potere), lo Stato Proletario dovrà imporre a tutti, non esclusi gli operai stessi, una quotidiana disciplina del lavoro. Certo molti sprechi saranno spazzati via immediatamente, ma il nuovo Stato Proletario dovrà combattere sia contro la borghesia interna ed esterna, sia contro il disfacimento e l’abbrutimento secolare della stessa classe operaia. Si tratterà di combattere in maniera molto radicale contro la tendenza alla disorganizzazione piccolo-borghese,

«che in ogni e rivoluzione proletaria si manifesta inevitabilmente in maggiore o minore forma.
     «Chi può dirigere le masse lavoratrici sfruttate è solo una classe che marci senza esitazioni per la sua strada, che non si abbatta e non cada in preda alla disperazione nei punti di passaggio più difficili, duri e pericolosi. Non è di slanci isterici che abbiamo bisogno, ma dei passi misurati dei ferrei battaglioni del proletariato» (Lenin, XXVII, pag.248).
In un rapporto Sui compiti immediati del potere bolscevico fatto da Lenin alla seduta del C.E.C. del Soviet di tutte le Russie del 19 aprile 1918, in polemica coi sinistri contrari alla pace di Brest, si dice che l’unico motivo per cui la Rivoluzione d’Ottobre a quella data era ancora in piedi, in assenza della Rivoluzione europea, era la continuazione della lotta tra i briganti imperialisti. E ciò significa che Lenin pensava che, alla fine della guerra, se ancora continuava a mancare la Rivoluzione europea, difficilmente il potere sovietico avrebbe resistito:
     «I rapporti internazionali ci dicono nel modo più chiaro: il russo che pensasse, con le sole forze russe, di porsi il compito di rovesciare l’imperialismo internazionale, sarebbe un uomo uscito di senno. E fino a che la Rivoluzione non matura in Occidente, anche se matura oggi più rapidamente di ieri (era evidentemente la speranza sua e di molti), il nostro compito non può essere che questo: noi che siamo il reparto che si trova più avanti, nonostante la nostra debolezza, dobbiamo fare di tutto, sfruttare ogni occasione per mantenerci nelle posizioni conquistate (...) Fino a quando non avremo al nostro fianco il proletariato tedesco, francese, inglese insorto, fino ad allora, per quanto ciò possa rattristarci, per quanto ciò possa essere contrario alle tradizioni rivoluzionarie, la tattica è una sola: attendere, manovrare e ritirarsi» (Lenin, XXVII, pag.261).
Ciò che in Europa favorirà la continuazione della lotta proletaria, una volta iniziata, è la maggiore compattezza ed organizzazione del proletariato europeo rispetto a quello russo. Così dicevano e speravano Lenin e Trotzki. Oggi si può dire che non solo il proletariato europeo ha perso quel primato, ma ha perso perfino ogni organizzazione semplicemente di classe.

Naturalmente il ritardo della Rivoluzione europea rese ancora più difficile i compiti dello Stato proletario russo. Non per questo ciò era ragione sufficiente per disarmare, come nemmeno lo fu negli anni successivi della NEP e seguenti.

All’immediato era già difficilissimo realizzare il monopolio statale del grano, ma il Partito non disarma: dice che sarà necessario un lungo e difficilissimo lavoro di organizzazione che coinvolga le masse stesse e per il quale non sarà sufficiente il lavoro degli organizzatori ed agitatori bolscevichi.

Si trattava allora, e la questione si riproporrà sicuramente nelle rivoluzioni proletarie future, di affermare che il più diffuso pregiudizio da distruggere sarà l’abitudine anche dei milioni di proletari a risolvere i loro problemi in termini individuali e personali: tale abitudine secolare va e dovrà essere completamente rovesciata.

E lo potrà soltanto in un lungo periodo di tempo che vedrà i milioni di proletari imparare dalla loro stessa esperienza con l’aiuto, e la direzione soprattutto, dello Stato e del Partito Comunista. Si tratta di un periodo di tempo in cui dovrà radicalmente mutare anche la coscienza individuale di milioni di proletari. Non sarà sufficiente per risolverlo solo la forza organizzata dello Stato proletario, che potrà confiscare e, se necessario, fucilare coloro che si oppongono agli ordini dello Stato – sarà necessaria anche una lunga opera di maturazione dei proletari stessi attraverso la loro stessa esperienza, per ottenere la fiducia e collaborazione reciproca di tutti i lavoratori, premessa indispensabile del socialismo.