Partito Comunista Internazionale Stampa in lingua italiana

 

Comunismo e centralismo organico
(Comunismo, n. 13, settembre-dicembre 1983









 Con questo lavoro vogliamo dimostrare la ragione per la quale il centralismo organico è un principio del comunismo e non una mera formula organizzativa contingente passibile di modificazioni, o utilizzabile a momenti alterni a seconda dell’alternarsi della lotta di classe e della situazione interna o esterna al partito.

Il nostro centralismo organico si raccorda all’organicismo delle comunità primitive agli albori della storia umana, così come allo stesso centralismo organico che informerà tutto il processo evolutivo verso il comunismo dopo la conquista del potere politico da parte del proletariato, che si dispiegherà pienamente nel comunismo in quanto espressione della solidarietà umana – forza produttiva materiale questa e non ideale astratto – il cui ricordo si è tramandato nei millenni ed è nel programma rivoluzionario comunista.

Intendiamo dire che il centralismo organico esprime l’unitarietà della visione comunista, una visione d’insieme di tutta la specie umana dal suo sorgere al suo approdo comunista, a sua volta punto di partenza per ulteriori evoluzioni: una visione centralista ed unitaria del mondo in continuo divenire. È per questo che il centralismo organico non è stato fatto proprio dal partito storico ad un certo punto del percorso del movimento operaio e del suo partito formale come fatto esterno al suo programma, bensì è il movimento operaio che, attraverso i suoi partiti formali, in un susseguirsi di lotte e quindi di esperienze classiste e rivoluzionarie, si è appropriato del suo programma integrale, quindi anche del centralismo organico quale modo di essere del partito e della società comunista che il partito vuole affermare.

Un modo di essere quindi non dettato dalla contingenza né da una estetica rivoluzionaria, bensì dedotto dall’essenza stessa della specie umana nella sua libera ed organica cooperazione, cioè il comunismo.
 
 

IL LAVORO, TRAMITE FRA UOMO E NATURA
 

Introduciamo subito due brani di Engels e Marx che descrivono il grande fatto storico – la nascita dell’uomo – sorto per differenziazione e con caratteristiche fisiche particolari rispetto a tutte le altre specie viventi, attraverso le quali il processo di trasformazione dell’uomo e della natura avrebbe avuto inizio; un processo che non si sarebbe più fermato se non mediante la estinzione generale di tutto il globo terrestre.

Marx ed Engels ci dimostrano che l’uomo, proprio per sua natura, è unitario e universale, e perciò comunista, in quanto solo il modo di vivere comunista coincide con la sua universalità e unitarietà. Perciò il comunismo è stato dedotto dalla analisi materialistica della storia, cioè della storia dell’uomo ed è dall’analisi obiettiva del suo muoversi e del suo produrre che è stata dedotta la sua universale essenza.

Engels, Dialettica della Natura:

    «Dalle prime forme animali si svilupparono, essenzialmente per un’ulteriore differenziazione, le innumerevoli classi, ordini, famiglie, generi e specie animali, fino alla forma nella quale il sistema nervoso perviene al suo più completo sviluppo, quella dei vertebrati; e con un nuovo sviluppo si arrivò infine a quel vertebrato nel quale la natura raggiunge la coscienza di se stessa: l’uomo (...) Quando, dopo sforzi millenari, la differenziazione della mano dal piede e la stazione eretta furono definitivamente acquisite, allora l’uomo si distaccò nettamente dalla scimmia; allora furono poste le basi per lo sviluppo del linguaggio articolato e per quel poderoso perfezionamento del cervello, che da allora in poi ha fatto divenire invalicabile l’abisso esistente fra l’uomo e la scimmia. La specializzazione della mano significa lo strumento: e strumento significa l’attività umana specifica, la reazione trasformatrice dell’uomo sulla natura, la produzione (...)
    «Solo l’uomo è riuscito ad imprimere il suo suggello sulla natura, non solo perché ha fatto mutare di luogo la fauna e la flora, ma perché ha modificato in tal modo l’aspetto, il clima, perfino gli animali e le piante della zona da lui abitata, che i risultati della sua attività potranno scomparire solo con l’estinzione generale di tutto il globo terrestre. E l’uomo ha fatto tutto ciò, innanzitutto ed essenzialmente, per mezzo della mano (...) Ma con la mano passo a passo si sviluppò il cranio: venne la coscienza, dapprima delle condizioni necessarie per l’avverarsi dei singoli effetti praticamente utili, e più tardi, nei popoli più favoriti, si sviluppò da questa coscienza la comprensione delle leggi naturali che coordinavano quei fenomeni.
    «E con il rapido svilupparsi della coscienza delle leggi naturali crebbero i mezzi per reagire sulla natura. La mano, sola, non avrebbe mai costruito la macchina a vapore, se il cervello dell’uomo non si fosse sviluppato correlativamente con essa, accanto ad essa, e in parte attraverso di essa.
    «Con l’uomo noi entriamo nella storia. Anche gli animali hanno una storia: quella della loro discendenza e graduale evoluzione fino al loro stato attuale. Ma questa storia si compie da sé: e nella misura in cui gli animali stessi vi partecipano, lo fanno senza consapevolezza e volontà. Gli uomini, al contrario, quanto più si allontanano dall’animalità intesa nel senso ristretto della parola, tanto più fanno essi stessi la loro storia, consapevolmente; tanto minore diviene l’influsso su tale storia di fatti imprevisti e di forze incontrollate tanto più esattamente il risultato storico corrisponde allo scopo prestabilito».
Marx, Manoscritti Economico-Filosofici:
«L’animale fa immediatamente uno con la sua attività vitale, non si distingue da essa, è essa. L’uomo fa della sua attività vitale stessa l’oggetto del suo volere e della sua coscienza. Egli ha una cosciente attività vitale: non c’è una sfera determinata con cui immediatamente si confonde. L’attività vitale consapevole distingue l’uomo direttamente dall’attività vitale animale. Proprio solo per questo egli è un ente generico. Ossia è un ente consapevole, cioè ha per oggetto la sua propria vita, solo perché è precisamente un ente generico. Soltanto per questo la sua attività è libera attività (...) La pratica produzione di un mondo oggettivo, la lavorazione della natura inorganica è la conferma dell’uomo come consapevole ente generico, cioè ente che si rapporta al genere come al suo proprio essere, ossia si rapporta a sé come ente generico. Invero anche l’animale produce: esso si costruisce un nido, delle abitazioni, come le api, i castori, le formiche ecc. Ma esso produce soltanto ciò di cui abbisogna immediatamente per sé e per i suoi nati; produce parzialmente, mentre l’uomo produce universalmente; produce sotto il dominio del bisogno fisico immediato, mentre l’uomo produce anche libero dal bisogno fisico e produce veramente soltanto nella libertà dal medesimo. L’animale riproduce solo se stesso, mentre l’uomo riproduce l’intera natura; il prodotto dell’animale appartiene immediatamente al suo corpo fisico, mentre l’uomo confronta libero il suo prodotto. L’animale forma cose solo secondo la misura e il bisogno della specie cui appartiene, mentre l’uomo sa produrre secondo la misura di ogni specie e dappertutto sa conferire all’oggetto la misura inerente; quindi l’uomo forma anche secondo le leggi della bellezza».


L’essenza umana dell’uomo quindi nasce con esso; intendiamo dire che già i primi uomini – non differenti dagli animali nei loro immediati bisogni – portano in sé quelle caratteristiche che si esprimono mediante il lavoro nel rapporto dialettico tra mano e cervello, che fanno dell’uomo un ente universale. La capacità di trasformazione della natura espressa dall’uomo fin dai suoi primi passi già lo caratterizza come colui che la potrà dominare coscientemente. Infatti Marx nei Manoscritti dimostra che animali, piante, pietre, luce ecc.

 «costituiscono una parte della coscienza umana teoretica, sia in quanto oggetti delle scienze naturali che in quanto oggetti dell’arte – cioè sono la spirituale natura inorganica dell’uomo, gli alimenti spirituali, che egli, per goderne e digerirli, deve innanzitutto apprestare; così essi costituiscono anche praticamente una parte della vita umana e dell’attività umana (...) L’universalità dell’uomo si manifesta praticamente proprio nell’universalità per cui l’intera natura è fatta suo corpo inorganico, 1) in quanto questa è un immediato alimento, 2) in quanto essa è la materia, l’oggetto e lo strumento della attività vitale dell’uomo. La natura è il corpo inorganico dell’uomo: cioè la natura nella misura in cui non è essa stessa corpo umano. Che l’uomo vive della natura significa: che la natura è il suo corpo, con il quale egli deve rimanere in un processo continuo per non morire. Che la vita fisica e spirituale dell’uomo è congiunta con la natura, non ha altro significato se non che la natura si congiunge con se stessa».
Quindi nel significato di natura è già compreso l’uomo come nel significato di uomo è già compresa la natura. La congiunzione avviene attraverso la produzione, mediante la quale l’uomo, per le sue particolari caratteristiche, può trasformare la natura secondo uno scopo determinato.

Engels:

«Insomma, l’animale si limita ad usufruire della natura esterna, e apporta ad essa modificazioni solo con la sua presenza; l’uomo la rende utilizzabile per i suoi scopi modificandola: la domina. Questa è l’ultima essenziale differenza tra l’uomo e gli altri animali; ed è ancora una volta il lavoro che opera questa differenza».

 

UNITARIETÀ DEL COMUNISMO ROZZO
 

L’inizio di questo processo evolutivo dell’uomo è perfettamente descritto da Engels ne L’origine della famiglia ove dimostra come l’uomo, costituitosi in comunità, lentamente ma irreversibilmente dà l’avvio al processo di trasformazione della natura e quindi di se stesso. La Sinistra riprende questo tema in Sul Filo del tempoIl marxismo dei cacagli:

«Sebbene all’inizio questi gruppi vivano solo di cibi che raccolgono e consumano allo stato naturale, e sebbene gli uomini siano poco numerosi e i territori immensi, sicché in genere si spostano facilmente in zone più fertili per la vegetazione spontanea quando hanno esaurite le risorse di quella che abitavano, non appena abbiamo le prime forme di attività: caccia, pesca, rudimentale coltura di vegetali, rudimentale fabbricazione di utensili, che la stessa caccia richiede, dobbiamo riconoscere l’esistenza di forme organizzate sociali. I cibi e gli oggetti assumono un valore d’uso, e i componenti della comunità esercitano funzioni che sono vere attività lavorative. Abbiamo il valore d’uso, ma non il valore di scambio. Abbiamo il lavoro associato, ma non il lavoro individuale. Non abbiamo aziende, ma la comunità del clan, ossia la società tutta è la sola azienda. Nel suo seno vi è una divisione dei semplici compiti, che Marx chiama fisiologica, immediata, naturale, poiché è di pratica evidenza che cosa possa fare il fanciullo, la donna, l’uomo adulto, il vecchio (...) Questi nostri progenitori conoscono un solo cerchio di produzione e di consumo, non fanno distinzione tra lo sforzo e il bisogno dell’uno o dell’altro».
Si parla delle comunità primitive, del periodo che chiamiamo “del comunismo rozzo”. È proprio in questo periodo che si manifesta con più evidenza l’andamento dialettico e non graduale della storia umana. Con le comunità primitive l’uomo esprime la sua naturale essenza comunista proprio in quanto esse sono prime forme di vita organizzata, ma è proprio da questo momento che ogni passo evolutivo dell’uomo verso una sempre migliore sopravvivenza e organizzazione della propria vita segnerà il percorso verso la loro dissoluzione.

Intendiamo dire che queste comunità non furono distrutte da una particolare forza esterna, ma dissolte dallo sviluppo del lavoro umano. Accumulazione dei beni prodotti, divisione del lavoro, scambio – elementi determinanti per la divisione in classi della società – furono mutamenti che si produssero all’interno delle comunità primitive per mano degli stessi uomini che le avevano fatte sorgere.

Engels ravvisa nella separazione delle tribù dei pastori dalla restante massa dei barbari la prima grande divisione del lavoro, e dimostra come

«dalla prima grande divisione sociale del lavoro nacque la prima grande scissione della società in due classi: padroni e schiavi, sfruttatori e sfruttati»,
e nella separazione dell’artigianato dall’agricoltura la seconda grande divisione del lavoro e spiega come:
«Accanto alla differenza tra liberi e schiavi apparve quella fra ricchi e poveri (...) Il passaggio alla piena proprietà privata si compie gradualmente e parallelamente a quello dal matrimonio di coppia alla monogamia (...) La guerra, che una volta era fatta solo per vendicare soprusi o per estendere il territorio divenuto insufficiente, viene ora condotta a fine di semplice rapina, diventa ramo permanente di produzione (...) Gli organi della costituzione gentilizia recidono le radici che avevano nel popolo, nella gens, nella fratria, nella tribù e l’intera costituzione gentilizia si capovolge nel suo opposto: da organizzazione di tribù avente per scopo il libero ordinamento dei propri affari diventa organizzazione per il saccheggio e l’oppressione dei vicini e, corrispondentemente, i suoi organi, da strumenti della volontà popolare, si trasformano in organi autonomi per dominare e opprimere il proprio popolo» (L’origine della famiglia).
Ecco le stigmate della futura società borghese come risultato della marcia in avanti che l’uomo sta intraprendendo; una marcia non graduale ma ugualmente evolutiva. Tutto ciò che si è verificato dall’inizio della vita ad oggi è il segno di questa evoluzione che, finché l’uomo esisterà, sarà inarrestabile e, malgrado le imprevedibili distruzioni o involuzioni, lo spingerà inesorabilmente verso il comunismo. L’uomo bambino delle comunità primitive si è trovato, nel suo procedere, a negare se stesso come essere umano, cioè unitario e universale. Tutto questo è stato possibile e necessario perché l’uomo bambino non poteva essere consapevole delle obbiettive determinanti differenze che lo avrebbero portato a distanziarsi qualitativamente e irreversibilmente da tutte le altre specie viventi.

La sua storia era già scritta proprio nella sua naturale essenza umana, ma solo il lavoro nel suo continuo crescente e travagliato sviluppo avrebbe segnato il percorso obbligato verso la conquista della piena coscienza di sé e dei mezzi necessari per esprimere pienamente la sua capacità di dominare la natura. Fino ad allora, cioè fino al comunismo, solo le rivoluzioni esprimeranno i salti qualitativi nel percorso evolutivo umano.

Infatti ogni rivoluzione è nata dalla necessità di permettere l’ulteriore sviluppo delle forze produttive, distruggendo le barriere sociali e politiche che si dimostravano inadeguate al loro procedere; ogni classe che ha preso il potere è stata rivoluzionaria proprio in quanto e fino a quando portava un contributo allo sviluppo generale di tutta quanta la società.

La proprietà privata e la divisione in classi della società è la forma nella quale si è manifestata l’evoluzione della specie umana fino ad oggi, come la sua negazione sarà il passo successivo coerente con il grado di sviluppo delle forze produttive nella società moderna.

«Che la divisione del lavoro e lo scambio si basino sulla proprietà privata, ciò è niente altro che l’affermazione che il lavoro è l’essenza della proprietà privata (...) Proprio in ciò che la divisione del lavoro e scambio sono configurazioni della proprietà privata, si trova la duplice dimostrazione: che l’umana vita ha avuto bisogno, per la sua realizzazione, della proprietà privata, come, d’altra parte, essa abbisogna ora della soppressione della proprietà privata» (Marx, Manoscritti economici e filosofici).
Ancora da Il marxismo dei cacagli:
«Noi riconosciamo necessario che si passasse dalla luce del primo generoso comunismo senza merci all’ombra della società feudale, e alla fogna puzzolente della civiltà borghese, per procedere oltre. E nulla per noi è feticcio, nemmeno l’odio al capitale».

 

IL RICORDO DEL COMUNISMO NEI MILLENNI DI DOMINAZIONE DI CLASSE
 

Vogliamo mettere in evidenza che, con l’avvento della società divisa in classi, non solo lo sfruttato ma tutta la specie umana verrà privata della sua umana essenza. L’uomo non muterà la sua qualità di “essere generico”, le sue possibilità di sentire, pensare e produrre in modo universale, ma tali capacità gli saranno impedite dallo sviluppo esasperato della divisione del lavoro e dagli scopi non più di specie della produzione. Dalla rottura cioè dei primitivi legami fra l’uomo, il mezzo di produzione e il prodotto del lavoro, frattura pienamente esaltata dalla produzione capitalistica.

È per questo che tutti i grandi uomini inseriti nel processo storico della rivoluzione antifeudale, che con le loro gesta e le loro idee consentirono l’instaurarsi della struttura politica più perfetta per l’esaltazione del capitale, non si daranno un programma limitato a quel passaggio storico – se pure progressivo – ma un programma generale di liberazione di tutta quanta l’umanità. Non era ipocrita ciò che vagheggiavano i grandi uomini del periodo rivoluzionario borghese: essi sentivano realmente il bisogno di ricondurre tutta l’umanità alla sua completezza in una libera e fraterna cooperazione. Essi erano grandi uomini con grandi aspirazioni umane e sociali, ma lo sviluppo obbiettivo delle forze produttive e dei conseguenti rapporti di produzione daranno poi alla borghesia divenuta classe dominante la reale coscienza di se stessa, cioè di non rappresentare tutta quanta la società ma una parte di essa; di essere una classe sfruttatrice che solo rinunciando di fatto all’obbiettivo universale potrà mantenere il suo regime di sfruttamento e quindi i suoi privilegi.

«Fu il più grande rivolgimento progressivo che l’umanità avesse fino allora vissuto: un periodo che aveva bisogno di giganti e che procreava giganti: giganti per la forza del pensiero, le passioni, il carattere, per la versatilità e l’erudizione. Gli uomini che fondarono il moderno dominio della borghesia erano tutto fuorché limitati in senso borghese. Al contrario, il carattere avventuroso della loro epoca ha lasciato un’impronta più o meno forte su tutti. Non vi era allora quasi nessun uomo di rilievo che non avesse fatto grandi viaggi, che non parlasse quattro o cinque lingue, che non brillasse in parecchie discipline. Leonardo da Vinci non era soltanto un grande pittore, ma anche un grande matematico, meccanico e ingegnere, alla cui opera devono importanti scoperte i più diversi rami della fisica. Albrecht Dürer era pittore, incisore, scultore, architetto e ideatore inoltre di un sistema di fortificazione che contiene già parecchie delle idee che saranno riprese molto più tardi dal Montalombert e dalla moderna arte militare tedesca. Machiavelli era uomo politico, storiografo, poeta e insieme il primo scrittore di cose militari degno di nota nell’epoca moderna. Lutero non spazzò soltanto la stalla d’Augia della Chiesa, ma anche quella della lingua tedesca; creò la prosa tedesca moderna, fece sia il testo che la melodia di quel corale, pieno di certezza nella vittoria, che divenne la Marsigliese del XVI secolo. Gli eroi di quell’epoca non erano ancora sotto la schiavitù della divisione del lavoro, che ha reso così limitati ed unilaterali tanti dei loro successori. Ma la loro caratteristica vera e propria sta nel fatto che vivevano ed operavano, quasi tutti, in mezzo agli avvenimenti del tempo, alle lotte pratiche: prendevano posizione e combattevano anche essi, chi con la parola e con gli scritti, chi con la spada, parecchi con ambedue. Veniva da ciò quella pienezza e quella forza di carattere che li faceva uomini completi» (Dialettica della natura).
Proprio da questo brano si vede come nei periodi rivoluzionari l’uomo ritorni ad esprimersi con completezza e al di sopra dei propri limiti di individuo. Tanto più in quanto non comunisti, questi grandi dei quali parla Engels, ci dimostrano che il bisogno di completezza e universalità è di tutta la specie umana. Allo stesso modo, si ha la dimostrazione che la grettezza individuale è un portato della divisione del lavoro che smembra l’uomo – nato per essere “uomo sociale” – in tante parti quante ne richiede la parcellizzazione della produzione capitalistica: al suo posto comparirà “l’uomo alienato” e cioè alienato da se stesso, dalla sua qualità di appartenere alla specie umana.
 
 

ALIENAZIONE ASSOLUTA E ANARCHIA PRODUTTIVA DEL LIBERO CITTADINO
 
 

     «La prima grande divisone del lavoro, la separazione di città e campagna, ha immediatamente condannato la popolazione rurale allo istupidimento per migliaia di anni, e i cittadini all’asservimento di ogni individuo al proprio mestiere individuale. Essa ha distrutto le basi dello sviluppo spirituale degli uni e dello sviluppo fisico degli altri. Se il contadino si appropria del suolo e il cittadino del suo mestiere, nella stessa misura il suolo si appropria del contadino e il mestiere dell’artigiano (...) Tutte le altre capacità fisiche e spirituali sono sacrificate alla formazione di una sola attività. Questa menomazione dell’uomo cresce nella stessa misura in cui cresce la divisione del lavoro, che raggiunge il suo più alto sviluppo nella manifattura. La manifattura scompone il mestiere nelle sue singole operazioni parziali, assegna ciascuna di queste operazioni ad ogni singolo operaio come compito della sua vita e così lo incatena per tutta la vita ad una determinata funzione parziale e a un determinato strumento» (Engels, Anti-Dühring)».
     «Storpia l’operaio e ne fa una mostruosità favorendone, come in una serra, l’abilità di dettaglio, mediante la soppressione di un mondo intero di impulsi e di disposizioni produttive (...) L’individuo stesso viene diviso, viene trasformato in motore automatico d’un lavoro parziale» (Marx).
     «E non solo gli operai, ma anche le classi che sfruttano direttamente o indirettamente gli operai vengono dalla divisione del lavoro asservite allo strumento della loro attività: il borghese dallo spirito squallido al proprio capitale e alla propria avidità di profitto; il giurista alle sue incartapecorite idee giuridiche che lo dominano come un potere per sé stante; i “ceti colti” in generale alle molteplici meschinità o unilateralità del proprio ambiente, alla loro miopia fisica e spirituale, al loro storpiamento prodotto dall’educazione impostata secondo una specializzazione» (Engels).
Ecco che la divisione del lavoro e quindi la divisione in classi della umanità costringeranno l’uomo al buio e solitario percorso dell’alienazione da se stesso. Egli non solo si scomporrà in mille pezzi, ma tutta quanta la società presenterà un individuo accanto all’altro senza contatto alcuno, e tutti quanti saranno separati dalla natura, già definita da Marx “corpo inorganico dell’uomo”. L’uomo diventerà unilaterale, così come il consumo dei beni prodotti (materiali e spirituali) diventerà egoistico e individuale, mentre lo scopo della generale attività umana diventerà “la produzione”: vale a dire che i mezzi diventano i fini.

È proprio dalla critica al modo di produzione capitalistico che Marx fa scaturire il significato di “uomo sociale” e quindi la previsione della società comunista. Certo non è una descrizione fredda fatta sul piano tecnico, bensì la dimostrazione che è proprio nel momento del lavoro, quando non alienato, che si esprime tutta l’umana essenza e cioè un’identificazione fra me e l’altro, un esprimere l’ “amore bisogno di tutti”, che può scaturire solo mediante un operare disinteressato e nella gioia di rappresentare l’uno il soddisfacimento del bisogno dell’altro.

La Sinistra così commenta il successivo passo di Marx:

«Mostra quanto, ucciso nell’essere umano l’egoismo mercantile, sia esso salito in alto nella pienezza della gioia di una vita fino allora ignota».
Da Estratti da “Eléments d’économie politique” di Mill:
«Supponiamo che noi abbiamo prodotto in quanto uomini, ognuno di noi avrebbe affermato, nella sua produzione, se stesso e gli altri. Io avrò 1) materializzata nella mia produzione la mia individualità e la tua particolarità, e per questo fatto avrò gioito tanto durante l’attività di una “manifestazione della vita individuale”, che nella contemplazione dell’oggetto prodotto; io avrò provata la gioia individuale e riconosciuta la mia potenzialità nella sua forma materializzata e sensibile, ossia senza dubbio alcuno. 2) Nella tua soddisfazione e godimento per l’uso del mio prodotto io troverò un godimento immediato, tanto per la consapevolezza di aver soddisfatto un bisogno umano col mio lavoro, che per avere materializzata la natura umana e quindi procurato ad un altro essere umano l’oggetto che corrisponde alla sua. 3) Di essere stato per te l’intermediario tra te stesso e la specie umana, e per tal fatto di essere sentito e riconosciuto da te come complemento del tuo proprio essere e come necessaria parte di te stesso, e dunque di sapermi affermato tanto nel tuo pensiero che nel tuo amore. 4) Di aver prodotto nella mia manifestazione di vita la tua manifestazione di vita e di avere dunque affermato e realizzato nella mia attività, direttamente, la mia vera essenza; ossia il mio essere umano e il mio essere sociale».
È ancora Marx che in una breve frase esprime il significato unitario ed universale dell’uomo se libero dall’alienazione del lavoro salariato:
«Proprio soltanto nella lavorazione del mondo oggettivo l’uomo si realizza quindi come un ente generico. Questa produzione è la sua attiva vita generica. Per essa la natura si palesa come opera sua, dell’uomo e sua realtà. L’oggetto del lavoro è quindi l’oggettivazione della vita generica dell’uomo: poiché egli si sdoppia non solo intellettualmente come nella coscienza, bensì attivamente, realmente, e vede quindi se stesso in un mondo fatto da lui. Allorché quindi il lavoro alienato sottrae all’uomo l’oggetto della sua produzione, è la sua vita generica che gli sottrae la sua reale oggettività di specie, e così trasforma il suo vantaggio sull’animale nello svantaggio della sottrazione del suo corpo inorganico, della natura» (Marx, Manoscritti economici-filosofici).
Infatti l’animale fa tutt’uno con la natura, come abbiamo visto in Engels, non ha bisogno di trasformarla secondo uno scopo per realizzarsi né soffre della sua parzialità poiché può esprimere tutto se stesso in quanto essere parziale. L’uomo invece, nel lavoro alienato si separa da una parte di sé e subisce una vera menomazione.

Continua Marx:

«La vita produttiva è la vita generica. È la vita generante la vita. Nel modo dell’attività vitale si trova l’intero carattere di una specie, il suo carattere specifico, e la libera attività consapevole è il carattere specifico dell’uomo». Ecco quindi che l’uomo, nella società del lavoro alienato, non più unità di specie ma individuo isolato dagli altri, tutti in una reciproca concorrenza che si riprodurrà anche nel rapporto fra uomo e natura, sarà costretto ad una esistenza immediata per la sopravvivenza dove «la vita stessa appare soltanto mezzo di vita».

 

UN MONDO INDIVIDUALE PRIVATO DELLA COSCIENZA DI SÉ E DELLA NATURA
 

Padroni e schiavi cadranno sotto la stessa alienazione negando la loro caratteristica di specie, cioè la libera attività consapevole. L’uomo non saprà più di appartenere ad una specie. I suoi movimenti come il suo produrre saranno casuali, imprevisti. Anche le sue acquisizioni saranno accidentali e limitate come il suo vivere individuale. Con ciò l’uomo si renderà impossibile ogni capacità di prevedere il suo percorso futuro. La più evidente manifestazione di questa contraddizione è la separazione fra scienza della società umana e scienza della natura, a sancire l’esistenza forzata di due parti separate dello stesso corpo.

È per questo che noi affermiamo che nella società divisa in classi ogni scienza umana è impossibile. Infatti, di fronte a milioni di uomini ridotti ormai alla parzialità animalesca della ripetitiva riproduzione della propria vita, si ergeranno gli sterili pensatori, come se, per lo spirito umano, che Engels definisce “il prodotto più alto della materia organica”, valessero leggi di movimento opposte a quelle che regolano la materia inorganica. La minoranza di scienziati anche nei casi più favorevoli (cioè non coscientemente al servizio del capitale) resteranno relegati a vita nella loro disciplina – quindi in una angusta unilateralità – sviluppando, al massimo, quando possibile, la capacità di prevedere un futuro percorso solo riguardo all’ambito dei propri studi.

È appunto in questo tipo di società, arrivata oggi ai limiti della involuzione umana, che il marxismo non può che apparire una profezia, una allucinazione di pochi pazzi o un’utopia da sognatori. I massimi scienziati, siano essi economisti o filosofi, o a qualsiasi ramo appartengano, espressi dalla società borghese, si sono ormai irreversibilmente allontanati anche dai loro predecessori – quei grandi uomini di cui parla Engels – essendo i servi prezzolati delle esigenze della produzione per la produzione e caduti sotto l’immediatezza della conservazione dei loro privilegi.

La capacità di previsione del marxismo, la cui potenza è pari alla semplicità del suo metodo unitario d’indagine, la si trova riassunta in poche righe con le quali la Sinistra commenta e “ribatte i chiodi” piantati da Marx nei suoi manoscritti:

«Noi sosteniamo che sia possibile l’indagine sulle leggi della società futura, in quanto diamo alla scienza della società umana, per quanto sia essa solo agli inizi, le stesse capacità che alla scienza della natura, la quale già all’inizio del tempo borghese, quattro secoli addietro, era in piena fioritura. Con ciò il marxista ha superato la riverenza per una barriera invalicabile tra le forme della conoscenza dei fatti della natura e quella dei fatti umani. La nostra pretesa di descrivere la società futura si fonda su quella dell’astronomo di prevedere le eclissi, ed anche le fasi millenarie della vita di una stella o di una nebulosa. La filosofia della storia non ha ragione di essere diversa dalla filosofia della natura; e ciò più correttamente si esprime dicendo che, quale che sia il diverso grado di sviluppo, scienza della natura e della storia si servono degli stessi metodi di indagine, per lo scopo unico di stabilire uniformità di eventi passati ed attuali, e da tanto assurgere a previsione di eventi futuri (...) Il giuoco della dialettica va invece posto in ben altro rapporto: non tra natura e uomo, ma in quello tra società umana e individuo singolo. Tutte le ideologie che vogliono portare innanzi l’uomo rispetto al mondo fisico, e dargli su questo un imperio che lo liberi dalla determinazione, non pensano all’uomo specie, ma all’uomo persona (...) Nella dottrina marxista la scienza della società umana è compresa in quella della natura materiale, anzi la seconda nella sua costruzione deve giocoforza precedere la prima».
L’uomo quindi è natura nella sua raffigurazione umana. La Sinistra comunista difenderà e riaffermerà il monismo marxista respingendo l’accusa fatta contro Marx, che lo avrebbe abbandonato «per stabilire la vuota parità dignitaria tra natura e uomo, specie di neo-dualismo». Come si vede, non piatta parità né subordinazione gerarchica attraverso un decreto stabilito dall’uomo, ma processo continuo di compenetrazione dell’uno nell’altra, tutte e due in continua trasformazione.

Infatti, quando diciamo che l’uomo “dominerà la natura”, non intendiamo esprimere una specie di lotta fra l’ “eroe” e il “mostro” da incatenare e addomesticare. Vogliamo invece dire che l’uomo, ricondotto attraverso la rivoluzione anticlassista a comunità comunista, diventerà una forza consapevole della natura. La sua preminenza su di essa risponderà ad una gerarchia naturale proprio per le sue naturali caratteristiche di specie. L’uomo comunista non piegherà la natura esercitando una sua egoistica volontà, ma si ricongiungerà ad essa operando in un rapporto continuo e consapevole secondo un piano armonico. «L’uomo comunista non potrà armonizzare se stesso senza di pari passo armonizzare l’altra parte di sé: la natura».

Non si tratta di vagheggiamenti filosofici di uomini che, non essendo chiamati all’azione, potevano permettersi di liberare i loro pensieri alla costruzione ideale di future “città del sole”, ma della dottrina marxista che si trova confermata dal partito bolscevico, in perfetta continuità, proprio nel bel mezzo della rivoluzione. Siamo in presenza di una classe che ha conquistato il potere, di un partito quindi che lo deve difendere contro le classi abbattute e, contemporaneamente, deve gettare le fondamenta di quella che – di generazione in generazione – avrebbe dovuto diventare la società comunista. Tanto più in quel momento e in mezzo alle grosse difficoltà dello stato d’assedio da parte della borghesia internazionale e della non lineare situazione di doppia rivoluzione, era indispensabile l’estrema saldezza e difesa della prospettiva comunista e soprattutto far sì che ogni passo discendesse da quella visione universale ed unitaria del divenire umano rappresentata appunto dal marxismo.
 
 

OLTRE LA LIBERTÀ BORGHESE L’UTOPIA FINALMENTE POSSIBILE
 

Nello scritto che citeremo, Trotzky, a nome del partito, interverrà su di un argomento, “arte rivoluzionaria e arte socialista”, apparentemente impalpabile, astratto e fino ad allora rappresentato da strati sociali quanto mai evanescenti e indisciplinati: gli “artisti”. La risposta a questo quesito non sarà un vuoto ed enfatico slogan operaista, né tanto meno un anatema contro quell’aspetto dell’attività umana che fino ad allora era stato, al pari degli altri, strumento di oppressione contro il proletariato e segno evidente dell’alienazione dell’uomo da se stesso, ma un preciso, rigoroso ed armonioso ricongiungere questa umana attività all’altra sfera dell’esprimersi vitale dell’uomo. Un ricongiungimento tra arte e produzione. In questo brano, l’uomo del futuro esce dal disegno teorico e si snoda in tutta la sua concretezza e tangibilità.

     «Non c’è alcun dubbio che nell’avvenire – e tanto più se si tratterà di un avvenire più lontano – compiti monumentali di questo genere come la nuova pianificazione delle città giardino, delle case modello, delle ferrovie e dei porti, non interesseranno solo gli ingegneri e gli architetti che partecipano ai vari concorsi, ma anche larghe masse umane. Al posto dell’accumularsi delle strade e dei quartieri alla maniera dei formicai, una pietra sull’altra, incoscientemente una generazione dopo l’altra, si svilupperà la titanica costruzione di città-villaggio secondo la carta, con il compasso in mano. Nelle questioni concernenti questi piani sorgeranno veramente dei raggruppamenti umani pro o contro, cioè i particolari partiti tecnico-architettonici del futuro, con la loro agitazione, le loro passioni, le loro assemblee popolari e le loro votazioni. In questa battaglia l’architettura verrà di nuovo sospinta ad un più alto livello dal soffio del sentimento e dallo stato d’animo delle masse, e l’umanità verrà educata più plasticamente, cioè si abituerà a considerare il mondo come duttile argilla per modellare forme di vita sempre più compiute. Cadrà la separazione tra arte ed industria. Il grande stile artistico sarà non decorativo ma formativo (...) Ciò significa pure che l’industria esaurirà in sé l’arte oppure che l’arte eleverà l’industria nel suo Olimpo? A questa domanda si può rispondere diversamente a seconda che si affronti la questione dal lato dell’industria o dal lato dell’arte. Ma come risultato oggettivo non c’è nessuna differenza fra l’una e l’altra risposta. Entrambe comportano un gigantesco allargamento della sfera dell’arte come pure una gigantesca elevazione della qualità artistica dell’industria, e per industria intendiamo qui naturalmente tutta senza eccezione l’attività produttiva umana.
     «Ma non solo la separazione tra arte e produzione bensì contemporaneamente anche la separazione tra arte e natura verrà a cadere. Non nel senso in cui l’intendeva Rousseau, cioè che l’arte si avvicinerà di più alla natura, ma al contrario nel senso che la natura diverrà più “artistica”. L’attuale disposizione dei monti e dei fiumi, dei campi e dei prati, delle steppe, dei boschi e delle coste non può essere affatto considerata come definitiva. Mutamenti, e non trascurabili, nel quadro della natura l’uomo ne ha già determinati: ma si tratta di semplici tentativi scolastici in confronto a quello che verrà. La fede smuove le montagne, si diceva, ma la tecnica, che non accetta “fede e credenze”, effettivamente spianerà e sposterà le montagne.
     «Sinora ciò è accaduto per gli scopi dell’industria (miniere) o delle comunicazioni (gallerie): in divenire avverrà in misura molto maggiore secondo un piano generale produttivo e artistico. L’uomo si occuperà del riassestamento dei monti e dei fiumi e correggerà profondamente e ripetutamente la natura. La terra sarà trasformata secondo la sua immagine, o almeno secondo il suo gusto. Non abbiamo alcun motivo di temere che questo sarà cattivo (...) L’uomo socialista dominerà la natura in tutta la sua ampiezza, compresi gli urogalli e gli storioni, per mezzo della macchina. Egli saprà dove le montagne devono restare e dove cedere il passo, muterà il corso dei fiumi e dominerà i mari. I poveri idealisti possono dire che tutto ciò sarà noioso, per questo sono dei poveretti. Naturalmente ciò non significa che l’intero globo terrestre sarà rigato e suddiviso, che le foreste saranno mutate in parchi e giardini. Resteranno boscaglie e foreste e galli di montagna e tigri, ma laddove l’uomo avrà assegnato il loro posto. E sistemerà le cose così bene che la tigre non noterà la presenza delle macchine e non si annoierà, e vivrà come viveva nei tempi primitivi (...)
     «Quando razionalizzerà, cioè impregnerà di coscienza e sottometterà ad un progetto il proprio ordinamento economico, l’uomo non lascerà pietra su pietra della sua attuale vita domestica stagnante e imputridita. Le cure della nutrizione e dell’educazione, che come una pietra tombale gravano sulla famiglia di oggi, le saranno tolte e diventeranno oggetto della iniziativa sociale e di una inesauribile creazione collettiva. La donna abbandonerà lo stato di semi-schiavitù. Accanto alla tecnica la pedagogia – nel senso più lato di formazione psico-fisica – diverrà la regina del pensiero sociale. I sistemi pedagogici determineranno il formarsi di potenti “partiti”. I tentativi di educazione sociale e l’emulazione dei diversi metodi assumeranno un’ampiezza che ora non si può immaginare.
     «La vita quotidiana comunista non si formerà a caso, per sedimentazione, come le formazioni coralline, ma sarà costruita coscientemente, sarà controllata, diretta dal pensiero. La vita quotidiana, se perderà la sua natura elementare, cesserà pure di essere stagnante. L’uomo che sarà in grado di spostare i fiumi e le montagne, di costruire palazzi popolari sulla cima del monte Bianco o nel fondo dell’Atlantico saprà pure assicurare alla sua vita quotidiana non solo la ricchezza, la varietà, e l’intensità, ma anche la dinamica più elevata. L’involucro della vita quotidiana, appena sorto, sarà infranto dall’apparire di sempre nuove invenzioni e conquiste tecnico-culturali. La vita del futuro non sarà monotona. Ancor più. L’uomo finirà con l’occuparsi seriamente di armonizzare se stesso. Egli si porrà come compito di assicurare al movimento dei suoi organi – per mezzo del lavoro, del moto, del gioco – un più elevato grado di chiarezza, di sobrietà e con ciò anche di bellezza.
     «Egli proverà il piacere di dominare i processi inconsci del suo organismo, come la respirazione, la circolazione del sangue, la digestione, e la fecondazione, e di sottoporli, entro certi limiti, al controllo della ragione e della volontà. Anche la vita fisiologica sarà oggetto di una esperienza collettiva. Il genere umano cristallizzato homo sapiens, si muterà radicalmente e per opera propria diverrà oggetto dei più complicati metodi di selezione artificiale e di addestramento fisico e psichico. Ciò rientra nel campo dell’evoluzione. L’uomo ha prima bandito le potenze elementari dalla produzione e dall’ideologia e sostituito la routine barbarica con la tecnica scientifica, come pure la religione con la scienza. Poi ha bandito gli elementi inconsci dalla politica, ha rovesciato Monarchia e Stati per mezzo della democrazia e del parlamentarismo e infine per mezzo della trasparente chiara dittatura dei Consigli.
     «La cieca potenza elementare incombe nel modo più grave sulle relazioni economiche ma anche di là l’uomo la respinge con l’organizzazione socialista dell’economia. Con ciò si rende possibile un radicale mutamento della tradizionale vita familiare. Nei più profondi e più oscuri angoli dell’inconscio, l’elementare IO, sonnecchia alla fin fine la natura umana stessa. Non è chiaro che gli sforzi maggiori del pensiero indagatore e dell’iniziativa creatrice si indirizzeranno su questo piano? Il genere umano non avrà cessato di strisciare dinanzi a Dio, ai Re e al Capitale per capitolare dinanzi alle sorde leggi dell’ereditarietà e alla cieca selezione sessuale!
     «L’uomo, divenuto libero, vorrà raggiungere un maggior equilibrio nelle funzioni dei suoi organi, nello sviluppo uniforme e nella utilizzazione dei suoi tessuti per ridurre la paura della morte entro i confini di una sana reazione normale dell’organismo contro il pericolo, poiché non c’è alcun dubbio che la straordinaria disarmonia anatomica e fisiologica del corpo umano, cioè l’assoluta sproporzione fra lo sviluppo e il logorio degli organi e dei tessuti conferisce all’istinto vitale la forma angosciata, morbosa, isterica di paura della morte, che intorpidisce l’intelletto e alimenta le umilianti fantasie dell’al di là.
     «L’uomo si porrà il compito di diventare padrone dei suoi sentimenti, di elevare i suoi istinti al livello della coscienza, di renderli di una chiarezza cristallina, di portare i fili conduttori della volontà oltre le soglie della coscienza e con ciò di innalzare se stesso a un livello più elevato di tipo socio-biologico o, se si vuole, un superuomo. Sino a quale grado di padronanza di sé giungerà l’uomo del futuro è difficile prevedere, come è difficile prevedere a quale altezza porterà la propria tecnica. La costruzione sociale e l’autoeducazione psico-fisica diverranno i due aspetti di un processo solo (...) L’involucro di cui si rivestirà il processo dell’edificazione culturale e dell’autoeducazione dell’uomo comunista svilupperà nella misura più straordinaria tutti gli elementi vitali delle arti odierne.
     «L’uomo diventerà incomparabilmente più forte, più saggio, più acuto. Il suo corpo si farà più armonico, i suoi movimenti più ritmici, la sua voce più musicale: le forme dell’essere acquisteranno una espressione dinamica. La media dell’umanità sarà al livello di un Aristotele, di un Goethe, di un Marx. Oltre queste altezze si eleveranno nuove vette».

 

IL MARXISMO GIÀ OGGI SCIENZA DEL FUTURO
 

Questo armonioso e altrettanto concreto ponte che unisce l’immediata azione rivoluzionaria con il futuro comunista, la possibilità quindi di anticipare il futuro percorso umano nelle sue linee essenziali, non discende dalla “personalità” dei grandi uomini della rivoluzione comunista – anche se grandi furono e di forte personalità – ma dal possesso di una teoria, la teoria marxista, «la sola che possa poggiare su un’azione del futuro», come è titolato un nostro lavoro del 1958.

«La scienza è molto molto lontana dal poter stabilire dai dati fisici dell’ambiente in cui vive un organismo umano, e dal... menù delle vivande che gli sono servite in tavola, la generazione dei pensieri nel suo cervello; in quanto ancora non è scoperto il legame che unisce i sistemi vegetativi e neuro-psichici. Ma nel nostro materialismo noi riteniamo di poter trattare con rigore scientifico, ossia con buona riduzione degli effetti dell’errore, la relazione causale tra le condizioni materiali di vita di una collettività umana, come rapporto con la natura e rapporti tra uomini (tra classi sociali), e i caratteri della sua organizzazione politica giuridica e così via (...)», in quanto, «per la inafferrabile determinazione che gioca nel singolo organismo e cervello personale, non cerchiamo la vuota fantasima della “personalità”, ma fondiamo la relazione sulle condizioni materiali di una comunità sociale e tutta la serie delle sue manifestazioni e sviluppi storici» (Contenuto originale del Programma Comunista, Il programma comunista, n. 22/1958).
Infatti, come abbiamo visto, anche la rivoluzione borghese espresse grandi uomini completi, “non limitati in senso borghese”, come dice Engels, ma era ciò che obbiettivamente dovevano affermare che era limitato, parziale, anche se grandioso da un punto di vista storico. La loro fu la prima “grande rivoluzione” della storia, ma non poteva essere l’ultima, perché non aveva il compito di riportare tutta quanta l’umanità ad unità di specie. Anzi, svolse la funzione altamente positiva di far nascere l’ultima classe della storia – quella proletaria – alla quale sarebbe spettato il compito ultimo. La Sinistra dirà che la rivoluzione borghese si incaricò di “liberare l’individuo”, mentre quella proletaria si incaricherà di “ucciderlo”.

Ecco perché per i grandi uomini, rappresentanti la nascente borghesia, il futuro che essi pretendevano universale, capace di liberare tutta quanta l’umanità dal bisogno e dalle ingiustizie sociali, era necessariamente solo pensato, risiedeva solo nelle loro teste e nei loro sentimenti. Per la borghesia la teorizzazione di se stessa venne dopo, quando il movimento unitario che aveva abbattuto il passato, si trasformò e mise in luce – attraverso l’azione di classe – il nuovo antagonismo fra i nuovi sfruttati e i nuovi sfruttatori, a loro volta espressione di una contraddizione che risiede nello sviluppo oggettivo delle forze produttive.

«Ma la borghesia, come vi è parimenti dimostrato, non poteva trasformare questi mezzi di produzione limitati in possenti forze produttive, senza trasformarli da mezzi di produzione individuali in mezzi di produzione sociali che possono essere usati solo da una collettività di uomini. I mezzi di produzione e la produzione sono diventati essenzialmente sociali, ma sono sottoposti ad una forma di appropriazione che ha come presupposto la produzione privata individuale, nella quale quindi ognuno possiede il proprio prodotto e lo porta al mercato (...) In questa contraddizione che conferisce al nuovo modo di produzione il suo carattere capitalistico, risiede già in germe tutto il contrasto del nostro tempo. Quanto più il nuovo modo di produzione divenne dominante in tutti i campi decisivi della produzione e in tutti i paesi di importanza economica decisiva, e conseguentemente soppiantò la produzione individuale sino ai suoi residui insignificanti, tanto più crudamente doveva apparire anche l’inconciliabilità della produzione sociale e della appropriazione capitalistica (...) La contraddizione tra produzione sociale e appropriazione capitalistica si presentò come antagonismo tra proletariato e borghesia» (Engels, Anti-Dühring).
La teoria marxista nasce appunto quando queste due condizioni fondamentali – produzione sociale e appropriazione capitalistica – sono presenti alla scala mondiale. Il proletariato è la classe storicamente designata per portare a termine il travagliato percorso della comunità umana fino al suo approdo comunista. È la classe sulla quale farà leva il programma comunista il quale, nato dal modo di produzione capitalistico, non esprime soltanto l’antagonismo tra sfruttati e sfruttatori, ma il cammino che la specie umana intraprenderà, dopo l’abbattimento della società capitalistica, verso il comunismo, sua propria forma di vita
 
 

UNA DOTTRINA MONOLITICA PER L’EMANCIPAZIONE DI UNA CLASSE POTENZIALMENTE UNIVERSALE
 

Il programma comunista esprime la contrapposizione fra capitalismo e comunismo, o meglio, il salto qualitativo che l’uomo dovrà compiere per uscire dalla sua preistoria ed iniziare la sua vita di specie:

«Con la presa di possesso dei mezzi di produzione da parte della società, viene eliminata la produzione di merci e con ciò il dominio del prodotto sui produttori. L’anarchia all’interno della produzione sociale viene sostituita dalla organizzazione cosciente secondo un piano. La lotta per l’esistenza individuale cessa. In questo modo, in un certo senso, l’uomo si separa definitivamente dal regno degli animali e passa da condizioni di esistenza animali a condizioni di esistenza effettivamente umane (...) Solo da questo momento gli uomini stessi faranno con piena coscienza la loro storia, solo da questo momento le cause sociali da loro poste in azione avranno prevalentemente, e in misura sempre crescente, anche gli effetti che essi hanno voluto. È questo il salto dell’umanità dal regno della necessità al regno della libertà» (Anti-Dühring).
Di nuovo la storia ha bisogno di giganti, combattenti dalla visione unitaria ed universale, ma questa volta nessuna contraddizione turberà il rapporto fra pensiero ed azione. Nasce il socialismo scientifico, che racchiude in sé l’unità dialettica tra presente e futuro, proprio come la classe proletaria, chiamata all’azione e forza vitale della teoria marxista. L’apparire del marxismo infatti non scandisce la data di nascita del bisogno di una società comunista, ma la data in cui questo bisogno, presente fin dall’inizio dell’umanità, poteva essere trasformato in una teoria scientifica e in un metodo d’azione.

La classe proletaria è la prima classe della storia che affermando se stessa compie il primo passo di affermazione del futuro per tutta quanta l’umanità. Questa caratteristica non le deriva da una sua maggiore oppressione o sfruttamento rispetto alle altre classi o strati poveri del passato, bensì dal fatto di rappresentare allo stato puro sia la contraddizione del presente fra produzione sociale e appropriazione capitalistica, sia il suo contrario e cioè la possibilità di eliminare la forma capitalistica assunta dalla produzione umana.

Produzione sociale e appropriazione capitalistica danno come risultato una classe proletaria, impersonale, unitaria e senza proprietà, come la nuova società che essa dovrà affermare. Non può essere portatrice di una nuova oppressione poiché la stessa natura sociale assunta dalla produzione per opera del capitalismo impone come passo successivo di rendere sociali anche tutte le altre sfere dell’attività umana, richiamando prima di tutto tutta quanta l’umanità alla produzione materiale, in perfetta coerenza con lo sviluppo dei mezzi di produzione. Ciò coincide appunto col suo interesse immediato, perché è l’unica che nella società attuale porta il peso di tutta la produzione sociale: alleviare le sue condizioni di vita dunque non può passare attraverso la sottomissione di un altro gruppo umano, ma, necessariamente, attraverso l’estensione delle sue condizioni proletarie a tutta quanta l’umanità, ponendo fine con ciò stesso, organicamente, alla divisione di classe.

In La Guerra civile in Francia Marx dirà che la classe operaia

«non ha da realizzare ideali, ma da liberare gli elementi della nuova società di cui è gravida la vecchia e cadente società borghese».
Ed Engels (Anti-Dühring):
     «Compiere quest’azione di liberazione universale è il compito storico del proletariato moderno. Studiarne a fondo le condizioni storiche e conseguentemente la natura stessa e dare così alla classe, oggi oppressa e chiamata all’azione, la coscienza delle condizioni e della natura della sua propria azione è il compito del socialismo scientifico».
La coscienza del suo compito storico, quindi, è esterna alla classe proletaria, e il socialismo scientifico si deve incaricare di renderla consapevole. Non è la classe operaia infatti che esprime il marxismo, in quanto esso è il prodotto di tutta la storia umana. La classe operaia è soltanto l’ultimo risultato della lunga marcia compiuta dall’umanità dal suo sorgere ad oggi, e, pur essendo la forza vitale del marxismo, essa soffre della stessa inconsapevolezza e parzialità che pervade tutta quanta la società della quale essa è un prodotto.
     «Anche la società come un tutto, e fino a quando è una società divisa in classi, non possiede visione e direzione del proprio avvenire; in essa, nel corso della storia, gli interessi delle classi che si scontrano si rivestono di previsioni (profezie) e di ideologie in contrasto, ma non arrivano alla potenza di prevedere e di preparare il futuro. Quella sola classe, presente in questa società capitalistica, che ha interesse alla abolizione della società divisa in classi, può aspirare alla capacità di lottare per tale fine e di averne nel suo seno una conoscenza ed una visione, e questa classe – il marxismo scoprì – è il moderno proletariato. Ma fino a che questa classe vive nella società capitalistica la visione cosciente del suo avvenire non può aversi in ciascun suo membro e nemmeno nella sua totalità, ed è solo sciocco pretendere tale coscienza e volontà nella maggioranza di essa (...)
     «L’uscita dialettica da questa doppia tesi: che il proletariato può e non può, è la prima classe che tende alla società aclassista, ma non ha la luce che alla specie umana risplenderà dopo la morte delle classi, sta nel doppio passo contenuto nel Manifesto dei Comunisti: primo tempo: partito; secondo tempo: dittatura. Il proletariato massa amorfa si organizza in partito politico e assurge a classe. Solo facendo leva su questa prima conquista si organizza in classe dominante. Egli va all’abolizione delle classi con una dittatura di classe. Dialettica!» (Contenuto originale del Programma Comunista).

 

UNA SOLA CLASSE - UNA SOLA TEORIA - UN SOLO PARTITO
 

È per questo che il partito non può nascere spontaneamente dalla classe operaia, anche se la rappresenta nei suoi interessi storici. Esso nasce invece dal socialismo scientifico e cioè dalla scientifica previsione della società futura senza classi e senza Stato:

«Questo (il partito) esprime l’organizzazione della classe proletaria moderna, ma più che rappresentare la classe in un senso borghese di delega democratica, la rappresenta nel suo programma e nella sua futura attuazione, rappresenta la società comunista di domani e questo è il senso del salto (Marx-Engels) dal regno della necessità in quello della libertà, che non compie l’uomo rispetto alla società, ma la Specie umana rispetto alla Natura» (ivi).
È da questa previsione che si definisce il programma, che trova nella forma partito la più adatta a difenderlo e a dirigere la classe proletaria nella sua affermazione. Il partito è perciò l’organizzazione cosciente necessaria al trapasso della specie umana dalla sua preistoria all’affermazione dell’uomo sociale. È solo nel partito che si accede alla conoscenza umana, cioè a tutto il percorso umano dal suo sorgere al suo approdo comunista.

Ne consegue che: il partito è l’unica forma organizzata di vita che si muove sul tracciato unitario e universale inerente alla specie umana e unico strumento di previsione esistente che l’uomo abbia. Tutta la scienza umana è mediata dal partito, che rappresenta la prima forma organizzata del nuovo mondo ed opera per la distruzione della società borghese come primo passo per il divenire comunista. Tutto il movimento dialettico che dalla negazione della società borghese porterà all’affermazione della società comunista si avvarrà di un’unica direzione: quella del partito che contemporaneamente verrà chiamato ad agire su due fronti: quello militare per reprimere le classi spodestate attraverso la dittatura del proletariato, e quello di guida della trasformazione economica e sociale, fino a quando, venute meno le ragioni di una dittatura di classe, resterà strumento unitario e cosciente di “amministrazione delle cose”.

Il superamento dei compiti politici del partito non verrà per decreto o a date prestabilite, ma attraverso un processo dialettico dettato dal procedere materiale della trasformazione sociale, attraverso la quale vi sarà una sempre maggiore dilatazione in seno alla società dei caratteri comunisti del partito e una sempre minore necessità dei suoi caratteri politici, e quindi un loro sempre maggior restringimento fino all’estinzione.

«Potrebbe qui venirci l’obbiezione che noi, volendo stabilire la preminenza del partito politico rivoluzionario, comprendente solo una minoranza della classe, su tutte le altre forme organizzative, sembriamo pensare che il partito sia eterno, ossia debba sopravvivere allo stesso sgonfiamento engelsiano dello Stato. Non vogliamo affrontare qui la discussione sulla trasformazione del partito in un semplice organo futuro di indagine e di studio sociale, che coincida coi grandi organismi di ricerca scientifica della società nuova, analogamente al fatto che nella definizione marxista lo Stato, nello sparire, si trasforma in effetti in una grande amministrazione tecnica sempre più razionale e sempre meno integrata da forme coatte» (Forza, violenza e dittatura nella lotta di classe).
È per questo che il partito non deve mai in nessun momento scambiare i mezzi con i fini strutturandosi al suo interno secondo le funzioni indispensabili ma transitorie che volta volta si impongono nel processo rivoluzionario, essendo esso stesso – nel suo aspetto politico-dittatoriale – un tramite, un mezzo. Lo Stato proletario è uno strumento che il partito deve maneggiare e dirigere, ma con cui non si deve mai identificare, perché deve essere pronto ad abbandonarlo se non coincidente con i suoi scopi, come a permetterne la naturale estinzione mano a mano che il divenire comunista si compie.
«Il socialismo non si può realizzare senza rivoluzione. Esso ha bisogno di questo atto politico nella misura in cui ha bisogno di distruggere e dissolvere. Ma esso si scrolla di dosso il suo involucro politico non appena ha inizio la sua attività organizzativa, non appena persegue il suo proprio fine, non appena si rivela la sua anima» (Marx).
È la dialettica che si realizza nello stesso partito, che proprio in virtù del suo metodo “organico” rende possibile il dispiegarsi di quel procedimento oggettivo che il marxismo definisce ”negazione della negazione”. Una legge cioè che
«si afferma nel mondo animale e vegetale, nella geologia, nella matematica, nella storia, nella filosofia».
È Engels che parla:
«Che cosa è dunque la negazione della negazione? Una legge di sviluppo estremamente generale della natura, della storia e del pensiero (...) La dialettica non è niente altro che la scienza delle leggi generali del movimento e dello sviluppo della natura, della società umana e del pensiero (...) Nella dialettica negare non significa dir di no, o dichiarare che una cosa non è sussistente o comunque distruggerla (...) Io devo non soltanto negare, ma anche di nuovo sopprimere la negazione. Devo quindi costruire la prima negazione in un modo tale che la seconda resti o diventi possibile. Come? A seconda della natura particolare di ogni singolo caso. Macinando un chicco di orzo, calpestando un insetto, ho certo compiuto il primo atto, ma ho reso impossibile il secondo. Ogni genere di cose ha una sua maniera peculiare di essere negata in modo che ne risulti uno sviluppo» (Anti-Dühring).
Il partito, nel suo programma e nel suo modo di essere e di organizzarsi fa propria, materializzandola, questa legge generale di sviluppo. Infatti il suo metodo d’azione non comprende solo il primo atto “schiacciare l’insetto”, ma rende possibile il secondo: alla distruzione dello Stato borghese segue lo Stato dittatoriale del proletariato che a sua volta verrà negato dallo sviluppo obbiettivo dei nuovi rapporti di produzione. Questa seconda negazione è possibile proprio perché lo Stato proletario non ha la funzione di sottomettere una nuova classe, bensì di “dissolvere e distruggere” la vecchia società.
     «Il primo atto con cui lo Stato si presenta realmente come rappresentante di tutta la società, cioè la presa di possesso di tutti i mezzi di produzione in nome della società, è ad un tempo l’ultimo suo atto indipendente in quanto Stato» (Lenin, Stato e rivoluzione).
     «Da qui la proposta di Engels di adottare la vecchia buona parola tedesca gemeinwesen (essere comune, ossia comunità sociale) al posto della parola Stato, che si ricollegava al giudizio di Marx che la Comune non era già più uno Stato, proprio perché non era più una corporazione democratica» (Sinistra).
Lo Stato proletario rappresenta in modo unitario tutta quanta la società che si sta affermando proprio perché è lo Stato di quella classe che anticipa l’unità di specie. Questo ci riconduce all’essenza del partito, che nella sua organizzazione interna non è già più un partito ma gemeinwesen, o meglio, secondo una definizione della Sinistra, “organo umano”. Il partito è l’anticipazione della società comunista non come testimonianza esemplare o fatto estetico, ma come compagine operante ravvisabile proprio nel suo modo di essere: il partito sa cos’è il comunismo, è nato da questa consapevolezza che ha dato corpo al bisogno già maturo di una nuova società. Quindi è in grado e deve applicare i metodi comunisti al suo interno perché, dopo la conquista del potere politico, da patrimonio del solo partito, inizi ad essere, in una sempre maggiore dilatazione, il modo di essere della nuova società finalmente comunista.

In caso di errore o del sorgere di un dissenso all’interno del partito, la preservazione dell’unità organica è condizione indispensabile per porvi rimedio e ricondurre l’organizzazione alla chiarezza attraverso lo studio dei problemi, utilizzando quel poderoso strumento di indagine rappresentato dalla teoria marxista, condensata nella tradizione rivoluzionaria della quale il partito è depositario. Rivendicare il presunto “errore” a tutto il partito non significa una moralistica divisione delle responsabilità o un “diluire” le presunte “colpe” nell’insieme dell’organizzazione, bensì difendere l’intelligenza di specie che il partito esprime nella sua universalità, e quindi, attraverso la sua unità organica, il suo monolitismo. Nel momento stesso in cui, per qualsiasi ragione, si abbandona questo procedere, la scienza umana abbandona il partito, che diventa una qualsiasi sterile e unilaterale organizzazione immediata.
 
 

VERA ANTICIPAZIONE DELLA SOCIETÀ COMUNISTA
 

La società futura che vive nel partito è al di fuori di qualsiasi estetica rivoluzionaria, né cerca in questa società “l’individuo più dotato”, specie di modello dell’ “uomo nuovo” di domani, al contrario si manifesta appunto in una organizzazione impersonale, unitaria e senza proprietà come è la classe che deve distruggere la società borghese e come la futura società comunista. È la Sinistra che riconferma il marxismo contrapponendo all’individuo – sia esso proletario o non – la

«unitarietà qualitativa universale del partito, in cui si attua la concentrazione rivoluzionaria, oltre i limiti della località, della nazionalità, della categoria di lavoro, della azienda-ergastolo di salariati, in cui vive anticipata la società futura senza classi e senza scambio» (Contenuto originale del Programma Comunista).
È nel partito quindi che sono gettate le solide fondamenta per la soluzione della scissione fra individuo e uomo sociale, perché i suoi principi di vita interna e di organizzazione niente attingono a quelli della società che vuole abbattere. Nel partito non esiste più l’individuo perché non esiste ciò che lo ha prodotto: divisione di classe, mercantilismo. Il partito, forza impersonale al di sopra delle generazioni, rappresenta la futura specie umana. Questa caratteristica si traduce nel suo modo di essere attraverso il quale si realizza il “cervello collettivo” – domani cervello sociale – permettendo ai singoli di uscire da quella unilateralità che rappresenta l’alienazione dell’uomo dal suo essere e che limita tutta quanta la società presente.

È per questo che nel partito ci sono solo militanti comunisti, alla stessa maniera che i comunisti sono solo nel partito:

«Il carattere distintivo che noi vediamo nel partito deriva proprio dalla sua natura organica: non vi si accede per una posizione“costituzionale” nel quadro dell’economia o della società; non si è automaticamente militanti di partito in quanto si sia proletari o elettori o cittadini o altro. Si aderisce al partito, direbbero i giuristi, per libera iniziativa individuale. Vi si aderisce, diciamo noi marxisti, sempre per un fatto di determinazione nascente nei rapporti dell’ambiente sociale, ma per un fatto che si può collegare nel modo più generale ai caratteri più universali del partito di classe, alla sua presenza in tutte le parti del mondo abitato, alla sua composizione di elementi di tutte le categorie e aziende in cui siano lavoratori e perfino in principio di non lavoratori, alla continuità di un suo compito attraverso stadi successivi di propaganda, di organizzazione, di combattimento, di conquista, di costruzione di un nuovo assetto» (Forza violenza e dittatura nella lotta di classe).
L’adesione non può che essere individuale proprio perché tale adesione non significa l’elevazione a modello di una parte dell’attuale società, fosse pure il proletariato rivoluzionario, ma adesione alla futura società di specie; il riconoscimento perciò di una necessità storica in cui il bisogno del singolo si identifica. In questa identificazione è già espresso anche il bisogno di superare qualsiasi caratteristica sociale derivante dalla società presente.

I principi di vita e di organizzazione del partito sono perciò i fondamenti indispensabili per la ulteriore evoluzione umana, che nel partito muove i primi passi: il partito si definisce col suo programma (condensazione del socialismo scientifico) che a sua volta si traduce in maniera corporea nei principi di vita e di organizzazione, i quali esprimono dialetticamente un anello della catena evolutiva umana nel trapasso verso l’uomo sociale di domani proprio in quanto permettono il determinarsi del primo passo che determina questo processo: la necessità del trapasso del singolo da individuo a militante comunista.

Il primo posto nella catena spetta alle comunità primitive che ci forniscono l’esempio inconfutabile che il “centralismo organico” è il modo inevitabile di organizzarsi e di vivere di ogni comunità comunista. Il loro organicismo e la loro gioiosa e fraterna cooperazione è il nostro centralismo organico, la nostra gioiosa e fraterna cooperazione. All’uomo ai suoi albori spettava il duplice compito di organizzare la sua elementare sopravvivenza e la sua difesa da tutto ciò che di ostile veniva dall’esterno, e gli bastò esprimere le sue naturali necessità e la sua naturale essenza umana per organizzarsi comunisticamente, sviluppando la massima fraterna cooperazione e il massimo centralismo, per lo svolgimento delle organiche funzioni necessarie alla sopravvivenza del gruppo, ove non vi è «distinzione fra lo sforzo e il bisogno dell’uno o dell’altro».
 
 

UN PARTITO PER L’ULTIMA RIVOLUZIONE DI CLASSE
 

Al partito, comunità in lotta per il comunismo non più primitivo, cosciente di sé e dei suoi fini storici, spetta il compito immediato di condurre la classe proletaria nell’azione rivoluzionaria, primo passo verso la futura società di specie. Ma l’azione presente e l’affermazione del futuro traggono la loro certezza dalla difesa e costante affermazione dell’essenza comunista, della “comunità-partito”, che non vede nei metodi e nei comportamenti di quei nostri progenitori l’espressione della “elementarità barbarica”, bensì la più chiara manifestazione dell’essenza comunista dell’uomo, che oggi possono trovare continuità solo nel partito, nella rivoluzione proletaria domani, fino alla loro generalizzazione a tutta quanta la specie umana, o meglio, espressione della specie umana stessa domani nel comunismo.

Vogliamo sintetizzare il nostro centralismo organico con una definizione della comunità primitiva già descritta da Marx e ripresa dalla Sinistra:

«In fine di questo paragrafo Marx torna sulla comunità primitiva, e fa una descrizione commovente di quelle dell’India (...) rilevando che nel loro ambito non vi è traccia di “anarchia della divisione sociale del lavoro” propria del mercantilismo capitalistico, né di dispotismo politico. Marx dimostra quanto equilibrio, armonia, fraternità e saggezza vi sia in questa “organizzazione pianificata e autoritaria del lavoro sociale” con una dozzina appena di “funzionari”, che arrivano fino al poeta!» (Nel Vortice della mercantile anarchia)
Come si vede, il dispotismo politico all’interno della propria comunità è esattamente l’opposto di tutto ciò che viene definito “comunista”. Gli uomini delle comunità primitive non lo usavano non perché inconsapevoli: essi conoscevano il significato di autorità e di centralismo e conoscevano anche lo “stato d’assedio”, derivante dalla dura lotta per la sopravvivenza, che dovevano condurre con mezzi rudimentali scoprendoli spesso nel momento stesso del bisogno. Ma sapevano anche che l’avversario non era fra loro, e che solo la fraterna cooperazione l’avrebbe avuta vinta contro tutte le forze ostili esterne, permettendo loro di raggiungere il comune scopo di sopravvivere e riprodursi.

Ecco quindi equilibrio, armonia, fraternità, saggezza (cioè scienza), non come espressione di un’organizzazione “disincarnata”, bensì istinto di conservazione della specie che dà, come risultato organico, la autoritaria pianificazione del lavoro sociale (per noi collettivo), dove “autoritaria” sta per “centralizzata” e cioè: visione unitaria dei bisogni del gruppo e spontaneo disciplinamento alle funzioni necessarie da questi bisogni dedotte. La necessità di esercitare la violenza rivoluzionaria e la feroce dittatura di classe che stanno nel programma del partito quali mezzi irrinunciabili nel percorso verso il comunismo, non potranno mai giustificare la rinuncia al centralismo organico al suo interno.

Violenza rivoluzionaria e dittatura di classe non sono l’anima del partito ma sono dedotte dal corpo unitario della teoria marxista  – travasata nel programma comunista – quali mezzi transitori da impiegarsi verso il nemico di classe, necessari al trapasso dal capitalismo al comunismo. Dispotismo politico e mezzi coercitivi non possono che essere rivolti verso l’esterno perché la volontà del partito, e quindi il suo autoritarismo, non può che essere la conseguenza del naturale bisogno storico che lo ha generato, dal quale scaturisce la sua funzione di organo della rivoluzione proletaria e della trasformazione sociale fino al comunismo. Nessuna distinzione quindi fra centralismo organico e comunismo, per cui, negare il centralismo organico significa impedire l’ulteriore evoluzione della specie umana, impedendo prima di tutto la possibilità del compiersi della rivoluzione comunista mondiale.

Il risorgere del partito sulla base del centralismo organico anziché esprimere “debolezza organizzativa” esprime il salto qualitativo prodotto dalla storia: l’avvento del partito comunista monolitico. L’umana e fraterna cooperazione fra tutti i militanti senza distinzione alcuna, anziché esprimere “mollezza da idealisti”, è l’espressione del partito in quanto “organo umano” e ci proviene dalle virili comunità primitive che con la gioiosa e fraterna cooperazione lasciarono il segno indelebile che l’uomo è nato comunista e che solo riconquistando questa sua essenza potrà finalmente riconoscersi come umano.