Partito Comunista Internazionale Stampa in lingua italiana

 

LENIN NEL CAMMINO DELLA RIVOLUZIONE

Conferenza tenuta il 24 febbraio 1924 alla Casa del Popolo di Roma




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La funzione del capo

(...) Dal nostro punto di vista materialistico storico, la funzione dei capi si studia uscendo decisamente fuori dai limiti angusti in cui la chiude la concezione individualista volgare. Per noi un individuo non è una entità, una unità compiuta e divisa dalle altre, una macchina per se stante, e le cui funzioni siano alimentate da un filo diretto che la unisca alla potenza creatrice divina o a quella qualsiasi astrazione filosofica che ne tiene il posto, come la immanenza, la assolutezza dello spirito, e simili astruserie. La manifestazione e la funzione del singolo sono determinate dalle condizioni generali dell’ambiente e della società e dalla storia di questa. Quello che si elabora nel cervello di un uomo ha avuto la sua preparazione nei rapporti con altri uomini, e nel fatto, anche di natura intellettiva, di altri uomini. Alcuni cervelli privilegiati ed esercitati, macchine meglio costruite e perfezionate, traducono ed esprimono e rielaborano meglio un patrimonio di conoscenze e di esperienze che non esisterebbe se non si appoggiasse sulla vita della collettività. Il capo, più che inventare, rivela la massa a se stessa e fa sì che essa si possa riconoscere sempre meglio nella sua situazione rispetto al mondo sociale e al divenire storico, e possa esprimere in formule esteriori esatte la sua tendenza ad agire in quel senso, di cui sono poste le condizioni dai fattori sociali, il cui meccanismo, in ultimo, si interpreta partendo dall’indagine degli elementi economici. Anzi, la più grande portata del materialismo storico marxista, come soluzione geniale del problema della determinazione e della libertà umana, sta nell’averne tolta l’analisi dal circolo vizioso dell’individuo isolato dall’ambiente, e averla riportata allo studio sperimentale della vita delle collettività. Sicché le verifiche del metodo deterministico marxista, dateci dai fatti storici, ci permettono di concludere che è giusto il nostro punto di vista oggettivistico e scientifico nella considerazione di queste questioni, anche se la scienza al suo grado attuale di sviluppo non può dirci per quale funzione le determinazioni somatiche e materiali sugli organismi degli uomini si esplichino in processi psichici collettivi e personali.

Il cervello del capo è uno strumento materiale funzionante per legami con tutta la classe ed il Partito; le formulazioni che il capo detta come teorico e le norme che prescrive come dirigente pratico, non sono creazioni sue, ma precisazioni di una coscienza i cui materiali appartengono alla classe-partito e sono prodotti di una vastissima esperienza. Non sempre tutti i dati di questa appaiono presenti al capo sotto forma di erudizione meccanica, cosicché noi possiamo realisticamente spiegarci certi fenomeni di intuizione che vengono giudicati di divinazione e che, lungi dal provarci la trascendenza di alcuni individui sulla massa, ci dimostrano meglio il nostro assunto che il capo è lo strumento operatore e non il motore del pensiero e dell’azione comune (...)

I capi e il capo sono quelli e colui che meglio e con maggiore efficacia pensano il pensiero e vogliono la volontà della classe, costruzioni necessarie quanto attive delle premesse che ci danno i fattori storici. Lenin fu un caso eminente, straordinario, di questa funzione, per intensità ed estensione di essa. Per quanto meraviglioso sia il seguire l’opera di quest’uomo all’effetto di intendere la nostra dinamica collettiva della storia, non noi però ammetteremo che la sua presenza condizionasse il processo rivoluzionario alla cui testa lo abbiamo veduto, e tanto meno che la sua scomparsa arresti le classi lavoratrici sul loro cammino.

La organizzazione in partito, che permette alla classe di essere veramente tale e vivere come tale, si presenta come un meccanismo unitario in cui i vari "cervelli" (non solo certamente i cervelli, ma anche altri organi individuali) assolvono compiti diversi a seconda delle attitudini e potenzialità, tutti al servizio di uno scopo e di un interesse che progressivamente si unifica sempre più intimamente "nel tempo e nello spazio" (questa comoda espressione ha un significato empirico e non trascendente).

Non tutti gli individui hanno dunque lo stesso posto e lo stesso peso nella organizzazione: man mano che questa divisione dei compiti si attua secondo un piano più razionale (e quello che è oggi per il partito-classe sarà domani per la società) è perfettamente escluso che chi si trova più in alto gravi come privilegiato sugli altri. La evoluzione rivoluzionaria nostra non va verso la disintegrazione, ma verso la connessione sempre più scientifica degli individui tra loro.

Essa è antindividualista in quanto materialista; non crede all’anima o a un contenuto metafisico e trascendente dell’individuo, ma inserisce le funzioni di questo in un quadro collettivo, creando una gerarchia che si svolge nel senso di eliminare sempre più la coercizione e sostituirvi la razionalità tecnica. Il partito è già un esempio di una collettività senza coercizione.

Questi elementi generali della questione mostrano come nessuno meglio di noi è al di là del significato banale dell’egualitarismo e della democrazia "numerica". Se noi non crediamo all’individuo come base sufficiente di attività, che valore può avere per noi una funzione del numero bruto degli individui? Che può significare per noi democrazia o autocrazia? Ieri avevamo una macchina di primissimo ordine (un "campione di eccezionale classe", direbbero gli sportivi) e potevamo metterlo all’apice supremo della piramide gerarchica; oggi questi non v’è, ma il meccanismo può seguitare a funzionare con una gerarchia un poco diversa in cui alla sommità vi sarà un organo collettivo costituito, si intende, da elementi scelti. La questione non si pone a noi con un contenuto giuridico, ma come un problema tecnico non pregiudicato da filosofemi di diritto costituzionale o, peggio, naturale. Non vi è una ragione di principio che nei nostri statuti si scriva "capo" o "comitato di capi"; e da queste premesse parte una soluzione marxista della questione della scelta; scelta che fa, più che tutto, la storia dinamica del movimento e non la banalità di consultazioni elettive. Preferiamo non scrivere nella regola organizzativa la parola "capo", perché non sempre avremo tra le nostre file una individualità della forza di un Marx o di un Lenin. In conclusione, se l’uomo, lo "strumento", di eccezione esiste, il movimento lo utilizza: ma il movimento vive lo stesso quando tale personalità eminente non si trova. La nostra teoria del capo è molto lungi dalle cretinerie con cui le teologie e le politiche ufficiali dimostrano la necessità dei pontefici, dei re, dei "primi cittadini", dei dittatori e dei Duci, povere marionette che si illudono di fare la storia.
 
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In "Lo Stato Operaio", n. 5, 28 febbraio 1924 e in "Prometeo", n. 3, 15 marzo 1924. Ora in Edizioni Programma Comunista, "La Sinistra Comunista in Italia sulla linea marxista di Lenin", 1964.