Partito Comunista Internazionale Dall’Archivio della Sinistra

Corrente di Sinistra nel
Partito Comunista d’Italia

 
 
IL PERICOLO OPPORTUNISTA E L’INTERNAZIONALE

"Stato Operaio", luglio 1925

Estratti

 
 
 
 
 
 
 
 
 
  Crediamo alla possibilità che l’Internazionale cada nell’opportunismo. Badiamo di non tradurre possibilità in certezza, o anche in probabilità maggiore o minore. Troviamo assurdo supporre che "una qualunque" Internazionale, anche costituita secondo le nostre "ricette", oggetto di tanta ironia, possa per virtù misteriosa, per garanzie fissate A PRIORI, formarsi una specie di assicurazione contro il pericolo di deviazioni opportuniste. Non possono bastare i precedenti storici più gloriosi e smaglianti a garantire un movimento, anche e soprattutto un movimento di avanguardia rivoluzionaria, contro l’eventualità di un revisionismo interno. Le garanzie contro l’opportunismo non possono consistere nel passato, ma devono essere in ogni momento presenti e attuali.

Non vediamo poi gravi inconvenienti in una esagerata preoccupazione verso il pericolo opportunista. Certo il criticismo e l’allarmismo fatti per sport sono deplorevolissimi; ma dato anche che essi siano – anziché il preciso riflesso di "qualche cosa che non cammina bene", e l’intuizione di deviazioni gravi che si preparano – puro prodotto di elucubrazioni di militanti, è certo che non avranno modo di indebolire minimamente il movimento e saranno facilmente superati. Mentre gravissimo è il pericolo se, all’opposto, come purtroppo è avvenuto in tanti precedenti, la malattia opportunista grandeggia prima che si sia osato da qualche parte dare vigorosamente l’allarme. La critica senza l’errore non nuoce nemmeno la millesima parte di quanto nuoce l’errore senza la critica (...)

(...) Nella mentalità che si va facendo strada tra gli elementi direttivi del nostro movimento, noi cominciamo a vedere il vero pericolo del disfattismo e del pessimismo latenti. Invece di muovere virilmente contro le difficoltà di cui è circondata in questo periodo l’azione comunista, di discutere coraggiosamente i multiformi pericoli e di ricostituire dinanzi ad essi le RAGIONI vitali della nostra dottrina e del nostro metodo, essi si vogliono rifugiare in un sistema intangibile. La loro grande soddisfazione è di assodare, con largo ausilio di "ha detto male di Garibaldi", con indagini sulle supposte idee ed intenzioni intime non manifestate ancora, che Tizio e Sempronio hanno contravvenuto al ricettario scritto sul loro taccuino, per gridare dopo: Sono contro l’Internazionale, contro il leninismo (...)

(...) Questo sarebbe il vero, il peggiore liquidazionismo del partito e dell’Internazionale, accompagnato da tutti i fenomeni caratteristici e ben noti del filisteismo burocratico. Il sintomo di questo è il cieco ottimismo di ufficio: tutto va bene, e chi si permette di dubitare non è che uno scocciatore da mandare al più presto fuori dai piedi. Noi ci opponiamo a questo andazzo, appunto perché, fiduciosi nella causa comunista e nell’Internazionale, neghiamo che questa debba ridursi a consumare volgarmente "il suo patrimonio" di potenza e di influenza politica (...)

(...) Ha destato scalpore enorme la nostra presa di posizione contro la bolscevizzazione e contro le cellule. Possiamo considerare fallito, sotto le precise risposte dei nostri compagni della sinistra, il tentativo gonfiatorio di attribuirci scandalose opinioni sulla questione della natura del partito e della funzione degli intellettuali. Anche circa le cellule la cosa è stata precisata. La nostra posizione si può schematizzare così. Il tipo di organizzazione del partito non può per se stesso assicurarne il carattere politico, o garantirlo contro le degenerazioni opportuniste. Non è dunque esatto dire che la base territoriale definisce il partito socialdemocratico, la base di fabbrica quella comunista. La base delle cellule di fabbrica, utile in Russia nel periodo zarista e da non abbandonarsi dopo, non la troviamo opportuna nei paesi di avanzato capitalismo a regime politico democratico borghese (...). Altre sono le cellule di fabbrica delle quali parlano le tesi del II Congresso, di cui parlano i documenti della frazione comunista prima di Livorno, redatti dagli ordinovisti e da noi concordemente, di cui solo si parlò nelle polemiche contro la tattica sindacale del massimalismo, che furono realizzate in pieno dal nostro partito nel primo periodo, che risposero ottimamente, e alle quali va attribuito anche oggi ciò che di buono fanno le famose cellule dove ci sono. I più modesti militanti del partito hanno visto il trucco tentato al proposito dai nostri contraddittori.

Noi non siamo contro le cellule, nemmeno come gruppi di iscritti al partito nelle fabbriche con date funzioni; solo chiediamo che non si sopprima la rete territoriale e che la si consideri come rete fondamentale per l’attività politica del partito, come inquadramento organizzativo e strumento di manovra nei movimenti proletari, insieme a quelli di fabbrica, sindacali, corporativi, ecc.

Ma andiamo un poco più oltre in questo affare della bolscevizzazione, e precisiamo la nostra diffidenza aperta verso di essa. In quanto essa si concreta nell’organizzazione per cellule, cui sovrasta onnipotente, la rete dei funzionari, selezionati col criterio dell’ossequio cieco ad un ricettario che vorrebbe essere il leninismo; in un metodo tattico e di lavoro politico che si illude di realizzare il massimo di rispondenza esecutiva alle disposizioni più inattese, e in una impostazione storica dell’azione comunista mondiale in cui l’ultima parola debba sempre trovarsi nei precedenti del partito russo interpretati da un gruppo privilegiato di compagni; noi consideriamo che essa non raggiungerà i suoi stessi scopi e indebolirà il movimento, e la giudichiamo come una reazione non indovinata al successo poco favorevole di molti esperimenti tattici del metodo prevalente, contro le critiche nostre, nell’Internazionale. Anziché con rimedi più coraggiosi, ci pare vi si voglia riparare con questa bolscevizzazione che, senza essere un rafforzamento, resterà una specie di cristallizzazione e di "immobilizzazione" del movimento rivoluzionario comunista e delle sue spontanee iniziative ed energie. Il processo è rovesciato, la "sintesi" (all’armi...!) precede i suoi elementi, la piramide invece di erigersi sicura sulla base si capovolge ed il suo equilibrio instabilissimo punta sul suo vertice (...)

(...) Certo che, quando fummo in presenza della formula del governo operaio, affermammo nettamente che non si trattava più solo di una soluzione tattica inopportuna e di poco rendimento ma di una vera e propria contraddizione col nostro, marxista e leninista, corpo di dottrina, e precisamente con la concezione del processo di liberazione del proletariato, in cui si veniva ad inserire la possibilità illusoria di soluzioni sia pure parzialmente pacifiche e democratiche. Ci si rispose che eravamo in errore, che si trattava non già di una diversa possibilità storica, o soluzione politica fondamentale del problema dello Stato, del potere, ma solo di una parola di "agitazione" del famoso sinonimo della dittatura del proletariato. Dopo le ben note disavventure germaniche della tattica del governo operaio e del fronte unico politico, rivelatosi nella concezione di quelli che la applicarono – da Berlino come da Mosca – come una vera illusione di modificare i termini del problema centrale rivoluzionario attraverso una collaborazione colla sinistra socialdemocratica, fu chiaro che è pericoloso lasciar sopravvivere certe formule anche quando si presentano nella veste innocente di rivendicazioni avanzate a scopo di propaganda. La questione era e restò grave attraverso le formulazioni del IV e V Congresso. Gli eventi posteriori hanno confermata la legittimità della nostra avversione su questo punto, non accessorio, ma fondamentale. Il modo con il quale è stata liquidata la questione tedesca è tutt’altro che soddisfacente. Queste sono enunciazioni sommarie, ma a me preme definire ancora una volta l’estensione ed i limiti del dissenso. Oggi ci troviamo in presenza di una nuova tattica (...)

(...) La nuova tattica si presenta come un ripiegamento in quanto dice: Non ponendosi più in modo immediato la questione della conquista del potere, pur mantenendo integri i capisaldi del nostro programma politico, noi dobbiamo mirare nell’azione a risultati più modesti; e si presentano questi nella prevalenza di regimi di "sinistra" nei vari paesi. Ritorna con parole nuove la vecchissima tesi che un regime di libertà politica sia condizione indispensabile alla ulteriore avanzata della classe operaia. Questa tesi obiettivamente è falsa almeno per tre quarti, e per la parte che è vera resta tremendamente pericolosa. In certe situazioni può la lotta del proletariato essere avvantaggiata dalla presenza di un governo democratico – in altre può essere il contrario – ma SEMPRE vi è un’altra condizione per il successo della lotta rivoluzionaria: l’indipendenza e l’autonomia della politica svolta dal partito di classe proletario (...)

(...) Noi siamo allarmati da questo modo di procedere, degli scenari che si abbassano presentando nuove prospettive che esaminate ponderatamente sarebbero apparse da respingere, mentre con tal sistema finiscono con l’imporsi attraverso una falsa luce. Non identifichiamo questo processo con quello dell’opportunismo dei vecchi partiti socialdemocratici, come ci si vorrebbe far dire; ma rileviamo che una parentela sia pur lontana si stabilisce, e deve suggerirci di mutare strada sul serio. Poche settimane dopo il complesso dibattito del III Congresso, venne fuori il "fronte unico" di cui nei deliberati di quello nulla si diceva. Il "governo operaio" comparve solo dopo le decisioni dell’Allargato del febbraio del 1922, scomparve o si attenuò in parte nelle decisioni del IV Congresso, per servire di base nel tempo successivo alla tattica in Germania. Solo allo scorcio del V Congresso e con riluttanza grandissima trapelò qualche cosa dell’altro grave passo della proposta di unità con Amsterdam. La nuova tattica, al solito, è un fatto compiuto prima che un organo internazionale la abbia esaminata. Ora noi abbiamo sempre chiesto che in materia di tattica le decisioni siano tassative, e... preventive, non postume.

Ad esempio è con vivissimo stupore che si ascolta la giustificazione della proposta dell’antiparlamento fatta dal nostro partito all’Aventino. Questa proposta, di sfacciato sapore democratico cavallottiano savonaroliano e peggio, per noi non ha diritto di cittadinanza nel campo del comunismo, non vìola solo le norme tattiche, ma gli stessi nostri principî. Quando ci accingiamo a provare che si è nelle tesi tattiche appena ed eccezionalmente tollerato il fronte unico "dall’alto", ossia col solito metodo delle proposte ai capi di altri partiti, per i soli cosiddetti partiti operai, e che è inaudito fare passi del genere addirittura verso partiti ufficialmente difensori dell’ordine borghese, sapete come si risponde? Il vostro errore, o sinistri, è di prendere la proposta dell’antiparlamento per un caso di applicazione della tattica del fronte unico. Accidenti! E allora di che razza di tattica si tratta?