Partito Comunista Internazionale Stampa in lingua italiana
 
 
Forza - violenza - dittatura nella lotta di classe
(Prometeo, n. 9, aprile-maggio 1948)
 
 
 
 
 
 
(...) La falsa posizione di quelli che vogliono applicare la democrazia aritmetica nel seno della massa lavoratrice o di suoi dati organismi risale quindi ad una falsa impostazione dei termini del determinismo marxista.

Già distinguemmo in altro di questi scritti fra la tesi errata che in ciascuna epoca storica contrappone a classi con opposti interessi gruppi che confessano opposte teorie, e la tesi esatta che in ciascuna epoca il sistema dottrinale costruito sugli interessi della classe dominante tende vantaggiosamente ad essere professato dalla classe dominata. Chi è servo nel corpo è servo nello spirito, ed il vecchio inganno borghese è appunto di voler cominciare dalla liberazione degli spiriti, che non conduce a nulla e non costa nulla ai beneficiati dal privilegio sociale, mentre è dalla liberazione dei corpi che bisogna cominciare (...)

(...) La chiave del nostro sistema sta appunto nel fatto che la sede di tale chiarificazione non la collochiamo nel cerchio angusto della persona individua, e che sappiamo benissimo che nel caso generale gli elementi della massa lanciata in lotta non potranno possedere nel loro cervello i dati della visione teorica generale. Tale condizione sarebbe puramente illusoria e controrivoluzionaria. Quel compito è affidato invece, non a schiere o gruppi di individui superiori scesi a beneficare l’umanità, ma ad un organismo, ad un macchinismo differenziatosi nel seno della massa utilizzando gli elementi individuali come cellule che compongono i tessuti, ed elevandoli ad una funzione che è resa possibile solo da questo complesso di relazioni; questo organismo, questo sistema, questo complesso di elementi ciascuno con funzioni proprie, analogamente all’organismo animale cui concorrono sistemi complicatissimi di tessuti, di reti, di vasi e così via, è l’organismo di classe, il partito, che in certo modo determina la classe di fronte a se stessa e la rende capace di svolgere la sua storia.

Tutto questo processo si riflette in modo diversissimo nei vari individui che appartengono statisticamente alla classe (...)

(...) Ne consegue che, pur essendo un fatto purtroppo bene assodato che il partito di classe, prima e dopo la conquista del potere, è suscettibile di degenerazione dalla sua funzione di strumento rivoluzionario, nella ricerca delle cause di questo gravissimo fenomeno di patologia sociale e dei rimedi che possono essere atti a combatterlo noi non prestiamo alcun credito alla risorsa di cercare, per le determinazioni e gli indirizzi del partito, una garanzia od un controllo che si fondi sostanzialmente su consultazioni di tipo elettivo svolte o nell’insieme dei militanti del partito stesso o nella più larga cerchia degli operai appartenenti a sindacati economici, a organismi di fabbrica od anche a organi di tipo politico rappresentativo di classe, quali i soviet o consigli degli operai (...)

(...) Noi contestiamo la posizione secondo cui la rovinosa degenerazione della politica rivoluzionaria leninista fino all’attuale indirizzo staliniano sia derivata all’inizio dall’eccessiva preminenza del partito e del suo comitato centrale sulle altre associazioni operaie di classe; contestiamo l’illusoria opinione che tutto il processo degenerativo avrebbe potuto essere contenuto qualora si fosse ricorso, per la designazione di gerarchie o per la decisione di importanti svolti della politica del regime proletario, a consultazioni elettorali delle varie "basi" (...)

(...) Il carattere distintivo che noi vediamo nel partito deriva proprio dalla sua natura organica: non vi si accede per una posizione "costituzionale" nel quadro dell’economia o della società; non si è automaticamente militanti di partito in quanto si sia proletari o elettori o cittadini o altro.

Si aderisce al partito, direbbero i giuristi, per libera iniziativa individuale. Vi si aderisce, diciamo noi marxisti, sempre per un fatto di determinazione nascente nei rapporti dell’ambiente sociale, ma per un fatto che si può collegare nel modo più generale ai caratteri più universali del partito di classe, alla sua presenza in tutte le parti del mondo abitato, alla sua composizione di elementi di tutte le categorie e aziende in cui siano lavoratori, e perfino in principio di non lavoratori, alla continuità di un suo compito attraverso stadi successivi di propaganda, di organizzazione, di combattimento, di conquista, di costruzione di un nuovo assetto (...)

(...) Il nostro modo d’interpretare la questione si estende anche alla famosa esigenza della democrazia interna del partito, secondo la quale gli errori delle direzioni centrali del partito (di cui ammettiamo di aver avuto purtroppo numerosissimi e disastrosi esempi) si evitano o si rimediano ricorrendo, al solito, alla conta numerica dei pareri dei militanti di base.

Non imputiamo cioè le degenerazioni che si sono verificate nel partito comunista all’aver lasciato scarsa voce in capitolo alle assemblee e ai congressi dei militanti rispetto alle iniziative del centro.

Una sopraffazione da parte del centro sulla base in senso controrivoluzionario vi è stata in molti svolti storici; la si è raggiunta perfino con l’impiego dei mezzi che offriva la macchina statale, fino ai più feroci; ma tutto ciò, più che l’origine, è stata l’inevitabile manifestazione del corrompersi del partito, del suo cedere alla forza delle influenze controrivoluzionarie.

La posizione della sinistra comunista italiana su questa che potremmo chiamare la "questione delle guarentigie rivoluzionarie" è anzitutto che garanzie costituzionali o contrattuali non ve ne possono essere, sebbene nella natura del partito, a differenza degli altri organismi studiati, vi sia la caratteristica d’essere un organismo contrattuale, usando il termine non nel senso dei legulei e nemmeno in quello di J. J. Rousseau. Alla base del rapporto fra militante e partito vi è un impegno; di tale impegno noi abbiamo una concezione che, per liberarci dell’antipatico termine di contrattuale, possiamo definire semplicemente dialettica. Il rapporto è duplice, costituisce un doppio flusso a sensi inversi, dal centro alla base e dalla base al centro; rispondendo alla buona funzionalità di questo rapporto dialettico l’azione indirizzata dal centro, vi risponderanno le sane reazioni della base.

Il problema quindi della famosa disciplina consiste nel porre ai militanti di base un sistema di limiti che sia l’intelligente riflesso dei limiti posti all’azione dei capi. Abbiamo perciò sempre sostenuto che questi non debbono avere la facoltà in importanti svolti della congiuntura politica di scoprire, inventare e propinare pretesi nuovi principii, nuove formule, nuove norme per l’azione del partito. È nella storia di questi colpi a sorpresa che si compendia la storia vergognosa dei tradimenti dell’opportunismo. Quando questa crisi scoppia, appunto perché il partito non è un organismo immediato e automatico, avvengono le lotte interne, le divisioni in tendenze, le fratture, che sono in tal caso un processo utile come la febbre che libera l’organismo dalla malattia, ma che tuttavia "costituzionalmente" non possiamo ammettere, incoraggiare o tollerare.

Per evitare quindi che il partito cada nelle crisi di opportunismo o debba necessariamente reagirvi col frazionismo non esistono regolamenti o ricette. Vi è però l’esperienza della lotta proletaria di tanti decenni che ci permette di individuare talune condizioni, la cui ricerca, la cui difesa, la cui realizzazione devono essere instancabile compito del nostro movimento.