Partito Comunista Internazionale "Dall’Archivio della Sinistra"

Corrente di Sinistra nel
Partito Comunista d’Italia

 
 

L’indirizzo dell’Internazionale Comunista

(Da Stato Operaio, 8 maggio 1924)


 
 
 

Avevo voluto nel mio articolo già pubblicato indicare una traccia per la presente discussione ed il suo completo sviluppo. Le circostanze vogliono che tale sviluppo sia di molto abbreviato e che questa traccia non possa essere sistematicamente seguita. Nei pochi numeri di “Stato Operaio” che saranno pubblicati prima che la discussione sia conclusa, mi limiterò più che altro a richiami ed a enunciazioni in riguardo ai vari problemi, non essendo possibile dare dimostrazioni complete delle posizioni che sosterrò. Comincio dai problemi di carattere internazionale.
 

LA QUESTIONE DELLA TATTICA

Al congresso di Roma del nostro partito (marzo 1922) vennero approvate le note tesi sulla tattica, che erano un vero progetto per la tattica dell’Internazionale. È noto che le tesi fossero disapprovate dagli organi centrali dell’Internazionale stessa, e giudicate tra l’altro in contrasto con quelle del precedente III congresso mondiale (estate 1921). Non è esatto che le tesi nostre riproducessero l’atteggiamento di sinistra tale e quale fu condannato dal III congresso. Questo fece la critica della cosiddetta “teoria dell’offensiva”, la quale sosteneva la valorizzazione della volontà e della iniziativa del partito nello scatenare una azione internazionale, dando una insufficiente importanza ai fattori oggettivi della situazione e della influenza del partito sulla classe operaia. Il III congresso ribadiva l’importanza di questi due fattori, rettificava il semplicismo di quelli che immaginavano come, una volta costituitosi un partito comunista, questo potesse operare solo sul terreno della guerreggiata lotta di classe. Ricordava come il partito rivoluzionario marxista ha un compito preciso, anche allorquando la situazione esclude la immediata offensiva proletaria e la realizzazione massima del programma comunista: tale compito si svolge partecipando alle lotte concrete in cui sono in gioco gli interessi dei lavoratori e in movimento gruppi più o meno grandi di questi; beninteso che le rivendicazioni che si pongono in tali lotte non devono essere considerate come fine a se stesse, ma come occasione e mezzi per assicurare la migliore preparazione rivoluzionaria, nella forza organizzativa del partito comunista, nella influenza di questo sulle masse.

Sebbene le tesi dei comunisti italiani divergessero in taluni punti da quelle del III congresso, esse non sostenevano l’indirizzo semplicistico e facilone ora criticato, e in un certo senso avevano opposta direzione. Secondo i criteri informativi delle nostre tesi, si devono utilizzare le situazioni concrete per aumentare l’influenza del partito sulle masse, ma nella scelta dei mezzi e delle attitudini non si deve perdere di vista il fine per cui si cerca una tale utilizzazione: ed il fine sta nella favorevole preparazione al momento in cui si dovrà svolgere la lotta suprema per la dittatura del proletariato. Tali condizioni sono insegnate dalla dottrina e dall’esperienza della Internazionale Comunista. I lavoratori dovranno essere capaci di ricorrere all’uso della forza armata organizzata, non si dovranno lasciare legare le mani dalle menzogne democratiche parlamentari, non dovranno essere sbandati dal passaggio inevitabile al nemico borghese dei partiti socialdemocratici. E queste condizioni non si realizzano con successo se non vi è un partito forte come tradizione ideologica e salda organizzazione, capace di guidare le masse alla vittoria con chiaroveggenza, decisione, e unità di direzione.

Se l’utilizzazione delle situazioni momentanee e locali ci facesse perdere di vista tale punto di arrivo, si tratterebbe di ricadere nella pratica disfattista degli opportunisti e, per l’illusione del miglioramento immediato della posizione politica dei nostri partiti e di successi parziali, renderebbe i partiti stessi, e la classe lavoratrice, inadatti ai più gravi compiti successivi. Più che la irruenza insurrezionale distingue la nostra attitudine tattica una “gelosia” ragionata della dottrina politica e della compagine organizzativa del partito comunista. Cadono con ciò le critiche alle nostre tesi che le distinguono come dettate da indirizzo sentimentale e volontaristico, come tante volte abbiamo sostenuto.

Chi scrive firmerebbe ancora oggi le tesi di Roma, ritenendo che rispondano ad una applicazione razionale del metodo marxista e determinista.

 

IL FRONTE UNICO

Le tesi di Roma erano in contrasto con quelle che sono state le linee successive dello svolgimento della tattica dell’Internazionale Comunista. Così per la questione del fronte unico quale venne inteso ed applicato principalmente in Germania. Del fronte unico si parlò nella riunione di novembre 1921 dell’Esecutivo e poi dell’Esecutivo Allargato in febbraio. Mi riferisco al progetto di tesi ed al mio discorso al IV congresso, pubblicato da “Stato Operaio” ultimamente, per il contenuto della nostra critica al fronte unico così inteso, ossia il fronte unico non solo come parola di azione comune di tutti i lavoratori dei diversi partiti, ma come diplomazia ed eventuale alleanza con gli organi degli altri partiti proletari. Noi riteniamo che questa tattica urti con le necessità ricordate della vera preparazione rivoluzionaria: essa conduce le masse a dimenticare che, se gli operai socialdemocratici dovranno essere dei fattori rivoluzionari, il più gran numero degli operai deve sapere questo molto tempo prima, con la più grande chiarezza. Senza questa condizione, se anche la tattica del fronte unico giungesse a farci strappare alcuni lavoratori ai partiti in questione, diminuirebbe in grado maggiore la efficienza dello stesso nostro partito.

Questa critica che lasciava intatta l’accettazione e la applicazione del fronte unico sul terreno delle grandi organizzazioni proletarie non politiche, non ha nessuna parentela col sindacalismo, come anche erroneamente è detto.

Oggi si fa alla tattica del fronte unico, proprio in Germania, una critica feroce: si riconosce che esso ha valorizzato più che danneggiare i partiti opportunisti paralizzando la nostra azione contro di essi. Dappertutto poi credo che sia chiara la inanità della strategia diplomatica basata sulle lettere e proposte di azione comune a getto continuo alle centrali di altri partiti, mentre è indispensabile lottare contro la falsa concezione dell’unità insegnando agli operai a conseguire la costituzione di un fronte comune del proletariato, ma attraverso lo svuotamento dei partiti opportunisti e la squalifica dei loro organi e gruppi dirigenti.

Noi rivendichiamo la linea delle tesi di Roma come quella che presentiva i pericoli dell’opportunismo che ora anche Zinoviev riconosce insiti nella tattica del fronte unico, pur non potendo mostrare come e perché i nostri compagni tedeschi di destra abbiano deviato dalle indicazioni della Internazionale, colla quale invece agivano in accordo completo. Se vi è un insuccesso non è della destra tedesca, ma della maggioranza della Internazionale Comunista: questo va detto molto chiaramente.
 

IL GOVERNO OPERAIO

Più evidente è la cosa per il “governo operaio”. Questa formula, infelice, equivoca e meritevole di inonorata sepoltura, subì opposte ed oscillanti interpretazioni. Nel giugno 1922 fu dettata al nostro partito come “sinonimo della dittatura del proletariato” e “mobilitazione rivoluzionaria degli operai per la conquista del potere”. La aderenza al programma comunista era massima e noi non trovammo da ridire. Perplesso restò invece e contrariato il rappresentante della minoranza italiana alla riunione di allora, compagno Graziadei, che giustamente intendeva per governo operaio una soluzione del problema politico e dello Stato che non fosse ancora la dittatura e la conquista rivoluzionaria del potere. Anche qui mi riporto ai noti documenti per la critica di tale attitudine, e la dimostrazione che questa soluzione politica intermedia non può essere agitata nel partito comunista senza che dottrina, programma, funzione del partito se ne vadano del tutto all’aria. Al IV Congresso finalmente trionfa quella che possiamo dire la formula “Graziadei-Radek” del governo operaio: ossia la spiegazione nel senso di conquista parlamentare e ministeriale del potere in alleanza tra il nostro ed altri partiti. Che Zinoviev fosse su questo terreno lo dimostra anche il fatto che egli, alla mia considerazione sulla oscillazione tra la sua vecchia formola e quella di Radek, assentiva che ormai si erano ben messi d’accordo. Tanto è vero che Graziadei al IV Congresso (vedi il discorso pubblicato in queste pagine ultimamente) logicamente, ripeto, si compiacque che si era usciti dall’equivoco e che... si dava ragione a lui.

Che cosa è avvenuto? Non meno del fronte unico politico, il governo operaio ha fatto fallimento, in Germania principalmente. L’Esecutivo e Zinoviev dichiarano che la colpa è dei compagni tedeschi, e sassoni soprattutto, che alla formula rivoluzionaria hanno dato un’interpretazione parlamentaristica ed opportunista. Neanche questo è vero. Anche qui Zinoviev e l’Internazionale devono confessare di avere la responsabilità dell’insuccesso: quei compagni hanno seguito le loro direttive ed a noi sono stati mille volte citati come esempio e come... dimostrazione dei nostri ostinati errori. Non ho modo di addentrarmi di più nella questione dell’esperienza tedesca: mi permetterò solo di ricordare come il suo svolgimento, ed i problemi che oggi s’impongono al partito comunista, corrispondono con quanto dicevo nel mio citato discorso al IV Congresso; prevedendo una situazione di rarefazione dei sindacati e di necessità per il partito di saper scegliere a tempo tra la disfatta proletaria ed una sua azione autonoma contro tutti gli altri partiti e con integrale programma comunista. Il discorso, naturalmente, riguardava delle fautes di cui pareva che il sottoscritto si fosse assicurato il monopolio della produzione a getto continuo...
 

FORMAZIONE E ORGANIZZAZIONE DEI PARTITI COMUNISTI

Quando al 2° Congresso mondiale furono votate le ben note condizioni di ammissione dei partiti nella Internazionale Comunista, il sottoscritto insistette perché quelle deliberazioni fossero considerate transitorie e corrispondenti al periodo storico di formazione della nuova Internazionale. Quando questa avesse sistemato sufficientemente i suoi quadri fondamentali, la sua base statutaria per il proselitismo doveva restare l’adesione individuale alla sua unica sezione in ogni paese. Invece si è continuato a procedere per innesti di vario tipo di partiti e pezzi di partiti, mantenendo sul tappeto in quasi ogni paese la questione di aggregare al partito comunista intere frazioni che si andavano a costituire negli altri partiti operai. Nemmeno voglio riportare le argomentazioni delle nostre tesi e gli altri documenti contro le fusioni ed il “noyautage” in organismi politici, guidati dallo stesso ordine di considerazioni sulla capacità del partito comunista ad adempiere il suo indispensabile compito rivoluzionario. Anche qui si sopravvaluta il successo immediato e si crede che sia un vantaggio rivoluzionario portare via alle internazionali opportuniste qualche altro frammento di partito organizzato, mentre sarebbe ancora desiderabile, forse, regalare ad esse altri nostri rifiuti. Non si intende una cosa essenziale: che questo lavorio, risolventesi tutto nel lasciare indefinito il confine della nostra organizzazione politica e la sua costituzione statutaria mondiale, impedisce che nelle nostre file si affermi come realtà storica quella compattezza organizzativa e rispondenza disciplinata che ci distingue teoricamente dalle organizzazioni opportuniste.

Sta di fatto che nei congressi della Internazionale si deve troppo spesso dibattere di casi di indisciplina di intere sezioni, e che quasi nessun partito funziona senza continui contrasti col Centro. In ogni congresso il compagno Zinoviev deplora questo stato di fatto e si richiama alla necessità che noi diveniamo il vero partito comunista internazionale centralizzato, necessità in cui tutti, e noi più di ogni altro, siamo concordi. Ma la via per trovare un tale funzionamento esige, non i continui rimproveri di un Centro, che per definizione debba essere infallibile, alle organizzazioni periferiche, bensì la discussione da parte delle più alte assise della Internazionale sul modo di lavorare del Centro, la critica di esso e la modifica di un indirizzo che l’anormalità organizzativa e disciplinare minaccia di trasformare in uno stato permanente. Anche qui, per assicurare gli obiettivi che nei congressi si tenta vanamente di raggiungere con pazienti e lunghi negoziati, con impegni fatti firmare a dati capi politici, e con risoluzioni lambiccate (che il più delle volte si riducono ad una delusione anche materialmente, come per la mancata fusione italiana ed il non scongiurato voltafaccia dei gruppi opportunisti in tutti i paesi), si compromette il più vasto e degno scopo rivoluzionario del movimento, che non è tanto di pesare sulla bilancia pettegola dell’attualità e della cronaca, ma su quella dell’avvenire storico rivoluzionario.
 

IL METODO ECLETTICO O... “SITUAZIONISMO”

Al IV Congresso Bucharin, esponente ortodosso della sinistra marxista, si dolse molto che io avessi adoperato il termine eclettismo per qualificare il modo di dirigere l’Internazionale: tale termine ricorda una viva e utile campagna dei bolscevichi contro la tattica opportunista in Russia. Ma il termine risponde a quello che io volevo dire e che penso. Ad esempio è sicuro che molti compagni della “sinistra” saranno entusiasti di atteggiamenti attuali e prossimi della Internazionale comunista, almeno per le cose tedesche: vi sarà, per la cronaca dei sempre bene informati, il “colpo di timone a sinistra”. Tale facilità di variare atteggiamento, però, corrisponde proprio alla sostanza di quello che una seria “sinistra” dovrebbe combattere, ossia il suddetto eclettismo.

Dalla tendenza fin’ora prevalsa nella Internazionale vuole evitarsi di codificare troppo strettamente le norme tattiche e organizzative del movimento. Si afferma che, una volta stabilita la nostra dottrina politica generale e il nostro programma politico, si deve lasciare agli sviluppi molteplici delle situazioni il suggerirci gli atteggiamenti ed espedienti strategici e tattici, su cui non è il caso di elevare pregiudiziali per non legarci le mani. Anche su questo punto non posso diffondermi nella critica che tra l’altro ho tratteggiato nella mia conferenza su Lenin, dove parlavo di Lenin tattico negando che lo si potesse considerare come il fautore di un tale metodo sciolto ed equivoco. La critica a quello che noi chiediamo, si fa dicendo che noi pretendiamo che si abbia una formoletta pronta per ogni possibile situazione e che questo è dottrinarismo antimarxista che non vuole imparare dalla realtà. In effetti, l’indirizzo da noi sostenuto è il solo che tiene opportunamente conto che il marxismo è nato da una vasta comprensione della realtà ma che deve sboccare nel più spietato degli attacchi a questa realtà: che deve conoscerla per sapere dove la si colpisce per demolirla ma non per aggiogarsi a lei. Noi seguitiamo in questa difficile indagine, in cui consiste tutto il tutto problema.

Constatiamo, come ancora non si è data forma definitiva allo statuto dell’Internazionale, né si è detto se sono in vigore permanente le 21 condizioni (che sarebbero tuttavia da difendersi ove si volesse sospenderle solo... per largheggiare di più), così non si è fatta, almeno dopo il III Congresso che ancora non si occupò dei gravi problemi esaminati da principio, una vera discussione sulla tattica dell’Internazionale. Anche in questo congresso si vuole discutere di tattica insieme alla relazione sull’attività dell’esecutivo: su quella che è stata e poteva essere la tattica della I.C. in questo periodo. Così al congresso passato si finì col non discutere affatto di tattica, approvando all’ultimo momento le tesi che la Commissione apposita, riunitasi appena una volta, all’ultima ora, non aveva neppure studiato: e quindi tantomeno il congresso. Ciò appunto perché il rapporto della tattica fu abbinato e subordinato a quello sulla attività dell’Esecutivo. Inoltre il compagno Zinoviev dice che questa volta si abbinerà la discussione di tattica a quella sulla situazione mondiale. Secondo noi si tratta di due diversi problemi: uno concerne la tattica comunista in generale, ossia la formulazione di una serie di norme di azione politica che non possono essere parte del nostro programma dottrinale, ma devono fare corpo a sé, e che in un certo senso si riferiscono ad ogni tempo, costituendo un poco il nostro arsenale di mezzi di lotta. L’altro problema riflette la valutazione della situazione contingente volta per volta, e la “scelta”, tra le armi di cui disponiamo, di quelle che si attagliano a tali particolari circostanze storiche.

Sulla valutazione della situazione economica e politica mondiale molto vi sarebbe da dire, ma mi limito a notare che non su questo vi è una grande divergenza con l’Internazionale: nel mio progetto citato di tesi tattiche accettavamo la parte “descrittiva” di quella di Zinoviev così com’era. Vi sarebbe da discutere l’interessante tesi di Trotzki secondo cui andiamo verso un periodo di riformismo politico che deve combattersi da noi. Il nostro schematico pensiero in materia, più che consistere nel credere in un opposto divenire “fascista” della politica internazionale borghese, si riduce a considerare le due eventualità come due metodi di cui la borghesia in un certo senso dispone, potendo adottarli alternativamente o insieme: sicché dobbiamo sempre essere ferrati contro i pericoli dell’uno e dell’altro.
 

LA QUESTIONE DEL PROGRAMMA

Il prossimo congresso deve anche codificare il programma dell’Internazionale. La questione gli è rinviata dal precedente. È noto che in questo si urtano due criteri: quello di Bucharin, che voleva escluse dal programma le rivendicazioni del tipo Governo Operaio e simili, quello di Radek che voleva di tali rivendicazioni fare materia programmatica. In realtà questo secondo indirizzo ha il suo sapore di revisionismo comunista assai pericoloso. Il programma dell’Internazionale deve essere definito (secondo i più gloriosi documenti, in prima linea quelli estesi o ispirati da Lenin nei primi anni) in modo tale che la esclusione di deformazioni, le quali inficiassero, sotto la specie delle rivendicazioni “transitorie”, il nerbo della nostra ideologia politica, sia non solo caso occasionale o fatto in omaggio al momentaneo venticello di sinistra, ma definitiva e tale da assicurare contro ogni pericolo di attenuazione.

Un revisionismo programmatico nell’Internazionale potrebbe sussistere anche se la presente situazione e le condizioni di animo del grande partito tedesco gli suggerissero un prudente tempo di aspetto: è per questo che al V congresso si deve esigere una particolare decisione nell’eliminare i minimi appigli all’equivoco in materia di programma, oltre a porre le questioni di tattica con rigore.

La soluzione di questi problemi non deve essere vista, congresso per congresso, come un semplice punto di equilibrio da trovare per il momento tra le varie forze politiche della Internazionale, pretendendo poi di conciliare questo equilibrio stentato con la rigidità organizzativa e disciplinare. Ad esempio la questione delle frazioni non si risolverà che nell’avvicinarsi a quelle condizioni di normalità organizzativa di cui abbiamo parlato, e se invece da quelle ci si dovesse discostare, allora diventerebbe necessaria l’esistenza di una frazione Internazionale di opposizione a sinistra.

A nostro avviso tutta la consuetudine invalsa circa i criteri di lavoro nella Internazionale e nei suoi congressi deve essere radicalmente riveduta e messa all’unisono col nostro carattere di partito rivoluzionario, sottolineando quanto deve dividere questo da una banale diplomazia politica sul tipo di quelle statali. Solo così ci avvieremo a essere finalmente il vero partito comunista mondiale, la cui pratica corrisponda davvero alla magnificenza teorica con cui si erige l’edifizio del nostro programma e alla formidabile esperienza storica di cui disponiamo.

Nel prossimo congresso vi saranno molti “spunti” di sinistra, per l’esperienza recente e contingente di molti paesi e in specie in Germania. Ma il partito tedesco con la sua sinistra potrebbe essere spinto a contentarsi di concessioni transitorie dissimulando il vivo delle questioni. La sinistra del partito italiano, invece, per molte ragioni e per i suoi meriti, che potrebbero coincidere con quelli che passano per i suoi famosi errori, dovrebbe contribuire a un’impostazione più netta e aperta di tutte le questioni; guardando in faccia senza preoccupazioni filistee la minaccia di una revisione a destra del movimento comunista e battendosi contro di essa con la massima energia.