Partito Comunista Internazionale Dall’Archivio della Sinistra

"Prometeo"

 

Il problema della guerra
(Prometeo, n. 83, 1 gennaio 1933)

Verso la nuova Unione Sacra
(Prometeo n. 108, agosto 1934)


 
Presentazione (in “Comunismo”, n.37, 1994)

Per l’Archivio della Sinistra presentiamo due articoli: il primo, intitolato “Il problema della Guerra”, apparve su “Prometeo” nel gennaio 1933; il secondo è uno scritto di Carlo Liebknecht, del 1919, ripubblicato, con una chiara ed esauriente premessa, dalla nostra Frazione nell’agosto del 1934.

I due articoli, l’uno scritto all’indomani della fine della prima guerra mondiale, l’altro nell’antivigilia della seconda, sono uniti da una medesima preoccupazione rivoluzionaria: quella di salvare il proletariato dall’adesione alla “Unione Sacra” con la propria borghesia nazionale, il principale dei compiti affidati dal nemico di classe ai traditori, vecchi e nuovi, della classe operaia.

La dottrina marxista, dialettica, catastrofica, rivoluzionaria, rifiuta la possibilità di un passaggio pacifico ed indolore dall’attuale società divisa in classi al socialismo; questa dottrina catastrofica è stata, nel corso di varie ondate controrivoluzionarie, inquinata da preconcetti borghesi secondo i quali il modo di produzione capitalista potrebbe essere suscettibile di una evoluzione che tenga conto delle istanze sociali e di adeguarsi alle aspettative delle masse popolari.

E’ naturale che questa seconda concezione non è il risultato di una ingenuità politica, ma, al contrario, si tratta di una intelligente opera di “entrismo” borghese nelle file proletarie al fine di trasformare in coefficiente di equilibrio e conservazione borghese quell’organismo che era sorto per compiere il rovesciamento del regime capitalista e l’instaurazione della dittatura proletaria.

La necessità primaria per il partito comunista rivoluzionario diviene, di conseguenza, quella di condurre, in campo dottrinario, una battaglia radicale verso ogni tipo di ideologia democratica e piccolo- borghese e, di pari passo, dichiarare l’antitesi inconciliabile tra il proletariato, portatore di una nuova dottrina, di nuovi sistemi e di nuovi istituti, a fronte di tutto il meccanismo democratico proprio del sistema capitalistico.

Tutti questi concetti si trovano enunciati nel vigoroso articolo di Liebknecht, i medesimi che ispirano lo scritto di “Prometeo”. L’articolo prendeva lo spunto dal Congresso per la Pace che si svolse ad Amsterdam su iniziativa dei pacifisti ed intellettuali piccolo borghesi Barbusse e Romain Roland. Fu posto alla presidenza “della non sullodata adunata l’ex deputato pipista Miglioli, emerito acrobata nel tenere i piedi in due staffe ed attingere con le mani in due borse, quella del Comintern e quella del vescovado, se la prima si trova a secco” (Prometeo, 18/09/1932).

Il variopinto contorno del Congresso comprendeva altri personaggi di spicco tra i quali si distinguevano lo stalinista Munzenberg (ex rivoluzionario, ex dirigente internazionale della gioventù, ex internazionalista di sinistra); il nazionalista di destra indiano Patel; il generale barone Schoenaich; letterati e politicanti di professione, taluni ostentando all’occhiello il nastrino della Legione d’Onore. La stampa d’ispirazione moscovita, anche se usava parole diverse, confermava che la composizione degli intervenuti era esattamente quella da noi descritta: vi erano delegati degli intellettuali “onesti” avversari della guerra, gli elementi borghesi e pacifisti disgustati “dell’ipocrisia del pacifismo della Società delle Nazioni”, i rappresentanti dei movimenti “nazionalisti rivoluzionari”, quelli accreditati dalla II Internazionale e quelli della III. Il convegno si concluse con un documento di avversione alla guerra puramente sentimentale che venne approvato all’unanimità, compresi gli anarchici.

La Sinistra ha avuto sempre molto chiaro il concetto che non si tratta di tracciare un solco fra i fautori e gli avversari della guerra, poiché tra i nemici della guerra bisogna ben distinguere (e qui, sì, tracciare una netta separazione!) coloro che desiderano che la guerra non avvenga perché sconvolgerebbe i loro schemi riformisti, pacifisti, cristiani, umanitari; da coloro che, al contrario, si schierano contro la guerra perché a questa contrappongono la guerra guerreggiata tra le classi per la conquista del potere politico.

Fatta questa distinzione, sapere in quanti si trovino sulla nostra posizione e quanti nelle opposte, assume una importanza secondaria rispetto al mantenimento, con caparbia coerenza, delle nostre tesi. Ed è per questa ragione che l’articolo di Prometeo si concludeva con l’affermazione seguente: “La nostra Frazione, a costo di rimanere isolata, di apparire come una setta, mantiene e manterrà sul terreno della lotta contro la guerra l’implacabile intransigenza rivoluzionaria contro tutto e contro tutti perché è convinta che solamente in questo modo essa contribuisce presentemente alla ricostruzione del fronte proletario contro il mostro capitalista ed è convinta che i rivoluzionari non tarderanno a rendersi conto della giustezza di queste sue posizioni, premessa indispensabile per un vero ed effettivo rafforzamento della lotta rivoluzionaria”.

 

 



Il problema della guerra

Il problema della guerra, per le Frazioni di sinistra, assume un’importanza particolare e per questo abbiamo l’obbligo, il dovere, di precisare il carattere fondamentale della guerra, i metodi e le possibilità per lottare contro di essa.

Discepoli di Marx e di Lenin consideriamo che la guerra è una malattia cronica del regime capitalista. Difatti l’evoluzione naturale del Capitale, dopo aver monopolizzato tutte le risorse interne degli Stati, per non rallentare la marcia per l’accumulazione del "profitto" è portato ad uscire dalle frontiere nazionali per ricercare nuove fonti, nuove possibilità con la conquista di nuovi mercati non esitando a spezzare tutti gli ostacoli che si frappongono nel suo cammino.

Come all’interno degli Stati capitalisti il sangue dei salariati deve servire all’accumulazione del profitto capitalista, nelle guerre lo stesso sangue deve servire al mantenimento ed alla conquista di nuovi mercati.

Il fatto che nel periodo imperialista l’universo è diviso in sfere d’influenza o di dominazione dei diversi Stati capitalisti, soggetti tutti agli stessi bisogni, alle stesse necessità, essi sono portati a tentare una modificazione violenta di queste "sfere di influenza" con le armi. All’interno degli Stati le contraddizioni tra le possibilità dei mezzi di produzione ed i bisogni di tutta la popolazione creano miseria, fame, disoccupazione e formano le premesse per il trionfo della rivoluzione proletaria. La guerra è un tentativo infame ed illusorio per ristabilire l’equilibrio rotto, con sangue, fame e miseria.

Stabilito questo criterio, per noi fondamentale, definito da Lenin come il periodo "delle guerre e delle rivoluzioni", che la guerra come la fame, la disoccupazione sono il prodotto e la conseguenza del regime capitalista, appare chiaro che per noi, per la classe proletaria, l’unico modo di combattere efficacemente contro la guerra è quello di intensificare la lotta di classe, la lotta contro il regime capitalista.

Solamente il trionfo della rivoluzione proletaria potrà significare l’abolizione della guerra, come significherà fine dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo.

Con queste considerazioni di carattere generale il problema della lotta contro la guerra si precisa ed il compito dei rivoluzionari appare chiaro e lampante: mettersi al servizio esclusivo della classe lavoratrice, rafforzarne gli strumenti di lotta che essa possiede, sulla direttiva della difesa degli interessi integrali della classe proletaria.

Risolto così il problema generale della lotta contro la guerra, resta da precisare il modo più semplice come la nostra Frazione concepisce, sulla base delle linee suesposte, la lotta effettiva contro la guerra. Attraverso questa precisazione si possono facilmente comprendere le ragioni della nostra ostilità verso il Congresso di Amsterdam.

È arcinoto che per i comunisti le classi fondamentali della società capitalista sono due: proletariato e borghesia; esistono degli strati medi che ci guardiamo dal trascurare e dal sottovalutare, ma già il Manifesto dei Comunisti del ’48 e tutta l’esperienza acquisita delle lotte proletarie, ci insegnano che questi strati si spostano fra i due poli estremi, verso il proletariato o verso la borghesia a seconda che questa o il proletariato appaiono nella lotta più forti e più risoluti nelle battaglie di classe.

Mentre la borghesia deve la sua forza al potere che detiene nelle mani, alle amministrazioni, forze poliziesche, monopolio della stampa, divisa in una moltitudine di partiti che apparentemente si combattono tra di loro, la classe proletaria deve la sua potenza alle organizzazioni sindacali per la difesa degli interessi immediati e le sue possibilità di vittoria alla sua avanguardia – i partiti comunisti – che la illuminano, la dirigono nelle battaglie rivoluzionarie verso la conquista del potere.

Da questa premessa risulta in modo chiaro – avendo già stabilito che la guerra essendo la figlia del regime capitalista, la lotta contro di essa deve assumere il carattere di lotta contro il regime, e non l’aspetto di una protesta nel nome di una umanità astratta o di una moralità interclassista che non hanno nessun fondamento nella logica inesorabile della lotta di classe, la quale non è periodica ma permanente con fasi più o meno acute – che la lotta contro il regime capitalista può essere condotta solamente dall’avanguardia proletaria: dai partiti comunisti.

Ai partiti comunisti spetta dunque il compito di assumere la direzione di un’agitazione contro la guerra.

All’Internazionale Comunista il compito ed il dovere di promuovere un congresso internazionale con all’ordine del giorno il "problema della guerra".

Una impostazione di questo genere, oltre a richiamare a raccolta i proletari del mondo intero, se fatta seriamente, non mancherebbe di spostare dei grandi strati delle classi medie verso il polo proletario, sui suoi metodi, per i suoi obiettivi.

Se poi i partiti comunisti, attraverso la leva potente delle loro frazioni sindacali, esercitassero una pressione seria e continua nel seno delle organizzazioni sindacali, sollevando la necessità dell’unità sindacale, ed in attesa che questa venga imposta dagli avvenimenti, agitassero nel seno della classe proletaria la necessità del fronte unico fra le diverse centrali sindacali per la difesa degli interessi immediati delle masse lavoratrici – entro i quali la lotta contro la guerra e la difesa delle vittime delle lotte proletarie incarcerate nelle galere capitaliste, particolarmente nelle galere mussoliniane – noi assisteremmo ad un raggruppamento possente delle forze rivoluzionarie che non solo potrebbero impedire la guerra, ma creerebbero le condizioni favorevoli per la distruzione del microbo che causa la guerra: il regime capitalista.

Con il Congresso di Amsterdam siamo su questa strada? Se ne seguono solamente le orme? No, tra la lotta contro la guerra concepita secondo gli iniziatori di Amsterdam e la concezione comunista, leninista, diciamo la parola, vi è un abisso incolmabile.

Sotto il pretesto del "fronte unico alla base" il Congresso di Amsterdam era organizzato al "disopra dei partiti". Per rispettare questa clausola i partiti comunisti, come tali, erano assenti, ed hanno permesso che le organizzazioni di base partecipassero non per sabotare come Lenin ci aveva insegnato al Congresso dell’Aja, ma per valorizzare il Congresso, dal che se ne può dedurre una abdicazione dell’avanguardia proletaria di fronte ad un problema di grandissima importanza come quello della guerra, e nell’ipotesi più favorevole, ma non meno pericolosa, si lascia intravedere alla massa la possibilità di combattere contro la guerra con altre basi che la interpretazione comunista, il grado dell’esperienza dell’ultima guerra e particolarmente il trionfo della Rivoluzione d’Ottobre.

Si è contro il fronte unico fra le centrali sindacali, sotto il pretesto che i dirigenti riformisti sono inseriti nello Stato borghese e che sono dei social-fascisti, ma ad Amsterdam si fa fronte unico con i generali tedeschi, con i deputati borghesi come Bergery, con gli arrivisti italiani come Miglioli, con la borghesia nazionalista indiana (Patel), ecc.

Non è caratteristico il fatto che Racamond, segretario della C.G.T.U. trovi incompatibile di essere confuso con Jouhaux, segretario delle C.G.T. e si trovi invece a parlare in comizi pubblici a fianco di un deputato Herriottista per la pelle, come Bergery, sulla base di un lavoro comune contro la guerra?

Intanto sotto la copertura di questo abbracciamento ibrido, si dimentica il vero lavoro contro la guerra, il lavoro per il rafforzamento delle organizzazioni sindacali e dell’avanguardia rivoluzionaria, anzi si permette a questi letterati piccolo-borghesi come Barbusse e compagnia di intrufolarsi in mezzo alle organizzazioni proletarie prendendo l’iniziativa di congressi, conferenze sindacali, ecc.

È possibile che l’abdicazione, l’incomprensione possa andare così lontano senza che i rivoluzionari, i militanti di base dei partiti comunisti non si rendano conto che marciano a capo fitto verso la catastrofe, verso l’annichilimento delle forze rivoluzionarie?

Nella lotta contro la guerra l’intransigenza rivoluzionaria è la prova del fuoco dei militanti rivoluzionari: Lenin ce lo ricordava quando scriveva a proposito del congresso contro la guerra che doveva tenersi all’Aja nel 1922: «Mi sembra che se avessimo alla Conferenza dell’Aja qualche compagno capace di fare un discorso non importa in quale lingua contro la guerra, sarebbe importantissimo distruggere l’idea che i partecipanti sarebbero nemici della guerra, ch’essi possano comprendere come la guerra può e deve scoppiare nel momento più inatteso, che essi si rendono conto in un modo o in un altro dei mezzi di lotta contro la guerra, che sono capaci di intraprendere con una via chiara ed efficace la lotta contro la guerra».

Dieci anni sono passati da che Lenin dava queste direttive ed oggi ci troviamo con i compiti rinversati in quanto che coloro che nello spirito di Lenin dovevano andare al congresso per un discorso per smascherare il pacifismo a buon mercato dei piccolo-borghesi, si trovano ad essere promotori della penetrazione dell’ideologia borghese nel seno della classe proletaria.

La nostra frazione a costo di rimanere isolata, di apparire come una setta mantiene e manterrà sul terreno della lotta contro la guerra l’implacabile intransigenza rivoluzionaria contro tutto e contro tutti perché è convinta che solamente in questo modo essa contribuisce presentemente alla ricostruzione del fronte proletario contro il mostro capitalista ed è convinta che i rivoluzionari non tarderanno a rendersi conto della giustezza di queste sue posizioni premessa indispensabile per un vero ed effettivo rafforzamento della lotta rivoluzionaria.