Partito Comunista Internazionale Stampa in lingua italiana

 

IL PARTITO COMUNISTA NELLA TRADIZIONE DELLA SINISTRA
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SOMMARIO
 
 
 


PRESENTAZIONE - 1986
Sommario


Il testo che segue, "Il Partito Comunista nella tradizione della Sinistra" del giugno 1974, è il prodotto dello sforzo collettivo del partito per rimettere ordine nelle questioni fondamentali, poste in discussione ogni volta che l’organizzazione subisce sbandate che di norma, almeno fino ad oggi, si concretizzano in fratture più o meno vistose ed estese, più o meno fertili al fine del potenziamento dell’azione del partito sulla base della continuità ed unicità di teoria, programma, tattica ed organizzazione. Nulla v’è da modificare nel testo, composto "di getto" sotto l’incalzare d’urgenze dettate dal bisogno sempre presente ed impellente di rimettere in piedi i fondamenti su cui nel 1952 il Partito aveva preso a marciare.

Questo lavoro apparve in un opuscolo, il primo di una serie, perché allora non era stata varata la nuova testata dell’organo di stampa del Partito, "Il Partito Comunista". In tal modo la circolazione del testo è stata forzatamente limitata, mentre è indispensabile che i compagni, i lettori e i proletari che seguono la nostra lotta conoscano e studino le soluzioni che la Sinistra ha dato e dà al complicato intrecciarsi delle questioni, riassumibili nel titolo di un nostro testo classico "Natura funzione e tattica del partito comunista rivoluzionario della classe operaia" del 1945.

Vi si espone, con il nostro potente metodo storico e impersonale, la perfetta coerenza di definizione del Partito comunista secondo la scuola marxista, rappresentata, dopo la distruzione della III Internazionale, unicamente dalla tradizione di posizioni e di battaglia della Sinistra Comunista.

Tratte lungo l’arco di mezzo secolo, dal 1920, anno ancora di rivoluzione in Europa, al recente 1970, attraverso il ciclo semisecolare di controrivoluzione (altro che le pettegole "nuove fasi" scoperte ogni sei mesi dall’immediatismo antimarxista), le citazioni, e le premesse che ne ribadiscono il dettato, dimostrano le storicamente determinate caratteristiche del partito rivoluzionario, "proiezione nell’oggi dell’uomo-società di domani".

II testo, proprio perché assolutamente niente aggiunge o modifica agli assunti che la Sinistra difese nell’Internazionale contro il corrompimento stalinista, e poi contro l’imbastardimento delle correnti antistaliniste di matrice non marxista, e a quanto fu codificato e di fatto realizzato in una non breve tradizione di partito internazionale in questo dopoguerra, costituisce un documento sintetico e sistematico, e la conferma delle nostre Tesi programmate sulle cosiddette questioni di organizzazione. Portiamo a conoscenza delle giovani generazioni di proletari, rivoluzionari di domani, e di chiunque ci avvicini quelle Tesi rivendicate unicamente dalla nostra organizzazione di partito.

II testo fu redatto all’indomani dell’ultima lacerazione nella compagine del partito, la più grave e drammatica del dopoguerra perché voluta e condotta proprio dal Centro dirigente contro chi nel Partito si dichiarava in tutto fedele ai principi programmatici ed alla disciplina organizzativa. È da considerarsi prosecuzione di un lavoro svolto secondo la nostra tradizione ed il nostro metodo, con il quale si era mantenuto, nell’infuriare di "nuovi corsi" organizzativi, il corretto orientamento sui principi di base che regolano e disciplinano la vita di partito, la sua azione, la sua natura; lavoro che era stato riproposto a tutta l’organizzazione perché non fosse smarrito il nord della bussola rivoluzionaria.

Circolò allora come testo interno, rivolto esclusivamente ai compagni di partito ed al Centro, perché non altro interessava che la revoca del provvedimento amministrativo di espulsione, convogliando le forze di tutti i compagni a ribadire le omogenee basi comuni, il comune antico metodo di lavoro, i comuni principi che, a parole, nessuno diceva di voler mettere in discussione. E principalmente a riaffermare quelle caratteristiche e peculiari forme della vita di relazione all’interno del partito che lo avevano caratterizzato fin dal suo ricostituirsi nell’immediato dopoguerra.

Testo e lavoro di partito, non documento polemico o capo d’accusa scissionista verso una pretesa "altra parte"; nella premessa di allora si leggeva: "Questo lavoro è un modesto contributo, svolto sulla traccia proposta alcuni anni or sono, dal Centro rigettato come se fosse stata un cumulo di bestemmie e di scempiaggini. Se la "bussola" non fosse impazzita, il testo sarebbe apparso sulle colonne di "Programma Comunista", sicuramente al posto degli equivoci articoli sull’ ’’organizzazione".

Dovemmo constatare che la bussola era impazzita ed in modo irreversibile: le due organizzazioni hanno da allora proseguito su strade diverse e nessuna richiesta o rimprovero abbiamo più da avanzare. Rimane però, lezione irrinunciabile, il metodo con il quale fu risposto al disastro dilagante della scissione, e degli errori che la provocarono, la sostennero e sconciamente la conclusero negli anni successivi, che hanno visto ridotta ad ignobili e vergognosi brandelli quella pretesa organizzazione di ferro che sarebbe dovuta sorgere dall’allontanamento dei deboli, degli "indisciplinati", della frazione come si diceva, dell’anti-centralismo, che si opponevano ai nuovi corsi organizzativi, alle sterzate disciplinari, non per timore della disciplina e della potenza organizzativa, ma perché vedevano in quei mezzi, in quei criteri, la strada della disorganizzazione, e dunque della rottura dell’unità programmatica.

Questo lavoro tenace mirava a suscitare nel Partito non soddisfazioni personali di "sconfitti" o "vincitori", ma una sana reazione che lo riportasse tutto intero sulle posizioni corrette, senza riabilitazioni o autocritiche o processi a chicchessia.

Il testo ripropone quindi soltanto una corretta affermazione, tratta dall’integrale tradizione della Sinistra Comunista, dei postulati noti a tutto il partito e da tutti i militanti accettati, che hanno lavorato a scolpire vecchie e nuove generazioni con la volontà di fortificare e dilatare l’organizzazione combattente di partito, che si rafforzava in questo continuo instancabile lavoro.

Nello sbandamento e nella generale ritirata del movimento proletario, quando anche partiti che si dichiaravano comunisti cedevano alle antiche superstizioni borghesi e idealistiche che tutto confidano al mito del capo illustre o all’ossequienza piccolo-borghese alla gerarchia, o peggio ad aritmetiche maggioranze, solo la Sinistra seppe tirare la lezione della controrivoluzione riconoscendo nella III Internazionale, nei primi suoi due congressi, l’anticipazione del partito comunista mondiale, antica aspirazione del comunismo marxista e necessità storica; e viceversa denunciare le forme caduche, le sopravvivenze di federalismo e di eterogeneità dottrinaria e programmatica all’interno del partito e la degenere conseguenza: il meccanismo democratico e il suo complemento, il burocratismo e l’abuso dei formalismi organizzativi.

Già nell’Internazionale la Sinistra si oppose a che il metodo di lavoro interno, lo studio della realtà sociale e dell’individuazione della tattica adeguata, derivasse come risultato dalla lotta politica al suo interno, dallo scontro e dal mutevole rapporto di forza fra diverse frazioni.

A maggior ragione nel partito rinato nel dopoguerra, già embrione del partito comunista unico mondiale, escludemmo che la vita interna si potesse fondare sullo scontro di diverse correnti, ideologicamente contrapposte, essendosi ormai definitivamente raggiunta, per maturità storica rivoluzionaria e della lotta di classe, l’unità dottrinaria del partito ed essendosi codificato un sistema di norme tattiche.

Tale maturità oggettiva dell’esperienza proletaria, cristallizzata in fatti, testi e Tesi, e pulsante nella compagine vivente del partito e nel suo univoco e scientifico lavoro di indagine e di ricerca, rende possibile – anzi esige – un organico metodo per la realizzazione della tattica e per il suo coerente muoversi.

Affermiamo che il massimo rendimento nell’utilizzo di tutte le forze del partito risiede nei metodi unitari di lavoro poggianti sulla "fraterna solidarietà e considerazione fra compagni", relegando quindi e finalmente nel museo della preistoria, anche dell’organizzazione proletaria, i metodi oggi distruttivi, che solo per immaturità storica del nostro movimento dovettero avere in essa dei precedenti, del "combattimento" fra compagni e fra frazioni con tutto l’armamentario fatto di democrazia, confronti numerici, ma anche esagerazioni e forzature polemiche, fino la frazione di sinistra dover sopportare attacchi personali, calunnie, pettegolezzi, manovre fra personaggi più in vista, manipolazioni di adulate basi.

Potemmo infine escludere, insieme, l’abitudine alla "personificazione del partito" o dell’"errore", secondo il quale il partito potrebbe raffigurare a se stesso il corretto indirizzo solo nell’autorevolezza di un "leader" o viceversa la deviazione in un "colpevole". Nel partito rivoluzionario mondiale la ricerca del giusto indirizzo tattico fu finalmente possibile senza l’assurdo dispendio d’energie (lo "sport del frazionismo" nella III Internazionale) della battaglia tra frazioni: il fine non è più quello di vincere, sopraffare numericamente o allontanare dalla direzione organizzativa un dato gruppo di compagni, con qualsiasi mezzo, ma quello di convincere l’insieme dell’organismo partito della giustezza della sua linea tattica e così saldamente fondare l’unità del movimento.

Conoscevamo l’obiezione: il partito, in ogni modo sottoposto alla pressione dell’ambiente borghese esterno, deve difendersi dalle ideologie e dagli indirizzi spuri che penetrano al suo interno. Fuori da ogni inutile moralismo o caccia al diavolo da sagrestia rispondemmo semplicemente, con le nostre limpide Tesi, che l’esperienza ci ha insegnato che l’involuzione opportunista dei partiti si è sempre manovrata dall’alto, sbandierando ad arte maggioranze numeriche e disciplina formale. Introdurre i metodi della lotta politica nel partito significò quindi abbandonare il partito proprio nelle mani di chi si affermava di voler combattere. Il partito deve e può difendersi dalla pressione, permanente e terribile, dell’ambiente esterno, attraverso i suoi metodi di vita organica. Questi non sono un lusso estetico o una liturgia formale da accantonare quando si passi dalla "fase della ricerca teorica a quella della "lotta di classe". La sola difesa del partito è nella massima coerenza del suo metodo organico.

Questi temi sono ulteriormente esposti in un recente rapporto, "Nell’organica predisposizione del partito la sua preparazione alla rivoluzione", che qui inseriamo a seguito del testo del 1974.

Nel 1951, al "fondo della depressione" controrivoluzionaria, completato lo scivolamento dello Stato russo nel campo della difesa dei rapporti borghesi e consumata l’ubriacatura patriottica della seconda guerra imperialistica, il Partito Comunista Internazionalista, nel costituirsi in modo chiaro e omogeneo, formulò un corpo di tesi caratteristiche allo scopo di definire e delimitare nettamente il nostro movimento rispetto a forze, che lasciarono il Partito, e rispetto a gruppi solo apparentemente a noi affini che allora e da allora fino ad oggi hanno accompagnato la marcia dei grandi apparati della socialdemocrazia ufficiale.

In quelle Tesi, alle quali la nostra attuale organizzazione fa pieno riferimento, nei capitoli Teoria, Compiti del partito comunista, Ondate storiche di degenerazione opportunista, Azione del partito in Italia ed altri paesi al 1952, si tratta non di filosofia o di storia astratta al modo professionale, ma si tratteggia un modo d’essere di un partito, non solo saldamente impostato su «i principi del materialismo storico e del comunismo critico di Marx ed Engels», ma che può ed intende far vivere quella scienza sociale e quelle previsioni future in un organismo che agisce, in un partito all’interno del quale si postuli la soppressione dell’antagonismo fra coscienza e azione, fra teoria della rivoluzione ed attività rivoluzionaria.

Pur trattandosi di un’organizzazione di non grandi effettivi, per determinazione storica, nella Tesi della Parte IV si rivendica:

Cit. 1 – Tesi caratteristiche del partito (Tesi di Firenze)- 1951
IV, 4 - Oggi, nel pieno della depressione, pur restringendosi di molto le possibilità d’azione, tuttavia il partito, seguendo la tradizione rivoluzionaria, non intende rompere la linea storica della preparazione di una futura ripresa in grande del moto di classe, che faccia propri tutti i risultati delle esperienze passate. Alla restrizione dell’attività pratica non segue la rinuncia dei presupposti rivoluzionari. Il partito riconosce che la restrizione di certi settori è quantitativamente accentuata ma non per questo è mutato il complesso degli aspetti della sua attività, né vi rinuncia espressamente.
Le poche forze di militanti che si riorganizzarono nell’immediato dopoguerra riconobbero ormai storicamente indiscussa la selezione del programma per l’emancipazione rivoluzionaria della classe lavoratrice dalla società capitalistica; della quale parti integranti ed essenziali sono non solo i principi teorici della critica sociale e conoscitiva comunista, ma anche un compiuto sistema di norme tattiche derivato da un arco secolare di guerra proletaria e di un metodo di lavoro e di relazione organico proprio del partito proletario. La maturità e le conferme dei nostri postulati teorici provenienti dalla viva verifica della lotta di classe permise al partito di allora di affermare nella Tesi 5 della Parte IV:
Cit. 2 - Tesi caratteristiche del partito (Tesi di Firenze) - 1951.
IV, 5 - Attività principale, oggi, è il ristabilimento della teoria del comunismo marxista... Per questo il partito non lancerà alcuna nuova dottrina, riaffermando la piena validità delle tesi fondamentali del marxismo rivoluzionario, ampiamente confermate dai fatti.
Appunto perché il proletariato è l’ultima classe che sarà sfruttata e che quindi non succederà a nessuna nello sfruttamento d’altre classi, la dottrina è stata costruita sul nascere della classe e non può essere mutata né riformata.
Lo sviluppo del capitalismo dalla sua nascita ad oggi ha confermato e conferma i teoremi del marxismo, quali sono enunciati nei testi, ed ogni pretesa "innovazione" o "insegnamento" di questi ultimi trent’anni conferma solo che il capitalismo vive ancora e che deve essere abbattuto.
Conseguenza di questa nostra certezza di scienza e del metodo ad essa coerente: il programma non è, tanto meno oggi, da inventare, riscoprire o aggiornare; il programma della rivoluzione esiste nei fatti terribili delle sconfitte proletarie e nella putrescenza dell’universo borghese. In dottrina il programma della rivoluzione esiste da un secolo e mezzo, come affinamento ultimo nelle lezioni che la sinistra marxista trasse e codificò dal culmine di proletaria avanzata della rivoluzione russa e della Terza Internazionale, prima palpitante realizzazione della prevista unica direzione mondiale del proletariato insorto. Da allora compito del partito è di conservare tale sentimento e tale scienza eversiva. Compito del partito non è scoprire nell’oggi informe nuove eccezioni ai nostri teoremi ma saperli leggere nei fatti dell’oggi e del passato.

All’altezza storica della nostra tradizione il partito da allora si dedicò, con limitazioni "solo quantitative", come affermano le Tesi, all’impersonale e indispensabile lavoro di difesa della continuità comunista.

Si postula la forma organizzata di tipo partito, propria, dal 1848 almeno, dell’organizzazione proletaria cosciente, ed unica, che può ospitare la milizia comunista quando è potuto minimamente esistere. Organizzazione partito unitario come unitario è il nostro programma e privo di scontro d’interessi contrastanti il mondo per il quale lottiamo. Dalla monoliticità del programma discendono centralismo e disciplina, che nel partito è e non può che essere spontanea e sentita non come una costrizione amministrativa o terroristica ma come il naturale modo di vita di un organismo tutto teso verso lo stesso fine e che ben conosce il percorso, le svolte e i pericoli che ad esso portano; la disciplina nel senso più forte, quell’organica, è possibile solo nel partito comunista; per questo nel partito, a differenza che negli organismi della morente società di classe, il richiamo alla disciplina non si avvale di costrizione, solo potendosi dedurre, in caso di non individuale indisciplina, che qualcosa di più profondo nel lavoro del partito si sta allontanando dal suo tracciato storico. È nostra tesi che dal partito può essere bandita la lotta politica interna e lo scontro di frazioni, nella teoria essendo escluso che all’interno del movimento comunista possano delinearsi nuove scuole o ideologie: quando il partito si dividesse in due schieramenti questo segnerebbe la fase immediatamente precedente la morte di quel partito e la nascita di una nuova organizzazione che reagisce alla degenerazione della vecchia, come la storia del nostro movimento, antico e recente, mostra in vari svolti.

Nel concetto di partito comunista tratteggiato nelle Tesi sta anche il rigetto di ogni localismo e contingentismo nel lavoro di difesa del programma e di propaganda esterna, vecchi residui questi propri di strati sociali piccolo borghesi, stretti nell’angusto orizzonte del circolo, del gruppo "di studio" locale, che pretende "percorrere la sua strada verso il partito", nuovi obliqui viottoli, tortuosi e senza sbocco, di fronte all’autostrada del vecchio collaudato metodo impersonale di partito.

Nel partito e solo nel partito si realizzano i moduli di relazione umana propri della società futura: in serrata resistenza alle potenti influenze dell’ambiente esterno solo nel partito si nega la borghese superstizione della "persona", falsa astrazione della borghesia sorgente, con i mercantili accessori delle carriere, dei premi, della concorrenza.

Assunto che la consegna del partito storico, non "dogma rivelato" ma sintesi dell’esperienza passata proletaria, confermata dai fatti di ieri e d’oggi, costituisce il solco continuo nel quale l’organizzazione militante deve riuscire ad incanalarsi, alla Tesi 7 della Parte IV si ribadisce:

Cit. - 3 -Tesi caratteristiche del partito (Tesi di Firenze) -1951.
IV. 7 - ...Ne consegue che il partito vieta la libertà personale di elaborazione e di elucubrazione di nuovi schemi e spiegazioni del mondo sociale contemporaneo: vieta la libertà individuale di analisi, di critica e di prospettiva anche per il più preparato intellettuale degli aderenti e difende la saldezza di una teoria che non è effetto di cieca fede, ma il contenuto della scienza di classe proletaria, costruito con materiali di secoli, non dal pensiero di uomini, ma dalla forza dei fatti materiali, riflessi nella coscienza storica di una classe rivoluzionaria e cristallizzati nel suo partito. I fatti materiali non hanno che confermato la dottrina del marxismo rivoluzionario.
Altra separazione di forze dal partito si verificò nel 1966 mentre la continuità dell’organizzazione si mantenne nel ribadimento delle norme di relazione interna al partito tratte dal bilancio della degenerazione della Terza Internazionale come specificamente espresso dalle Tesi del 1965-66. Come nel 1951 si formò altra organizzazione separata che si allontanò dal partito percorrendo direzioni diverse dalla nostra e delle quali mai c’interessò studiare il percorso.

Su queste basi si è costituito e ha lavorato il partito fino al 1973 identificato nella testata di "Programma Comunista". Allora una scissione che definimmo "sporca", disonesta perché chi allora tradì il partito non ebbe l’ardire di proclamare, se non a cose fatte ad ingannati militanti, l’intenzione di tralignare dal corso tracciato ma anzi – e la storia dei partiti formali c’insegna come sia la regola per ogni revisionismo – ostentando una reverenza formale quanto ipocrita per i grandi nomi degli uomini illustri e per i principi astratti messi in frigorifero. A differenza delle precedenti separazioni quella del 1973 fu particolarmente torbida e sofferta poiché per la prima volta dal 1951 la crisi e il frazionismo coinvolsero anche il centro direttivo dell’organizzazione.

Nel 1973 il fatto materiale dell’espulsione da Programma di una parte significativa dell’organizzazione per se stesso provocò l’esistenza di due partiti distinti, ciascuno dei quali proseguì per la sua strada. L’incompatibilità storica delle posizioni della sinistra a coesistere con qualsivoglia opportunismo spiega la nettezza dell’irrevocabile separazione. La nuova organizzazione che pubblica i periodici "Il Partito Comunista" e "Comunismo" ebbe la possibilità di trarre il bilancio anche dell’ultima crisi del partito formale, sebbene "svolgentesi a livello delle galline", ma "più carognesca", e bollò la deviazione come opportunista e frutto di volontarismo e impazienza nelle direttive pratiche, capovolgendo contro gli accusatori il marchio d’attivismo che fu inventato contro la nostra inesistente frazione.

Dato che la possibilità d’esistenza del partito non la facciamo discendere meccanicamente dal grado del rapporto di forza fra le classi né dal numero dei militanti disponibili, ma dall’accettazione assoluta da parte di tutti dell’unico monolitico programma di sempre, il piccolo partito continuò il "grave lavoro" intrapreso nel 1951, impedendo che defezioni e la sovrastante pressione del mondo borghese potessero spezzare il "filo del tempo" che, continuo e senza scosse, è passato da una generazione all’altra di militanti. Nel 1973 non si combatté soltanto contro alcune deviazioni, o circa alcune soltanto delle questioni più discusse; ma si difese soprattutto il concetto stesso nostro di partito comunista, prova delle prove perché oggi riuscire a mantenere in vita l’organizzazione cosciente proletaria è prima e massima azione rivoluzionaria e bruciante sconfitta teorica per il giganteggiante nostro nemico.

Dal momento della separazione con la vecchia organizzazione quindi nessuna relazione abbiamo con lei né dobbiamo emettere alcun giudizio circa il suo progressivo allontanarsi dalla Sinistra.

Nell’ultimo decennio il partito ha "perseverato", nel senso della tesi, "nello scolpire i lineamenti della sua dottrina, della sua azione e della sua tattica con unicità di metodo, al di sopra dello spazio e del tempo", certo che il lavoro del partito sarebbe e sarà domani, se riuscirà a sopravvivere, un potentissimo fattore d’accelerazione per la ricostruzione del partito in grande della Rivoluzione. Non escludiamo la possibilità della rinascita futura del partito proletario, in altri paesi o in altri continenti, ovunque, esclusivamente tramite la riscoperta e la rilettura dei testi e della storia. Affermiamo però che questo processo, altrimenti lungo e tormentato, può essere enormemente abbreviato e reso più diritto dalla presenza anche di un piccolo partito che trasmetta il filo e le norme e le formule sintetiche e conclusive, in senso storico, della nostra scienza.

In una situazione sociale oggi non peggiore di quella del 1951, il partito si vanta di aver mantenuto, attraverso il più lungo riflusso della rivoluzione mondiale, questa "piccola continuità" del marxismo di sinistra, e non solo come "tesi e testi" ma come organo vivente ed operante. Privo ormai il movimento nostro di uomini famosi, dal cui genio, ormai "inutile", trarre nuove illuminazioni, solo nel lavoro collettivo e impersonale del partito è possibile cercare la scienza sociale proletaria ed antivedere oltre le nebbie dell’amorfo ambiente presente.

Nulla riteniamo di dover aggiungere o modificare alle nostre tesi. Al di fuori di una stupida "boria di organizzazione" priva di contenuti programmatici, tipica, fra l’altro, di ogni opportunismo, anche recente, né affezionati ad un’organizzazione in sé, ribadiamo – soli contro una multiforme compagine di aggiornatori e di ripensatori – che rivendichiamo piena ed esclusiva continuità con quelle tesi e con quel partito che ebbe il sentimento rivoluzionario e la potenza dialettica di volersi proclamare tale contro i biascicamenti del razionalismo spontaneista e dello scetticismo dei "politici concreti".

* * *

L’ultima parte del testo qui ripubblicato, la quinta, è dedicata al cruciale argomento della tattica, dell’azione pratica del Partito nelle varie epoche e nelle diverse situazioni geografiche, nodo fondamentale da sciogliere per l’assalto rivoluzionario, e per converso il più delicato e complesso ambito in cui l’organizzazione di Partito si muove, nel fuoco vivo della lotta sociale.

Come tutto il lavoro, questa quinta parte si presenta con una Premessa che inquadra sinteticamente il piano tattico generale del Partito, e con un’ampia serie di citazioni, articolate in sei capitoli, dai testi fondamentali del comunismo rivoluzionario e dalla nostra incorrotta tradizione di lotta allo stalinismo ed all’opportunismo, che dimostra appunto l’invarianza di quel filo rosso che corre lungo generazioni d’uomini e formazioni politiche.

Il campo tattico, al pari del campo organizzativo, di cui trattano le parti precedenti del testo, è sempre stato uno dei punti di maggior criticità, traverso il quale il Partito ha iniziato gli sbandamenti più pericolosi, e, nella pretesa che il possesso di "saldi principi" permettesse ogni manovra, o peggio che il maneggio di un’organizzazione "forte e disciplinata" consentisse ogni voltafaccia tattico, sono state stravolte in pochi anni strutture nate o rinate su basi dottrinarie e organizzative saldissime, ed addirittura sull’onda di una rivoluzione vittoriosa. Che poi la "degringolade" tattica sia sempre accompagnata dalla degenerazione della vita di relazione all’interno del Partito, alla comparsa del frazionismo dall’alto, a metodi di compressione organizzativa e di vera e propria lotta politica, è un dolente corollario di una dimostrazione ormai definitiva nella secolare storia dell’organo Partito.

Del pari il rigido quadro in cui la rosa delle eventualità tattiche può svolgersi rassicura e rafforza l’unità, la compattezza e quindi la disciplina dell’intera compagine del Partito, che non dovrà più essere sottoposto alle invenzioni tattiche della direzione del movimento, vincolata anch’essa al rispetto di norme e cardini vincolanti con ugual rigore base e vertici, universalmente accettate e conosciute, sulle quali il Partito stesso si è formato. E quindi non a consultazioni assembleari, né a scontri di maggioranze o minoranze, od a capi di maggior o minor genio potrà essere demandata l’esecuzione del piano tattico, ma ad un organo esteriormente anonimo, sostanziato da un anonimo, impersonale collettivo lavoro, opera dell’intera compagine, tanto più efficiente quanto più ricollegato saldamente a quella tradizione ed a quel metodo storico, dal Partito compresi e fatti propri.

Un arco di più di quaranta anni sottende il "gruppo d’affermazioni" raccolte nel primo capitolo, nel potente senso dialettico e storico che diamo alla nostra dottrina, in cui assommiamo l’autorità di morti e nascituri, dei militanti della Rivoluzione che sono stati e saranno sulla pietra angolare della "tattica" che supporta per certo verso l’intera vita del Partito. Il Partito vive ed "esiste" verso l’esterno, verso la classe che storicamente definisce, anche per la sua tattica; per l’insieme cioè delle regole d’azione che sono, che devono essere, il riflesso, o meglio la conseguente esecuzione del suo essere, del suo programma e dei suoi principi storici, di là delle contingenze storiche mutevoli o dei capi più o meno geniali che lo guidano.

La tattica non s’improvvisa, la tattica non può mutare a piacere del capo di turno, o delle impreviste contingenze del giorno, al di fuori dei binari rigidamente tracciati dall’esperienza storica del Partito, pena la distruzione del partito stesso, e la sconfitta del movimento rivoluzionario. Di più, buona tattica è quella che non trova il partito impreparato ad applicarla, a farla diventare arma d’attacco verso l’avversario.

Sottolineiamo il fatto che nella nostra e solo nostra tesi della assoluta autonomia del Partito, di cui si parla nel secondo capitolo e nel terzo, che si riferisce alle Tesi di Roma, si riassumono nel modo più completo e inconfondibile le caratteristiche del Partito, che ne fanno un organismo del tutto particolare e singolare rispetto a qualunque altro organismo, non solo proletario, ma che l’intera umanità abbia finora espresso, tanto da rappresentare nella realtà vivente di oggi l’anello di congiungimento tra il comunismo primitivo e il futuro comunismo superiore.

Il proletariato non ha bisogno di Partiti che sia capaci solo di condurlo a nuove sconfitte. Il proletariato ha bisogno del Partito che, avendo tratto tutte le lezioni del passato, lo sappia guidare alla vittoria definitiva contro il capitalismo. Ecco dunque la questione centrale della tattica: solo il Partito possiede una tattica tale per questo può impostare in maniera consapevole la questione della sua azione ed è proprio per questo che, in date condizioni storiche, può dispiegare maggiore potenza dello stesso Stato capitalista. È noto che abbiamo più volto espresso tale caratteristica del Partito, ed è questa la sua singolarità, col termine di "capovolgimento della prassi", quindi il rapporto azione-coscienza si capovolge e l’azione dell’organo Partito può diventare consapevole, cosa negata a qualunque altro organismo e, a maggior ragione, individuo.

In ciò è contenuta in maniera del tutto evidente la tesi della assoluta autonomia del Partito da tutti gli altri Partiti, anche sedicenti proletari e "rivoluzionari": se il Partito si confondesse con altri organismi la sua potenza ne risulterebbe inevitabilmente indebolita, in quanto l’incremento numerico degli aderenti ne limiterebbe la compattezza e l’unitarietà. È ovvio anche che l’esigenza dell’assoluta autonomia del Partito è indispensabile non solo nelle aree geostoriche a rivoluzione diretta, ma anche in quelle a doppia rivoluzione, l’unica differenza essendo quella relativa alla possibilità d’alleanze rivoluzionarie in queste ultime che non esistono nelle prime.

Il nucleo fondamentale della concezione marxista del Partito sta dunque proprio nel fatto che l’agire consapevole è attribuito al Partito stesso, la cui azione può essere precisamente prevista e coordinata con gli scopi da raggiungere proprio perché è azione collettiva e non individuale; e nemmeno di una somma semplicemente numerica d’individui ma di una collettività, che, ricollegandosi unitariamente, proprio nell’azione di Partito, a tutta l’esperienza storica del proletariato, esprime una potenza centuplicata rispetto alla sua semplice espressione numerica. Di conseguenza, ciò presuppone che l’azione del Partito sia caratterizzata da una sostanziale unitarietà di comportamento dei suoi membri, cosa possibile solo se le esigenze dell’azione sono "assommate in chiare regole di azione", alle quali diventa possibile adeguarsi da parte di tutti gli aderenti indipendentemente dalla loro consapevolezza individuale.

Ecco così che risultano precisamente definiti due caratteri, e tutti e due essenziali, della natura del Partito:
– quello della precisione, della chiarezza e dell’assoluta autonomia del suo piano tattico;
– quello della prefigurazione della futura società comunista, già oggi vivente nei rapporti di Partito.

Un simile Partito non s’improvvisa, ma può essere solo il risultato di una lunga e difficile opera su tutti i piani: su quello primario della difesa e continua appropriazione della teoria, su quello della coerente azione e partecipazione ad ogni lotta proletaria, su quello della fraterna considerazione di tutti i compagni. Perciò e per nessun motivo può essere compromessa la sua assoluta autonomia nei confronti di qualsivoglia altro partito e movimento, perché significherebbe negare al proletariato l’unico appoggio alla ripresa della sua lotta rivoluzionaria e l’unico organo capace di guidarlo verso la vittoria sul mostro capitalista.

Tesi centrale, riproposta nel quarto capitolo con una minima selezione di citazioni dalla nostra documentazione risalenti all’arco di tempo dal 1922 al 1945, è quella che dal piano tattico del partito è ormai esclusa la possibilità d’attuazione del fronte unico, in altre parole del convergere delle direttive d’azione proletaria comuniste e dell’attività dei propri militanti con quelli d’altri partiti, al di fuori di un ambito ben preciso: come contenuto al di fuori di quello della azione diretta proletaria; azione, in pratica movimento effettivo, non dichiarazioni ideologiche e pura propaganda; diretta, cioè secondo i metodi della lotta di classe, non parlamentare, pacifista, d’opinione; proletaria, cioè che rivendica obiettivi proletari e mobilita il proletariato separato dalle altre classi. Come forma, inoltre, non al di fuori dell’organizzazione sindacale, il fronte unico essendo ormai possibile non fra il partito comunista e gli altri partiti, ma praticamente realizzato solo fra le frazioni sindacali presenti nelle organizzazioni di lotta. Base di questa tattica la previsione materialistica che "la difesa degli interessi immediati non si può fare che preparando ed attuando l’offensiva in tutti i suoi sviluppi "rivoluzionari"

Al di fuori di quest’ambito, determinante nel percorso della ripresa rivoluzionaria ma nettamente definito, "il partito rifiuta le manovre, le combinazioni, le alleanze, i blocchi che tradizionalmente si formano sulla base di postulati e parole d’agitazione contingenti comuni a più partiti", e, al di fuori dell’azione diretta proletaria e dell’organizzazione sindacale, il partito non può convergere con altri partiti in direttive tattiche "che comportino attitudini e parole d’ordine accettabili dai movimenti politici opportunistici".

Le tesi quindi passano a condannare le errate estensioni della tattica del fronte unico da parte dei partiti degenerati della Terza Internazionale, nel campo della convergenza fra partiti "proletari" o "rivoluzionari" e per obiettivi dichiaratamente governativi o parlamentari.

Non giudichiamo i partiti per quello che dicono di essere e nemmeno sulla base delle loro classi di reclutamento: i partiti che reclutano proletari oggi al di fuori del partito comunista sono partiti borghesi, non solo anti-rivoluzionari e anti-comunisti, ma anche anti-proletari.

Se può essere vero che non tutti i governi sono uguali agli effetti dello sviluppo della lotta di classe, è da considerare che spesso l’avvento di un governo "di sinistra" ha avuto effetti distruttivi sul movimento rivoluzionario peggio di un governo dichiaratamente borghese, e che se si può ritenere utile che i socialdemocratici si smascherino davanti ai proletari assurgendo in prima persona alle leve governative, questo sarà vero solo se il partito rivoluzionario non si sarà precedentemente compromesso nell’operazione e non avrà illuso i proletari spingendoli a battersi per questo, se ne sarà tenuto fuori ed avrà per tempo propagandato la contrapposizione di lotta e d’organizzazione.

Le direttive tattiche comuniste in merito al fronte unico hanno non carattere morale o etico o estetico ma essenzialmente storico. Affermammo:

Cit. 4 - Natura, funzione e tattica del partito rivoluzionario della classe operaia - 1947.
...Nel periodo in cui la classe capitalistica non aveva ancora iniziato il suo ciclo liberale, doveva ancora rovesciare il vecchio potere feudalistico, o anche doveva ancora in paesi importanti percorrere tappe e fasi notevoli della sua espansione, ancora liberistica nei processi economici e democratici nella funzione statale, era comprensibile ed ammissibile un’alleanza transitoria dei comunisti con quei partiti che, nel primo caso, erano apertamente rivoluzionari, antilegalitari ed organizzati per la lotta armata, nel secondo caso assolvevano ancora un compito che assicurava condizioni utili e realmente «progressive» perché il regime capitalistico affrettasse il ciclo che deve condurre alla sua caduta...
Per conseguenza, la tattica delle alleanze insurrezionali contro i vecchi regimi storicamente si chiude col gran fatto della rivoluzione in Russia, che eliminò l’ultimo imponente apparato statale militare di carattere non capitalistico.
Dopo tale fase, la possibilità anche teorica della tattica dei blocchi deve considerarsi formalmente e centralmente denunziata dal movimento internazionale rivoluzionario.
Per quanto riguarda le aree a doppia rivoluzione ulteriormente sviluppammo:
Cit. 5 -La piattaforma politica del Partito Comunista Internazionale - 1945.
21 - ...Nel quadro della presente storia mondiale, se per avventura una residua funzione competesse a gruppi borghesi democratici per la parziale ed eventuale sopravvivenza d’esigenze di liberazione nazionale, di liquidazione d’isolotti arretrati di feudalesimo, e di simili relitti della storia, tale compito sarebbe svolto in maniera più decisa e conclusiva, per dare luogo all’ulteriore ciclo della crisi borghese, non con un accomodamento passivo ed abdicante del movimento comunista a quei postulati non suoi, ma in virtù di un’implacabile sferzante opposizione dei proletari comunisti all’inguaribile fiacchezza ed infingardaggine dei gruppi piccolo-borghesi e dei partiti borghesi di sinistra.
Dal 1945 in poi la tesi, ben evidenziata in "Natura, funzione e tattica del Partito...", che la fase attraversata dal potere capitalista presenta caratteristiche peculiari in economia e in politica che ne fanno l’ultima dell’unitario e fetente modo di produzione capitalistico, è tesi esclusiva del nostro Partito. Tale fase, iniziata alla fine del secolo scorso e pienamente dispiegata con la prima guerra mondiale, ha sì caratteristiche peculiari, tali tuttavia che non modifica il modo di produzione, poiché non rappresentano altro che lo sviluppo di certe qualità già presenti nella prima fase del potere capitalistico, quella liberaldemocratica. In economia è prevalente, nella prima fase, la libera concorrenza, anche se per sua natura lo sviluppo della libera concorrenza porterà al monopolio, che caratterizza invece la fase imperialistica. E così in politica, pur con una sfasatura temporale dipendente dal fatto che l’impalcatura politico-giuridica è più lenta nel cambiamento della struttura economica, abbiamo il passaggio dallo Stato pluripartitico demoliberale allo Stato totalitario, trasformazione che avviene nella sua completezza con la prima guerra mondiale. La nostra tesi, nel testo qui confermata con le citazioni del quinto capitolo, è che da allora "il mondo capitalistico per tutto il tempo della sua sopravvivenza non potrà più ordinarsi in forme liberali, ma sarà sempre più incardinato su mostruose unità statali, spietata espressione della concentrazione economica".

Con la fase imperialista abbiamo dunque l’ordinarsi in forma totalitaria di tutti gli Stati, sia di quelli che mantengono le forme dello Stato liberale, sia di quelli apertamente fascisti. Il ritorno alle forme liberali degli Stati ex-fascisti dopo la seconda guerra mondiale non è un ritorno allo Stato liberale della prima fase, ma lo Stato democratico post-fascista mantiene sostanzialmente, pur ostentando la forma liberale, le caratteristiche totalitarie che si esprimono attraverso uno stretto controllo sociale, una direzione politica unitaria, un’impalcatura gerarchica fortemente centralizzata.

Le due fasi (trascuriamo qui la fase in cui la borghesia rivoluzionaria lotta contro il regime feudale) sono caratterizzate da un atteggiamento diverso della borghesia verso il proletariato: nella prima la borghesia ha un atteggiamento difensivo contro il proletariato rivoluzionario; nella seconda la borghesia passa all’offensiva perché solo controllando il proletariato con concessioni economiche da un lato, con l’assoggettamento politico dall’altro, può impedirne i tentativi rivoluzionari.

Ecco perché, con gran sorpresa e sdegno di tutti gli intellettuali pseudorivoluzionari, noi non consideriamo affatto la democrazia come "valore supremo" da difendere contro il fascismo (anzi se mai quest’ultimo è meno pericoloso per la rivoluzione perché non nasconde l’uso della violenza diretta): la nostra serie infatti non è fascismo, democrazia, socialismo, ma democrazia, fascismo, dittatura del proletariato.

Una delle questioni tattiche che ebbero maggior rilievo nel periodo immediatamente successivo alla costituzione dell’Internazionale Comunista fu quella relativa alla partecipazione dei Partiti Comunisti alle elezioni democratiche, qui affrontata nel sesto capitolo. Essa, com’è noto, fu lungamente discussa al Secondo Congresso dell’I.C. e la Sinistra, dopo aver difeso le ragioni dell’astensionismo, applicò le tesi di Lenin sul cosiddetto "parlamentarismo". La riprova storica di quanto già allora la Sinistra sosteneva, e cioè che una tale tattica, pur condotta con indubitabili intenzioni rivoluzionarie (Lenin riteneva che fosse il mezzo migliore per distruggere il Parlamento borghese), avrebbe finito viceversa per contagiare e far degenerare gli stessi partiti comunisti appena formati o addirittura ancora da formare come quello italiano, doveva ancora consumarsi come poi si è abbondantemente consumata. Fu dunque allora possibile alla Sinistra accettare con disciplina una tattica che pur riteneva ed era errata, ma che era sempre possibile correggere attraverso le inevitabili verifiche storiche successive: allora l’importante e l’essenziale era la formazione del Partito rivoluzionario su basi d’indiscussa fedeltà alla dottrina marxista come proprio al Secondo Congresso dell’Internazionale avvenne.

Tutto ciò ormai prova abbondantemente che l’unico modo di impostare con fedeltà ai principi rivoluzionari il problema della tattica è quello che la Sinistra sosteneva già nei primi anni di vita dell’Internazionale: vi è una stretta connessione tra le norme tattiche e le direttive programmatiche, per cui le prime vanno previste e delimitate deducendole dai principi e dall’esame della situazione storica.

La Sinistra sosteneva che la tattica del "parlamentarismo rivoluzionario" era diventata inadeguata con la situazione storica apertasi con la prima guerra mondiale. Con la guerra imperialista, la borghesia si era definitivamente smascherata, il suo atteggiamento nei confronti del proletariato era ormai definitivamente d’offensiva, basata esclusivamente sull’uso aperto della violenza, e pertanto ogni tattica "parlamentarista", che in precedenza si fondava sulla funzione ancora progressiva della parte più radicale della stessa borghesia, si era completamente esaurita e da allora è esaurita per tutto il ciclo storico che si compirà con la rivoluzione proletaria mondiale.

La lotta per il Parlamento era addirittura stata la bandiera della borghesia rivoluzionaria contro gli Stati assoluti e feudali e in tale lotta il proletariato era stato il suo alleato più deciso, nonostante che il Parlamento non incarni e non abbia mai incarnato la forma del potere proletario, come la Comune e il Soviet hanno poi dimostrato.

Nel periodo dello sviluppo pacifico del capitalismo della fine Ottocento e del primo Novecento i giovani partiti socialisti parteciparono, con giusta tattica rivoluzionaria, alle elezioni democratiche, per conquistare maggiore influenza nella classe proletaria, non disdegnando di utilizzare a tale scopo la legalità borghese. Ciò si fondava sulla possibilità di lottare non solo per obiettivi di miglioramento delle condizioni economiche proletarie, ma anche per certe realizzazioni politiche alle quali era interessata anche la parte più radicale e progressiva della stessa borghesia. Tale tattica, tuttavia, come chiaramente affermato da Engels alla fondazione della Seconda Internazionale, non attribuiva alcun valore in sé alle eventuali conquiste (quando ciò avverrà saremo in piena degenerazione riformista), ma era esclusivamente finalizzata al rafforzamento del movimento rivoluzionario in attesa che fosse la borghesia stessa a scendere sul terreno rivoluzionario abbandonando la legalità, costretta a ciò da ineluttabili necessità materiali. La borghesia mondiale è scesa su questo terreno e definitivamente proprio con il 1914: il proletariato mondiale allora ha perduto un’importante battaglia, ma la guerra storica di classe è tuttora aperta e il proletariato mondiale potrà definitivamente prevalere ritrovando il suo organo naturale, il Partito di classe.

Gli avvenimenti e le stesse sconfitte proletarie di questo secolo non sono stati consumati invano e il Partito oggi, "permanendo questo stato di cose e gli attuali rapporti di forza, si disinteressa delle elezioni democratiche d’ogni genere e non esplica in tale campo la sua attività".

E oggi come di fronte a Lenin questa nostra posizione non deriva da errori teorici antimarxisti di tipo anarco-sindacalista, ma da una pratica esigenza tattica ed organizzativa: ogni partito, sia pure il più rivoluzionario possibile e immaginabile, è destinato a degenerare se fa dell’elezionismo (ci riferiamo all’elezionismo statale è non all’eventuale metodo elettivo nelle organizzazioni economiche di soli proletari), in quanto oggi, nell’epoca pienamente imperialista, "l’elezionismo è pensabile solo in funzione della promessa del potere, di lembi di potere".
 
 
 
 


PREMESSA - Giugno 1974
Sommario


 Il testo che segue, come le lettere-circolari che lo precedono, è esclusivamente indirizzato ai membri del partito, sebbene ci siano giunte diverse richieste, da parte d’ex e di sconosciuti, per avere "testi". È chiaro che non abbiamo soddisfatto alcuna curiosità, per altro sollecitata dai famigerati "comunicati" apparsi su "Programma Comunista" di questi ultimi mesi e culminanti con quella "ghiacciata diffida" da iscrivere nel museo delle mostruosità.

Questo lavoro è un modesto contributo, svolto sulla traccia proposta alcuni anni or sono, dal Centro rigettato come se fosse stata un cumulo di bestemmie e di scempiaggini. Se la "bussola" non fosse impazzita, il testo sarebbe apparso sulle colonne di "Programma Comunista", sicuramente al posto degli equivoci articoli sull’"organizzazione".

I compagni noteranno che i nove decimi del lavoro sono costituiti da brani di nostri testi fondamentali, allineati per argomento, lungo l’arco di sessant’anni, a riprova della continuità e dell’invarianza delle posizioni della Sinistra Comunista, sempre fedele al marxismo rivoluzionario.

La fatica non termina qui. Resta da studiare Marx e Lenin. Il lavoro però è già avanzato e sarà oggetto quanto prima di un secondo fascicolo.

Poiché la Sinistra Comunista è la continuatrice della tradizione che porta i nomi di Marx e Lenin, sarebbe sufficiente il riferirsi a lei; ma, con i tempi che corrono, in cui le falsificazioni, le manipolazioni e le arbitrarie interpretazioni si compiono quando e da chi meno te lo aspetti, perciò si è costretti a rifarsi ab ovo per ogni singola questione, il "filo del tempo" va afferrato il più lontano possibile; che d’altronde è sempre stato il nostro classico metodo.

Il testo, quindi, si ripropone soltanto una corretta affermazione dei postulati noti a tutti e da tutti una volta accettati, anche se non sempre condivisi, cui hanno lavorato vecchie e nuove generazioni di militanti, con l’intento di fortificare e dilatare l’organizzazione combattente di partito che con questo continuo ed instancabile lavoro si sviluppava sempre più.

La strada da percorrere è questa. Non n’esistono altre. Non ci sono "decisioni nuove" da prendere, "ristrutturazioni" da effettuare, "modificazioni" da apportare, sotto lo specioso e sempre dubbio pretesto di "nuove situazioni" che incombono. Il partito crea i suoi organi per l’azione, a misura che l’azione li richiede nelle molteplici forme del suo sviluppo; li modifica o li sostituisce con altri più idonei, per organica necessità, e non con la pretesa che la perfezione o l’automatismo di questi organi surroghi la giustezza dell’azione, quasi che tutto si dovesse ridurre ad organizzazione, errore questo di tipo attivistico nel campo organizzativo. L’organizzazione non si costituisce "in vitro", nel fallace laboratorio del cervello, indipendentemente dal reale svolgimento della lotta di classe. Avremmo creato un grazioso modellino di partito, piuttosto che un vero partito, "compatto e potente", che si forgia i suoi strumenti di battaglia nel fuoco degli scontri sociali.

L’inseguire parossistico del perfezionismo e dell’automatismo implica l’errore, più volte dalla Sinistra fatto rilevare all’Internazionale, che dal campo dell’organizzazione attacca quello della tattica e quindi della natura e delle funzioni del partito; l’errore, cioè, che con una forte organizzazione (dove "forte" significa subordinata a qualsiasi centralismo e disponibile per qualsiasi manovra) tutto si possa fare. Dateci un’organizzazione "bolscevica" e tutto sarà lecito. Costruiamo un partito disciplinato per ogni prova e la vittoria sarà assicurata.

Con la Sinistra sappiamo per certo che il partito si modifica sotto la spinta della sua stessa azione, per cui ad una tattica indiscriminata corrisponde il differenziarsi dell’organizzazione. È ineluttabile, allora, che il "modellino" perfetto si spacchi in mille pezzi. Per esempio, non si può ritenere lecito, anche in via eccezionale, il riconoscimento, sia pure episodico, dell’elezionismo, pensando che non si scalfirà la natura, la funzione e la struttura antidemocratica del partito. Un esempio ancora, di carattere "interno": non si può impunemente scatenare oggi la "lotta politica" nell’organizzazione, senza pensare che questo modo di funzionare non diventi "normale", forma utile per la soluzione di qualsiasi problema, conseguente periodica spaccatura dell’organizzazione. Si cadrebbe nel ben conosciuto "frazionismo dall’alto". Ritenere ciò "leninismo" è fare una caricatura del leninismo.

Il corretto funzionamento del partito non può essere demandato a speciali strutture organizzative né all’utilizzo di mezzi politici entro l’organizzazione.

Non sull’organizzazione riposa la forza del partito. Ma la corretta formula è: l’organizzazione è forte e funzionale a misura che aderisce sempre più strettamente al programma e di conseguenza sviluppa la "giusta politica rivoluzionaria". L’inverso, che si ha, cioè, "giusta politica rivoluzionaria" e aderenza più stretta al "programma" a misura che l’organizzazione è "forte" e "funzionale", è falso. È Stalin. È una delle caratteristiche dell’opportunismo.

Assisteremmo così al fenomeno della "bolscevizzazione" alla rovescia. Allora, le distorsioni in fatto d’organizzazione conclusero gli errori in campo tattico; ora queste distorsioni permetterebbero gli errori tattici. E ricordando la reciproca influenza tra i due ordini di questioni, assisteremmo ad un progressivo sbandamento del partito in ogni campo.

Crediamo che questo processo di slittamento non debba ritenersi irreversibile, a patto che dal partito provengano sane reazioni che lo inducano a ritornare sulle sue corrette posizioni. In questo senso va il nostro sforzo, al cui potenziamento i compagni della Sinistra devono ritenersi impegnati.

Quanto nei "cappellini", che introducono i rispettivi gruppi di citazioni, è svolto, è direttamente desunto dai testi, e ciascun compagno potrà serenamente constatare che non ne sono tirate conclusioni arbitrarie né polemiche.

Tutto è scontato e risaputo. Siamo del pari convinti che di meglio si possa fare. È questo il nostro modesto contributo di tempo, di lavoro, di passione rivoluzionaria.

Per concludere, non di polemica né di "lotta politica" tra compagni abbisogna il partito per il suo migliore attrezzaggio rivoluzionario.

Con il lavoro collettivo, con il concorso di tutte le sue forze, sotto la "dittatura del programma", il partito si rafforza, dal vertice alla base, si amalgamano tutte le sue fibre per tendere dall’indispensabile minimum della "disciplina esecutiva" all’optimum della "convinzione".
 
 
 
 
 


PREMESSA - Settembre 1974
Sommario
Il testo che segue ripropone, attraverso citazioni tratte dai testi più importanti nell’arco di oltre cinquant’anni (1912-1970), la concezione marxista del Partito, dei suoi compiti, delle sue funzioni, della sua dinamica organica, che la Sinistra Comunista d’Italia, unica ad essersi mantenuta, sotto i colpi della controrivoluzione staliniana e del non meno fetido post-stalinismo, sulla linea di Marx, di Lenin e della III Internazionale, ha costantemente difeso e restaurato contro ogni sorta di deviazioni, codificandola in tesi e testi che costituiscono il risultato oggettivo dell’esperienza storica della lotta proletaria e del movimento comunista mondiale.

Il testo presenta le citazioni disposte in ordine cronologico e suddivise per argomenti. Ogni capitolo porta una premessa che serve ad inquadrare le citazioni ed a mettere in rilievo le implicazioni e le conseguenze del pensiero che esse esprimono. La suddivisione in capitoli e la loro titolatura hanno carattere puramente tecnico e strumentale, costituendo in realtà le enunciazioni contenute in ogni singola parte un blocco unitario ed inscindibile di posizioni che corrono in perfetta continuità sul filo del tempo.

La maggior parte delle citazioni è tratta dai seguenti testi, all’integrale lettura dei quali rimandiamo il lettore e il militante: 2222222222222222222222

Come si vede, è tutto quanto il patrimonio storico della Sinistra Comunista e del Partito Comunista Internazionale risorto sulla base delle sue posizioni nel 1952 che è rivendicato e riproposto integralmente.

La necessità della riproposizione globale di questo patrimonio storico è connessa alle vicende che hanno travagliato negli ultimi anni l’organizzazione del Partito Comunista Internazionale, rendendo necessaria la nascita della nuova testata "Il Partito Comunista" come punto di riferimento organizzativo per tutti coloro che intendono militare sulle posizioni della Sinistra; sulla più assoluta fedeltà alle quali è nato, si è sviluppato e soltanto può vivere il Partito Comunista Internazionale, cioè soltanto su queste basi, le sole correttamente marxiste, può organizzarsi il Partito Comunista Mondiale compatto e potente, che è l’organo indispensabile della rivoluzione proletaria e della successiva dittatura di classe.
 
 





PARTE I









CAP. 1


CENTRALISMO E DISCIPLINA, CARDINI DELL’ORGANIZZAZIONE DEL PARTITO

Sommario


Nell’affrontare il problema delle caratteristiche che l’organo partito presenta, dobbiamo ribadire in primo luogo la tesi seguente che distingue la vera ed unica visione marxista del problema: il partito politico di classe è l’organo indispensabile alla conduzione della lotta proletaria, prima, durante e dopo la rivoluzione violenta e la conquista del potere. Il partito è l’unico organo che può esercitare la dittatura della classe proletaria che perciò, nella corretta visione marxista, non viene demandata ad altre forme di organizzazione del proletariato anche se comprendono solo proletari (sindacati, soviet e qualsiasi altro tipo di organizzazione immediata dei proletari). Il partito politico di classe eserciterà dunque in esclusiva e direttamente la dittatura e maneggerà le leve dello Stato dittatoriale del proletariato sottomettendo al suo indirizzo ed alla sua disciplina tutte le altre forme di organizzazione del proletariato, le quali possono avere una funzione rivoluzionaria solo in quanto sono influenzate e dirette dal partito. Nella concezione marxista, fin dal Manifesto del 1848, è il proletariato stesso che diventa classe soltanto quando sorge il suo partito politico. Senza il partito la classe è un puro elemento statistico, ma è incapace d’azione unitaria per le finalità rivoluzionarie, in quanto solo dal partito può venirle la coscienza dei suoi interessi storici generali e delle sue finalità. La coscienza della classe sta solo nel suo partito, non nei proletari presi singolarmente, né come massa statistica. Tutti questi concetti si trovano in Marx, in Lenin ed in tutta la tradizione del movimento comunista rivoluzionario.

Scrivevamo:

Cit. 6 - Partito e classe - 1921.
...Il concetto di classe non deve suscitare in noi un’immagine statica, ma un’immagine dinamica. Quando scorgiamo una tendenza sociale, un movimento per date finalità, allora possiamo riconoscere l’esistenza di una classe nel senso vero della parola. Ma allora esiste, in modo sostanziale se non ancora in modo formale, il partito di classe.
Un partito vive quando vivono una dottrina ed un metodo di azione. Un partito è una scuola di pensiero politico e quindi un’organizzazione di lotta. Il primo è un fatto di coscienza, il secondo è un fatto di volontà, più precisamente di tendenza ad una finalità.
Senza questi due caratteri noi non possediamo ancora la definizione di una classe. Può, ripetiamo, il freddo registratore di dati costatare delle affinità di circostanze di vita in aggruppamenti più o meno vasti, ma nessuna traccia si segna nel divenire della storia.
E questi due caratteri non possono aversi che condensati, concretati nel partito di classe...
...Comprendendo una parte della classe, è pure solo il partito che le dà unità d’azione e di movimento, perché raggruppa quegli elementi che, superando i limiti di categoria e località, sentono e rappresentano la classe.
...Ma per poco che si pensi che in quella grande massa restante gli individui non hanno ancora coscienza e volontà di classe, vivono per il proprio egoismo, o per la categoria, o per il campanile, o per la nazione, si vedrà che allo scopo di assicurare nel movimento storico l’azione d’insieme della classe, occorre un organismo che la animi, la cementi, la preceda, la inquadri – è la parola -; si vedrà che il partito è in realtà il nucleo vitale, senza di cui tutta la rimanente massa non avrebbe più alcun motivo di essere considerata come un affasciamento di forze.
La classe presuppone il partito – perché per essere e muoversi nella storia la classe deve avere una dottrina critica della storia e una finalità da raggiungere in essa.
La vera e unica concezione rivoluzionaria dell’azione di classe sta nella delega della direzione di essa al partito. L’analisi dottrinale, ed un cumulo d’esperienze storiche, ci consente di ridurre facilmente alle ideologie piccolo-borghesi ed antirivoluzionarie qualunque tendenza ad inficiare e contrastare la necessità e la preminenza della funzione del partito.
È una evidente tesi marxista, discendente necessariamente da tutta la nostra visione teorica e dalla sua inevitabile conseguenza – la funzione primaria del partito – che il partito deve possedere una organizzazione centralizzata e disciplinata. L’organizzazione deve realizzare un’unità strettissima di movimento nello spazio e nel tempo. E questo significa che l’organizzazione del partito deve possedere degli organi di direzione e di coordinamento di tutta l’azione, ai cui ordini si deve da tutti l’aderente assoluta disciplina. Sarebbe completamente assurdo e contraddirebbe a quanto abbiamo detto sulla funzione del partito l’ammissione di qualsiasi autonomia dei vari reparti locali o nazionali, di qualsiasi "libertà" nell’azione da parte di singoli o di gruppi all’interno del partito. Nel partito comunista tutti i militanti sono tenuti alla massima disciplina verso le disposizioni centrali, all’esecuzione degli ordini provenienti dal centro dell’organizzazione.

Allineiamo di seguito le citazioni che dimostrano come precisamente questo sia stato sempre il pensiero della Sinistra Comunista e del nostro partito sulla linea di Marx e di Lenin, in lotta aperta contro spontaneisti, anarchici, autonomisti di ogni genere che sempre hanno impestato il movimento operaio.
 
 

CITAZIONI

Sommario
Cit. 7 - Tesi sul ruolo del partito comunista nella rivoluzione proletaria. 2° Congresso dell’I.C. - 1920.
13 - ...Il partito comunista deve essere costruito sulla base di una incrollabile centralizzazione proletaria... Il partito comunista deve stabilire anche nelle sue file una severa, militare disciplina... Senza la più forte disciplina, senza una centralizzazione completa, senza una piena e cameratesca fiducia di tutte le organizzazioni di partito nel centro dirigente del partito stesso, la vittoria dei lavoratori è impossibile.
14 - ...Il carattere assolutamente vincolante di tutte le direttive degli organi superiori per gli inferiori, e l’esistenza di un forte centro del partito, la cui autorità non può... essere contestata da nessuno, sono principi essenziali della centralizzazione.
15 - ...Il partito comunista deve accordare al suo centro dirigente il diritto di prendere, quando necessario, decisioni importanti e obbligatorie per tutti i membri del partito.
16 - La rivendicazione di una larga «autonomia» per le singole organizzazioni locali di partito non può... che indebolire i ranghi del partito comunista.

Cit. 8 - Partito e classe - 1921.
...Un partito vive quando vivono una dottrina ed un metodo d’azione. Un partito è una scuola di pensiero politico e quindi un’organizzazione di lotta. Il primo è un fatto di coscienza, il secondo è un fatto di volontà, più precisamente di tendenza ad una finalità ...
La rivoluzione esige un organamento di forze attive e positive, affasciate da una dottrina e da una finalità... La classe parte da un’omogeneità immediata di condizioni economiche che ci appaiono come il primo motore della tendenza a superare, ad infrangere l’attuale sistema produttivo, ma per assumere questa parte grandiosa essa deve avere un suo pensiero, un suo metodo critico, una sua volontà, che miri a quelle realizzazioni che l’indagine e la critica hanno additato, una sua organizzazione di combattimento che ne incanali ed utilizzi con il migliore rendimento gli sforzi e i sacrifici. Ed in tutto questo è il partito.

Cit. 9 - Partito e azione di classe - 1921.
...Un organismo che come il partito politico possieda da una parte una visione storica generale del processo della rivoluzione e delle sue esigenze, dall’altra una severa disciplina organizzativa che assicuri il subordinamento di tutte le funzioni particolari al fine generale di classe...
Il compito indispensabile del partito si esplica dunque in due modi, come fatto di coscienza prima, e poi come fatto di volontà, traducendosi la prima in una concezione teorica del processo rivoluzionario, che deve essere comune a tutti gli aderenti; la seconda nell’accettazione di una precisa disciplina che assicuri il coordinamento e quindi il successo dell’azione.

Cit. 10 - Il principio democratico - 1922.
...La democrazia non può essere per noi un principio; il centralismo lo è indubbiamente, poiché i caratteri essenziali dell’organizzazione del partito devono essere l’unità di struttura e di movimento.

Cit. 11 - Tesi sulla tattica al II Congresso del P.C.d’I. (Tesi di Roma) - 1922.
I,2 – La integrazione di tutte le spinte elementari in una azione unitaria si manifesta attraverso due principali fattori: uno di coscienza critica, dal quale il partito trae il suo programma, l’altro di volontà che si esprime nello strumento con cui il partito agisce, la sua disciplinata e centralizzata organizzazione.

Cit. 12 - Tesi del P.C.d’I. sulla tattica dell’I.C. al IV Congresso - 1922.
...L’Internazionale Comunista, per rispondere al suo compito di unificazione nella lotta del proletariato di tutti i paesi verso lo scopo finale della rivoluzione mondiale, deve prima di tutto assicurare la propria unità di programma e di organizzazione. Tutte le sezioni e tutti i militanti dell’Internazionale Comunista devono essere impegnati dalla loro adesione di principio al comune programma della Internazionale Comunista.
La organizzazione internazionale, eliminando tutte le vestigia del federalismo della vecchia Internazionale, deve assicurare il massimo di centralizzazione e di disciplina.

Cit. 13 - Norme orientative generali - 1949.
...Le forze di periferia del partito e tutti i suoi aderenti sono tenuti nella pratica del movimento a non prendere di loro iniziativa locale e contingente decisioni di azione che non provengano dagli organi centrali e a non dare ai problemi tattici soluzioni diverse da quelle sostenute da tutto il partito. Corrispondentemente gli organi direttivi e centrali non possono né debbono nelle loro decisioni e comunicazioni valide per tutto il partito abbandonarne i principi teorici né modificarne i mezzi d’azione tattica nemmeno col motivo che le situazioni abbiano presentato fatti inattesi o non preveduti nelle prospettive del partito. Nel difetto di questi due processi reciproci e complementari non valgono risorse statutarie ma si determinano le crisi di cui la storia del movimento proletario offre non pochi esempi.
Per conseguenza il partito, mentre chiede la partecipazione di tutti gli aderenti al continuo processo di elaborazione che consiste nell’analisi degli avvenimenti e dei fatti sociali e nella precisazione dei compiti e metodi di azione più appropriati, e realizza tale partecipazione nei modi più adatti sia con organi specifici che con le generali periodiche consultazioni congressuali, non consente assolutamente che nel suo seno gruppi di aderenti possano riunirsi in organizzazioni e frazioni distinte e svolgano la loro opera di studio e di contributo secondo reti di collegamento e di corrispondenza e di divulgazione interna ed esterna comunque diverse da quella unitaria del partito.

Cit. 14 - Marxismo ed autorità - 1956.
29 - ... Nessun marxista può discutere menomamente sull’esigenza del centralismo. Il partito non può esistere se si ammette che vari pezzi possano operare ciascuno per conto suo. Niente autonomia delle organizzazioni locali nel metodo politico. Queste sono vecchie lotte che già si condussero nel seno dei partiti della II Internazionale, contro ad esempio l’autodecisione del gruppo parlamentare del partito nella sua manovra, contro il caso per caso per le sezioni locali o le federazioni, nei comuni e nelle province, contro l’azione caso per caso dei membri del partito nelle varie organizzazioni economiche, e così via.

Cit. 15 - L’"Estremismo", condanna dei futuri rinnegati - 1961.
14 - ...Prima che Lenin spieghi la vitale necessità del fattore disciplina, da tante parti sospettato e contestato, e definisca da suo pari il senso della disciplina nel partito e nella classe, citiamo un periodo che verrà poco oltre e che al concetto-base comunista della disciplina mette in parallelo l’altro non meno essenziale della centralizzazione, chiave di volta di ogni costruzione marxista.
"Ripeto: l’esperienza della vittoriosa dittatura del proletariato in Russia ha mostrato all’evidenza, a coloro che non sanno pensare o non hanno mai dovuto meditare su questo problema, che una centralizzazione assoluta e la più severa disciplina del proletariato sono condizioni essenziali per la vittoria sulla borghesia".
Lenin sa che in quell’epoca, anche in elementi che si autodefinivano di sinistra, vi erano esitazioni su queste due formule che sempre hanno avuto sapore di forte agrume: "centralizzazione assoluta" e "disciplina ferrea".
La resistenza a queste formule deriva dall’ideologia borghese diffusa nella piccola borghesia e da questa pericolosamente tracimante nel proletariato, vero pericolo contro il quale questo scritto classico è stato levato.

Cit. 16 - Appunti per le tesi sulla questione di organizzazione - 1964.
1 - ...Tale corrente era fortemente rappresentata al II Congresso, specie da inglesi, americani, olandesi, ed anche da sindacalisti francesi e perfino da anarchici spagnoli. La Sinistra comunista italiana tenne a differenziarsi subito da queste correnti che, oltre a non comprendere le tesi sul partito, mal digerivano anche quelle sulla centralizzazione e sulla stretta disciplina anche vigorosamente affermata allora da Zinoviev.

Cit. 17 - Le tesi viste da noi allora e oggi - 1965.
...Nella concezione della Sinistra del centralismo organico, gli stessi congressi non devono decidere sul giudizio dell’opera del centro e la scelta di uomini, ma su questioni d’indirizzo, in modo coerente alla invariante dottrina storica del partito mondiale.
 
 
 
 

CAP. 2


CENTRALISMO TOUT-COURT

Sommario


Lenin usò, per definire la struttura e la dinamica dell’organo partito, la formula di "centralismo democratico". Questa formula, esattissima per descrivere i partiti della II Internazionale, risultò per la nostra corrente inadeguata ed imperfetta a definire il modo di muoversi dei partiti comunisti formatisi nel primo dopoguerra con la separazione definitiva dei marxisti rivoluzionari coerenti dai riformisti, e vi opponemmo la formula più adatta di "centralismo organico". Ma le citazioni che seguono mostrano che con il termine "centralismo democratico" non si è mai inteso, da parte dei marxisti, indicare una prassi e una dinamica per questo il partito mitigherebbe in certo qual modo l’assoluto centralismo, necessario allo svolgimento delle sue funzioni e rispondente in pieno alla concezione marxista del divenire storico, con l’applicazione di una prassi di "democrazia" e di "libertà" all’interno dell’organizzazione. Non c’è gruppetto di pseudo marxisti che oggi non intenda la formula di Lenin come "centralismo mitigato dalla democrazia", mentre per Lenin significava che, per ottenere il massimo di centralismo e di disciplina organizzativa nel partito, era necessario (e lo era veramente per i partiti socialisti e socialdemocratici della II Internazionale) l’utilizzo di meccanismi democratici formali.

Ritorneremo ampiamente su questo problema, ma intanto affermiamo che, per i marxisti autentici, l’unico principio organizzativo è il centralismo e l’applicazione di meccanismi democratici è stata soltanto un incidente storicamente necessario per realizzare la massima centralizzazione dell’organizzazione. In questo senso allineiamo la dimostrazione che contro qualsiasi rivendicazione di "autonomia" e di "libertà" noi marxisti siamo per il centralismo "senza aggettivi". È la lotta dei marxisti "autoritari" contro i "libertari" all’epoca della I Internazionale; è la lotta di Lenin per il "centralismo burocratico" contro i menscevichi fin dal 1903; è la nostra posizione: "Chi si dà a protestare contro il centralismo senza aggettivi non può essere che un manutengolo della borghesia".
 
 

CITAZIONI

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Cit. 18 - I Fondamenti del comunismo rivoluzionario marxista - 1957.
19 - ...Il grido finale che esce dal loro cuore è sempre quello: "Centralismo burocratico, o autonomia di classe?" Se l’antitesi fosse questa, al posto di quella di Marx e di Lenin: "Centro Dittatoriale del Capitale, o del Proletariato?", noi staremmo, e schiatti chi vuole, per il centralismo burocratico, che a certe svolte della storia può essere un male necessario, ben dominabile da un partito salvo dal mercanteggio di principi (Marx), dalla rilassatezza organizzativa, dal funambolismo tattico e dalla peste autonomistica e federalista. Quanto alla "autonomia di classe" è una coglioneria integrale.

Cit. 19 - Struttura economica e sociale della Russia d’oggi - 1957.
114 - ...Fu allora che, ai fini della vita interna dell’Internazionale, Lenin pose nelle sue storiche tesi l’espressione di "centralismo democratico". Noi della Sinistra italiana proponemmo – ancora una volta i fatti ci hanno dato ragione – di sostituire questa formula, che giudicavamo pericolosa, con quella di "centralismo organico". Ci spieghiamo subito, ma fateci scrivere d’urgenza che chi si dà a fracassare il centralismo, senza aggettivi, oltraggia Marx, Lenin e la causa della rivoluzione: è un manutengolo di più della conservazione borghese.
 
 
 
 

CAP. 3


DIFFERENZIAZIONE DI FUNZIONI

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È evidente che il sostenere la necessità di un’organizzazione di partito centralizzata e disciplinata implica, fra l’altro, una differenziazione gerarchica che vede i singoli militanti distribuiti in funzioni diverse e di diverso peso. Ci devono essere nel partito i capi e i responsabili per le diverse funzioni. Ci devono essere coloro che comandano e coloro che eseguono gli ordini e ci devono essere organi differenziati adatti a svolgere queste funzioni. L’organizzazione del partito si presenta così, nella nostra concezione, con una struttura che molte volte abbiamo definito piramidale, nella quale tutti gli impulsi provenienti dai diversi punti della struttura convergono verso un unico nodo centrale e da questo partono le disposizioni per tutta la rete organizzata. Come il differenziarsi dei diversi organi ed il collocarsi dei militanti nelle diverse funzioni e nei diversi gradini della scala gerarchica sia fatto naturale ed organico, non riconducibile alla prassi del carrierismo borghese, né ad un puro e semplice scimmiottamento, è quanto spiegheremo nel seguito. Per ora ci basta allineare le citazioni che dimostrano la necessità di questa differenziazione e di questa gerarchia se si vuol parlare d’organizzazione centralizzata e sostenere che questa non è soltanto la visione della Sinistra comunista, ma di Marx e di Lenin.
 
 

CITAZIONI

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Cit. 20 . Lenin nel cammino della rivoluzione - 1924.
...L’organizzazione in partito, che permette alla classe di essere veramente tale e vivere come tale, si presenta come un meccanismo unitario in cui i vari "cervelli" (non solo certamente i cervelli, ma anche altri organi individuali) assolvono compiti diversi secondo le attitudini e potenzialità, tutti al servizio di uno scopo e di un interesse che progressivamente si unificano sempre più intimamente "nel tempo e nello spazio"... Non tutti gli individui hanno dunque lo stesso posto e lo stesso peso nell’organizzazione: man mano che questa divisione di compiti si attua secondo un piano più razionale (e quello che è oggi per il partito-classe sarà domani per la società), è perfettamente escluso che chi si trova più in alto gravi come privilegiato sugli altri. L’evoluzione rivoluzionaria nostra non va verso la disintegrazione, ma verso la connessione sempre più scientifica degli individui tra loro.

Cit. 21 - Norme orientative generali - 1949.
...Il partito non è un cumulo bruto di granelli equivalenti tra loro, ma un organismo reale suscitato dalle determinanti e dalle esigenze sociali e storiche, con reti, organi e centri differenziati per l’adempimento dei diversi compiti.
Il buon rapporto fra tali esigenze reali e la migliore funzione conduce alla buona organizzazione e non viceversa.

Cit. 22 - Contenuto originale del programma comunista... - 1958.
19 - ...Il partito che noi siamo sicuri di veder risorgere in un luminoso avvenire sarà costituito da una vigorosa minoranza di proletari e di rivoluzionari anonimi, che potranno avere differenti funzioni come di organi di uno stesso essere vivente, ma tutti saranno legati, al centro o alla base, alla norma a tutti sovrastante ed inflessibile di rispetto alla teoria; di continuità e rigore nell’organizzazione; di un metodo preciso di azione strategica la cui rosa di eventualità ammesse va, nei suoi veti da tutti inviolabili, tratta dalla terribile lezione storica delle devastazioni dell’opportunismo.

Cit. 23 - Tesi supplementari... (Tesi di Milano) - 1966.
8 - ...Per la necessità, stessa della sua azione organica, e per riuscire ad avere una funzione collettiva che superi e dimentichi ogni personalismo ed ogni individualismo, il partito deve distribuire i suoi membri fra le varie funzioni ed attività che formano la sua vita. L’avvicendarsi dei compagni in tali mansioni è un fatto naturale che non può essere guidato con regole analoghe a quelle delle carriere delle burocrazie borghesi. Nel partito non vi sono concorsi nei quali si lotti per raggiungere posizioni più o meno brillanti o più in vista, ma si deve tendere a raggiungere organicamente quello che non è uno scimmiottamento della borghese divisione del lavoro, ma è un naturale adeguamento del complesso ed articolato organo-partito alla sua funzione.
 
 









PARTE II










PREMESSA
Sommario


Abbiamo descritto la forma e la struttura dell’organo Partito; struttura centralizzata, esistenza d’organi diversi e di un organo centrale capace di coordinare, dirigere, ordinare a tutta la rete; disciplina assoluta di tutti i membri dell’organizzazione nell’eseguire gli ordini disposti dal centro; nessun’autonomia a sezioni o gruppi locali; nessuna rete di comunicazione divergente da quell’unitaria che collega il centro alla periferia e la periferia al centro. Questa struttura centralizzata è tipica però non soltanto del partito comunista mondiale, ma anche d’altri organismi; le ferrovie devono funzionare secondo la stessa struttura centralizzata sotto pena di smettere di funzionare; così le grandi fabbriche capitalistiche. Lo Stato borghese e anche quel proletario hanno ugualmente una struttura fortemente centralizzata rivendicata dalla borghesia rivoluzionaria in lotta contro le autonomie feudali; i partiti stalinisti vanno famosi per la loro rigida centralizzazione e la disciplina ferrea e terroristica imposta ai loro militanti; il partito fascista ha menato lo stesso vanto d’assoluta centralità e così la Chiesa cattolica etc. Non basta dunque riconoscere l’esistenza di una struttura organizzativa centralizzata per distinguere il partito di classe da tutti gli altri partiti ed organismi. Non è soltanto la struttura organizzativa centralizzata che definisce il partito di classe. Il centralismo non è una categoria a priori, una specie d’entità o di principio metafisico che si applica senza modificarsi alle varie fasi storiche, alle varie classi e organismi di classe. Se così fosse diverrebbe coerente concepire lo sviluppo storico come una progressiva affermazione del principio d’autorità o viceversa come lotta costante ed immanente tra il principio d’autorità e quello opposto di libertà e d’autonomia.

Una concezione simile significherebbe sostituire il materialismo marxista con il più vieto idealismo. Secondo il marxismo non esistono principi fissi ed immanenti premessi al corso reale della storia; né il principio autoritario, né il principio democratico e libertario.

Dal punto di vista materialistico si costata che, nel corso storico, ogni organismo economico, sociale o politico ha avuto ed ha una struttura organizzata le cui caratteristiche dipendono dalle funzioni che esso è chiamato a svolgere. Così sarà esatto sostenere, da marxisti, che, se è vero che lo stato borghese e lo stato proletario presentano ambedue una struttura centralizzata, dispotica e repressiva, essi sono tuttavia completamente opposti, non solo per la base sociale su cui questa struttura poggia e per le funzioni che deve svolgere, ma anche, di conseguenza, per il modo in cui questa struttura si manifesta e svolge le sue funzioni. Se, da un punto di vista strutturale, lo stato del proletariato fosse completamente uguale allo stato borghese, sarebbe sufficiente cacciare la borghesia dalla direzione della macchina statale, farla dirigere dal partito unico del proletariato e magari far votare soltanto i proletari. In realtà la borghesia realizza il centralismo con mezzi, forme, caratteristiche sue proprie; così come il proletariato realizzerà il suo centralismo statale con forme, metodi, strumenti caratteristici dell’essenza della classe proletaria. Tanto è vero che il marxismo non preconizza la conquista anche violenta della macchina statale borghese, ma la sua completa distruzione e la sua sostituzione con un’altra macchina statale completamente diversa anche se utilizzata anch’essa a fini di dittatura, di violenza e di terrore.

Al piccolo borghese storicamente impotente ad andare di là dalle forme è impossibile comprendere che ben altra è la struttura della macchina partito messa in piedi da Mussolini o da Hitler e la macchina, altrettanto centralizzata, costituita dal partito bolscevico di Russia dei tempi di Lenin; e non soltanto per la base sociale e per le finalità e i principi cui i due organismi rispondevano e che erano completamente opposti, ma anche, di conseguenza, per i metodi, gli strumenti, la prassi e la dinamica organica dei due organismi. Per cui da mezzo secolo Mussolini e Lenin sono associati nella mente del piccolo borghese democratico allo spettro, per lui terribile, del concetto di dittatura e di terrore.

Esiste per noi marxisti una relazione diretta fra la classe sociale di cui un determinato movimento è espressione, i suoi principi, le sue finalità, i mezzi necessari a raggiungerle e le caratteristiche, i mezzi, i metodi che esso deve usare per giungere ad un’azione e ad una struttura centralizzata ed unitaria. Per cui è giusto dire che lo stato borghese realizza il suo centralismo, inerente alla sua natura di classe poggiando sulla farsa della volontà popolare periodicamente compulsata ed in realtà sulla creazione di una macchina burocratica e militare enorme tenuta insieme non certo dal convincimento, ma dalla coercizione e dal denaro. Lo stato proletario realizzerà il suo centralismo che non vedrà consulte democratiche né del «popolo», né dei soli proletari, ma la loro partecipazione in maniera sempre più larga all’effettivo svolgimento delle funzioni statali, e, di conseguenza, la scomparsa progressiva dell’apparato burocratico. Avremo, perciò, repressione, violenza di classe, centralizzazione assoluta senza avere burocrazia ed esercito permanente: tale la lezione della Comune di Parigi cui Marx rimprovera di non essere stata sufficientemente terroristica e centralistica, ma esalta che si potevano avere capi, dirigenze con poteri assoluti, terrorismo di classe, senza avere burocrati e corpi militari di mestiere. L’equazione centralismo uguale burocratismo è dunque falsa; è vera storicamente per lo stato borghese, non lo sarà per lo stato proletario, se non vogliamo rinnegare il marxismo.

Le comunità primitive realizzavano uno strettissimo centralismo ed una disciplina assoluta dell’individuo al gruppo sociale senza bisogno d’alcuna coercizione o macchina speciale, fondandosi esclusivamente sull’identità d’interessi e la solidarietà di tutti nella lotta contro l’ambiente naturale nemico e contro altri gruppi. La comunità primitiva è un esempio d’organizzazione centralizzata e differenziata senza coercizione. Ugualmente la futura società comunista. Anzi è fondamentale tesi marxista che solo quando ci fu tra i membri di un gruppo sociale inconciliabile contrasto d’interessi materiali fu necessaria una speciale struttura coercitiva per ottenere la stessa centralizzazione che nella primitiva comunità si otteneva in maniera naturale, spontanea, organica.

Che svolgimento centralistico delle funzioni ed esistenza di un apparato burocratico e coercitivo non siano assolutamente la stessa cosa, è questione che non possono capire solo i socialdemocratici staffilati da Lenin in «Stato e rivoluzione» i quali sostenevano essere eterna la necessità della macchina statale, perché altrimenti gli interessi individuali avrebbero disgregato la società, mentre postulato e fine del comunismo è la società senza stato, senza mezzi di coercizione sugli uomini con la conclusione che in lei la centralizzazione sarà massima e molto più completa che nella società attuale e si fonderà su di un comportamento naturale e spontaneamente solidale degli uomini fra di loro.

Saranno nella società comunista gli uomini tutti uguali, l’uno la brutta o la bella copia dell’altro per tutta l’estensione della specie? È vecchia ubbia borghese, insieme all’altra che non essendo gli individui costretti a lavorare, la produzione si fermerà in una totale ignavia collettiva. Ci saranno individui con caratteristiche diverse, più o meno dotati di mezzi fisici e cerebrali; la società conoscerà diversificazione di funzioni e d’organi adibiti a varie funzioni e distribuirà organicamente e naturalmente i vari individui nelle varie funzioni. Quello che non ci sarà più sarà la divisione sociale e tecnica del lavoro e tutti gli uomini saranno dalla società messi in grado di svolgere tutte le funzioni utili (Engels: Antidhüring). I mezzi di produzione e di vita saranno proprietà di tutta la società e, di conseguenza, sarà per sempre escluso che l’individuo meglio dotato si comporti come privilegiato nei confronti degli altri; anzi, le sue doti «superiori» saranno un beneficio per la società, saranno al suo servizio.

Allora, se queste considerazioni sono in linea con la tradizione marxista, non basta vedere nel partito una organizzazione centralizzata, tutti i membri della quale rispondono come un solo uomo ad impulsi provenienti da un unico punto centrale. Non basta né per dire, come dicevano gli anarchici, che anche i comunisti sono «autoritari» e rivendicare contro di loro la «libertà» dell’individuo; e non basta neanche per dichiarare stupidamente che viceversa siamo per la sottomissione al principio d’autorità e, di conseguenza, ci va bene qualsiasi centralismo. purché sia centralismo, qualsiasi disciplina purché sia disciplina, Abbiano negato tutto questo mille volte nella nostra storia di partito.

Dal punto di vista marxista, definito il fatto che l’organo partito, per realizzare i compiti cui la storia lo chiama, ha bisogno di possedere una struttura assolutamente centralizzata, sarà pure necessario analizzare in che modo questa struttura possa realizzarsi in un organismo particolare come il partito comunista. E dovremo allora studiare quali siano le caratteristiche fisiologiche di quest’organismo, quale la dinamica del suo sviluppo e della sua azione, quali le sue malattie e le sue degenerazioni, quale influenza gli eventi storici delle lotte di classe hanno su di lui. Solo allora saremo in grado di descrivere meno superficialmente l’essenza del centralismo e della disciplina propri di questo particolare organo storico: l’organo partito comunista. Non un qualsiasi centralismo ed una qualsiasi disciplina, descrizione banale che si concluderebbe in due righe dicendo: «ci deve essere un centro che comanda ed una base che obbedisce»; con l’aggiunta che, siccome siamo antidemocratici, non vogliamo né la conta delle teste dei singoli, né l’elezione dei dirigenti e non ci fa schifo che comandi in maniera totale un ristretto comitato o addirittura un uomo solo senza bisogno che il suo potere sia sanzionato dalla maggioranza degli iscritti democraticamente consultata. Tutte cose che accettiamo, ma che non servono a spiegare la reale dinamica attraverso la quale l’organo partito realizza la sua massima centralizzazione o, viceversa, la perde e degenera in fasi sfavorevoli alla lotta rivoluzionaria di classe. E nemmeno a capire in che modo l’organo partito diviene robusto, cresce e si rafforza abilitandosi a vincere le malattie che possono colpirlo. Tutto questo è da spiegare per arrivare a comprendere quale sia l’essenza del centralismo e della disciplina comunista.

Bisogna, come in tutte le nostre tesi e particolarmente nelle tesi di Napoli del 1965, dare non una ricetta d’organizzazione (la «ricetta» è espressa nel termine stesso di centralismo), ma descrivere la reale vita del partito comunista, le vicende alle quali è stato sottoposto nella sua lunga storia, le malattie che mille volte lo hanno colpito e la efficacia dei rimedi che volta a volta si è inteso applicargli per guarirlo. Bisogna studiare la storia del partito dal 1848 fino ad oggi, vederlo muoversi nella reale vicenda storica, nelle fasi d’avanzata ed in quelle di rinculo della rivoluzione alla scala mondiale. Da questo soltanto si possono trarre delle lezioni che possono e debbono essere utilmente assimilate dal partito attuale rendendolo più forte e più capace di resistere a quei materiali fattori di segno negativo che distrussero tre Internazionali ed un movimento rivoluzionario del proletariato che sembrava votato, negli anni del primo dopoguerra, alla più splendida vittoria su tutto il pianeta.

Propinare la dottrinetta che tutto si riduce ad una deficienza di centralismo e che tutta la lezione da trarre è che abbiamo bisogno di una struttura ancora più centralizzata di quella del partito bolscevico e della Terza Internazionale, significa ingannare il partito e falsificare tutta la sua tradizione. Come ottenere nel partito la massima centralizzazione? Quali le malattie che minano la centralizzazione assoluta e l’assoluta disciplina? Possedendo un cast di capi più rigidi e totalitari di quanto fossero, putacaso, Lenin, Trotzki e Zinoviev? O possedendo una base di militanti più disciplinati, più attaccati alla causa del comunismo, più obbedienti ed eroici di quanto fossero i militanti del sempre poco centralizzato partito comunista tedesco? Oppure informando meglio della dottrina storica marxista ogni nostro singolo militante, nella serie infernale che direbbe che se un militante non ha ben studiato tutti i testi di partito, non è programmato, non può militare in maniera disciplinata nell’organizzazione?

A quelle domande si risponde analizzando la storia del partito attraverso le lezioni che la Sinistra ne ha tratte e che sono codificate in testi e tesi che nessuno può modificare, aggiornare o, semplicemente, dimenticare di citare, perché vanno in linea continua dal 1912 al 1970; oltre cinquant’anni durante i quali il problema della vita, dello sviluppo e della degenerazione patologica dell’organo partito è stato impostato e risolto sempre allo stesso modo. Cominciamo dunque ad esaminare le caratteristiche di quest’organo partito. Da queste soltanto capiremo quali possono essere i metodi adatti per centralizzarlo e disciplinarlo al massimo o, viceversa, per disgregarlo e distruggerlo.
 
 
 
 

CAP. 1


PARTITO STORICO E PARTITO FORMALE

Sommario


Com’è ricordato nelle nostre tesi del 1965, è Marx ad usare per primo questa distinzione: partito nella sua accezione storica e partito contingente o formale, cioè le varie formazioni organizzate di combattenti rivoluzionari nelle quali, nel corso della storia, la dottrina, il programma, i principi del partito comunista si sono incarnati. È in altri termini, la trincea, la barricata stabilita dalla storia più di cento anni fa sulla quale si collocano con varia fortuna le diverse generazioni dei proletari rivoluzionari. Il proletariato non nasce oggi come classe rivoluzionaria, non esprime oggi per la prima volta il suo partito di classe, il suo organo politico, senza il quale non è capace d’azione unitaria in vista di un fine comune, cioè non è classe; lo ha espresso agli albori della società capitalistica, nel lontano 1848, quando è stato capace da una parte di dare vita alle prime insurrezioni armate, dall’altra di incontrare una teoria che lo sviluppo delle forze produttive e del pensiero teorico umano avevano portato a maturazione, ma che, per sua natura, era utilizzabile soltanto da parte di una classe rivoluzionaria che vedesse nella completa distruzione del regime capitalistico la strada della propria emancipazione. Da allora l’incontro della teoria marxista con la realtà bollente della lotta sociale ha dato vita al partito comunista marxista come falange di militanti della rivoluzione dotati collettivamente della possente arma di lettura della storia che è il marxismo e, di conseguenza, in grado di trarre le lezioni e le esperienze sia dalle sconfitte come dalle vittorie del proletariato. «Senza teoria rivoluzionaria non può esserci movimento rivoluzionario»: questa la tesi di Lenin. Ed il partito esiste in quanto un nucleo piccolo o grande di rivoluzionari, spinti a combattere da oscure determinazioni sociali contro la società presente, impugna la teoria come un’arma e la usa come una guida per l’azione.

Quando diciamo che la coscienza della classe sta nel partito e soltanto in esso, intendiamo che questa coscienza consiste nelle lezioni storiche della lotta proletaria in tutto il mondo fin dal suo inizio, letta con la chiave della teoria unica ed invariante e che le formazioni presenti e future di rivoluzionari hanno il compito di impugnare e di rispettare nella sua integralità, illuminando la loro azione con la luce di questa lunghissima e mondiale esperienza che solo il marxismo può leggere e che rimane tenebra oscura per tutte le ideologie e le dottrine non marxiste.

Ogni volta che nella storia si è verificato, sotto la spinta di suggestioni diverse, l’abbandono di questo patrimonio storico che comprende non solo la teoria, i principi e le finalità, ma anche l’esperienza storica della marcia faticosa della rivoluzione, il partito formale, cioè l’organizzazione di combattimento di una data epoca o di una data generazione proletaria, ha inevitabilmente abbandonato il cammino e si è trovato, alla fine, dalla parte del nemico di classe. Per noi dunque il partito esiste e si sviluppa e marcia verso la vittoria solo in quanto è capace di rimanere aderente alla base del partito storico; se questa base viene anche soltanto scalfita si hanno i tradimenti e le diserzioni di cui è piena la storia dei partiti formali. Ora il fatto che l’organizzazione rivoluzionaria rimanga aderente ai cardini del partito storico da cui emana non è garantito da fattori di tipo culturale o didattico per cui, imparati a memoria alcuni testi, si possa dire di avere le carte in regola con il partito storico o balle di questo genere. Il patrimonio storico del partito deve informare di sé, permeare tutta l’azione anche quotidiana, anche limitata del partito formale. E questa continua trasfusione dell’esperienza storica nell’azione attuale del partito è prima di tutto fatto collettivo dell’organizzazione, non fatto individuale di singoli più o meno illuminati, più o meno sapienti. Quello che è necessario divenga patrimonio dell’organizzazione militante è la nozione di quest’assoluta aderenza che deve esistere tra la loro azione, tra quello che dicono e che fanno oggi e la teoria, i principi, l’esperienza storica passata e che questa, e non la loro personale e neanche collettiva opinione, sarà sempre la massima autorità in tutte le questioni di partito. Chi dà gli ordini nel partito? Abbiamo sempre affermato: li dà per noi prima di tutto il partito storico al quale si deve assoluta obbedienza e fedeltà. E da quale microfono detta gli ordini il partito storico? Può essere un uomo solo o milioni d’uomini; può essere il vertice dell’organizzazione, ma può essere anche la base che richiama il vertice all’osservanza di quei dati senza i quali la organizzazione stessa cessa di esistere.

Nel partito, scrivemmo nel 1967 in un testo che riportiamo, nessun comanda e tutti sono comandati; nessun comanda, perché non alla sua testa individuale si chiede la soluzione del problema; tutti sono comandati, perché anche il centro più assoluto non può dare ordini che non siano sulla linea continua del partito storico.

Dittatura su tutti, centro e base, dei principi, delle tradizioni e delle finalità del movimento comunista, pretesa legittima del centro ad essere obbedito senza opposizione in quanto i suoi ordini stanno su questa linea che deve manifestarsi in ogni azione del partito, rivendicazione della base, non ad essere consultata ogni volta che un ordine è emanato, ma ad eseguirlo solo ed in quanto stia sulla linea da tutti accettata ed impersonale del partito storico. Ci sono dunque nel partito delle gerarchie e dei capi; si tratta di strumenti tecnici di cui il partito non può fare a meno, perché la sua azione deve essere in ogni momento unitaria e centralizzata, deve rispondere al massimo d’efficienza e di disciplina. Ma questi organi del partito non decidono la direzione dell’azione partendo dalla loro testa più o meno geniale; devono sottostare anch’essi a decisioni che ha preso soprattutto la storia e che sono patrimonio collettivo ed impersonale dell’organo partito.
 
 

CITAZIONI

Sommario
24 - Marxismo ed autorità - 1956.
29 - ... Sulla questione dell’Autorità generale cui il comunismo rivoluzionario deve far capo, noi ritorniamo a trovare i criteri nell’analisi economica, sociale e storica. Non è possibile far votare morti e vivi e non ancora nati. Mentre, nell’originale dialettica dell’organo partito di classe, una simile operazione diviene possibile, reale e feconda, seppure in una dura, lunga strada di prove e di lotte tremende.

25 - Considerazioni sull’organica attività del partito quando la situazione generale è storicamente sfavorevole - 1965.
12 - ...Quando dalla invariante dottrina facciamo sorgere la conclusione che la vittoria rivoluzionaria della classe lavoratrice non può ottenersi che con il partito di classe e la dittatura di esso, e sulla scorta di parole di Marx affermiamo che prima del partito rivoluzionario e comunista il proletariato è una classe, forse per la scienza borghese, ma non per Marx e per noi; la conclusione da dedurre è che per la vittoria sarà necessario avere un partito che meriti al tempo stesso la qualifica di partito storico e di partito formale, ossia che si sia risolta nella realtà dell’azione e della storia la contraddizione apparente – e che ha dominato un lungo e difficile passato – tra partito storico, dunque quanto al contenuto (programma storico, invariante), e partito contingente, dunque quanto alla forma, che agisce come forza e prassi fisica di una parte decisiva del proletariato in lotta.
13 - ...Se la sezione sorta in Italia dalle rovine del vecchio partito della II Internazionale fu particolarmente portata, non per virtù di persone certamente, ma per derivazioni storiche, ad avvertire la esigenza della saldatura fra il movimento storico e la sua forma attuale, fu per aver sostenuto particolari lotte contro le forme degenerate ed aver quindi rifiutato le infiltrazioni non solo delle forze dominate da posizione di tipo nazionale, parlamentare e democratico, ma anche in quelle (italice, massimalismo) che si lasciarono influenzare dal rivoluzionarismo piccolo-borghese, anarco-sindacalista. Questa corrente di sinistra lottò particolarmente perché fossero rigide le condizioni d’ammissione (costruzione della nuova struttura formale), le applicò in pieno in Italia, e quando esse dettero risultati non perfetti in Francia, Germania etc., fu la prima da avvertire un pericolo per tutta l’Internazionale.
La situazione storica, per cui in un solo paese si era costituito lo Stato proletario, mentre negli altri non si era giunti a conquistare il potere, rendeva difficile la chiara soluzione organica di mantenere il timone dell’organizzazione mondiale alla sezione russa.
La Sinistra fu la prima ad avvertire che, qualora il comportamento dello Stato russo, nell’economia interna come nei rapporti internazionali, cominciasse ad accusare deviazioni, si sarebbe stabilito un divario tra la politica del partito storico, ossia di tutti i comunisti rivoluzionari del mondo, e la politica di un partito formale che difendesse gli interessi dello Stato russo contingente.
14 - ...Quest’abisso si è da allora scavato tanto profondamente che le sezioni «apparenti», che sono alla dipendenza del partito-guida russo, fanno nel senso effimero una volgare politica di collaborazione con la borghesia, non migliore di quella tradizionale dei partiti corrotti della II Internazionale.
Ciò dà la possibilità, non diremo di diritto, ai gruppi che derivano dalla lotta della Sinistra italiana contro la degenerazione di Mosca, di intendere meglio d’ogni altro per quale strada il partito vero, attivo, e quindi formale, possa rimanere in tutta aderenza ai caratteri del partito storico rivoluzionario, che in linea potenziale esiste per lo meno dal 1847, mentre in linea di prassi si è affermato a grandi squarci storici attraverso la serie tragica delle sconfitte della rivoluzione.

26 - Tesi sul compito storico, l’azione e la struttura del partito... (Tesi di Napoli) - 1965
11 - ...Indubbiamente, nell’evoluzione che i partiti seguono, può contrapporsi il cammino dei partiti formali, che presenta continue inversioni ed alti e bassi, anche con precipizi rovinosi, al cammino ascendente del partito storico. Lo sforzo dei marxisti di sinistra è di operare sulla curva spezzata dei partiti contingenti per ricondurla alla curva continua ed armonica del partito storico. ...
La Sinistra comunista ha sempre considerato che la sua lunga battaglia contro le tristi vicende contingenti dei partiti formali del proletariato si sia svolta affermando posizioni che in modo continuo ed armonico si concatenano sulla scia luminosa del partito storico, che va senza spezzarsi lungo gli anni ed i secoli, dalle prime affermazioni della nascente dottrina proletaria alla società futura, che noi ben conosciamo, in quanto abbiamo ben individuato i tessuti ed i gangli dell’esosa società presente che la rivoluzione dovrà travolgere.
 
 
 
 

CAP. 2


ADESIONE AL PARTITO

Sommario


Come neghiamo che il partito sia un raggruppamento di coscienti, d’apostoli e d’eroi, così la corretta visione marxista nega che l’adesione al partito avvenga per un fatto di comprensione razionale da parte dei singoli, i quali avendo capito le posizioni del partito scelgono di sostenerle con la loro opera. È nostra tesi che comprensione razionale ed azione non solo non sono fatti separabili e separati l’uno dall’altro, ma che nel singolo l’azione precede sempre la comprensione e la coscienza. Anche nel singolo che aderisce al partito. Per noi esiste in primo luogo lo sviluppo delle forze produttive che determina la divisione in classi della società e spinge gli uomini a prendere posizione rispetto a questo conflitto di cui possono avere più o meno coscienza.

Se, secondo il marxismo, le società non si riconoscono dalla coscienza che hanno di loro stesse, ma è necessario analizzarne l’anatomia economica per comprendere le loro espressioni ideali, questo vale anche per le classi che nella storia hanno svolto funzioni rivoluzionarie, le quali hanno sempre avuto una coscienza mistificata e deformata della loro funzione storica. Solo il proletariato moderno ha potuto forgiarsi una coscienza scientifica del divenire storico, delle sue finalità e della sua azione, ma questa coscienza non appartiene a tutti gli operai singolarmente o collettivamente presi, i quali sono spinti alla battaglia da determinazioni materiali ed incoscienti. Questa coscienza non sta nemmeno nei singoli individui che aderiscono al partito di classe, essendo anch’essi determinati a schierarsi sul fronte del comunismo da fattori materiali e sociali, come sono questi stessi fattori che possono determinare l’abbandono della trincea da parte dei singoli.

È la storica lotta che vede schierate due classi sociali con interessi inconciliabili e che nessuno può eliminare, perché pone le sue radici nel meccanismo produttivo della presente società che determina gli individui a schierarsi sull’uno o sull’altro fronte indipendentemente dalla coscienza che individualmente possono avere delle linee della trincea e dei piani di battaglia. Sono forze storiche, sociali e materiali che spingono gli individui a aderire al partito, ad accettare, come abbiamo sempre detto, questo blocco univoco di teoria e d’azione che costituisce il partito, anche senza avere mai letto un testo di Marx o di Lenin. La coscienza non sta nel singolo, né prima né dopo la sua adesione e nemmeno dopo lunghissima milizia, ma nell’organo collettivo il quale è composto di vecchi e di giovani, di colti e d’incolti, e il quale svolge un’azione complessa e continua sul filo di una dottrina e di una tradizione invarianti.

È l’organo partito che possiede la coscienza di classe, perché questo possesso è negato al singolo, e può esistere solo in una organizzazione che sappia uniformare tutti i suoi atti, il suo comportamento, la sua dinamica interna ed esterna alle preesistenti linee di dottrina, di programma e di tattica, e che sappia crescere e svilupparsi su questa base, che si accetta in blocco anche senza averla preventivamente capita. Fatto mistico nella adesione al partito è nozione che può spaventare solo il piccolo borghese illuminista convinto che tutto si possa imparare leggendo e studiando sui libri.

Nel 1912 opponemmo ai culturisti che volevano trasformare la Federazione Giovanile Socialista in una «scuola di partito» secondo la maledetta formula: «prima apprendere, poi agire», che il fatto per cui i giovani aderivano al nostro fronte di battaglia non era culturale, ma d’entusiasmo, d’istinto e di fede. E che questo sia puro materialismo è chiaro persino al borghese il quale nota che il suo potente apparato scolastico diventa incapace di far imparare qualunque cosa quando viene a mancare «l’interesse», cioè la spinta materiale che determina gli individui ad apprendere.

Nel partito si impara e si chiariscono le idee, partecipando al complesso lavoro collettivo che si svolge sempre sul triplice piano: difesa e scolpimento della teoria, partecipazione attiva alle lotte che le masse intraprendono, organizzazione. Al di fuori di questa partecipazione al lavoro reale del partito non ci può essere comprensione e coscienza. Nel Partito si svolge un continuo lavoro di preparazione teorica, d’approfondimento dei lineamenti programmatici e tattici, di spiegazione, alla luce della dottrina, dei fatti che si svolgono sull’arena sociale e si svolge contemporaneamente e senza scissione il lavoro pratico, organizzativo, di battaglia e di penetrazione in seno al proletariato. Il militante impara dalla partecipazione attiva a questo complesso lavoro e solo in quanto è immerso in esso e da esso si lascia sommergere. Non c’è altro modo di apprendere e le nostre tesi hanno sempre affermato che la divisione in compartimenti stagni dell’attività teorica e pratica è mortale riguardo non al solo partito, ma anche a ciascun militante singolarmente preso.

Descrivendo il modo in cui l’organo partito realizza il passaggio della teoria e della tradizione rivoluzionaria fra le generazioni e si lascia permeare nel suo complesso da questa teoria e da questa tradizione, noi non potremmo dunque vedervi una specie di piano scolastico secondo il quale i giovani che si avvicinano al partito vengano prima circa rapidamente indottrinati da bravi ed esperti insegnanti di marxismo e siano invitati a studiare determinati «brevi corsi» per poi passare alla vera e propria milizia ed alla battaglia pratica. Vi vediamo invece una collettività che studia mentre combatte e combatte mentre studia, ed impara sia dallo studio che dalla battaglia; vi vediamo cioè una collettività che agisce, un organo che vive di una attività complessa e molteplice i cui vari aspetti non sono mai separabili l’uno dall’altro. E il giovane è attratto ed aderisce a questo lavoro complesso, si immette in esso ed in esso trova il suo posto, organicamente, nello svolgimento stesso del lavoro; a nessuno si chiede una laurea, né prima né dopo la sua adesione, come a nessuno si fanno esami: l’esame per tutti lo fa il lavoro che deve essere svolto e che seleziona organicamente gli individui al loro posto.

Per l’adesione al partito altre caratteristiche si richiedono che non la cultura «marxista» e la conoscenza individuale della nostra dottrina; si richiedono doti che Lenin chiamò di coraggio, abnegazione, eroismo, volontà di combattere; è per verificare queste qualità che si discrimina fra il simpatizzante o candidato e il militante, il soldato attivo dell’esercito rivoluzionario; non certo perché il simpatizzante non «sa» ancora, mentre il militante possiede coscienza. Se così non fosse cadrebbe tutta la concezione marxista, perché il partito comunista è quel tale organismo che deve, nei momenti della ripresa rivoluzionaria, organizzare nel suo seno milioni d’uomini i quali non avranno né tempo, né necessità di fare corsi di marxismo neanche accelerati ed aderiranno a noi non perché sanno, ma perché sentono «in via istintiva e spontanea e senza il minimo corso di studio che possa scimmiottare qualificazioni scolastiche». E sarebbe stupido, oltre che antimarxista, sostenere che questi «ultimi arrivati» li useremo come «base», ma i dirigenti saranno quelli che hanno avuto il tempo di «apprendere» e di «prepararsi». Ci si prepara in un solo modo: partecipando al lavoro collettivo del partito. E il militante di partito è per noi non chi conosce la dottrina ed il programma, ma chi «ha saputo dimenticare, rinnegare, strapparsi dalla mente e dal cuore la classificazione in cui lo iscrisse l’anagrafe di questa società in putrefazione, e vede e confonde se stesso in tutto l’arco millenario che lega l’ancestrale uomo tribale lottatore con le belve al membro della comunità futura, fraterna nell’armonia gioiosa dell’uomo sociale» (Considerazioni... P.C. - n. 2/1965, punto 11).

Ed è sicuro che non si è strappato proprio niente né dalla mente né dal cuore chi pensa che prima bisogna saper tutto, aver capito tutto e solo dopo si può agire; oppure chi concepisce il partito come una grande accademia per la preparazione di «quadri». Costui è immerso fino al collo nel mito più putrido della società presente in putrefazione: quello che l’individuo possa col suo misero cervello apprendere e decidere qualsiasi altra cosa che non siano i dettati delle classi dominanti, astute manipolatrici di cultura e d’idee.
 
 

CITAZIONI

Sommario
27 - Mozione della corrente di sinistra su «Educazione e Cultura» - Bologna - 1912.
Il Congresso, considerando che in regime capitalista la scuola rappresenta un’arma potente di conservazione nelle mani della classe dominante, la quale tende a dare ai giovani un’educazione che li renda ligi e rassegnati al regime attuale, e impedisca loro di scorgerne le essenziali contraddizioni, rilevando quindi il carattere artificioso della cultura attuale e degli insegnamenti ufficiali, in tutte le loro fasi successive, e ritenendo che nessuna fiducia sia da attribuirsi ad una riforma della scuola nel senso laico e democratico; ...ritiene che l’attenzione dei giovani socialisti debba piuttosto essere volta alla formazione del carattere e del sentimento socialisti;
considerando che una tale educazione può essere data solo dall’ambiente proletario quando questo viva della lotta di classe intesa come preparazione alle massime conquiste del proletariato, respingendo la definizione scolastica del nostro movimento ed ogni discussione sulla sua cosiddetta funzione tecnica, crede che, come i giovani troveranno in tutte le agitazioni di classe del proletariato il terreno migliore per lo sviluppo della loro coscienza rivoluzionaria, così le organizzazioni operaie potranno attingere dall’attiva collaborazione dei loro elementi più giovani e ardenti quella fede socialista che sola può e deve salvarle dalle degenerazioni utilitarie e corporativiste;
afferma in conclusione che l’educazione dei giovani si fa più nella azione che nello studio regolato da sistemi e norme quasi burocratiche e in conseguenza esorta tutti gli aderenti al movimento giovanile socialista:
a) a riunirsi molto più spesso che non lo prescrivano gli statuti, per discutere tra loro sui problemi dell’azione socialista, comunicandosi i risultati delle osservazioni e delle letture personali e abituandosi sempre più alla solidarietà morale dell’ambiente socialista;
b) a prendere parte attiva alla vita delle organizzazioni di mestiere.

28 - Fantasime carlailiane - 1953.
3 - ...La coscienza teorica – difesa a spada tratta dalla stessa corrente di sinistra come dotazione del partito e del movimento giovanile – non deve essere posta come una condizione paralizzante per la possibilità di tutti a combattere sotto la semplice spinta di un sentimento e di un entusiasmo socialista, naturalmente sorto per le condizioni sociali. Quelli che di tale dialettica posizione nulla capirono, e videro persino, nei riguardi dei motori che agiscono in un animo giovanile, mettere la fede ed il «fanatismo» prima della scienza e della filosofia dissero non poche e possenti balle, parlarono di rinnovato culto dell’eroe e di... abbandono di Marx per aderire a Carlyle!

29 - Marx e Il «comunismo rozzo» - 1959.
...Va chiesta al militante comunista la forza del muscolo che colpisce prima dell’orientamento di pensiero e della coscienza, come il grande marxista Lenin dimostrò magistralmente in «Che fare?».

30 - La facile derisione - 1959.
...Quando ad un certo punto il nostro banale contraddittore (...) ci dirà che noi costruiremo così una nostra mistica, atteggiandosi lui, poverello, a mente che ha superato tutti i fideismi e le mistiche, e ci deriderà coi termini di prostrati a tavole mosaiche o talmudiche, di biblici o coranici, di evangelici o catechistici, gli risponderemo che anche con questo non ci avrà indotti a prendere posizione di incolpati in difesa, e che – anche a parte l’utilità di fare dispetto al filisteo in tutti i tempi rinascente – non abbiamo motivo di trattare come un’offesa l’affermazione che ancora al nostro movimento, fin quando non ha trionfato nella realtà (che precede nel nostro metodo ogni ulteriore conquista della coscienza umana) può essere adeguata una mistica, e se si vuole un mito.

31 - «L’estremismo», condanna dei futuri rinnegati - 1961.
18 - ... La base della disciplina risale in primo luogo alla «coscienza dell’avanguardia proletaria», ossia di quella minoranza del proletariato che si riunisce negli strati avanzati del partito, e subito dopo Lenin indica le qualità di questa avanguardia con parole che hanno un carattere più «passionale» che razionale, rilevando che, come da tanti altri suoi scritti (Che fare?) è messo in evidenza, il proletario comunista aderisce al partito con un fatto di intuito e non di razionalismo. Questa tesi fin dal 1912 nella gioventù socialista italiana fu sostenuta contro gli «immediatisti» – che sono sempre, al pari degli anarchici, «educazionisti» – nella lotta tra culturisti e anticulturisti, come si disse allora, ove ben s’intenda che i secondi, invocando un fatto di fede e di sentimento e non di grado scolastico nell’adesione del giovane rivoluzionario, provavano di stare sul terreno di uno stretto materialismo e di rigore della teoria del partito. Lenin, che apre arruolamenti e non accademie, parla qui di doti di «devozione, fermezza, abnegazione, eroismo». Noi, lontani allievi, abbiamo recentemente, con dialettica decisione, osato parlare apertamente, di fatto, «mistico» nella adesione al partito.

32 - Considerazioni sull’organica attività del partito quando la situazione generale è storicamente sfavorevole - 1965.
11- ...Le violente scintille che scoccarono tra i reofori della nostra dialettica ci hanno appreso che è compagno militante comunista e rivoluzionario chi ha saputo dimenticare, rinnegare, strapparsi dalla mente e dal cuore la classificazione in cui lo iscrisse l’anagrafe di questa società in putrefazione, e vede e confonde se stesso in tutto l’arco millenario che lega l’ancestrale uomo tribale lottatore con le belve al membro della comunità futura, fraterna nell’armonia gioiosa dell’uomo sociale.
 
 
 
 

CAP. 3


IL PARTITO COME ORGANIZZAZIONE DI UOMINI

Sommario


Il partito è una organizzazione di uomini: vecchia storia e realtà innegabile.

L’organizzazione combattente è composta da individui con caratteristiche e capacità diverse, provenienti da ambienti sociali diversi, come da diverse esperienze individuali. Si tratta di sapere che cosa lega insieme questi uomini in una unica organizzazione: li lega evidentemente l’adesione ad un complesso di teoria, principi, finalità e ad una linea di azione che è propria dell’organo partito comunista nella sua storia e che gli individui, da qualsiasi parte provengano, riconoscono come propria ed alla quale sono determinati ad obbedire; li lega insieme l’adesione ad una posizione di battaglia, ad una trincea che la storia ha stabilito prima di loro ed alla quale essi devono assoluta fedeltà.

Gli individui che compongono il partito non hanno individualmente la coscienza di questo patrimonio storico al quale hanno aderito per via istintiva e, come in altra parte affermiamo, mistica.

La coscienza è posseduta dall’organo collettivo non soltanto nel senso dell’attività comune di tutti i membri del partito, attività al tempo stesso teorica e pratica, ma nel senso più ampio di attività collettiva sulla base di norme teoriche programmatiche e tattiche e di finalità preesistenti alla stessa collettività operante in una determinata epoca e in un determinato luogo.

A questa collettività operante si richiede una cosa sola: di rimanere in tutta la sua azione aderente al filo continuo che lega il passato all’avvenire, di niente innovare, niente inventare, niente scoprire. All’individuo singolo, che fa parte di questa collettività, si chiede di dare il suo contributo di cervello e di braccia a far marciare l’organizzazione sulla base tracciata ed impegnativa per tutti. E allora chi stabilisce l’indirizzo del partito, che cosa la collettività partito deve dire e fare? Lo stabiliscono la teoria, i principi, le finalità, il programma del partito che si traducono in attività; attività di studio, di ricerca, di interpretazione dei fatti sociali e di attivo intervento in essi. È da questa attività collettiva che devono uscire le decisioni pratiche che non devono in alcun modo contravvenire alla base storica su cui il partito poggia. Gli ordini di movimento a tutta la rete li dà il centro mondiale che è una funzione che può essere svolta da un uomo solo o da un gruppo di uomini, ma questo stesso centro è una funzione del partito, è il prodotto dell’attività collettiva del partito e gli ordini non escono dalle sue più o meno grandi capacità cerebrali, ma costituiscono il nodo di collegamento di un’attività che coinvolge tutto l’organismo e che deve stare sulla base del partito storico.

Nella nostra concezione non si consulta la totalità degli individui che compongono il partito per definire l’indirizzo di questo, ma esso non è nemmeno definito dal gruppo che si trova a svolgere la funzione centrale il quale esprime decisioni che hanno valore impegnativo per tutti i militanti in quanto poggiano sul patrimonio storico del partito e sono il risultato dell’opera e del contributo di tutto l’organismo. È dunque tesi nostra che agli individui non si attribuisce il merito del buon andamento del partito, né la colpa del suo eventuale sbandare. Nostro problema non sarà mai quello della ricerca degli «uomini migliori» che garantiscano il buon andamento del lavoro; né andremo mai, come risulta da tutte le nostre tesi, a rimediare ad un errore attraverso lo spostamento degli individui nella struttura gerarchica del partito. Agli individui singolarmente considerati la teoria nega coscienza, merito e colpa e li considera esclusivamente come strumenti più o meno validi di attività collettiva, come considera le loro azioni, corrette o sbagliate che siano, frutto di determinazioni impersonali ed anonime e non della loro volontà. È il lavoro collettivo sulla base della sana tradizione che seleziona gli individui ai vari gradi della gerarchia e alle varie funzioni che definiscono l’organismo partito. Ma la garanzia del corretto svolgimento delle funzioni non è data dal cervello o dalla volontà di un individuo o di un gruppo: è al contrario il risultato dello svolgimento di tutto il lavoro del partito.
 
 

CITAZIONI

Sommario
33 - Tesi sulla tattica al II Congresso del P.C.d’I. (Tesi di Roma) - 1922.
I, 2 - ...Questi due fattori di coscienza e di volontà sarebbe erroneo considerarli come facoltà che si possano ottenere e si debbano pretendere dai singoli poiché si realizzano solo per l’integrazione dell’attività di molti individui in un organismo collettivo unitario.
III,16 – Totalmente erronea sarebbe quella concezione dell’organismo di patito che si fondasse sulla richiesta di una perfetta coscienza critica e di un completo spirito di sacrificio in ciascuno dei suoi aderenti singolarmente considerato.

34 - Organizzazione e disciplina comunista - 1924.
...Gli ordini che le gerarchie centrali emanano sono non il punto di partenza, ma il risultato della funzione del movimento inteso come collettività. Questo non è detto nel senso scioccamente democratico e giuridico, ma nel senso realistico e storico. Non difendiamo, dicendo questo, un «diritto» della massa dei comunisti ad elaborare le direttive a cui devono attenersi i dirigenti: constatiamo che in questi termini si presenta la formazione di un partito di classe, e su queste premesse dovremo impostare lo studio del problema.
Così si delinea lo schema delle conclusioni a cui tendiamo noi in materia. Non vi è una disciplina meccanica buona per l’attuazione di ordini e disposizioni superiori «quali che siano»: vi è un insieme di ordini e disposizioni rispondenti alle origini reali del movimento che possono garantire il massimo di disciplina, ossia di azione unitaria di tutto l’organismo, mentre vi sono altre direttive che emanate dal centro possono compromettere la disciplina e la solidità organizzativa.
Si tratta dunque di un tracciamento del compito degli organi dirigenti. Chi dovrà farlo? Lo deve fare tutto il partito, tutta la organizzazione, non nel senso banale e parlamentare del suo diritto a essere consultato sul «mandato» da conferire ai capi elettivi e sui limiti di questo, ma nel senso dialettico che contempla la tradizione, la preparazione, la continuità reale nel pensiero e nell’azione del movimento.

35 - Lenin nel cammino della rivoluzione - 1924.
La funzione del capo.
...La manifestazione e la funzione del singolo sono determinate dalle condizioni generali dell’ambiente e della società e dalla storia di questa. Quello che si elabora nel cervello di un uomo ha avuto la sua preparazione nei rapporti con altri uomini e nel fatto, anche di natura intellettiva, di altri uomini. Alcuni cervelli privilegiati ed esercitati, macchine meglio costruite e perfezionate, traducono ed esprimono e rielaborano meglio un patrimonio di conoscenze e di esperienze che non esisterebbe se non si appoggiasse sulla vita della collettività.
Il cervello del capo è uno strumento materiale funzionante per legami con tutta la classe e il partito; le formulazioni che il capo detta come teorico e le norme che prescrive come dirigente pratico, non sono creazioni sue, ma precisazione di una coscienza i cui materiali appartengono alla classe-partito e sono prodotti di una vastissima esperienza. Non sempre tutti i dati di questa appaiono presenti al capo sotto forma di erudizione meccanica, cosicché noi possiamo realisticamente spiegarci certi fenomeni di intuizione che sono giudicati di divinazione e che, lungi dal provarci la trascendenza di alcuni individui sulla massa, ci dimostrano meglio il nostro assunto che il capo è lo strumento operatore e non il motore del pensiero e dell’azione comune...
La organizzazione in partito, che permette alla classe di essere veramente tale e vivere come tale, si presenta come un meccanismo unitario in cui i vari «cervelli» (non solo certamente i cervelli, ma anche altri organi individuali) assolvono compiti diversi a seconda delle attitudini e potenzialità, tutti al servizio di uno scopo e di un interesse che progressivamente si unifica sempre più intimamente «nel tempo e nello spazio» (questa comoda espressione ha un significato empirico e non trascendente). Non tutti gli individui hanno dunque lo stesso posto e lo stesso peso nell’organizzazione: man mano che questa divisione dei compiti si attua secondo un piano più razionale (e quello che è oggi per il partito-classe sarà domani per la società) è perfettamente escluso che chi si trova più in alto gravi come privilegiato sugli altri. L’evoluzione rivoluzionaria nostra non va verso la disintegrazione, ma verso la connessione sempre più scientifica degli individui tra loro.
Essa è antindividualista in quanto materialista; non crede all’anima o a un contenuto metafisico e trascendente dell’individuo, ma inserisce le funzioni di questo in un quadro collettivo, creando una gerarchia che si svolge nel senso di eliminare sempre più la coercizione e sostituirvi la razionalità tecnica. Il partito è già un esempio di una collettività senza coercizione...
La questione non si pone a noi con un contenuto giuridico, ma come un problema tecnico non pregiudicato da filosofemi di diritto costituzionale o, peggio, naturale. Non vi è una ragione di principio che nei nostri statuti si scriva «capo» o «comitato di capi»: e da queste premesse parte una soluzione marxista della questione della scelta: scelta che fa, più che tutto, la storia dinamica del movimento e non la banalità di consultazioni elettive. Preferiamo non scrivere nella regola organizzativa la parola «capo», perché non sempre avremo tra le file una individualità della forza di un Marx o di un Lenin. In conclusione, se l’uomo, lo «strumento» di eccezione esiste, il movimento lo utilizza: ma il movimento vive lo stesso quando tale personalità eminente non si trova. La nostra teoria del capo è molto lungi dalle cretinerie con cui le teologie e le politiche ufficiali dimostrano la necessità dei pontefici, dei re, dei «primi cittadini», dei dittatori e dei Duci, povere marionette che si illudono di fare la storia.
Più ancora: questo processo di elaborazione di materiale appartenente a una collettività, che noi vediamo nell’individuo del dirigente, come prende dalla collettività e a essa restituisce energie potenziate e trasformate, così nulla può togliere colla sua scomparsa dal circolo di queste. La morte dell’organismo di Lenin non significa per nulla la fine di questa funzione, se, come abbiamo dimostrato, in realtà il materiale come egli lo ha elaborato deve ancora essere alimento vitale della classe e del partito.

36 - Tesi della Sinistra al 3° Congresso del P.C.d’I. (Tesi di Lione) - 1926.
I, 3 - ...L’organo in cui si riassume il massimo di possibilità volitiva e di iniziativa in tutto il campo della sua azione è il partito politico: non certo un qualunque partito, ma il partito della classe proletaria, il partito comunista, legato, per così dire, da un filo ininterrotto alle ultime mete del processo avvenire. Una tale facoltà volitiva nel partito, così come la sua coscienza e preparazione teoretica, sono funzioni squisitamente collettive del partito... Per queste considerazioni il concetto marxista del partito e della sua azione rifugge, come abbiamo enunciato, così dal fatalismo, passivo a spettatore di fenomeni su cui non si sente di influire in modo diretto, come da ogni concezione volontaristica nel senso individuale, secondo cui le qualità di preparazione teorica, forza di volontà, spirito di sacrificio, insomma uno speciale tipo di figura morale ed un requisito di «purezza» siano da chiedersi indistintamente ad ogni singolo militante del partito, riducendo questo ad una èlite distinta e superiore al restante degli elementi sociali che compongono la classe operaia.

37 - Discorso del rappresentante della Sinistra al VI Esecutivo Allargato dell’I.C. - 1926.
... Ciò di riferisce anche alla questione dei capi, che il compagno Trotzki solleva nella prefazione al volume «Millenoventodiciasette» nella sua analisi delle cause delle nostre sconfitte, e con la cui soluzione io solidarizzo pienamente.
Trotzki non parla dei capi nel senso che noi abbiamo bisogno di uomini delegati a questo scopo dal cielo. No, egli pone il problema ben diversamente. Anche i capi sono un prodotto dell’attività del partito, dei metodi di lavoro del partito e della fiducia che il partito ha saputo attirarsi. Se il partito, sebbene la situazione variabile e spesso sfavorevole segue la linea rivoluzionaria e combatte le deviazioni opportunistiche, la selezione dei capi, la formazione di uno stato maggiore, avvengono in modo favorevole, e nel periodo della lotta finale noi riusciremo non certo ad avere sempre un Lenin, ma una direzione solida e coraggiosa – cosa che oggi, nello stato attuale delle nostre organizzazioni, si può ben poco sperare.

38 - Forza-violenza-dittatura nella lotta di classe - 1948.
V - ...Quel compito è affidato invece non a schiere o gruppi di individui superiori scesi a beneficiare l’umanità, ma ad un organismo, ad un macchinismo differenziatosi nel seno della massa utilizzando gli elementi individuali come cellule che compongono i tessuti ed elevandoli ad una funzione che è resa possibile solo da questo complesso di relazioni; questo organismo, questo sistema, questo complesso di elementi ciascuno con funzioni proprie, analogamente all’organismo animale cui concorrono sistemi complicatissimi di tessuti, di reti, di vasi e così via, è l’organismo di classe, il partito, che in certo modo determina la classe di fronte a se stessa e la rende capace di svolgere la sua storia.

39 - II rovesciamento della prassi nella teoria marxista (Riunione di Roma) - 1951.
10 - ...Nel partito, mentre dal basso vi confluiscono tutte le influenze individuali e di classe, si forma dal loro apporto una possibilità e facoltà di visione critica e teorica e di volontà d’azione, che permette di trasfondere ai singoli militanti e proletari la spiegazione di situazioni e processi storici e anche le decisioni di azione e di combattimento.
11 - Quindi, mentre il determinismo esclude per il singolo possibilità di volontà e coscienza premesse all’azione, il rovesciamento della prassi le ammette unicamente nel partito come il risultato di una generale elaborazione storica. Se dunque vanno attribuite al partito volontà e coscienza, deve negarsi che esso si formi dal concorso di coscienza e volontà di individui di un gruppo, e che tale gruppo possa minimamente considerarsi al di fuori delle determinanti fisiche, economiche e sociali in tutta l’estensione della classe.
12 - È quindi priva di senso la pretesa analisi secondo cui vi sono tutte le condizioni rivoluzionarie, ma manca una direzione rivoluzionaria. È esatto dire che l’organo di direzione è indispensabile, ma il suo sorgere dipende dalle stesse condizioni generali di lotta, mai dalla genialità o dal valore di un capo o di una avanguardia.

40 - Tesi caratteristiche del partito (Tesi di Firenze) - 1951.
II, 5 - ... La questione della coscienza individuale non è la base della formazione del partito: non solo ciascun proletario non può essere cosciente e tanto meno culturalmente padrone della dottrina di classe, ma nemmeno ciascun militante preso a sé, e tale garanzia non è data nemmeno dai capi. Essa consiste solo nella organica unità del partito.
Come quindi è respinta ogni concezione di azione individuale o di azione di una massa non legata da preciso tessuto organizzativo, così lo è quella del partito come raggruppamento di sapienti, di illuminati o di coscienti, per essere sostituita da quella di un tessuto e di un sistema che nel seno della classe proletaria ha organicamente la funzione di esplicarne il compito rivoluzionario in tutti i suoi aspetti e in tutte le complesse fasi.

41 - Le gambe ai cani - 1952.
...I nuovi fatti, tale la nostra posizione recisa, non conducono a correggere le posizioni antiche né ad aggiungere ad esse complementi e rettifiche. La lettura dei testi di principio la facciamo oggi come nel 1921 e prima, la lettura dei fatti successivi nello stesso modo, le proposte sul metodo di organizzazione e di azione restano confermate.
Questo lavoro non è affidato né ad una persona né ad un comitato, né tanto meno ad un ufficio, esso è un momento e un settore di un lavoro unitario che si svolge da oltre un secolo, e molto al di fuori dell’aprirsi e chiudersi di generazioni, e non si inscrive nel curriculum vitae di nessuno, nemmeno di quelli che abbiano avuto lunghissimi tempi di coerente elaborazione e maturazione dei risultati. Il movimento vieta e deve vietare iniziative estemporanee e personali o contingenti in tale opera elaborativi di testi di indirizzo e anche di studi interpretativi del procedere storico che ci circonda.
L’idea che con un’oretta di tempo, la penna e il calamaio, qualche buon figliolo si metta a freddo a redigere testi, o anche che lo faccia la cirenea «base» per l’invito di una circolare o di una effimera riunione accademica chiassosa o clandestina è idea bambocciale. I risultati sono da diffidare e squalificare in partenza. Soprattutto quando una tale disposizione di dettami viene dai maniaci dell’opera e dell’intervento umano nella storia. Intervengono uomini, dati uomini, o un dato Uomo con la maiuscola? Vecchia questione. La storia la fanno gli uomini, soltanto che sanno assai poco perché la fanno e come la fanno. Ma in genere tutti i «patiti» dell’azione umana e i dileggiatori di un preteso automatismo fatalista, da una parte sono quelli che accarezzano nel proprio foro interiore l’idea di avere nel corpicciolo quel tale Uomo predestinato, dall’altra sono quelli che nulla hanno capito e nulla possono; nemmeno intendere che la storia non guadagna o perde un decimo di secondo, sia che essi dormano come ghiri, sia che realizzino il sogno generoso di dimenarsi come ossessi.
Con gelido cinismo e senza il minimo rimorso ad ogni esemplare superattivista più o meno autoconvinto di serissimi funzioni e ad ogni sinedrio di novatori e pilotatori del domani ripetiamo: «iateve a cuccà!» Siete impotenti anche a caricare la sveglia.
Il compito di mettere a posto le Tesi e raddrizzare le gambe ai cani che deviano da tutte le bande, compito che si riapre sempre dove meno te lo aspettavi, vuole ben altro che la breve ora del congressino o del discorsetto. Non è facile tentare un indice dei posti dove si è dovuto accorrere a turare falle, opera evidentemente ritenuta ingloriosa da quelli nati per «passare alla Storia», con stile non tamponante, ma sfondante. Pensiamo possa servire un piccolo indice che ovviamente non è perfetto ed avrà ripetizioni e inversioni. Indichiamo le tesi corrette a fronte di quelle errate: non chiamiamo queste antitèsi, pronunziato piano, che si confonde con lo sdrucciolo antitesi ovvero contrapposta presenza di due diverse tesi. Diremo: controtesi.
Anche pure ragioni espositive dividiamo i punti in tre settori di evidente intercomunicazione: Storia, economia, filosofia (considerate il vocabolo fra virgolette)...
Le delucidazioni su questi sintetici cenni sono sparse in numerosi scritti di partito, e relazioni su convegni e riunioni.
Il freno ad improvvisazioni pericolose non significa che di tale lavoro possa pensarsi un monopolio e una esclusiva in mano di chicchessia.
Può con miglior cura darsi ordine agli argomenti, e può con maggiore chiarezza ed efficacia dettarsi l’esposizione. Con attività e studio può essere fatto meglio in altri sette anni e in sette ore per settimana.
Se poi avanzano bruciatori di tappe, ed a mazzetti, converrà dire (come ricordammo una volta del frigido Zinoviev) che sono venuti uomini di quelli che appaiono ad ogni cinquecento anni; ed egli lo diceva di Lenin.
Aspetteremo che siano imbalsamati. Noi non ci sentiamo da tanto.

42 - Politique d’abord - 1952.
...Sostituita la fede cieca in un nome al rispetto dei principi, delle tesi, delle norme di azione del partito come ente impersonale, assicurata dal favore ingenuo delle masse e degli stessi militanti la influenza di una persona, che alla pruriginosa ambizione, latente o meno, accompagnava doti (novantacinque volte almeno su cento assolutamente spurie) di ingegno, cultura, eloquenza, abilità e coraggio, riuscirono storicamente possibili le fenomenali svolte, le incredibili virate di bordo, con cui interi partiti e frazioni notevoli di partito spezzarono la linea della loro dottrina e della loro tradizione, e fecero si che la classe rivoluzionaria abbandonasse o addirittura invertisse il suo fronte di combattimento.
Strati di militanti e folle proletarie incassarono incredibilmente mutamenti mirabolanti di formule e di ricette; e quando non caddero nell’inganno ebbero ondeggiamenti esiziali. Fallì ad esempio Mussolini nel tentativo di trascinare il partito socialista italiano nella ubriacatura di guerra, ma alla sezione socialista di Milano che nell’ottobre 1914 unanime lo urlava via, osò gridare partendo: mi odiate perché mi amate!
Una lunga e tragica esperienza dovrebbe dunque avere appreso che nell’azione di partito bisogna adoperare tutti secondo le loro svariatissime attitudini e possibilità, ma che «non bisogna amare nessuno», ed essere pronti a buttare via chiunque, anche se avesse fatto su ogni anno di vita undici mesi di galera. La decisione sulle proposte di azione ai grandi svolti deve riuscire a farsi al di fuori della «autorità» personale di maestri, capi e dirigenti, ed in base alle norme prefissate di principio e di azione del nostro movimento: postulato difficilissimo, ben lo sappiamo, ma senza il quale non si vede via perché un movimento potente riappaia.
L’esaltazione per le «res gestae», per le gloriose imprese di questo o di quel preteso condottiero di folle, il mareggiare oceanico alle sue tirate o ai suoi atteggiamenti, ha sempre servito di passerella alle più sorprendenti manipolazioni sui principi del movimento. Seguaci e capo molte volte avevano talmente vissuta la esteriorità drammatica della lotta che avevano ignorate, dimenticate, forse mai penetrate, le «tavole» di teoria e di azione senza le quali non vi è partito, non vi è ascesa e vittoria di rivoluzione. E perciò quando il capo bara a se stesso e agli altri e cambia le carte, avviene in mille casi lo smarrimento.

43 - Il battilocchio nella storia - 1953.
9 - ...Freniamo quindi questa tendenza e in quanto praticamente possibile sopprimiamo, non certo gli uomini, ma l’Uomo con quel dato Nome e con quel dato Curriculum vitae...
So la risposta che facilmente suggestiona gli ingenui compagni. LENIN. Bene, è certo che dopo il 1917 guadagnammo molti militanti alla lotta rivoluzionaria perché si convinsero che Lenin aveva saputa fare e fatta la rivoluzione: vennero, lottarono e poi approfondirono meglio il nostro programma. Con questo espediente si sono mossi proletari e masse intere che forse avrebbero dormito. Ammetto. Ma poi? Con lo stesso nome si va facendo leva per la totale corruzione opportunista dei proletari: siamo ridotti al punto che l’avanguardia della classe è molto più indietro che prima del 1917, quando pochi sapevano quel nome.
Allora io dico che nelle tesi e nelle direttive stabilite da Lenin si riassume il meglio della collettiva dottrina proletaria, della reale politica di classe; ma che il nome come nome ha un bilancio passivo. Evidentemente si è esagerato. Lenin stesso di gonfiature personali aveva le scatole pienissime. Sono solo gli ometti da nulla a credersi indispensabili nella storia. Egli rideva come un bambino a sentire tali cose. Era seguito, adorato, e non capito...
Dovrà venire un tempo in cui un forte movimento di classe abbia teoria e azione corretta, senza sfruttare simpatie per nomi. Credo che verrà. Chi non ci crede non può essere che uno sfiduciato della nuova visione marxista della storia, o peggio un capo degli oppressi affittato dal nemico.
11 - ...Ben deve la rivoluzione borghese avere un simbolo e un nome, per quanto sia anche essa in ultima istanza fatta da forze anonime e rapporti materiali. Essa è l’ultima rivoluzione che non sa essere anonima: perciò la ricordammo romantica.
È la nostra rivoluzione che apparirà quando non vi saranno più queste prone genuflessioni a persone, fatte soprattutto di viltà e di smarrimento, e come strumento della propria forza di classe avrà un partito fuso in tutti i suoi caratteri dottrinali organizzativi e combattenti, cui nulla prema del nome e del merito del singolo, e che all’individuo neghi coscienza, volontà, iniziativa, merito o colpa, per tutto riassumere nella sua unità a confini taglienti.

44 - Gracidamento della prassi - 1953.
19 - ...L’attività è dei lavoratori, la coscienza solo del loro partito. L’attività, la prassi, è diretta e spontanea, la coscienza è riflessa, ritardata, anticipata solo nel partito, e solo quando vi è questo e questo opera la classe cessa di essere un freddo episodio da censimento e diviene forza operante nell’’epoca di sovversione, e rovescia su un mondo nemico un’azione che possiede un fine conosciuto e voluto; conosciuto e voluto non da individui, siano gregari o capi, soldati o generali, ma dalla impersonale collettività del partito, che copre paesi lontani e generazioni in catena, e non è quindi patrimonio chiuso in una testa, ma nei testi si, altra migliore tecnica non avendosi per passare al vaglio più rigido e il soldato e il generale soprattutto; mentre banalità senza fine è il contrasto immanente fra dirigente ed esecutore, ultima blague insipida d’oltralpe.
La destra del partito russo vuole che il membro del partito venga da un gruppo operaio di professione o di fabbrica federato nel partito: i sindacati furono chiamati dai russi associazioni professionali. In senso polemico Lenin forgia la storica frase che soprattutto il partito è una organizzazione di rivoluzionari professionali. Ad essi non si chiede: siete operai? In quale professione? Meccanico, stagnaio, legnaiolo? Essi possono così bene essere operai di fabbrica come studenti o magari figli di nobili; risponderanno: rivoluzionario, ecco la mia professione. Solo il cretinismo stalinista poteva dare a tale frase il senso di rivoluzionario di mestiere, di stipendiato dal partito. Tale inutile formula avrebbe lasciato il problema allo stesso punto: assumiamo impiegati dell’apparato fra gli operai, o anche fuori? Ma di ben altro si trattava.

45 - Pressione «razziale» del contadiname, pressione classista dei popoli colorati - 1953.
Né libertà di teoria, né di tattica.
Bisogna intendersi su questo fondamentale concetto della Sinistra. L’unità sostanziale ed organica del partito, diametralmente opposta a quella formale e gerarchica degli stalinisti, deve intendersi richiesta per la dottrina, per il programma, e per la cosiddetta tattica. Se intendiamo per tattica i mezzi d’azione, essi non possono che essere stabiliti dalla stessa ricerca che, in base ai dati della storia passata, ci ha condotto a stabilire le nostre rivendicazioni programmatiche finali e integrali.
I mezzi non possono variare ed essere distribuiti a piacere, in tempi successivi o peggio da distinti gruppi, senza che sia diversa la valutazione degli scopi programmatici cui si tende e del corso che vi conduce.
È ovvio che i mezzi non si scelgono per loro qualità intrinseche, se belli o brutti, dolci o amari, morbidi od aspri. Ma con grande approssimazione, anche la previsione sul succedersi della loro scelta deve essere comune attrezzatura del partito, e non dipendere dalle "situazioni che si presentano". Qui la vecchia lotta della Sinistra. Qui anche la formula organizzativa che in tanto la cosiddetta base può essere utilmente tenuta ad eseguire i movimenti indicati dal centro, perché il centro è legato ad una ’rosa’ (per dirla breve) di possibili mosse già previste in corrispondenza di non meno previste eventualità. Solo con questo legame dialettico si supera il punto scioccamente perseguito con le applicazioni di democrazia interna consultativa, che abbiamo ripetutamente dimostrate prive di senso. Sono infatti da tutti rivendicate, ma tutti sono pronti a dare spettacolo, in piccolo e in grande, di strani e incredibili colpi di forza e di scena nell’organizzazione.

46 - Dialogato con i morti - 1956.
74 - ...Il marxismo, e qui avreste bisogno del trattatino storico-filosofico, non fa perno né su una Persona da esaltare, né su un sistema di persone collettivo, come soggetti della decisione storica, perché trae i rapporti storici e le cause degli eventi da rapporti di cose con gli uomini, tali che si portino in evidenza i risultati comuni a qualunque singolo, senza pensare più ai suoi attributi personali, individuali.
Siccome il marxismo respinge come risolvente della «questione sociale» ogni formulazione «costituzionale» e «giuridica» premessa alla concreta corsa storica, non avrà preferenze e non darà risposta alle questioni malmesse: deve decidere tutto un uomo, un collegio di uomini, tutto il corpus del partito, tutto il corpus della classe? Anzitutto non decide nessuno, ma un campo di rapporti economico-produttivi comuni a grandi gruppi umani. Si tratta non di pilotare, ma di decifrare la storia, di scoprirne le correnti e il solo mezzo di partecipare alla dinamica di esse è di averne un certo grado di scienza, cosa assai diversamente possibile in varie fasi storiche.
E allora chi meglio la decifra, chi meglio ne spiega la scienza, l’esigenza? Secondo. Può essere anche uno solo, meglio del comitato, del partito, della classe. Il consultare «tutti i lavoratori» non fa fare più passi che consultare tutti i cittadini colla insensata «conta delle teste». Il marxismo combatte il laburismo, l’operaismo, nel senso che sa che in molti casi, nella maggior parte, la delibera sarebbe controrivoluzionaria e opportuniste... Quanto al partito, anche dopo la sua selezione da quelli che per principio negano le «pietre angolari» del suo programma, la sua meccanica storica neppure si risolve con la «base ha sempre ragione». Il partito è un’unità storica reale, non una colonia di microbi uomo. Alla formula che dicono di Lenin di «centralismo democratico» la Sinistra Comunista ha sempre proposto di sostituire quella di centralismo organico. Quanto poi ai comitati, moltissimi sono i casi storici che fanno torto alla direzione collegiale: non qui dobbiamo ripetere il rapporto tra Lenin e il partito, Lenin e il comitato centrale, nell’aprile 1917 e nell’ottobre 1917.
Il miglior detector delle influenze rivoluzionarie del campo di forze storiche può, in dati rapporti sociali e produttivi, essere la massa, la folla, una consulta di uomini, un uomo solo. L’elemento discriminante è altrove.
75 - ... Nel citare Lenin non si sono accorti di una magnifica sua costruzione, che giunge a ben altro, che al... Comitato Centrale.
«La classe operaia... nella sua lotta in tutto il mondo... necessita di una autorità... nella misura in cui il giovane operaio necessita dell’esperienza dei combattenti più anziani contro l’oppressione e lo sfruttamento... dei combattenti che hanno preso parte a molti scioperi e a diverse rivoluzioni, che hanno acquistato saggezza per le tradizioni rivoluzionarie ed hanno quindi una ampia visione politica. L’autorità della lotta mondiale del proletariato è necessaria ai proletari di ogni paese... Il corpo collettivo degli operai di ogni paese che conducono direttamente la lotta sarà sempre la massima autorità su tutte le questioni».
Il centro di questo passo sono i concetti di tempo e di spazio portati alla estensione massima; tradizione storica della lotta, e campo internazionale di essa. Noi aggiungiamo alla tradizione il futuro, il programma della lotta di domani. Come si convocherà da tutti i continenti e sopra tutti i tempi questo corpus leniniano, cui diamo il potere supremo nel partito? Esso è fatto di vivi, di morti e di nascituri: questa nostra formula non l’abbiamo dunque «creata»: eccola nel marxismo, eccola in Lenin.
Chi ciancia ora di poteri e di autorità affidati ad un capo, a un comitato direttivo, a una consultazione di contingenti corpi in contingenti territori? Ogni decisione sarà per noi buona se starà nelle linee di quella ampia e mondiale visione. Può coglierla un occhio solo, o un milione.
Questa teoria eressero Marx ed Engels, da quando spiegarono, contro i libertari, in quale senso sono autoritari i processi delle rivoluzioni di classe, in cui l’individuo sparisce come quantité négligeable, coi suoi capricci di autonomia, ma non si subordina ad un capo, a un eroe, o a una gerarchia di passati istituti.

47 - Struttura economica e sociale della Russia d’oggi - 1956.
35 - ... Tutto quello che Lenin grida e incide sulla carta di quelle storiche tesi è terribilmente contro quello che in Russia facevano, oltre ai partiti borghesi e piccolo-borghesi, anche quelli operai e lo stesso suo partito. Ma nello stesso tempo è ferocemente conforme a tutto quello che stava scritto, alla rotta data da Marx ed Engels nel 1848 e in cento svolti ribadita, e alla rotta tracciata da Lenin stesso dal 1900 in poi circa la Russia. I frettolosi che basiscono ogni volta che sentono parlare di una nuova, moderna direttiva, devono capire solo questo: noi difendiamo la immutabilità della rotta, ma non la sua rettilineità. Essa è piena di difficili svolti. Ma non nascono nella testa e nel capriccio del capo, del leader, come dice Trotzki. Leader significa infatti guidatore. Il capo del partito non ha nelle mani un volante e davanti a sé l’arbitrio dell’angolazione dello sterzo, è il conducente di un treno o di un tranvai. La sua forza è che egli sa che il binario è determinato, ma non certo rettilineo ovunque, sa le stazioni dove passa e la meta dove conduce, le curve e le pendenze.
Non è certo solo a saperlo. Il tracciato storico appartiene non ad una testa pensante, ma ad una organizzazione che va oltre gli individui soprattutto nel tempo, fatta di storia vissuta e di dottrina (a voi la parola dura) codificata.
Se questo è smentito, siamo tutti fuori combattimento e nessun nuovo Lenin ci salverà mai. Andremo al macero stringendo i manifesti, i libri, le Tesi in una non spartibile bancarotta.

48 - L’«estremismo», condanna del futuri rinnegati - 1961.
14 - ... Da quale microfono detta ordini questa forza collettiva? Contestammo sempre che vi fosse una regola meccanica e formalistica: non è la metà più uno che ha il diritto di parlare, anche se in molti trapassi servirà questo metodo borghese; e non accettiamo come regola metafisica la «conta delle teste» entro il partito, il sindacato, i consigli o la classe: alcune volte la voce decisiva verrà dalla massa in sommovimento, altre da un gruppo nella struttura di partito (Lenin non ha paura, come vedemmo, di dire: oligarchia), altre volte da uno solo, da un Lenin, come nell’aprile 1917 e nello stesso ottobre, contro il parere di «tutti».

49 - La grande luce si offuscò - 1961.
...Non basta la solidità teorica del partito... a portare al massimo il legame tra la dottrina e l’azione della classe. Vi può essere nei militanti del partito sicurezza ed entusiasmo, ma essi non lo possono comunque e sempre generare nelle masse per la loro attività di oratori, agitatori, scrittori. Non è un processo retorico che chiama le masse attorno al partito, né il possedere una rosa di uomini eletti, i famosi «capi», che hanno lasciato una storia, anzi cronaca, pietosa. Il processo è di fisica sociale, si constata, non si provoca.
Una tesi che ci preme enormemente è che non si tratta di scegliere un gruppo di uomini che formi lo «stato maggiore» del partito, e come si dice con la parola di moda lo «staff» o il «cast». Non si tratta di fabbricare con scoperte di persone quello che oggi dicono un trust di cervelli. Questa è una posizione pettegola e spregevole da cui è bene stare lontani. Questa illusione non è mai nutrita in buona fede, ma manifesta all’esterno il banale carrierismo, peste delle democrazie politiche, per cui si fanno avanti a spintoni elementi che non hanno qualità spiccate se non quella di furbi servitori di una ambizione morbosa, e in ogni caso di quanto sia più forte di loro. Ogni vanesio è un vile.
Perché la storia della miseria del Comintern, che seguì quella troppo breve dell’indimenticabile sua grandezza, fu quella che ci si mise a cercare gli uomini adatti. In tempo denunziammo senza reticenze questa che era una selezione alla rovescia. Forse i compagni russi in dati casi pensarono che questi pezzi della macchina di partito avrebbero potuto in breve tempo essere messi da lato nel caso già scontato di un rapido logorio. Ma noi accusammo questo criterio di evidente eccesso del più artificioso volontarismo.

50 - Considerazioni sull’organica attività del partito quando la situazione generale è storicamente sfavorevole - 1965.
9 - ... Tutti sappiamo che, quando la situazione si radicalizzerà, elementi in numeri si schiereranno con noi, in una via immediata, istintiva e senza il menomo corso di studio che possa scimmiottare qualificazioni scolastiche.
14 - ... La trasmissione da questa tradizione non deformata agli sforzi per rendere reale una nuova organizzazione di partito internazionale senza pause storiche, organizzativamente non si può basare su scelta di uomini molto qualificati o molto informati della dottrina storica, ma organicamente non può che utilizzare nel modo più fedele la linea tra l’azione del gruppo con cui essa si manifestava quarant’anni addietro e la linea attuale. Il nuovo movimento non può attendere superuomini né avere messia, ma si deve basare sul ravvivarsi di quanto può essere stato conservato attraverso lungo tempo, e la conservazione non può limitarsi all’insegnamento di tesi e alla ricerca di documenti, ma si serve anche di utensili vivi che formino una vecchia guardia e che confidino di dare una consegna incorrotta e possente ad una giovane guardia.

51 - Tesi sul compito storico, l’azione e la struttura del partito... (Tesi di Napoli) - 1965.
11 - ... Naturalmente non rinnegheremo noi stessi commettendo la fanciullaggine di ritornare a cercare salvezza nella ricerca degli uomini migliori o nella scelta di capi e di semicapi, bagaglio tutto che riteniamo distintivo del fenomeno opportunista, antagonista storico del cammino del marxismo rivoluzionario di sinistra.

52 - Tesi supplementari... (Tesi di Milano) - 1966.
9 - ...Lo sforzo attuale del nostro partito nel suo tanto difficile compito è di liberarsi per sempre dalla spinta traditrice che sembrava emanare da uomini illustri, e dalla funzione spregevole di fabbricare, per raggiungere i suoi scopi e le sue vittorie, una stupida notorietà e pubblicità per altri nomi personali. Al partito non devono mancare in nessuno dei suoi meandri la decisione ed il coraggio di combattere per un simile risultato, vera anticipazione della storia e della società di domani.

53 - Premessa alle «Tesi dopo il 1945» - 1970.
L’organizzazione, come la disciplina, non è un punto di partenza, ma un punto di arrivo; non ha bisogno di codificazioni statutarie e di regolamenti disciplinari; non conosce antitesi tra «base» e «vertice»; esclude le rigide barriere di una divisione del lavoro ereditata dal regime capitalista non perché non abbia bisogno di «capi», ed anche di «esperti» in determinati settori, ma perché questi sono e devono essere, come e più del più «umile» dei militanti, vincolati da un programma, da una dottrina e da una chiara ed univoca definizione delle norme tattiche comuni a tutto il partito, note ad ognuno dei suoi membri, pubblicamente affermate e soprattutto tradotte in pratica di fronte alla classe nel suo insieme; e sono tanto necessari, quanto dispensabili non appena cessino di rispondere alla funzione alla quale per selezione naturale, e non per fittizie conte delle teste, il partito li ha delegati, o quando, peggio ancora, deviano dal cammino per tutti segnato. Un partito di questo genere – come tende ad essere e si sforza di divenire il nostro, senza con ciò pretendere né ad una «purezza» né ad una «perfezione» antistoriche – non condiziona la sua vita interna, il suo sviluppo, la sua – diciamo pure – gerarchia di funzioni tecniche, al capriccio di decisioni contingenti e maggioritarie; cresce e si rafforza per la dinamica della lotta di classe in generale e del proprio intervento in essa in particolare; si crea, senza prefigurarli, i suoi strumenti di battaglia, i suoi «organi», a tutti i livelli; non ha bisogno – se non in eccezionali casi patologici – di espellere dopo regolare «processo» chi non si sente più di seguire la comune e immutabile via perché deve essere in grado di eliminarlo dal proprio seno come un organismo sano elimina spontaneamente i propri rifiuti.
«La rivoluzione non è una questione di forme di organizzazione»; è l’organizzazione con tutte le sue forme che, viceversa, si costituisce in funzione delle esigenze della rivoluzione prevista non solo nel suo sbocco, ma nel suo cammino. Consultazioni, costituzioni e statuti sono propri delle società divise in classi, e dei partiti che esprimono a loro volta non il percorso storico di una classe, ma l’incrociarsi dei percorsi divergenti o non pienamente convergenti di più classi. Democrazia interna e «burocratismo» omaggio alla «libertà di espressione» individuale o di gruppo e «terrorismo ideologico» sono termini non già antitetici, ma dialetticamente connessi: unità di dottrina e di azione tattica, e carattere organico del centralismo organizzativo, sono egualmente le facce di una stessa medaglia.
 
 
 
 

CAP. 4


IL PARTITO PREFIGURAZIONE DELLA SOCIETÀ COMUNISTA

Sommario


Da quanto abbiamo detto a proposito delle caratteristiche dell’organo partito, deve risultar chiara la nostra affermazione che il partito prefigura, nella sua dinamica interna, nei rapporti fra i suoi vari organi e le varie molecole che ne compongono il complesso organismo, la società comunista futura senza classi e senza Stato.

Il partito, attore e soggetto della rivoluzione violenta e della dittatura, non è un qualsiasi partito; è il partito comunista, legato perciò ad una speciale prospettiva storica da cui deriva il suo programma e la sua azione, espressione di una classe particolare la cui lotta non va nel senso di ristabilire il dominio di una classe su altre classi, ma di distruggere la divisione in classi della società. Il fine è la società senza classi, la società senza valori di scambio, la società nella quale l’interesse individuale e l’interesse della specie non sono più contrapposti, la società dove ognuno darà secondo le sue possibilità e riceverà secondo i suoi bisogni; la società infine nella quale l’adesione di tutti gli individui agli interessi sociali generali sarà ottenuta senza alcun tipo di costrizione, spontaneamente e organicamente.

Lo scontro violento fra le classi che il partito deve essere capace di dirigere senza esitazione, come senza esitazione dirigerà in prima persona violenza e terrorismo statale, si presenta dunque non come fine a se stesso, ma come mezzo per il raggiungimento di un fine che la dinamica interna del partito già prefigura. Il partito infatti, esprimendo gli interessi di una sola classe in lotta per la eliminazione delle classi, non presenta al suo interno contrasti di interessi sociali; e di conseguenza è in grado di realizzare la sua gerarchia di funzioni organiche senza bisogno di particolari meccanismi ed apparati coercitivi o con valore legale. Nel partito non esistono più rapporti di tipo mercantile e il cemento dell’organismo è dato dalla libera adesione di tutte le cellule al combattimento e al sacrificio per un fine comune. Il cemento che tiene insieme i vari membri della organizzazione che lega il centro alla periferia e, viceversa, che fa sì che gli ordini vengano da tutti eseguiti, è la reciproca fiducia, la solidarietà fra compagni che riconoscono un unico fine, che lavorano in comune per un fine comune (Lenin, «Che fare?»).

Il partito deve essere e sarà lo stato maggiore della rivoluzione e della dittatura, ma lo sarà tanto più quanto più riuscirà a possedere una dinamica interna la quale rifugga da tutti i tipi di rapporti fra gli uomini che sono propri della società odierna; quanto meno i rapporti interni si fonderanno su scontri fra uomini e gruppi, espressione di interessi di classe, quanto meno le gerarchie saranno formali, meccaniche, democratiche o burocratiche, quanto meno la divisione delle funzioni fra i vari membri dell’organizzazione scimmiotterà la borghese divisione del lavoro, quanto meno dovrà contare sul nome di persona e quanto più prevarranno la ricerca solidale e razionale delle migliori soluzioni, la spontanea e naturale disciplina ad un indirizzo rivendicato da tutti come comune, il lavoro anonimo, impersonale e collettivo di tutte le cellule che compongono l’organismo.

Il partito può essere organo tagliente di lotta politica fra le classi nella misura in cui al suo interno cessa e viene meno la lotta politica; può essere organo di repressione dittatoriale efficiente nella misura in cui al suo interno non esiste né repressione, né dittatura.

Il partito intanto è «stato maggiore» in quanto è prefigurazione del modo di associarsi naturale e spontaneo che sarà proprio della futura umanità comunista. Se il partito perde questo carattere, se al suo interno prevale la lotta fra interessi contrastanti, la coercizione, il burocratismo, il formalismo, il carrierismo, l’omaggio ai grandi nomi etc., esso è al contrario indebolito nella sua primaria funzione di organo politico, di stato maggiore della rivoluzione proletaria. Significa questo concepire il partito come «un falansterio circondato da invalicabili mura», «un’isola di comunismo nelle viscere della società presente»? Assolutamente no! Perché il partito è sempre e costantemente esposto all’influenza della società in cui si trova a combattere. In maniera che il suo modo organico di funzionare, il suo prefigurare la futura società umana, non è frutto di una formula statutaria premessa come base dell’organizzazione, ma è frutto di una continua lotta del partito, di un lavoro continuo rivolto a questa realizzazione che è, come la disciplina, non un punto di partenza, ma un punto di arrivo.

La tesi nostra, dinamica, non statica, è che il partito cresce e si rafforza nella misura in cui riesce a realizzare questa dinamica sua propria; si indebolisce nella misura in cui le situazioni reali e storiche non gli permettono di marciare in questa direzione; muore quando eventualmente cessi di camminare su questa strada e di lottare per questo fine o addirittura, come fu per la III Internazionale dopo il 1923, teorizzi come sua propria una dinamica tipica delle società divise in classi e dei partiti che le rappresentano.
 
 

CITAZIONI

Sommario
54 - Lenin nel cammino della rivoluzione - 1924.
...La organizzazione in partito, che permette alla classe di essere veramente tale e vivere come tale, si presenta come un meccanismo unitario in cui i vari «cervelli» (non solo certamente i cervelli, ma anche altri organi individuali) assolvono compiti diversi a seconda delle attitudini e potenzialità, tutti al servizio di uno scopo e di un interesse che progressivamente si unifica sempre più intimamente «nel tempo e nello spazio».
Essa è antindividualista in quanto materialista; non crede all’anima o a un contenuto metafisico e trascendente dell’individuo, ma inserisce le funzioni di questo in un quadro collettivo, creando una gerarchia che si svolge nel senso di eliminare sempre più la coercizione e sostituirvi la razionalità tecnica. Il partito è già un esempio di una collettività senza coercizione.

55 - Vulcano della produzione o palude del mercato? - 1954.
15 - ... In certo senso il partito è l’anticipato depositario delle sicure consapevolezze di una società ancora da venire e successiva anche alla vittoria politica e alla dittatura del proletariato. Né in questo vi è nulla di magico, poiché il fenomeno è storicamente constatabile per tutti i modi di produzione e per quello stesso della borghesia, i cui precursori teorici e primi lottatori politici svolsero la critica di forme e valori del tempo affermando tesi, che successivamente divennero di accezione generale: mentre nell’ambiente che li circondava gli stessi autentici borghesi seguivano le confessioni antiche e conformiste, non ravvisando nelle enunciazioni teoriche nemmeno i loro palpabili materiali interessi.

56 - Russia e rivoluzione nella teoria marxista - 1955.
II, 39 - ... In termini esatti la coscienza proletaria non vi sarà mai. Vi è la dottrina, la conoscenza comunista, e questo è nel partito del proletariato, non nella classe... 

57 - I fondamenti del comunismo rivoluzionario marxista - 1957.
III, 14 - ... La strada per uscire da questa inferiorità passa, sia pure in una lunga serie di contrasti, per organi eretti senza alcun materiale e alcun modello tratto dagli organi del mondo borghese, e che possono essere solo il partito e lo Stato proletario, nei quali la società di domani si cristallizza prima di essere storicamente esistente. Negli organi che diciamo immediati e che copiano e serbano l’impronta della fisiologia della società attuale, non può altro in potenza cristallizzarsi che la ripetizione e la salvezza di questa.

58 - Contenuto originale del programma comunista... - 1958.
10 - Perché materialismo dialettico - ... La capacità di descrivere in anticipo e di affrettare il futuro comunista, dialetticamente non cercata né nel singolo né nell’universale, è trovata in questa formula che ne sintetizza il potenziale storico: il partito politico attore e soggetto della dittatura.
16 - Persona e partito - ... Se la persona è un pericolo – in effetti essa non è che un vaneggiare millenario degli uomini nelle ombre che li dividono dalla loro storia di specie – la via che lo combatte sta solo nella unitarietà qualitativa universale del partito, in cui si attua la concentrazione rivoluzionaria, oltre i limiti della località, della nazionalità, della categoria di lavoro, della azienda-ergastolo di salariati; in cui vive anticipata la società futura senza classi e senza scambio.

59 - Le lotte di classi e di stati nel mondo dei popoli non bianchi... - 1958.
13 - ... Il partito comunista non ha nomi e non ha divi, nemmeno Marx o Lenin; esso è una forza che attinge il suo potenziale da una umanità non nata ancora e la cui vita sarà soltanto vita di collettività e di specie, dalle più semplici funzioni manuali fino alle più complesse ed ardue attività mentali. Definiamo il partito: proiezione nell’oggi dell’Uomo-Società di domani.
1 - Originalità integrale del marxismo - ... Tale possesso della dottrina rivoluzionaria fa del partito il serbatoio della posizione del futuro uomo sociale comunista. In questo senso in più testi scrivemmo che in esso vive anticipata la società futura senza classi e senza scambio; in esso sta la morte dell’individualismo e di ogni ideologia e prassi personale.

60 - Tesi sul compito storico, l’azione e la struttura del partito... (Tesi di Napoli) - 1965.
13 - ...Che nel partito si possa tendere a dare vita ad un ambiente ferocemente antiborghese, che anticipi largamente i caratteri della società comunista, è una antica enunciazione, ad esempio dei giovani comunisti italiani fin dal 1912.
Ma questa degna aspirazione non potrà essere ridotta a considerare il partito ideale come un falansterio circondato da invalicabile mura.
 

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